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Autore: Thyamat    11/11/2010    1 recensioni
E se una persona qualsiasi riuscisse ad accedere, in maniera apparentemente inspiegabile, nel mondo di Kingdom Hearts? Ammetto che sarà una storia abbastanza lunga, non fatta per coloro che si stufano abbastanza presto... I capitoli sono ancora in prosecuzione, e essendo pure sommersa dagli esami, avrò un ulteriore rallentamento... Chiedo venia in anticipo... Questa non è la mia prima Fan's Fiction: ne ho scritte alcune altre, ma per ora mi sento di postare solamente questa. Suppongo che, a primo impatto, vi sembrerà infantile, forse noiosa: in effetti, l'inizio lo è, ma la storia maturerà di capitolo in capitolo, promesso! ^^ Vi auguro buona lettura, e spero che seguirete anche i prossimi capitoli!
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Riku
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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LON4
Scusate l'imperdonabile ritardo, pensavo che ci avrei impiegato poco, poiché mancavano poche pagine alla fine del quarto capitolo, ma l'univerrsità mi ha letteralmente rubato tutto il tempo, compresa l'intera estate, che solo da settembre ho cominciato ad avere un po' più di tempo...
Comunque, eccoci qua: Phoenix è arrivata nel mondo di Kingodm Hearts, ha avuto un incidente sulla via di Radiant Garden sulla Gummyship, ed ha fatto conoscienza con gli altri personaggi di Kingdom Hearts non appena si è ripresa. Ora, è il momento di fare una scelta, che potrebbe irrimediabilmente compromettere il suo futuro in questo mondo. Ma tale mondo è vero, o soltanto un sogno?
Sto già lavorando al quinto capitolo. Chiedo perdono per la lunghezza del quarto, non sapevo se mi fosse conventuo spezzarlo e concedervi così una prima parte, ma ho preferito alla fine tenere tutto insieme. Scusatemi!
Ma, cosa ancora più imperdonabile, è ancora una totale assenza di azione... Vorrei tanto scriverle, ma purtroppo alle prime battaglie siamo ancora un po' lontani... TTATT
Anche il quinto promette male, nel senso che potrebbe diventare lunghetto anche quello... Vederemo.
Per ora, buona lettura, spero che i pochi che seguono, continueranno! ^_^


Capitolo IV
– La scelta del neofita: discrepanze

Avvertii il dolce torpore del sonno abbandonare lentamente le mie membra, distaccandosi come petali dal proprio stelo. Aprii piano gli occhi, quasi senza rendermene conto: ero ancora lievemente assonnata. Le immagini sfocate si fecero man mano nitide, intanto che io mi destavo: quando mi resi conto di avere gli occhi aperti, oramai distinguevo bene la stanza, con tutti i suoi mobili e ninnoli. Mi alzai fiaccamente a sedere sul materasso, lasciandomi scappare uno sbadiglio che tardai a coprire con la mano sinistra, mentre il braccio destro lo sollevavo ed allungavo verso il soffitto per sgranchirmi un poco la schiena. Posai in seguito la schiena contro lo schienale del letto, riabbassando entrambe le braccia, e mi osservai intorno. Notai con stupore di esser ancora all’interno del sogno: -Ma durerà a lungo, questo sogno? Che sia davvero in coma, forse…?- mi chiesi, dubbiosa. Scesi dal letto, ma come mi levai in piedi, ebbi un leggero capogiro.
“Oh, cavolo…!” esclamai; mi arrancai alla sedia poco prima di perdere del tutto l’equilibrio, portandomi una mano alla testa come se ciò potesse fermare la mia vertigine improvvisa. Attesi qualche secondo, finché riacquisii sicurezza nel portamento, dopodiché scossi il capo stizzita: “Insomma! Che mi prende?!” contestai, osservandomi intorno. Fortuna che non v’era nessuno ad assistere alla scena. Volsi nuovamente lo sguardo verso la sedia su cui mi ero aggrappata, e vidi con sorpresa dei vestiti accuratamente ripiegati sopra un grosso involto di tessuto di cotone nero e cremisi. Ipotizzai fossero un cambio di vestiti, e quello sotto un accappatoio. Li presi e li fissai a lungo, perplessa.
-Beh, mi sembra un chiaro invito ad un bagno caldo…- conclusi, stringendomi nelle spalle. Condussi gli indumenti al petto, quasi abbracciandoli, e vi accostai il naso: inspirai profondamente, e sentii una leggera e fresca fragranza di fiori, del tutto nuova rispetto a quella che avevo avvertito provenire dalla specchiera. Doveva esser lavanda. Abbracciai più strettamente contro il mio seno i vestiti, sentendomi oltremodo imbarazzata: sentivo le attenzioni di Aerith e gli altri soffocanti, non ero abituata che qualcuno si mostrasse così apprensivo nei miei confronti… Allo stesso modo, però, capivo che non potevo rifiutare la loro gentilezza. Avrei potuto recar loro un dispiacere, giacché mi pareva essi facessero ciò con assoluta spontaneità, proprio come se fossi una persona loro molto cara e si sentissero moralmente in dovere di trattarmi con riguardo. Inoltre, mostrarmi più… aperta e cordiale verso di loro non mi sarebbe dispiaciuto.
-Credo meritino fiducia. Finora, sono stati quasi tutti davvero gentili, con me…- riflettei, quando mi tornò alla mente Riku. Rammentai i suoi modi sgarbati, quasi brutali, e subito mi avvilii e rattristai: avrei tanto voluto lui come amico vicino, lui avrebbe sicuramente come mi sentivo. Eppure, persisteva a dubitare di me, credendomi un Nessuno.
-Non posso farci nulla… Spero che si ricreda, prima o poi…- mi augurai mestamente, in verità già rassegnata per metà. Scossi subito dopo il capo, incredula delle mie continue futili riflessioni: -Cavolo, è solo un sogno! Smettiamola e incominciamo a muoverci secondo gli schemi!!- obiettai, arrabbiata con me stessa, -Me la prendo troppo, in fondo è solamente un sogno!-
Mi voltai verso la porta e l’aprii silenziosamente; sbirciai dalla piccola fessura che avevo dischiuso, controllando la situazione: v’era soltanto un stretto corridoio in plaquette e dalle pareti color crema, spoglio di qualsiasi quadro o mobiletto. Sembrava non esserci nessuno. Deglutii lentamente, dopodiché presi coraggio ed uscii fuori, prendendo la sezione a sinistra. Sperai di non incontrare persona alcuna nel tragitto, non compresi bene il motivo ma la cosa mi avrebbe probabilmente imbarazzato.
-Chissà dov’è il bagno…?- mi chiesi solo in quell’istante, mentre proseguivo alla cieca guardando le porte ai lati, -E dovrò fare un bagno alla giapponese? Spero di no!- iniziai pure a preoccuparmi: il loro modo di lavarsi lo trovavo alquanto scomodo…
Ad un certo punto, la parete di sinistra finiva; raggiunsi di soppiatto il corrimano in mogano, mantenendomi celata alla vista, ed osservai il nuovo ambiente: v’era una scala abbastanza ampia, che conduceva al piano di sotto. Dal corridoio, essa si allargava man mano di qualche decimetro, parendomi da lassù quasi un ventaglio. Lo spazio sottostante era ampio, doveva esser l’ingresso. Un esteso tappeto persiano ricopriva quasi l’intero pavimento, e da quel che potevo vedere, vi erano due porte sulla parete di destra ed una, molto più grande, sulla parete al centro: ciò confermava che esso era l’ingresso. Per quanto riguardava l’arredamento, v’erano solamente qualche mobiletto di taglia media e un paio di sedie disseminate qua e là, di un legno un poco scuro, ma di uno stile particolare, forse vittoriano. L’unica decorazione, oltre ad un paio di quadri sulle pareti, era un vaso di fiori bianchissimi: non li vedevo bene, però mi parvero simili ai gigli, soltanto dal calice un po’ più piccolo e delicato.
Tutto era silenzioso e immoto: anche al piano di sotto pareva non esserci nessuno. Proseguii allora lungo il corridoio, muovendomi con circospezione, giungendo all’ala sinistra: trovai ancora porte, ed ovviamente non sapevo quale potesse essere quella giusta… Dato che ve n’erano due sulla parete di sinistra e tre invece sulla destra, ipotizzai che quella di destra al centro poteva essere il bagno. Mi diressi dunque verso di essa, con passo svelto ma piuttosto tranquillo: la parte difficile sarebbe stata quella di controllare che non fosse occupato o di assicurarsi che non fosse effettivamente la camera di qualcuno, per di più occupata. Quando fui a qualche metro ancora dalla porta, vidi la maniglia dorata di quella antecedente abbassarsi improvvisamente.
-Cavoli, c’è qualcuno!!- andai nel panico, arrestandomi di colpo. La porta intanto si aprì, e vidi da essa uscirne Leon… quando vidi il suo aspetto, il cuore mi andò in gola e le guance le sentii quasi ardere: indossava i soliti pantaloni e i piedi erano scalzi, mentre sopra… era a torso nudo… Portava unicamente un asciugamano bianco sulle spalle, ed i suoi capelli erano ancora umidi. Aveva tutta l’aria di essersi appena fatto la doccia…
Lo vidi avvicinarsi alla porta che avevo mirato prima e bussare. Non mi aveva notato, per fortuna… Iniziai ad indietreggiare di un paio di passi, trovandomi decisamente in imbarazzo.
“Ehi, Cloud, ho dimenticato una cosa. Puoi aprirmi?” chiese dalla porta; feci dietrofront preparandomi a dileguarmi nel modo più silenzioso e rapido possibile: dapprima camminai, ma quasi subito dopo iniziai a correre, dimostrandomi oltremodo stupida. Difatti, Leon si accorse della mia presenza: “Ehi…” mi richiamò.
Mi bloccai immediatamente per la seconda volta, ma provando molto più disagio: mi sentivo come una ladra. D’impulso, mi voltai pure verso di lui, palesando in tal modo il mio volto arrossito e pressoché terrorizzato. Leon mi fissava interdetto ma severo, come se mi avesse colto sul fatto; probabilmente, gli era sospetto il modo in cui stavo fuggendo, ovvero di soppiatto.
Subito dopo, la porta alla quale lui aveva bussato si aprì, e ne uscì Cloud; ma come ne uscì… Cloud era proprio uscito da un bagno caldo, i suoi capelli biondi ne erano ancora zuppi: nonostante essi ricadessero abbastanza pesantemente lungo il capo ed sul viso, i ciuffi più corti erano spettinati e leggermente sollevati, sfidando le leggi della fisica. Era, ovviamente, a torso nudo come il suo amico, all’infuori di un particolare: vidi nitidamente i rivoli d’acqua scorrergli sui pettorali, poi sull’addome, ripercorrendo audacemente ogni infossatura e rigonfiamento dei suoi pettorali ed addome scolpiti, fino a raggiungere l’orlo dei suoi pantaloni, a cui ovviamente i miei occhi non potevano accedere…
Arrossii maggiormente, fissando intimorita più che mai quei due bellissimi ragazzi. Cloud fece per porgere qualcosa a Leon, ma vedendo che l’amico guardava altrove, anche lui si voltò e mi notò; entrambi, ora, mi osservavano seri, quasi solenni, facendomi sentire poco meno di una nullità. Il loro sguardo era pungente, mi trapassava da parte a parte come affilate lame di rasoi. Mi diedero l’impressione che la mia presenza lì non fosse loro gradita…
Finalmente, uno dei due si mosse: fu Leon. Con molta naturalezza, prese ciò che Cloud ancora accennava a porgergli, e lo condusse al proprio collo. Ne lasciò scivolare una parte dalle sue mani sul petto, e vidi che era il suo amato pendaglio a forma di leone, che racchiudeva in sé il Guardian Force Griever.
“Ti sei appena svegliata?” mi chiese Leon, mentre si agganciava la catena intorno collo.
“Eh?” esclamai scioccamente io, imbarazzandomi maggiormente all’udire la sua voce virile, pacata ed indifferente.
Leon tornò a fissarmi, e non ripeté la propria domanda: “Se vuoi farti un bagno, devi recarti al piano di sotto. Questo è il bagno degli uomini,” mi avvisò con il suo solito tono distaccato.
Sentii nuovamente le mie guance ardere per il disagio, avendo fatto verso di loro una pessima impressione: era proprio il loro aspetto molto attraente ed affascinante a confondermi le idee ogni volta, facendomi assumere atteggiamenti infantili e imbarazzanti…
“Ah, sì, va bene…” balbettai appena. Mi voltai e mossi un passo verso le scale, quando sussultai e mi fermai di nuovo: rammentai che non sapevo esattamente dove fosse, ma la figuraccia che avevo appena fatto mi era sufficiente, non avevo voglia di collezionarne altre chiedendo dove esso fosse…
In quel momento, vidi Cloud incamminarsi verso le scale che portavano al piano di sotto. Pensai di poter tirare mezzo sospiro di sollievo, dovendo ora attendere che soltanto Leon se ne andasse affinché nessuno mi vedesse vagare per la casa come una stupida alla ricerca del bagno, quando Cloud non curvò per le scale. Si diresse proprio verso di me, fermandosi al mio fianco a breve distanza…
“Vieni, ti accompagno” mormorò, e il suo tono di voce mi fece sussultare il cuore: mi sembrò… quasi gentile… vedendo che mi ero incantata, Cloud prese allora il mio braccio, sospingendomi con dolcezza verso le scale; dapprima, provai una gran vergogna per un simile contatto con un ragazzo così piacente, ma lo assecondai immediatamente dopo, comprendendo che non potevo continuare a comportarmi come un coniglietto intimidito. Mi lasciò andare non appena reagii al suo invito, e scendemmo le scale insieme; un po’ me ne dispiacque, ma dovetti ammettere che fu meglio così: non potevo permettermi di fare un’altra brutta figura.
“Per via della ferita alla testa, sarebbe meglio se ancora aspettassi a lavarti i capelli. Potrebbe causarti un’altra emorragia” mi spiegò Cloud cammin facendo.
Dopo qualche istante d’esitazione dovuto all’avvilimeno e all’imbarazzo, assentii con un semplice “Hm-mh…”
Una volta giunti al piano inferiore, egli svoltò a sinistra; io lo seguii come un’ombra, mantenendomi sempre a capo chino. Svoltammo ancora a sinistra, giungendo alla parete perpendicolare alle scale: proprio nel mezzo, c’era una porta. Cloud mi precedette e l’aprì, mostrandomene l’interno: era un bagno molto ampio, completamente all’occidentale. Fortunatamente, non mancava nulla: ricalcava proprio lo stile italiano, ed almeno su quello non mi sarei sentita a disagio. Era comunque molto bello: le pavimentazioni e i rivestimenti delle pareti erano in ceramica laccata di un tenue e gradevole color grigio-rosa, molto simile a quello di alcune perle. Anche la ceramica dei servizi era di un leggero color argento-rosa: qualcuno doveva averci tenuto molto a rendere tutto così femminile, forse anche troppo: ritenni che forse avessero un poco esagerato.
“Prego. Se ti serve qualcosa, chiedi ad Aerith, la troverai in cucina. Le altre sono uscite, ma torneranno presto” mi avvisò Cloud; la sua voce non era più fredda, nemmeno indifferente, ma nemmeno gentile o calda. Parlava con naturalezza, senza dare alla voce un tono particolare. Detto ciò, vidi con la coda dell’occhio la sua ombra allontanarsi.
“G-grazie…” riuscii appenda a esclamare: ero molto intimidita, ma gli ero vivamente grata per esser stato cortese con me. Inoltre, ero anche conscia del fatto che dovevo iniziare ad interagire con loro, altrimenti non avrei costruito alcun tipo di rapporto. Vidi l’ombra di Cloud arrestarsi e voltarsi; parve fissarmi per qualche istante, in silenzio: “Non c’è di che” mi rispose infine; non ne fui sicura, ma il suo tono era cambiato: si era fatto leggermente più gentile. Dopo qualche attimo di esitazione da parte di entrambi, lui si voltò nuovamente e si allontanò; non appena lo fece, mi affrettai nel bagno, non volendo esser vista. Chiusi pure la porta adagio, senza farmi udire né da lui o da Leon.

“Ah ah! Ha visto Leon e Cloud a torso nudo e si è imbarazzata!” schiamazzò Yuffie, ridendo sonoramente. Io, seduta al tavolo a poca distanza da lei, chinai vergognosa il capo e portai i pugni sulle ginocchia, stringendoli lievemente. Eravamo in cucina: nel frattempo che mi ero fatta una doccia, le altre ragazze (o meglio, Yuffie e Kairi) erano tornate dalla spesa ed avevano saputo dell’accaduto, probabilmente da uno dei due ragazzi.
“Yuffie, non è carino deridere così qualcuno,” la rimproverò Aerith, non molto contenta del comportamento dell’amica: oltretutto, erano presenti pure i diretti interessati ad ascoltare, era decisamente umiliante.
Yuffie proseguì a ridere sotto i baffi; Kairi invece si mostrò molto più comprensiva: si approssimò a me e circondò le mie spalle con il braccio destro, volendo rassicurarmi un po’, “Non offenderti, Yuffie è fatta così” mi disse, sorridendo amabile.
“Hm…” mugugnai solamente io distogliendo lo sguardo da lei, provando ancora vergogna.
Lei ghignò, dopodiché accostò il viso poco più al mio: “Per caso, ti piace uno di loro?” mormorò al mio orecchio, compiaciuta.
“Che?!” esclamai, arrossendo di botto e sussultando pure, colta alla sprovvista; in tal modo, però, l’attenzione di tutti ricadde inevitabilmente su di me.
“Ne parliamo dopo!” mi disse allora Kairi, allontanandosi e facendomi pure l’occhiolino. I restanti presenti continuarono a fissarmi per qualche secondo, dopodiché tornarono a curarsi delle proprie preoccupazioni. Mi rattristai un poco, sentendomi nuovamente lasciata in disparte: -Mi sento… davvero strana… Questo sogno è strano. Mi pare di vivere sempre più qualcosa sulla mia pelle. Avverto ogni cosa: la brezza tra i capelli, le loro mani che mi sfiorano, il solletico ed il calore del loro lieve respiro quando parlano all’orecchio e che spesso mi dà un brivido loro appena percettibile… Voglio svegliarmi al più presto…- pensai, inquietata: iniziavo a non sopportare più quella cruda sensazione di realtà, se davvero non mi fossi di lì a poco ridestata, sarei fuggita via appena mi fosse stato possibile da quella casa alla ricerca di un varco per andarmene da quel tetro sogno. Un’esile ombra calò su di me, distogliendo la mia attenzione dalle mie inquietudini. Sollevai il capo a fatica, preparandomi svogliatamente ad ascoltare ciò che la persona che avevo davanti aveva da dirmi. Vidi che era Aerith: mi sorrise maternamente, socchiudendo i suoi bellissimi occhi smeraldo.
“Ti andrebbe di aiutarmi in cucina?” mi chiese con squisitezza.
Sobbalzai dallo stupore, non attendendomi minimamente una richiesta simile: “C… Cucinare?” ripetei, incredula.
“Sì, certo. Mi sembri proprio una ragazza abile ai fornelli, non erro?” mi confidò, solare.
Io esitai qualche istante a rispondere: “No… No, non sbagli. Preparo sempre io i pasti… Sempre o quasi,” assentii infine.
“Davvero?” mi chiese un poco sorpresa, avviandosi verso la cucina senza però distogliere lo sguardo da me; io mi alzai in piedi e la seguii, sembrando proprio un pulcino con mamma chioccia. Era la prima volta che mi capitava di assumere un’andatura fanciullesca, ossia un poco infantile, pura ed ingenua. Quando ero con Aerith, avvertivo come se fossi un bambino al fianco della propria mamma, e quella sensazione era per me meravigliosa, la sua figura materna riempiva il vuoto che avevo nel cuore.
“Sì, dipende da chi arriva prima ai fornelli. Quasi sempre arrivo prima io di papà. E poi, lui non sa per niente cucinare. Ho dovuto imparare anche per una questione di sopravvivenza: sfiderei chiunque a mangiare ciò che lui prepara” le raccontai con incosciente spontaneità, una volta giunta al tavolo con sopra le borse della spesa: mi misi chetamente ad aprirle e a disporre gli alimenti ordinatamente sul tavolo.
“Tuo padre?” mi chiese, giungendole inaspettata la mia affermazione. Io mi impietrii, senza dire una parola: avevo parlato troppo. Mi ero lasciata sfuggire ad un’ intima confidenza, di cui non avevo la minima intenzione approfondire oltre. Cadde un pesante ed imbarazzante silenzio nella cucina.
“Se vuoi legarti i capelli, torna pure nella mia stanza e rovista nei portagioie: prendi la spilla o il nastro che più ti piace,” mi disse con sorprendente cordialità.
“S… Sì, subito,” esclamai, disincantandomi dalla mia tetraggine: mi voltai ed uscii in fretta, dirigendomi verso la camera da me occupata. Sapevo perfettamente che aveva tentato di riparare alla propria domanda poco discreta, e mi dispiacque moltissimo di aver gettato anche lei in un tale imbarazzo: in fondo, non me l’aveva chiesto per cattiveria, ero stata io ad averle fatto sorgere il dubbio. Corsi su per le scale, senza guardare nessuno in volto; feci per svoltare a destra, verso la mia stanza, sempre senza guardare dove stessi andando. Dopo pochissimi passi, urtai qualcosa; rimbalzai indietro, e per poco non persi pure l’equilibrio finendo col sedere per terra: “Uh…!” esclamai, recuperando per un soffio la stabilità. Sollevai poi gli occhi, volendo capire contro cosa avevo urtato; quando vidi che non era una cosa ma un qualcuno, riconoscendo pure chi, inspirai forte dallo sgomento ed il timore. Era Riku.
Riku mi fissava molto severamente, e sembravo averlo pure indispettito parecchio, a giudicare dal suo sguardo più gelido del solito. Presa dal panico, feci la prima azione disperata che mi saltò in mente: chinai la schiena, congiungendo le mani e posandone i palmi sulle ginocchia e abbassando pure remissivamente il capo, “Mi… Mi dispiace moltissimo, scusami!” quasi gridai, disperata, desiderando con tutto il cuore che per ciò che era successo non mi odiasse più di prima.
Vidi l’ombra di Riku sussultare, e non proferì parola; trascorse qualche manciata di secondi senza che nessuno dei due parlasse o si muovesse, come congelati nel tempo. Iniziavo a non reggere più la situazione, desiderai rispondesse, andava bene qualsiasi cosa, avrei sopportato anche l’ennesimo insulto.
Udii soltanto Riku sbuffare lievemente. Flemmatica, risollevai il torace e la testa per osservarlo in volto: con molta timidezza e timore, lasciai che i nostri sguardi si incrociassero. I suoi occhi erano indifferenti, come se fissasse il niente. Infine, distolse lo sguardo con noncuranza, dopodiché scartò alla mia sinistra per passare oltre e proseguì verso le scale.
Il mio cuore si strinse dolorosamente, come se ghermito da mani adunche, dure e scheletriche: -Mi ha ignorato…- realizzai, sconvolta. Il suo comportamento attestava che mi odiava dal profondo, e che con me non voleva avere niente a che fare. Mi sopportava appena, solo perché il suo atteggiamento ostile infastidiva i suoi amici, altrimenti avrebbe fatto ben di peggio. Iniziai a temere che la realtà si stesse riversando in quel sogno, insoddisfatta di perseguitarmi solo nei momenti in cui ero cosciente…
-Non voglio… vivere l’incubo di ogni giorno… Almeno nei sogni…! Almeno in essi voglio rifugiarmi!- mi persi d’animo, mentre gli occhi mi si colmavano di lacrime. Prima che potessi versarne una, però, iniziai gradualmente ad infuriarmi: fremevo sempre più, finché mi portai le mani alla testa e premetti rudemente contro le tempie, lasciando trapelare l’ira recondita nelle profondità della mia persona.
-SVEGLIATI, MALEDIZIONE!! SVEGLIATI, SONO STUFA DI QUEST’INCUBO, VOGLIO USCIRNE!!- mi ordinai con tutte le forze che avevo: sarei esplosa dalla rabbia, piuttosto che restare lì anche soltanto per un altro nanosecondo.
“Ehi…!” udii qualcuno esclamare a breve distanza da me. Mi voltai con stizza verso tale persona, infastidita dal fatto che mi avesse interrotto. Vidi Sora approssimarsi, con espressione piuttosto preoccupata.
“Qualcosa non va? Stai bene?” mi domandò, allungando un braccio verso di me. Io mi affrettai a scacciare la sua mano con gelida repulsione, rigettando un suo qualsiasi aiuto.
“Ma…” obiettò lui, osservandomi confuso ed un poco ferito dal mio gesto.
“Non voglio la vostra pietà” dissi gelidamente, incattivita: mi sentivo come un piccolo esserino stanato, e tutto quel che potevo fare era mettermi sulla difensiva.
“Pietà? Ma che dici?!” replicò lui, capendo ancor meno.
“Senti: non sono io che sono voluta venire qui. Mi ci sono semplicemente risvegliata. Non potete però trattarmi come se fossi una creatura insulsa che potete calpestare come e quando a vostro piacimento, nel dubbio che io sia un nemico o no. Se volete darmi un aiuto sincero, così sia, altrimenti potevate lasciarmi dov’ero e risparmiarmi i vostri maltrattamenti” controbattei io: ero adirata, ma nonostante ciò riuscii a contenere il tono della mia voce, parendo forse più arrogante che furibonda.
“Maltrattamenti…?” ripeté Sora, osservando interdetto nei miei occhi fulminanti; io distolsi lo sguardo e me ne rimasi ostilmente in silenzio, avendo perso completamente la pazienza: se con loro ogni tipo di comunicazione seria era impossibile, ciò era dovuto perché essi erano solamente proiezioni del sogno.
-Devo cavarmela da sola. Se non mi desterò al più presto, dovrò iniziare a preoccuparmi che questo non sia un normale sonno. Non riesco a capacitarmi del perché io non riesca a svegliarmi… Devo assolutamente trovare il modo…- focalizzai la mia attenzione sulle questioni davvero importanti, cominciando pure a provare un po’ di ansia al riguardo.
“Riku… ti ha bistrattato?” mi chiese Sora, facendosi improvvisamente serio e cupo.
Mi voltai di scatto verso di lui, provando vivo imbarazzo: da sempre, per me era umiliante che di simili situazioni ne venissero a conoscenza altre persone. Mi infastidiva lo stupore di alcuni, ma in particolar modo la loro impotenza nel mutare le circostanze: quando tali persone intervenivano, spesso mi ritrovavo in una situazione peggiore, come se oltre al trattamento ordinario mi spettasse un extra come ripicca.
“È così, vero?” sottolineò Sora: la mia reazione aveva scemato ogni sua possibile incertezza.
Levai nuovamente lo sguardo da lui, vergognandomi profondamente che l’avesse scoperto. Tutta la rabbia provata fino ad un istante prima era svanita assieme al mio orgoglio: era inutile oramai infuriarsi, inoltre Sora era persona con la quale meno di tutte me la sarei potuta prendere.
Sora, a quel punto, si voltò e s’incamminò verso le scale con passo spedito ed irrequieto: prima che sbucasse davanti alla scalinata, compresi quel che gli stesse passando per la testa e lo presi per il braccio: “No, Sora! Fermati, non intervenire…” cercai disperatamente di convincerlo, trattenendo il suo impeto a stento: ero ancora piuttosto indebolita.
“Se continua a trattarti male, io sono in dovere di intervenire! Sono il suo migliore amico!” obiettò sensatamente lui, seccato dal mio atteggiamento ora remissivo.
“Non mi ha trattato propriamente male…” cercai di sedare la sua rabbia, introducendogli pure parte della verità. Quelle parole finalmente lo calmarono un poco: si voltò e mi fissò serio, pronto ad ascoltarmi.
“È solo… che poco fa stavo correndo, non ho visto che Riku stava passando per questo corridoio, e siccome non stavo guardando dove andavo, l’ho urtato… Dapprima, mi è sembrato molto scocciato del fatto, ed io per non farlo ulteriormente arrabbiare mi sono immediatamente scusata. Riku però… ha distolto lo sguardo con freddezza ed indifferenza, e se n’è andato ignorandomi completamente, come se improvvisamente non esistessi… Tale suo comportamento mi ha… ferita…” gli confidai sottovoce, chinando il capo imbarazzata sia perché Sora avrebbe potuto fraintendere i miei sentimenti, sia perché per me era umiliante far sapere ad altri i miei disagi.
Vidi con la coda dell’occhio Sora incrociare le braccia e inclinare leggermente il capo verso il basso: “Hm…” fece, pensoso; restammo, per un breve istante, entrambi in silenzio. “Beh, non è stato comunque un comportamento scusabile, il suo. Non può continuare così, sta solo cercando di ferirti il più possibile senza che gli altri se ne accorgano. È per questo che qualcuno deve intervenire” concluse Sora, parlando in tono grave mentre parlava dell’amico, e dispiaciuto quando invece cercava di farmi ragionare.
“Anche Kairi voleva aiutarmi, ma ti prego, evita. Sai molto meglio di me che la situazione potrebbe solo che peggiorare, se uno di voi due si immischiasse nella faccenda tra me e Riku. Non ve ne dovete preoccupare, vedrete che prima o poi si aggiusterà,” ripetei la stessa cosa detta a Kairi, tentando di esser più persuasiva possibile.
“Se qualcosa ti fa tanto arrabbiare, come poco fa, è ovvio che io mi preoccupi” ribatté Sora, mostrandosi ora molto severo nei confronti della mia ottusità, “Mi spieghi come puoi dire che una cosa del genere si risolva, se ti fa stare così male?”
Volsi lo sguardo altrove, sentendo che aveva colpito il punto dolente della faccenda: esser odiata da una persona, che tanto stimavo, era doloroso come lui sosteneva.
Sora sbuffò, rassegnato, “Va bene, se non vuoi che nessuno metta becco, non lo farò, ma sappi che se continua non ti garantisco che me ne starò ancora da parte. Deve smetterla” sentenziò Sora, in parte comprensivo, ma dall’altra si mostrava molto protettivo.
“Non credere che tale situazione mi piaccia,” precisai mestamente io, lasciandomi sfuggire un po’ della mia fragilità nella voce e nei modi; alla fine, confessai ciò che più mi assillava: “Perché Riku mi odia così profondamente?”
Tale domanda sconcertò lo stesso Sora, non sapeva nemmeno lui che rispondermi; si gratto nervosamente il capo e pensò intanto ad una risposta valida da darmi. “Beh, non penso che propriamente ti odii… È solo scettico, ma non è una persona cattiva” tentò di darmi approssimativamente una giustificazione del comportamento dell’amico, sebbene non gli fosse per niente riuscita. Io non risposi a quella sua affermazione, dandogli chiaro segno che non vi potevo credere, e che l’evidenza era tutto l’opposto. Sora mi fissò per un po’, perplesso e in pensiero per me: “Le altre volte non te l’eri presa però così tanto. È successo qualcos’altro?” mi chiese infine, cercando di dimostrarsi non curioso, bensì apprensivo.
“No. Nulla che riguardi Riku” gli dissi unicamente l’essenziale, chinando cupamente il capo; non volevo parlare degli affari miei.
“Lo immaginavo, però…” insisté lui, non volendo che lasciassi cadere il discorso: non voleva sembrar ficcanaso, ma la sua persistenza lo rendeva perlomeno indiscreto.
“Ero già un poco arrabbiata per una situazione spiacevole che mi ha rammentato una cosa che credevo sepolta. Riku è stato semplicemente la ciliegina sulla torta. Perdona la mia sfuriata” gli spiegai vagamente, sempre decisa a non dire nulla di personale a nessuno.
“Oh… Capisco…” sussurrò Sora, faticando a celare la propria delusione: sperava mi aprissi un poco di più. Lo vidi voltarsi verso le scale, dopodiché tornò ad osservare me: mi fece un timido ma sincero sorriso, e ciò mi trasmise un vago senso di serenità: “Che fai? Scendi anche tu?” mi chiese.
“Oh, un attimo solo. Devo andare a prendere una cosa nella stanza di Aerith” risposi, essendo ora molto più tranquilla e rincuorata, e tutto grazie al paziente Sora.
“Ti aspetto qui,” acconsentì lui, mostrandosi molto cavalleresco. Annuii col capo, facendogli pure un sottile sorriso, dopodiché corsi verso la camera da me occupata. Entrai con passo svelto e deciso, fino a raggiungere la specchiera: -Quale sarà il contenitore giusto…?- mi chiesi, soffermandomi un istante ad osservare i vari portagioie: non amavo rovistare tra le cose degli altri, lo trovavo molto scortese. Ricordando però che Sora e Aerith mi stavano attendendo, decisi di non perdere tempo e cercare in fretta ciò che serviva, altrimenti avrei tardato il pranzo. Il primo portagioie che presi, fu un bel cofanetto in porcellana dalla forma rettangolare, molto elaborato: aveva un motivo di piccoli fiori azzurri su sfondo bianco, ed eleganti rifiniture dorate su tutti i lati. Sugli spigoli superiori, invece, erano presenti piccole raffigurazioni a tuttotondo di foglie di giacinto; su quelli inferiori spuntavano quattro tozze zampette feline.
Aprii il contenitore, ma all’interno trovai unicamente pendagli, orecchini, spille e simili. Lo richiusi e lo riposi con cura sul ripiano, e presi il secondo portagioie: questo era leggermente più grande e convesso: il supporto era in latta e non aveva alcun motivo, solo una tenue trama verde crema. Aveva anch’esso rifiniture dorate, ma molto più chiare, che rassomigliavano anche nello stile, solo che queste erano meno finemente elaborate. Sollevai il coperchio e una fresca e lieve fragranza di rose esalò fuori dal portagioie; ne esaminai il contenuto, ma al suo interno celava unicamente dei cosmetici e la boccetta di profumo a forma di bocciolo di rosa, il cui liquido era di un trasparente color rosa spento. Riposi, sopra il contenitore, il coperchio e lo rimisi al suo posto. Presi un terzo cofanetto, stavolta con un motivo di roselline rosa su uno sfondo di un rosa più pallido, quasi perlato. Era abbastanza piccolo, e la sua forma era rettangolare come il primo, ma le rifiniture invece che esser dorate erano argento, e molto più elaborate: agli spigoli superiori aveva tante piccole rose, dettagliatissime, e i piedini erano foglie arricciate. Aprii anche questo, e stavolta lo trovai: al suo interno, accuratamente piegati su se stessi e riposti, c’erano parecchi nastri,ognuno di un colore diverso. Il colore dominante, ovviamente, era il rosa, essendo una particolarità di Aerith questa sua preferenza nel vestire e negli accessori. Mi soffermai ad osservarli uno ad uno, indecisa su quale prendere; stavo per desistere e prenderne uno a caso, quando ne notai uno molto particolare: era un nastro di raso nero, ripercorso ai lati da un pizzo rosso fuoco. Sembrava una fettuccia da Gothic Lolita, proprio come quelle viste indossare da alcune ragazze giapponesi nei Cosplay Contests. Presi quel nastro, chiusi il cofanetto e lo riposi sulla specchiera, dopodiché mi guardai allo specchio. Titubante, sollevai le mani verso la testa, raccolsi i capelli e li acconciai in una coda; fatto ciò, con molta cura, li legai saldamente con la fettuccia, annodandoli infine in un fiocco: mi sembrò piuttosto vistoso, ma ammisi che un così bel nastrino non poteva non esser messo in mostra.
-Strano che Aerith abbia un nastro simile… Non mi sembra possa esser di suo gusto- mi chiesi, un poco sorpresa e confusa.
“Phoenix, hai terminato? Anche Aerith ti sta attendendo in cucina!” mi chiamò Sora dal corridoio.
“Arrivo!” esclamai, correndo fuori. Sora dapprima quando mi vide sorrise, ma osservandomi meglio, notò la mia coda di cavallo. Distinsi sulle sue guance un lieve rossore.
Non volendo metterlo in imbarazzo, gli feci soltanto un breve sorriso e lo precedetti nella discesa delle scale. Lui si affrettò a seguirmi, con passi un poco incespicanti: “S-scusa, ma… perché…?” cercò di chiedermi, sentendosi però a disagio.
“Ci si deve sempre legare i capelli prima di cucinare, questioni di igiene. Perché? Non mi sta bene?” gli chiesi, sorridendo in verità derisoria; fortuna che Sora era alle mie spalle e non poteva vedere che mi stavo divertendo a suo discapito, anche se in fondo mi dispiacque molto averlo preso in giro.
“N-no, no… Ti sta benissimo…” si lasciò sfuggire d’impulso, e subito emise uno strano suono, accorgendosi di ciò che aveva detto; tentai disperatamente di trattenere le risa, e fu davvero difficile! Mi sarebbe dispiaciuto davvero molto ferirlo, lui, con me, era stato sino a quel momento molto gentile e carino.
“Grazie” gli dissi solamente, una volta smesso di ridere sommessamente.
Non appena giunsi in cucina, io ed Aerith lavorammo alacremente affinché tutto fosse pronto per tempo; l’atmosfera tra me e Aerith sembrò esser di nuovo piacevole e rilassante, come se nulla fosse accaduto. Anche i suoi sorrisi, che di tanto in tanto lei mi rivolgeva, erano dolci e ameni come sempre. Per un istante, mi parve di camminare sopra le nuvole. Anche gli altri furono contagiati dalla nostra serenità e spensieratezza, tanto che la cucina si fece molto animata: si erano tutti spostati da noi (anche Cloud e Leon!), e si parlava amabilmente, si rideva e si scherzava. M’innamorai immediatamente di quella sensazione mai provata, sentivo di stare davvero bene con loro… Il mio cuore quasi mi danzava in petto, e mi raccomandava di non lasciarmi un solo istante, perché ogni attimo di quel puro e sincero clima d’amicizia era preziosissimo. Difatti, fu bellissimo finché durò: “Ehi…” chiamò una voce dall’entrata della cucina.
Tutti smettemmo di parlare e ci voltammo verso la direzione della voce, con espressione interdetta. Scoprii con timore che era Riku: non fissava altri che me, con occhi di ghiaccio.
“Davvero non mangerete la roba preparata da lei!” esclamò il giovane con spiccato sarcasmo.
“Perché non dovremmo?” obiettò Sora con voce severa, osservando torvo l’amico.
Riku voltò di scatto il viso sogghignando e chiudendo gli occhi, sembrando ridere di gusto in cuor suo; infine, aprì gli occhi in una sottile quanto beffarda e malevola fessura per tornare a fissarmi, ma restando sempre di porfilo: “Cosa vi assicura che non tenterà di avvelenarvi tutti?” chiese meschinamente…
Mi portai una mano al petto e chinai la testa, mortificata da tali parole.
“Phoenix…” mormorò Aerith, e con la coda dell’occhio la vidi cercar di avvicinarsi a me.
“Riku, ora basta, hai rotto” udii esclamare seccamente un’altra voce. Sollevai di scatto il capo dalla sorpresa e rivolsi lo sguardo nella sua direzione: era stato Sora. Era scuro in volto: fissava con ira il proprio amico, non riusciva più a sopportare la sua cattiveria gratuita a mio danno. Li osservai entrambi, sconvolta, iniziando ad avvertire una tensione così intensa da poterla quasi toccare… Eravamo tutti in silenzio, udivamo solamente il fluire del gas dai fornelli e il sommesso borbottio di pentole e padelle, ma sapevamo che c’era qualcosa di imminente nell’aria, come la quiete prima della tempesta.
“S… Sora, no…” farfugliai, terrorizzata dalle possibili conseguenze: non volevo rompere il delicato equilibrio di quel mondo, e soprattutto il rapporto d’amicizia tra i due, non avevo intenzione di creare ancora problemi, come in passato…
“Non ti ha fatto niente, per cui lasciala in pace” continuò Sora, greve e biasimante.
“Perché continui a difenderla? Te ne sei innamorato, per caso?” lo schernì Riku in tono molto arrogante, sogghignando pure.
Sora arrossì, ma era intenzionato a raccogliere la provocazione dell’amico ed inveirgli quantomeno contro… Cercai di muovere un passo verso Sora, ma fremei solamente: non sapevo se era il caso che io intervenissi, avrei potuto generare un vero e proprio irrimediabile disastro… La consapevolezza inoltre che ero io la causa di tutto mi gettava ancora di più nello sconforto, paralizzandomi…
“Non sarà che sei tu quello che ne è innamorato?” disse inaspettatamente qualcuno. La situazione parve allentarsi appena percettibilmente. Mi voltai verso il proprietario della voce, e scoprii che era stato Leon. Stava, come al solito, a braccia conserte, con la schiena poggiata contro la parete e la testa chinata, con aria riflessiva. Subito dopo essermi voltata, lo vidi sollevare lentamente il capo e fissare Riku, con aria di sfida.
“I ragazzini fanno spesso i dispetti alle ragazze che loro piacciono,” aggiunse Cloud, che era proprio al fianco sinistro di Leon, solamente in posa corretta al contrario dell’amico; fissava Riku allo stesso modo di Leon, impassibile. Riku osservava entrambi con astio, indispettito dalle loro parole. “Ma tu non sei più un ragazzino: stai esagerando” continuò Cloud, muovendo pure un singolo passo verso il giovane; si fece tutto d’un tratto davvero minaccioso. Riku digrignò i denti ed assottigliò gli occhi, fremendo per un istante d’ira: era pronto a reagire, stava già serrando rudemente i pugni, quando alla fine li riaprì. Sibilò soltanto per l’indignazione, dopodiché si voltò e se ne andò via dalla cucina procedendo spedito.
Per qualche secondo, nessuno osò proferir parola; fu Yuffie a rompere il silenzio: “Bravi, ragazzi! Finalmente, Phoenix-chan non sarà più tormentata!” esclamò, felice e soddisfatta del loro intervento.
“Non credo, è bastato unicamente a frenarlo almeno per oggi. Non demorderà per così poco,” precisò Leon, molto scettico all’idea.
“Ohuff…” sbuffò rumorosamente Sora, avvilendo le spalle: sembrava molto sollevato, e che non gli andasse decisamente di affrontare Riku, sebbene lo facesse per una buona causa.
Mi recai immediatamente da Sora, quasi correndo; lui mi fissò interdetto, non capendo il mio comportamento improvviso. “Non intrometterti più. Te ne prego…” lo supplicai, rattristata al solo pensiero di quel che sarebbe potuto succedere.
“Ma… Ma io… volevo solo aiutarti…” cercò di giustificarsi ferito.
“E lo apprezzo, Sora, davvero moltissmo, però… non voglio esser causa di dissidi tra di voi. Tra nessuno di voi” ribadii io, cupa; mi voltai pure alla mia destra, per osservare Kairi. I suoi occhi esprimevano ovviamente parere contrario al mio, ma annuì debolmente in ugual modo. Ottenuto il suo assenso, mi voltai verso Leon e Cloud, e mi diressi da loro. una volta che fui loro vicina, chinai la schiena secondo il loro uso di cortesia, dimostrando loro la mia gratitudine: “Grazie infinite anche a voi…” mormorai, imbarazzata.
I due ragazzi non mi risposero, creandomi maggior disagio, quando avvertii una mano posarsi sul mio capo. Mi rimisi nella posizione corretta e guardai chi fosse, e scoprii con stupore che si trattava di Cloud.
“Di niente, era dovere” mi disse, lasciandosi sfuggire un sottile sorriso, scompigliandomi pure affettuosamente i capelli. Lo fissai pressoché stupita e imbarazzata, non comprendendo il suo atteggiamento assolutamente inusuale.
Subito dopo, anche Leon fece la sua mossa: mi posò la mano sulla spalla, stringendola dolcemente, “Non farti mettere i piedi in testa solo perché non vai a genio a chicchessia. In tal modo, eviterai di costringere anche gli altri ad immischiarsi per salvarti dalla situazione,” mi suggerì, ma non fu eccessivamente severo con me, anzi, anche il suo tono mal celava una vaga tenerezza.
“S… Sì…” annuii timidamente io, chinando il capo nel tentativo di celar loro il mio rossore.
“Sicura di aver capito…?” mi richiese conferma Leon, non contento della mia reazione.
“Perché ora vi comportate così?” chiesi loro, e non seppi nemmeno io con quale coraggio…
“Così come?” chiese Cloud, levando la mano dalla sommità della mia testa.
“Pure voi… eravate diffidenti come Riku. Anche stamane mi eravate sembrati ostili… Adesso, perché mi date tanta confidenza?” resi noto il mio dubbio nonostante il disagio che ciò mi arrecò, divenendo ora io quella scettica.
I due si guardarono, con occhi piuttosto indifferenti, dopodiché tornarono ad osservare me, divenendo seri: “Per quanto mi riguarda, inizialmente diffidavo, ma dopo aver saputo quello che hai fatto nel momento del pericolo, diciamo che ora credo sempre meno che una tonta come te sia capace di fare del male a qualcuno” mi rispose Leon, in tono arrogante, incrociando le braccia con aria altera.
“Ma…! Leon!” mi lagnai io, offesa, non credendo a ciò che aveva detto. Cloud rise sommessamente, divertito; io allora mi voltai verso di lui e lo fissai ferita, rimproverandolo con il solo sguardo per il suo gesto scortese. Cloud allora si ricompose in fretta, però mi fece dono di un altro suo sottilissimo ma gentile sorriso: “Anch’io ero molto più scettico, in principio; però, vedendoti succube alle meschinità di Riku, proprio non sono riuscito a trattenermi. Non amo veder maltrattare una ragazza” convenne anche lui.
“Significa che ora vi fidate di me?” domandai timidamente loro, palesando la mia impazienza per una loro risposta affermativa.
I due ragazzi tornarono seri e scuri in volto: Leon serrò maggiormente le braccia incrociate, mentre Cloud posò il pugno sinistro contro il proprio fianco.
“Beh, è presto per dirlo. È una cosa che dovrai guadagnare dimostrandoci i tuoi buoni propositi. È vero che non siamo del tutto convinti di te, ma questo non lo riteniamo un motivo valido per bistrattare una persona. Tutto qui, semplicemente,” precisò con pacatezza il ragazzo biondo.
“Oh… D’accordo…” annuii io, sebbene ciò mi rattristò un poco.
“Provano un po’ di tenerezza nei tuoi confronti, probabilmente ricordi loro quand’erano più giovani,” mi spiegò Aerith con squisitezza.
“Aerith, ma che dici?!” contestò rabbiosamente Leon, arrossendo lievemente per l’imbarazzo.
“La mia fanciullezza non c’entra nulla” controbatté pure Cloud, anche lui un poco rosso sulle guance quanto l’amico. Aerith si portò una mano davanti alla bocca e rise sommessamente, divertita: era evidente che mentivano. Dunque, loro erano diventati improvvisamente gentili con me unicamente perché li avevo un poco impietositi, vedendomi così indifesa alle ingiurie di Riku.
“Ma… perdonate la domanda, che idea vi siete fatti di me?” chiesi, osservando tutti i presenti interdetta: iniziavo a nutrire qualche dubbio al riguardo…
Essi si guardarono tra di loro, presi alla sprovvista; alla fine, fu Aerith a cominciare: “Sei una ragazzina molto dolce e sensibile,” mi disse, con il suo materno sorriso.
“E non solo: anche intelligente e coraggiosa. Mi hai stupito quando eravamo sulla Gummyship” si complimentò anche Kairi, congiungendo le mani con fare giocoso.
“Sei… molto simile a me, Riku e Kairi,” aggiunse Sora, insicuro riguardo al proprio giudizio.
“Una potenziale kunoichi!!” esultò anche Yuffie, eccitata all’idea dia vermi come allieva… Leon si portò una mano al volto, premendo le dita contro le palpebre con fare seccato e combattuto: “Yuffie, non puoi pensare che qualsiasi nuovo arrivato sia un potenziale ninja, come dici tu…” la rimproverò con una voce che sembrava molto stanca.
“È fatta così” sospirò Cloud, ma lui era invece divertito da come Leon se la prendeva tanto.
-R… Ragazzina?- ripetei, avvertendo già un campanellino d’allarme; “Ma… quanti anni pensate io abbia?” chiesi loro, osservandoli con occhi supplici. Tutti i presenti sembrarono colti alla sprovvista da una simile domanda, e si rivolsero sguardi dubbiosi.
“Beh, è chiaro che tu sei la più piccolina, tra di noi!” esclamò Kairi, avvicinandosi: mi abbracciò stretta intorno al collo, coccolandomi come un animaletto domestico.
“Direi… tredici anni?” tentò di indovinare Leon, tenendosi il mento tra l’indice e il pollice, con aria assorta, senza però osservarmi. Cloud invece mi guardò eccome: fissò per un breve istante il mio seno, piuttosto pronunciato, di almeno due taglie più grande di quello di Kairi; “Beh io non credo…” mormorò Cloud, arrossendo lievemente e distogliendo lo sguardo. Lui era il più “esperto”, se così si sarebbe potuto definire, avendo avuto Tifa come amica d’infanzia e quindi un’infarinatura riguardo allo sviluppo del corpo femminile.
Mi battei sonoramente la mano destra sulla fronte, sconvolta ed umiliata; gli altri rimasero molto perplessi dalla mia reazione, non comprendevano a cosa potesse esser dovuta.
-Cavolo sono davvero sicuri che io abbia tredici anni! Ma come può venir loro in mente?!- mi avvilii, frastornata dalla loro ignoranza; li fissai ad uno ad uno, con sguardo accusatorio: “Ho diciassette anni” resi loro noto, offesa.
I presenti rimasero sottoshock, all’infuori di Aerith e Cloud, i quali erano solamente vagamente sorpresi, la prima perché non era persona da agitarsi, il secondo perché in realtà già lo sospettava, anche se magari uno o due anni in meno. Leon si affrettò a ricomporsi: si schiarì la voce, cercando di apparire ora tutt’a un tratto imperturbato: “Certo, certo, pensavo diciassette in verità…” farfugliò.
“Sul seriooo? Non raggiungi nemmeno Kairi-chaaan!” esclamò Yuffie, allibita. In verità, differivamo di forse un paio di centimetri d’altezza, non di più.
Misi le braccia conserte, piantando loro il muso; Yuffie ovviamente accorse, volendo tirarmi sudi morale: “No, daiii… Non fare cosììì. È che sei talmente… kawaii!” obiettò rumorosamente lei, dandomi qualche buffetto sulle guance, cosa che sinceramente odiavo.
“D’ora in poi comunque non sbaglieremo. Mi sembravi in effetti un po’ troppo matura per esser ancora una ragazzina,” ammise Aerith, posandosi una mano sulla guancia con espressione imbarazzata.
Volevo replicare cosa intendesse Aerith per “matura”, quando improvvisamente un profondo gorgoglio si propagò per la cucina… Tutti i presenti si voltarono a fissarmi, sorpresi e pure un poco increduli: il mio stomaco aveva brontolato…
Mi chinai e mi nascosi la pancia con gli avambracci, arrossendo per la vergogna.
“Oh, è vero! Povera, sono due giorni interi che non mangi” esclamò Aerith, dispiaciuta.
“D… Due giorni?!” proruppi io, sconvolta: avevo fame e avevo la testa stranamente leggera, sì, ma non mi sentivo così a digiuno come una persona ordinaria avrebbe dovuto…
“Sì: hai dormito per due giorni di fila. Ci ha fatto preoccupare, iniziavamo a credere avessi qualcosa di grave” annuì Cloud.
“Poi ti sei inspiegabilmente risvegliata come da un normale sonnellino,” precisò Leon, fissandomi torvo.
“Ma… non me ne sono resa conto! Avevo solo un leggero capogiro, pensavo fosse la ferita alla testa!” tentai di giustificarmi, facendomi nuovamente prendere dal panico per il loro ritorno alle ostilità.
“Leon, smettila! Lo sai benissimo che lei non è un nemico!” lo rimproverò Yuffie, alquanto irritata dalle sue insinuazioni. Il suo amico sbuffò con seccatura, volgendo pure lo sguardo altrove: Leon non era persona da tollerare di esser rimproverato, soprattutto se sapeva di non avere tutti i torti.
“Non potrebbe mai esser il taglio, me ne sono occupata io stessa: ho arrestato l’emorragia e l’ho cicatrizzata per metà, domani mattina vedrai che si risanerà completamente, senza nemmeno lasciare traccia di brutte cicatrici” mi spiegò Aerith con un dolce sorriso.
Mi portai una mano sulla ferita e la tastai con molta delicatezza: mi fece sussultare per le fitte di dolore non appena la sfiorai. Riabbassai il braccio e fissai il pavimento, provando un grande sconforto; “Scusate, ma potreste dirmi… cosa è accaduto nel frattempo?” domandai mestamente loro.
“Niente di che: Aerith passava di tanto in tanto nella tua stanza per ripristinare la tua salute con i suoi poteri curativi, mentre noi altri ce ne siamo rimasti tutti qui a vegliare sulla situazione. Il Re invece è partito lo stesso giorno in cui eri ancora cosciente, avendo importanti questioni di cui occuparsi personalmente” mi illustrò poco dettagliatamente Sora.
“Oh…” feci solamente io, sebbene insoddisfatta per le poche informazioni. Cercai di trovare un argomento per cambiare discorso, volendo parlare un altro po’ con loro: “E la Gummyship? A che punto siete con le riparazioni?” chiesi.
I loro volti si rabbuiarono: “È inutilizzabile” disse Sora, con aria sofferente.
“Come, inutilizzabile?!” esclamai, attonita, essendo affezionatissima alla mia nave.
“Io, Pippo, Leon ed il Re siamo riusciti a malapena a riassemblare qualche pezzo, giusto per farla ripartire ed arrivare fino all’officina. Giunti là, come siamo atterrati nell’hangar, ha cominciato a cadere in pezzi. I nostri ingegneri hanno rilevato notevoli danni, e sostengono che per un lungo periodo di tempo avremmo dovuto fare a meno della Gummyship per i nostri spostamenti. Per cui, potremo muoverci solamente attraverso i Corridoi Oscuri” mi spiegò mestamente Sora.
“Come immagino tu sappia già, purtroppo solo Riku e Sua Maestà Re Topolino sono in grado di farlo, e ciò limita ulteriormente i vostri movimenti,” fece luce Leon su un’altra importante questione.
“Ora che il Re è tornato nel suo mondo, se sarete costretti a spostarvi dovrete farlo in gruppo tramite l’abilità di Riku e fare attenzione che un membro non si perda,” ricordò pure Cloud, serio.
“M… Mi dispiace…” farfugliai, mortificata: era a causa mia se la Gummyship era ridotta ad un rottame.
“Non è stata colpa tua, non potevi fare altrimenti. Nessuno sarebbe riuscito a uscire indenne da quella battaglia” obiettò Kairi, offrendomi il proprio sostegno.
“Oramai è inutile piangere sul latte versato. Pensa solo a ristabilirti; voialtri attendete il consenso dal Re per eventuali missioni su altri mondi, evitate iniziative avventate: senza la Gummyship, pure le comunicazioni con noi sono enormemente compromesse. Se aveste bisogno di aiuto, non potreste farcene richiesta,” avvertì Leon con voce altera.
“Beh, mentre io e Phoenix ultimiamo i preparativi per la cena, potete già accomodarvi per la cena,” suggerì Aerith, dimostrandosi per nulla preoccupata della situazione in cui si ritrovavano Sora e i suoi amici, “Potresti aiutarci anche tu, Kairi?” chiese poi alla ragazza, volgendosi verso di lei.
“Sì!” accondiscese, affrettandosi a raggiungere i fornelli; gli altri seguirono il suggerimento di Aerith e si diressero nella sala da pranzo; “Meno male! Iniziavo ad aver proprio fame!” esclamò Yuffie, compiaciuta, quando un dubbio le balenò, “Perché non volete una mano anche da me?”
Aerith la osservò, sembrando in imbarazzo e un poco ansiosa: “Oh, non ti devi disturbare! In tre saremo più che sufficienti!” si giustificò.
Titubante, mi voltai verso Kairi, la quale era qualche metro più avanti, e la fissai con espressione interrogativa. “È maldestra e pasticciona!” mi informò, parlando sottovoce in modo tale che Yuffie non sentisse.
“Oh!” esclamai, avendo ora compreso la manovra evasiva di Aerith.
“Va bene. Se avete bisogno, chiamatemi!” enfatizzò Yuffie, seguendo gli altri. Io e le altre due ragazze ci guardammo negli occhi, e dopo un primo imbarazzo, sogghignammo tutte tre divertite per esser riuscite a cavarcela.
Pochi minuti più tardi fu tutto pronto: Kairi si assunse l’incarico di apparecchiare la tavola; Aerith invece condusse poco alla volta le portate in tavola; io invece disposi gli utensili utilizzati nel lavandino, iniziando già a pulirne alcuni.
“Phoenix, non ti preoccupare del lavaggio delle stoviglie, vieni a mangiare,” mi richiamò Aerith dall’entrata della cucina, osservandomi apprensiva.
“Sì” annuii, ubbidiente: mi sciacquai le mani insaponate, e le asciugai, cosicché potessi togliermi il grembiule di dosso senza problemi, riposi quest’ultimo sul ripiano, affianco al lavandino, ed infine mi affrettai a raggiungere Aerith. Ella mi sorrise amena e mi attese, affinché potessimo fare l’ultimo tratto insieme. Ricambiai il sorriso e mi posi al suo fianco, contagiata dalla sua serenità e spensieratezza, quando, volgendo lo sguardo verso il tavolo, notai una figura in particolare seduta sul lato alla mia sinistra, che mi scrutava accigliata. Era Riku.
Mi bloccai e fremetti un istante alla sua vista, incerta sul da farsi e inquietata dalla sua espressione dura e ostile; non avevo il coraggio di avanzare oltre, sentivo come se egli avesse innalzato una barriera invisibile che mi era negato valicare, con la sola forza del suo penetrante sguardo di ghiaccio. Una dolce stretta mi disincantò dai miei timori, donando un poco di tepore e conforto al mio cuore.
“Non fermarti, va,” mi spronò Aerith a voce sommessa e dolce, dopodiché levò la mano dalla mia spalla.
Deglutii, richiamando un po’ di coraggio, dopodiché tornai a guardare la tavolata, stavolta con animo meno insicuro: avanzai precedendo Aerith, e mi accomodai ad uno dei due posti liberi, entrambi alla portata degli sguardi indiscreti di Riku. Cercai di ignorarlo, restando con lo sguardo fisso sul mio piatto. Aerith mi raggiunse subito dopo, e si accomodò sull’altro versante del tavolo, di fronte a me. A quel punto, tutti iniziarono a servirsi e qualcuno pure a conversare, ma il loro fu un chiacchiericcio stentato: io e Riku avevamo generato un’atmosfera piuttosto tetra e cupa, e tutti sentivano la tensione di rimanere accorti come se stesse per esplodere una bomba ad orologeria. Cercai di rilassarmi e di non pensare alla pessima situazione, ponendo a caso qualche pietanza nel mio piatto. Quando mi cimentai a mangiare, sentii, oltre agli occhi di Riku, pure quelli di tutti gli altri puntati su di me.
“Dopo… ne prenderai ancora, vero?” mi chiese Sora, confidando in un mio sì. Il mio piatto era il più frugale di tutti: non ero mai stata una gran mangiona, e non ricordavo di essermi mai abbuffata, se non forse quand’ero molto piccola. Mi capitava invece a volte di digiunare, ed il motivo era sempre lo stesso.
“Eh… Se avrò ancora fame, certo,” dissi la prima cosa che mi era venuta in mente. Purtroppo, fu la risposta errata: nessuno ne era soddisfatto. Vidi, con la coda dell’occhio, Sora alzarsi con un sussulto dalla sedia. Prima che potessi chiedergli cosa gli prendesse, lo vidi avventarsi sulla portata di fronte a sé ed afferrare la paletta da forno.
“Non fare storie. Mangia” s’impose il ragazzo in tono perentorio, apprestandosi ad aggiungere della pasta al forno nel mio piatto.
“Sora, no! Aspetta…” cercai futilmente di fermarlo, alzandomi di scatto a mia volta e fermando il suo braccio per il polso. Egli mi fulminò con lo sguardo, incominciando a non tollerare il mio comportamento. I miei occhi invece lo supplicarono di desistere, lasciandogli intendere che non era un mio capriccio, piuttosto un mio profondo malessere. Sora fece una faccia molto contrariata, ma volle concedermi un po’ della sua fiducia: ripose la paletta nel vassoio e si risedette lentamente sulla sedia, ma il suo viso imbronciato persistette.
Non mi rimase che risedermi a mia volta, a capo chino per il senso di colpa: detestavo dal profondo arrecare preoccupazioni alle altre persone. Una parte di me, intimamente, desiderò invece che il comportamento apprensivo di Sora non mi mettesse in cattiva luce con qualcuno: l’evento aveva rievocato in me un vecchio, sgradevole episodio, che di tanto in tanto tornava a perseguitarmi.
Le restanti persone chi mi attorniavano rimasero a fissarmi, almeno finché non presi in mano la forchetta e feci perlomeno il tentativo di mangiare, infilzando intanto qualcosa: esse esitarono ancora qualche istante, ma non appena mi videro accostare il cibo alla bocca, distolsero finalmente lo sguardo. Tutte, all’infuori di Riku. Il disagio in me accrebbe sempre più, rendendomi davvero faticoso perfino la sola masticazione: avevo il nodo alla gola che mi impediva di ingoiare, e null’altro facevo che ruminare sempre lo stesso bolo di cibo. Un’ombra dal mio fianco sinistro si estese verso il mio piatto, facendomi un poco inquietare. Mi voltai verso la sua origine, e incontrai due bellissimi occhi azzurri, limpidi e imperscrutabili.
“Vorrei che mi parlassi un po’ del mondo dal quale provieni” mi chiese in tono pacato Cloud.
Lo fissai sorpresa, non attendendomi minimamente una simile uscita in quel momento, soprattutto da una persona taciturna come lui. Mi accorsi però che lo stavo osservando dritto negli occhi, forse da troppo a lungo: arrossii e feci per volgere lo sguardo altrove, ma Cloud fece un cenno col capo, richiamando la mia attenzione su di lui. Lo vidi assottigliare gli occhi, per poi farmi un altro lieve ammicco con la testa, indicando alle proprie spalle. Io, confusa, mi sporsi un poco per vedere a cosa aveva accennato: intravidi a malapena Riku, che stava osservando Cloud con sospetto. Mi ritrassi prima che egli mi potesse notare, e tornai a fissare Cloud interdetta; la sua espressione mi parve invece cambiare: i suoi occhi sembrarono sorridermi… Con quella sensazione, iniziai forse a comprendere: -Forse, mi sta… Mi sta coprendo… Sta negando la visuale a Riku affinché il mio disagio diminuisca e possa mangiare più tranquillamente…- realizzai, giungendomi inattesa una simile premura da parte di Cloud; immediatamente arrossii e distolsi lo sguardo, sentendomi ora molto imbarazzata.
Vedendo la mia reazione, il ragazzo si fece più risoluto: vidi con la coda dell’occhio il suo braccio sollevarsi e posarsi molto più vicino a me, in modo tale che io non potessi non averlo notato. Sollevai gli occhi dal mio piatto unicamente per guardare il suo sguardo crucciato per brevi secondi, dopodiché li scostai di nuovo; era ovvio che l’avessi contrariato, voleva che reggessi il gioco… Sebbene i suoi occhi mi trasmettessero l’insoddisfazione solita di chi invece è sinceramente interessato ad ascoltare l’interlocutore ostinato che ha davanti.
“Ah, il mio mondo…” vaneggiai, titubante, non sapendo bene cosa dire, o da cosa iniziare; presi ancora un poco di tempo per riflettere, volendo valutare fin dove potevo ritenere conveniente raccontare della realtà: -Beh, posso riportare quello che voglio, purché io non tiri fuori la questione del mondo reale. Di me, non sono costretta a dire nulla, per cui se cercano di spillarmi qualcosa, basta che devi il discorso.-
Mi schiarii la voce, dopodiché incominciai a narrare del mio mondo: “È un luogo del tutto diverso da quelli in cui siete stati finora. È innanzitutto molto, molto grande, suddiviso in cinque grandi continenti, che complessivamente ospitano approssimativamente sette miliardi di esseri umani…” stavo dicendo, quando le esclamazioni dei presenti rimasti sconcertati mi interruppero.
“Sette… miliardi… di soli esseri umani?!” trasalì Sora, fissandomi con tanto d’occhi sgranati.
“Non avrei mai immaginato esistessero mondi così vasti!” soggiunse anche Kairi.
“Ma esso non è vasto come potreste pensare. Difatti, il mio mondo non sopporta il greve peso di tante persone. A dirla tutta, molti dei nostri rinomati scienziati hanno già previsto che, in un tempo molto prossimo, esso collasserà a causa della sovrappopolazione. Nonostante il processo non sia ancora diventato irreversibile, però, nessuno ha mutato le proprie abitudini: di questo passo, diverrà troppo tardi per mettersi finalmente a fare qualcosa” spiegai loro, rabbuiandomi in viso.
“Ma… perché nessuno fa nulla?” mi chiese Sora, indignato di tale notizia.
“Se sapete che dovete cambiare il modo di rapportarvi col vostro pianeta, come mai non lo fate?” obiettò anche Kairi, rattristata di tale immagine che dipingevo del mio mondo.
“Non è esattamente così. Alcuni ne hanno preso atto, e cercano materialmente di fare qualcosa, ma… sono troppo pochi. Inoltre, sono ostacolati dalla maggioranza, o perlomeno derisi, sminuendo il loro duro lavoro affinché non vengano imitati,” risposi, con voce mesta; successivamente, sollevai il capo e le sorrisi con amarezza: “È così che da me funziona.”
“Com’è possibile sminuire il lavoro di persone valenti come quelle?! Non hanno prove che attestino che stanno dicendo il vero?” protestò Sora, accendendosi.
“Oh, in quanto a tecnologia, noi vi siamo di gran lunga superiori. Forse voi ci battete unicamente nel campo dei viaggi spazio-temporali, ma in campo medico, meccanico, informatico e chimico, siamo molto più avanzati di ogni mondo da voi visitato. Ebbene, le prove ci sono, anche scientifiche, il problema è che gli umani del mio mondo sono troppo egoisti perché sacrifichino parte del loro benestare in modo tale da permettere al pianeta di riprendersi. Semplicemente, minimizzano il problema, o molto più spesso, lo ignorano completamente” resi loro noto, mentre infilzavo altro cibo con la forchetta, lo sollevavo un poco dal piatto e lo osservavo con sufficienza.
“Questo mi rammenta qualcosa…” udii mormorare Cloud, con tono amaro.
Mi volsi verso di lui, e vidi che teneva il capo leggermente chino in avanti, verso il tavolo; la sua espressione era afflitta ma sardonica allo stesso tempo, come se aver scoperto un altro mondo infetto dallo stesso cancro non lo dovesse oramai sorprenderlo più. Qualche secondo dopo, Cloud se ne accorse, e si voltò a sua volta verso di me; io sussultai e sentii il mio volto accalorarsi per il disagio, ma il ragazzo immediatamente mi accennò un sottile sorriso, nel tentativo di far schiarire un poco il mio rossore.
Il suo sorriso mi scaldò il cuore, dandomi un senso di protezione e familiarità: potevo sentirmi forse addirittura al sicuro, vicino a lui, la nostra condizione comune sembrava stesse creando una sorta di intesa tra di noi.
“Tu a quale delle due fazioni fai parte?” chiese improvvisamente Leon, destandomi.
La domanda mi colse un poco alla sprovvista, ma risposi ugualmente senza pensarci: “Io? Appoggio il gruppo degli ambientalisti. Non attivamente, però.”
“E che senso avrebbe?” replicò Leon, fissandomi con un poco di stizza.
“Non è… facile come puoi pensare…” ribattei debolmente io, a voce sommessa: Leon, facendo parte di un mondo dove tutto si ottiene con la forza affrontando solo un nemico o due, non poteva comprendere invece le leggi del mio. Egli non conosceva la corruzione e la vera malvagità.
“Per cui, saresti fuggita qui? Piuttosto che aiutare coloro che condividono il tuo stesso ideale?” contestò, rincarando gradualmente la sua ostilità.
Sospirai profondamente, rassegnandomi: “Non mentirò al riguardo: no, non sono fuggita dal mio mondo abbandonandolo al suo destino. Se però avessi saputo di potermi trasferire da un mondo ad un altro con tanta facilità, l’avrei fatto sicuramente” ammisi, chinando il capo con vergogna.
“Pretendi però fiducia da parte nostra. Come potremmo dunque, saputo ciò?” replicò nuovamente Leon.
“Non sarei fuggita per codardia!” irruppi tutt’a un tratto sollevandomi dalla sedia, adirata ed offesa: non potevo sopportare simili insinuazioni, avevo inteso benissimo che mi stava implicitamente dando della vigliacca, e che, a suo dire, avrei potuto serbare lo stesso comportamento anche con loro.
“Non ho detto questo” precisò egli, osservandomi però con occhio un po’ scaltro. Si aspettava ovviamente una giustificazione, ora.
Io mi limitai ad abbassare lo sguardo, trattenendomi dal mordermi le labbra per la rabbia, e mi rimisi lentamente a sedere. Non avevo alcuna intenzione di esplicitare oltre le mie ragioni, non volevo dire loro nulla di personale. Oltre a non essere necessario, mi avrebbe oltremodo infastidito. Vidi però con la coda dell’occhio Aerith posare la mano sul braccio di Leon; lui si voltò verso di lei, un poco sorpreso. Aerith semplicemente scosse con lentezza il capo, facendo intendere a Leon di non indagare oltre. Leon dunque volse il capo nuovamente davanti a sé, restandosene in silenzio; subito dopo di lui, anche Aerith tornò pacatamente a mangiare.
“Non rimpiangi nulla del tuo mondo?” mi chiese improvvisamente Cloud, in tono posato: la sua voce non mi suonò per nulla fredda, ma ritenerla gentile sarebbe stata un’esagerazione… Forse lo era stata sul serio, ma Cloud cercò di non darlo a intendere.
“Certo che sì… Vi è ancora qualche paradiso terrestre, oltre al degrado ambientale causato dall’uomo. Dovreste… Dovreste vedere le immense distese d’erba sopravvissute, le steppe, la ricca fauna… E l’oceano, l’oceano!” mi lasciai trasportare dall’emozione di quelle immagini conservate gelosamente nei miei ricordi, indelebili come le antiche tracce d’erosione del fiume nella roccia di una montagna: rammentavo il profumo del mare, del mio mare, durante un soggiorno di vacanza nel mio paese d’origine, nel mio periodo d’infanzia… E mi parve di poterlo sentire anche in quell’istante, lì con loro, dentro l’ampia sala da pranzo: quando tutto iniziò a farsi così surreale, bloccai immediatamente l’emersione di quella memoria, non ritenendo il luogo ed il momento adatto a rivivere il passato, ma non l’avrei consentito nemmeno al momento propizio.
“Vedete… Io non disprezzo la tecnologia del mio mondo, purché… non la si utilizzi esclusivamente per scopi di lucro, o per la distruzione indiscriminata dell’ambiente… Ci sono città enormi, fatte di solo cemento e acciaio, in cui ci si sente soffocare… La tecnologia dovrebbe aiutare a preservare le terre, non a conglobarle in città bulimiche… E se penso alle imprese sconvolgenti a cui la nostra evoluzione tecnologica ha condotto, mi sorprende che non si riesca ad applicarla in tal senso…” spiegai loro con rammarico.
“Ma nutri comunque una speranza, da come ne parli, o mi sbaglio?” mi domandò ancora Cloud, ora sorridendo pure lievemente, quasi fraterno…
“Beh… Forse è solo un’illusione, ma in fin dei conti, anche i sogni lo sono. Eppure, capita che alcuni riescano a realizzarli” mormorai, sorridendo a mia volta, ma ironicamente: non ero tipo da nutrire false speranze, tuttavia, per quanto lo negassi, una parte di me continuava a confidare, nel profondo.
“Come il fatto che tu sia qui?” mi chiese Sora, solare.
“Beh, se la mettiamo in quest’ottica, potrei confermarlo” concessi con un sorriso divertito, non essendo esattamente il genere dei sogni impossibili a cui io avevo accennato.
“Parlami ancora del tuo mondo, vorrei che mi descrivessi meglio i paradisi terrestri da te menzionati poco fa” mi chiese Aerith, piacevolmente interessata.
“Anche io” confessò Cloud, rasserenandosi anche lui in viso, tanto che i suoi occhi mi sembrarono più limpidi e lucenti che mai…
“Come volete, posso solamente cominciare dal mare?” proposi, colta in verità un po’ alla sprovvista di tanto loro interesse verso il mio mondo.
“Non l’avrei messo in dubbio” affermò Cloud, ridendo un poco.

Partii ovviamente dai paesaggi, focalizzando pian piano le descrizioni sui particolari che lentamente si riducevano di imponenza, arrivando alle specie infine animali; ovviamente, cercai di arricchire le descrizioni con termini ricercati e predicati forse un po’ metaforici o complessi, ma nessuno mi diede l’impressione di non comprendere, ed anzi, Sora, quello che a mia opinione avrebbe potuto riscontrare difficoltà nel seguirmi, era colui che mi ascoltava più rapito: posava entrambi i gomiti sul tavolo, posando la testa sui palmi e fissandomi ad occhi rapiti e bocca semichiusa.
“Parli come un libro!” esclamò Yuffie, tra lo sbalordimento e l’ammirazione.
“Beh, amo molto la lettura, soprattutto aulica. Nelle descrizioni, tento sempre di introdurre i termini che in essa ho appreso, magari appesantendola oppure utilizzando il termine inappropriato, ma errando si impara, no?” ammisi io, sorridendo imbarazzata, “Non è comunque tutta farina del mio sacco… Alcune espressioni spesso le riporto, le adatto solo un poco…”
“Non credo che uno scrittore del tuo mondo si sia mai cimentato a descrivere simili paesaggi, in tale quantità, poi,” mi corresse Cloud, ridente.
“Perché? Ho parlato così a lungo?” chiesi, sorpresa.
“Beh, abbiamo tutti terminato di mangiare, perfino tu, e… sono le undici passate” mi fece notare Leon, anche lui con un sorriso ilare: trovava ironico il fatto che non mi fossi minimamente resa conto del tempo trascorso.
“Ah!” esclamai, sussultando pure sulla sedia per la sorpresa ed il disagio, “Scusate, non…” cominciai, ma Leon mi interruppe immediatamente: “Non devi scusarti. È stato piacevole ascoltarti, se fosse stato il l’opposto ti avremmo interrotto.”
“Era da tanto che non trascorrevo una serata in compagnia sì gradita!” confessò pure Aerith con letizia, congiungendo le mani sotto il mento con parvenza davvero serafica.
“G… Grazie…” balbettai, enormemente imbarazzata.
“Grazie a te,” disse Kairi, sorridendomi amena.
“E ora, tutti a nanna!” esclamò Yuffie, alzandosi di scatto dalla sedia, sollevando le braccia e stiracchiandosi un poco.
“Ah, ne ho davvero bisogno,” ammise Cloud, ergendosi a sua volta in piedi e posando le mani contro la sua schiena, per poi inarcarla un poco all’indietro, “Che mal di schiena…” aggiunse.
Io, subitanea, afferrai la sua maglia e la tirai delicatamente un paio di volte, volendo richiamare la sua attenzione. Lui chinò lo sguardo verso di me, osservandomi confuso.
“Grata a te soprattutto…” mormorai, cercando di celare il disagio che tali parole mi causarono.
Cloud mi sorrise di nuovo, e stavolta pure lui arrossì, sebbene appena percettibilmente: “Dovevo” mi disse soltanto. Lasciai andare la sua maglia, e dopo aver augurato la buonanotte a tutti, si recò al piano di sopra.
“Soprattutto tu dovresti riposarti. Sei ancora convalescente” mi ricordò Aerith, apprensiva.
“Hm - mh, vado subito dopo aver sparecchiato e…” dissi, ma Leon nuovamente mi azzittì: “Non ci pensare, ce ne occuperemo io e Aerith. Tu va’ pure a dormire” mi disse, con tono un po’ più gentile che in precedenza.
“Va bene. Buonanotte a tutti” risposi educatamente io, alzandomi lentamente dalla sedia.
Uno dopo l’altro, Leon, Aerith, Yuffie, Sora e Kairi mi augurarono la buonanotte; mi voltai verso Riku, ma egli se ne stava a capo chino, seduto ancora al proprio posto. Osservandolo meglio in volto, vidi che teneva pure gli occhi chiusi, palesando tutta la sua indifferenza nei miei confronti. Sospirai afflitta, abbassando il capo al pavimento, dopodiché proseguii verso l’uscita della sala. In quell’istante, udii un altro paio di sedie raschiare la pavimentazione; i passi che sentii dopo, però, erano di una persona sola, per giunta dal fondo del tavolo. Il posto dove era seduto Riku.
Svoltai a destra non appena varcai l’entrata, ma qualcosa mi impedì di proseguire: mi fermai, restando appresso alla parete in modo da poter udire abbastanza bene i suoni della sala da pranzo.
-Che diavolo sto facendo? Se Riku mi vede, potrebbe adirarsi nuovamente con me, scatenando un putiferio! Cloud avrebbe faticato inutilmente!- mi resi conto del mio gesto sconsiderato e decisamente stolto.
Sentii Riku fare ancora alcuni passi; iniziai a riconsiderare la mia permanenza vicino alla porta, quando Sora disse, a voce da me appena udibile: “Visto? È una persona onesta.”
I passi di Riku si fecero incerti, ma subito dopo recuperarono la loro andatura spedita: “È solo uno specchietto per allodole” ribadì lui, risoluto.
Non appena l’udii approssimarsi eccessivamente, feci l’unica cosa sensata da farsi: corsi di soppiatto verso il bagno delle donne, e ivi mi nascosi, chiudendomi accuratamente la porta alle spalle al fine di non provocare rumore alcuno. Sentii Riku entrare nell’ingresso e risalire in seguito le scale. A quel punto, riaprii silenziosamente la porta e spiai verso la scalinata: vidi Riku, con un’espressione molto seccata, dirigersi verso il piano di sopra, finché non raggiunse la parete che mi ostruì la visuale. Avvilii le spalle, e richiusi silenziosamente la porta.

Il mattino seguente, fui svegliata dal timido bacio di un piacevole e tiepido raggio di sole sul mio viso e sulla spalla, entrato di soppiatto da uno spiraglio della tenda. Non avevo voglia di farmi una doccia, l’avrei fatta verso sera: ora, volevo compiacermi di tutta quella calda luce mattutina: mi vestii dunque in fretta con gli abiti del giorno prima, e uscii sulla veranda. Scoprii che era molto spaziosa, e che si poteva accedere unicamente dalla finestra della mia stanza; essa era inoltre rivolta verso il castello di Ansem, e posta abbastanza in alto da sovrastare le altre case situate intorno alla piccola villa. Una lieve brezza mi scompigliò dispettosamente i capelli; io dunque li raccolsi, affinché potessi ammirare le torri del castello in tutta la loro imponenza, splendere come se incastonate di pepite d’oro massiccio nei punti dove v’era presente del metallo, e che erano raggiunti dai primi raggi solari della giornata.
Mi disincantai quando udii un lieve schiamazzare di ragazzini proveniente dalla strada; diressi verso le grida lo sguardo, e vidi, infatti, un gruppetto di tre bambini sbucare da nord dalla via perpendicolare a quella sotto di me: curvarono a sinistra, e scoprii che stavano giocando con una palla, correndo vivacemente lungo la strada sotto di me. Ad un certo punto, due del gruppo iniziarono ad accanirsi, tentando di rubare l’uno la palla all’altro. Il terzo se ne rimase in disparte: inizialmente, li fissò per un minuto buono, dopodiché si stufò e sollevò distrattamente lo sguardo, incontrando il mio. Mi sentii a disagio, come se fossi stata sorpresa a spiare, ma cercai di non scompormi: non c’era nulla di male a sporgersi dal proprio terrazzo ed ammirare il panorama, non avevo nulla di cui sentirmi in colpa.
“Signorina, vuoi giocare con noi?” mi chiese il bimbetto, quasi gridando, accennando un sorriso amichevole.
“Eh?” esclamai, colta completamente alla sprovvista; anche gli altri ragazzini smisero di azzuffarsi e sollevarono i loro nasi in direzione della mia veranda.
“Non vuoi?” insisté il bambino, spegnendo il proprio sorriso.
Esitai, non sapendo che fare… Finché, non presi la decisione più stupida: “A… Aspettate!” gridai loro, affrettandomi a rientrare. Uscii dalla mia stanza lasciando la finestra aperta, e corsi giù per le scale fin al portone d’entrata della villetta, non incontrando nessuno che mi potesse fermare. Aprii le porte, e finalmente fui fuori sul lastricato, davanti al terzetto di bambini.
“Sai giocare a palla, signorina?” mi chiese il bambino con la palla: era un piccolo pel di carota, a prima vista un po’ strafottente; quello che mi aveva chiamata dalla finestra, invece, aveva capelli biondissimi, un’espressione bonaria e gentile, ed era il più carino dei tre; il terzo, che ancora non mi aveva rivolto la parola, aveva capelli corvini e un’aria seria e taciturna.
“Sì, un po’…” annuii io.
“Bene! Allora, inizi tu!” esclamò, lanciandomi la palla rossa quasi come i suoi capelli; io l’afferrai al volo, senza scompormi minimamente, “Io e la signorina contro di voi!” aggiunse affrettandosi a posizionarsi affianco a me, sogghignando compiaciuto e maligno.
“Ehi! Non è giusto che tu vai con il giocatore più grande!!” contestò il bambino biondo, contrariato.
“Oh dai, non lamentarti! Le sto vicino io per insegnarle un po’ il gioco, dopo se insistete cambiamo le squadre!” rispose il rosso, seccato.
“Promesso?” chiese ancora il biondo.
“Sì, promesso!” sbuffò ancora la carotina; attese ancora un attimo, soffermandosi ad osservare il ragazzino con i capelli neri, attendendo sue eventuali lamentele. Vedendo che non vi erano altri intoppi, decretò l’inizio della partita: “Bene! Comincia, signorina!”
Con il suo consenso, lasciai cadere la palla a terra e corsi lungo l’ala est della strada, accompagnando la sfera rossa con colpetti piccoli ma decisi dell’arco dei piedi.
“Vai, vai!” m’incitò il rosso, entusiasta, correndomi appresso.
“Ehi! Ma sa giocare sul serio!” contestò il biondo, sconcertato, cercando di raggiungerci.
Io e il rosso ci passammo un paio di volte la palla, senza mai permettere agli altri due di toccarla soltanto, correndo avanti e indietro per la stessa strada, talvolta passando pure liberamente in mezzo a loro.
“Non vale!! Siete troppo forti insieme, facciamo cambio di un giocatore!” ribatté il biondino, stizzito.
“Eh va bene, va bene! Chi è con me?” chiese la carotina, prendendo la palla sottobraccio.
“Io voglio giocare con la signorina!” enfatizzò il bambino biondo correndo alla mia destra, con aria di trionfo; quello coi capelli neri, invece, ci fissò senza dire una parola.
“Bene, Xavier, siamo tu ed io allora. Visto che siete in svantaggio, iniziate voi!” disse con un po’ di arroganza il pel di carota, lanciandomi nuovamente il pallone, che io ovviamente agguantai prontamente.
“Ma quale svantaggio! Se è più forte di te!” ribatté il biondino, offeso.
“Questo è tutto da vedere,” replicò il rossino, incrociando le braccia e sollevando vanesio il proprio naso al cielo.
“Forza, facciamogliela vedere a quello sbruffone!” mi si rivolse l’altro, deciso a fargli rivalutare la nostra squadra.
“Sì! Sono pronta!” annuii io, lasciando cadere la palla; i nostri avversari mi corsero entrambi appresso, credendo che seguissi lo stesso schema della partita precedente, e invece la passai subito al biondino, per poi correre avanti e precedere il mio compagno.
“Ah ah!” rise soddisfatto il bambino dai capelli color grano, superando gli avversari e ripassandomi la palla.
Mantenemmo il vantaggio per qualche minuto, finché la carotina approfittò di una mia esitazione per rubarmi la palla.
“Ah ah ah! Ride bene chi ride ultimo, sono io il più forte, come sempre!” ribadì il rossino, appagato pienamente della sua vittoria.
“Reiiiiiiiiii!” udimmo una donna chiamare a gran voce da qualche abitazione della nostra strada.
“Sì, mamma!” rispose il bambino dai capelli color grano alla chiamata; la donna, udita risposta, scese in strada: era una mamma ancora abbastanza giovane, un po’ in sovrappeso, ma vedendola in viso, capii immediatamente da chi il biondino doveva aver preso il bel viso.
“Basta giocare! Devi fare i compiti!” controbatté severa la mamma, dopodiché si voltò verso di me, accorgendosi della mia presenza.
In quell’istante, mi si formò un nodo alla gola: ero un’adolescente in mezzo a dei bambini, avrebbe potuto pensare male. Quando il suo volto si fece truce, temei il peggio…
“Oh, avete di nuovo infastidito qualcuno!” si rivolse ai bambini in tono rigido.
“No! Non l’abbiamo costretta, gli abbiamo chiesto se voleva giocare e lei è scesa!” si difese il ragazzino biondo, ossia Rei.
“Ti chiedo scusa per il disturbo,” mi disse la donna, contrita, chinando pure un poco la schiena in avanti.
“Oh… No, signora, nessun disturbo! Anzi, mi sono divertita a giocare a pallone con loro, non si preoccupi!” replicai con un sorriso gentile, chinando a mia volta la schiena in segno di gratitudine.
“Scusa l’indiscrezione, ma non ti ho mai visto in questo quartiere…” iniziò la signora, dubbiosa, ma mostrandosi sempre molto gentile.
“Era a casa di Leon e Sora” rispose suo figlio prima che potessi farlo io.
“Oh, ma davvero?” esclamò la donna, facendomi un largo sorriso.
Compresi che l’opinione della signora nei confronti di Leon e Sora poteva essere positiva per le seguenti ragioni: Leon doveva esser considerato, dai cittadini di Radiant Garden, l’eroe della città; Sora, oltre che essere l’amico dell’eroe ed eroe a sua volta, doveva essere quell’altro qualcuno che i bambini dovevano aver disturbato a giocare con loro, dato che egli era di certo un soggetto ad apprestarsi sempre a simili cose.
“Sì, attualmente sono ospite da loro,” mi affrettai ad aggiungere, sorridendo amabilmente.
“E resterai ancora a lungo in casa loro, signorina?” mi chiese Rei, un poco speranzoso.
“Rei!” lo rimproverò sua madre, sconcertata.
“Ho solo chiesto…” borbottò il bambino, arrossendo un poco ed abbassando pure lo sguardo, sentendosi a disagio per esser stato rimproverato davanti a me ed ai suoi amici.
“Non è stato indiscreto, mi ha fatto piacere invece!” dissi io, lieta di aver udito una simile domanda: nel mio mondo, ovviamente, con tutto il male che c’era, se si fosse presentata la stessa situazione, una diciassettenne come me, sebbene di sesso femminile, non avrebbe potuto giocare liberamente con dei bambini più piccoli, sarebbe stata sgridata e minacciata dalle loro madri, sospettandola dei crimini più assurdi. Ma non era in verità questo che mi aveva reso tanto felice: era la prima volta che scendevo in un cortile a giocare con qualcuno, quando avevo l’età di Rei e i suoi amici, e ancor prima, non avevo mai avuto tale possibilità.
“Non so quanto ancora rimarrò, però sicuramente non me ne andrò dall’oggi al domani” risposi al piccolo Rei con un dolce sorriso.
“Il giusto per un’altra partita?” mi domandò invece il rossino, sollevando un poco la palla.
“Il giusto per un’altra partita” convenni io, chinando amabilmente il capo.
“Che gentile, questa signorina! Come si chiama?” esclamò la madre rivolgendosi al proprio figlio, con un largo sorriso.
“Ehm… Eh…” fece Rei, imbarazzato, arrossendo pure un poco.
“Non vi siete nemmeno presentati!” lo rimproverò nuovamente la donna.
“Come ti chiami, signorina?” domandò subito la carotina, forse in modo un po’ indisponente; difatti, la signora riprese immediatamente anche lui: “Bisogna presentarsi prima di chiedere il nome altrui!” ribadì.
“Io sono Alek,” si presentò quindi il bimbetto dai capelli rossi, posando la propria mano sul petto, “Loro sono Rei e…” continuò, indicando pure il biondino; quando spostò la mano verso il bambino dai capelli corvini, quest’ultimo lo precedette: “Io sono Xavier” si presentò da solo, facendomi udire per la prima volta la sua voce. Aveva un tono un po’ freddo ma conciso e risoluto, nonostante fosse un bambino; doveva esser un ragazzino molto maturo.
“E tu, signorina?” proseguì Alek, sempre con quell’aria arrogante: sembrava nemmeno rendersene conto di risultare strafottente alle persone con quel tono di voce e quello sguardo che sembrava sfidare. Mi rammentò qualcuno, ma non inquadravo bene chi…
“Io sono Phoenix, piacere,” risposi, trattenendomi dal sorridere troppo per il divertimento: trovavo buffo il comportamento del rossino, qualsiasi persona normale lo avrebbe ritenuto insopportabile, ma vedendo che nemmeno la donna di Rei lo riprendeva più di tanto, significava che quel bambino era semplicemente fatto così.
“Io sono la signora Farrell, ma tu puoi chiamarmi Tracy, tesoro,” mi disse, sorridendo squisitamente.
“Piacere, signora Tracy,” le risposi, chinando un poco la schiena.
“Oh, il piacere è tutto mio, Phoenix!” ribadì ossequiosamente ella, ricambiando il mio gesto cortese, “È bello vedere qualche ragazzo più grande cedere parte del proprio tempo libero per giocare con i più piccoli!” mi confidò.
“Ne sono lieta anch’io… Da dove provengo, non ne ho avuta finora mai l’occasione,” le confessai a mia volta.
“Perché, da dove vieni?” mi chiese Alek, con espressione molto seria e rapita.
“Ma, Alek!” lo biasimò ancora la signora Farrell, sconcertata.
“Non mi ha offeso, signora Tracy, non si preoccupi,” rassicurai la donna, sorridendole un poco, dopodiché osservai il piccolo Alek. Il suo sguardo fremette un istante, intimorito, ma non si lasciò impressionare oltre, mantenendo la propria inflessibilità. “Beh, non da un posto bellissimo, da quanto puoi aver intuito. Sono felice di avere conosciuto voi, invece: mi sono davvero divertita, e spero realmente di poter restare qui per giocare ancora una partitella a calcio con te, Rei e Xavier” gli confidai, sorridendogli sinceramente e con serenità.
“Per essere una ragazza, non sei male” mi confidò il rossino, arrossendo lievemente sulle guance come una mela.
A quelle parole, però, udii Rei ridacchiare, e Xavier coprirsi la bocca e sussultare un poco; “Non è male, ha detto!” lo derise il biondino.
Alek divenne tutto rosso, per poco più dei suoi stessi capelli; si voltò di scatto verso l’amico, infuriato e imbarazzatissimo: “Intendevo a giocare a calcio!!” contestò rabbiosamente.
“Alek ha una cotta per la nuova arrivata,” disse Rei nell’orecchio a Xavier, e non lo disse sottovoce però volutamente: voleva far davvero imbestialire l’amico.
“Vuoi che ti dia una lezione, eh?!” ruggì Alek, facendo il gioco di Rei.
Non potei che scoppiare in una risata liberatoria, trovandoli tutti e tre così buffi. Alek udendomi si fermò e, assieme a Rei e Xavier, si voltarono a fissarmi confusi, non comprendendo perché mai io dovessi ridere.
Anche la signora Farrell, contagiata da me, iniziò a ridere, disorientando ancora di più i bambini.
“Eccoti!” udii esclamare una giovane voce maschile alle mie spalle. Cessai di dilettarmi e mi voltai verso di essa, dubbiosa: vidi Sora corrermi appresso, con espressione un poco severa e preoccupata. “Perché sei scappata? Senza dirci nulla, poi! Eravamo tutti in pensiero!” mi rimproverò.
“Scusami… Non so che mi ha preso…” mormorai, chinando il capo dispiaciuta.
“È venuta a giocare con noi!” esclamò uno dei bambini presenti. Io e Sora volgemmo verso di lui il capo, e notammo l’espressione grave del viso di Alek, i suoi pugni serrati e i piedi impuntati.
“Ah, eri con Alek ed i suoi compagni…” realizzò Sora, quietandosi un poco, senza prendere in considerazione l’atteggiamento di Alek; si grattò la testa, non sapendo più cosa dire. “Beh, non importa, ma avvertici la prossima volta. Sei pure ancora in convalescenza: e se ti sentissi male, o si riaprissero le ferite?” mi rammentò Sora, severo; non me lo disse con cattiveria, ma… con apprensione…
“Mi dispiace. Non succederà più” cercai di rassicurarlo, amareggiata.
“Alek, hai un rivale” disse Rei al suo amico pel di carota.
“Eh?” fece Sora, inarcando un sopracciglio e fissando perplesso Alek.
“Tsk…” fece solamente il rossino con stizza, volgendo di scatto lo sguardo altrove.
“Lascia perdere,” suggerii a Sora, sorridendo un pochino imbarazzata ed agitando la mano: non volevo uscisse un’altra discussione simile a quella della sera prima, tra lui e Riku…
“Oh!” esclamò improvvisamente il ragazzo, forse ricordandosi improvvisamente qualcosa; “Mi stavo dimenticando! Devi venire subito: il Re è tornato, ed ha una questione molto urgente su cui vorrebbe discorrere con te. o almeno, così ha detto…” mi avvisò, chinando di lato il capo con fare pensoso.
“Andiamo, allora” annuii, seria; mi volsi in seguito verso i bambini e la signora Farrell, volendo dar loro un ultimo saluto: “Arrivederci signora Tracy, alla prossima, ragazzi,” dissi, agitando la mano.
Sora iniziò a correre verso la villa; io feci per scattare a mia volta dietro di lui, quando mi sentii stringere per il polso. Rivolsi indietro il mio sguardo, e scoprii con sorpresa che era il piccolo Alek…
“È una promessa” mormorò il bambino con determinazione e fissandomi dritta negli occhi; non vidi chiaramente, ma sembrava che, in effetti, le sue guance fossero lievemente arrossate.
“È una promessa,” confermai a mia volta, sorridendo scaltramente; a tale risposta, Alek fece il mio stesso sorriso, e lasciò andare lentamente il mio polso, cosicché io potessi riprendere la corsa e raggiungere Sora.
Raggiungemmo il portone d’entrata della villa, dove vidi gli altri già uniti a raccolta, insieme a Re Topolino. Sembravano tutti attendere proprio il nostro ritorno.
“Dov’eri finita?” iniziò a rimbeccarmi pure Leon, arrabbiato; io chinai il capo, dispiaciuta ed imbarazzata.
“L’ho già rimproverata io, Leon, non c’è bisogno di discuterne ancora” replicò Sora in mia difesa, un poco dispiaciuto di veder avvilirmi a quel modo, “Era solamente uscita a giocare con Alek, Rei e Xavier, non pensava di seminare tanta preoccupazione.”
“Tsk, per quanto tu si capace di rimproverare qualcuno…” borbottò Leon, incrociando le braccia e distogliendo con sufficienza lo sguardo da Sora.
Sora stava per rispondergli, offeso, quando il Re fortunatamente intervenne: “Cessate le futili discussioni. Non ne abbiamo il tempo” proferì, severo; i due obbedirono, limitandosi a guardarsi torvi reciprocamente per qualche istante, per successivamente distogliere gli occhi l’uno dall’altro.
“Phoenix,” mi chiamò il Re con voce solenne.
“Sì, Maestà?” risposi riverente, spostando il mio sguardo su di lui per educazione.
“Vieni avanti” mi disse, addolcendo lievemente il suo tono di voce.
“Subito, Maestà,” annuii io ossequiosamente, assecondando il volere del Re: feci tre passi in avanti, ponendomi di fronte a lui e posizionandomi a circa quattro o cinque metri di distanza da lui.
“Come tutti sapete, il vento ha mutato la propria direzione: esso soffia in nostro favore; ma non possiamo permetterci ancora distrazioni dal nostro compito primario. Molti sono tuttora i nemici, che infestano mondi già conosciuti e mondi che dobbiamo ancora conoscere. La luce che risplende dai vostri cuori ci ha finora concesso di non perire per mano della tenebra in cui l’intero universo sta sprofondando; non possiamo dunque permettere che tale barlume di speranza si affievolisca. Dobbiamo alimentare la fiamma che dona pace e salvezza ai mondi: dobbiamo cercare altri cuori traboccanti della vostra stessa luce ed unirli ai vostri. Ho assunto di mia spontanea volontà l’incarico di assoldare chiunque io ritenga idoneo al compito di Custode della Chiave: ebbene, io vedo che una grande forza alberga sopita nell’animo della ragazza a me dinanzi. Chiedo anche a voi tutti di guardare con gli occhi del vostro cuore, e confermarmi la veridicità di quanto ho dichiarato” si rivolse a tutti i presenti con inattesa cerimoniosità.
Essi obbedirono al Re: mi fissarono a lungo, concentrati oltremisura, scansionandomi più di qualsiasi apparecchiatura ospedaliera del mio mondo.
“Anch’io vedo quella forza” confermò Leon, risoluto.
“Anche io,” annuì senza esitazione Cloud.
“Anch’io” si aggiunse Sora, spensierato come sempre.
“Credo di aver visto anch’io quella forza,” ammise Kairi, sebbene con un po’ di dubbio.
“È fievole, ma non invisibile” convenne Aerith con un sorriso appena accennato.
“Ma cosa dite?! Secondo me, quella forza può diventare immensa!! Datele il giusto nutrimento e vedrete!” contestò Yuffie, osservandomi euforica.
“Mi pare di avvertire qualcosa, sì…” ammise anche Paperino, piuttosto vago, continuando a guardarmi accigliato.
“Io non vedo niente…” affermò invece Pippo, grattandosi confuso il capo.
“Devi osservarla con il cuore, il cuore! Zucca vuota!” gli inveì contro Paperino, irritato.
“Sapreste definire quella forza? Delinearla?” mormorò d’un tratto una voce inquisitoria; ci voltammo verso di essa, io per prima, e vedemmo che ad altri non poteva appartenere che a Riku.
Il seme del dubbio iniziò a germogliare nuovamente nel cuore di tutti: sia Aerith sia Kairi condussero una mano contro il proprio petto tornando ad osservarmi, stavolta però preoccupate; anche Leon tornò a fissarmi con il suo sguardo freddo e tagliente come una lama di ghiaccio.
“Vi suggerirò io la risposta: no. Percepite la sua forza sigillata nel suo cuore, certamente, ma non riuscite a rilevarne, per così dire, la polarità. Quella forza vi disorienta come un magnete farebbe con una bussola. Alla luce di questo fatto, dunque io vi chiedo: come potete porre fiducia in una forza così ingannevole?” continuò Riku, ostile.
“Le forze nascono neutre e si temprano,” intervenne Re Topolino, fissando austero il giovane.
“A volte ingannano, allo stesso modo delle persone dall’animo bieco” ribatté Riku con voce grave e sprezzante.
“Non voglio ascoltare oltre. Riku, ti ho sempre ritenuto un amico fidato, ma i tuoi occhi non osservano con obiettività; non comprendo l’astio che il tuo cuore avverte per questa ragazza, ma non posso permettere che ella venga screditata per tuo semplice risentimento. Mi costringi ad escludere il tuo verdetto” sentenziò il Re, spazientito dall’ostinato rifiuto di Riku nei miei confronti.
Il ragazzo ovviamente ne rimase enormemente offeso: si voltò di scatto, dando a tutti le spalle, al Re in particolare. Re Topolino lo fissò brevemente, sospirò affranto, dopodiché tornò a considerare me.
“Ci sono altre obiezioni?” chiese, senza volgere lo sguardo ad alcuno, immobile. Nessuno parlò. “Bene. È giunta finalmente l’ora: l’avvento di un nuovo Keyblader. D’ora in avanti, Phoenix sarà ritenuta il quinto Custode della Chiave, e congiuntamente alla nomina, le consegnerò ora una Keyblade che meglio le confarà,” annunciò solennemente; detto ciò, il Re sollevò il braccio destro, ponendolo di fronte alla sua spalla sinistra, dopodiché tracciò un ampio arco a mezz’aria con il palmo della mano aperta. Quest’ultimo lasciò una scia dorata, dalla parvenza di polvere: come essa ricadde lentamente verso il suolo, dissolvendosi, rivelò una serie di piccoli oggetti. Osservando meglio, vidi che erano delle Keyblades della dimensione di normali chiavi. A prima vista, parevano tutte quelle in quel momento in possesso a Sora.
“Scegli” mi invitò il Re con un sorriso.
Io mi avvicinai e le osservai una ad una. Quando però chinai il capo con aria frustrata, sembrando disinteressata alle Keyblades, il Re si preoccupò: “Cosa ti turba?” mi chiese, paterno.
“Maestà… L’arma che io desidero…” cercai di dire, ma la gola mi si seccò, costringendomi a prendere una pausa per deglutire.
“Ebbene?” mi spronò il Re, impaziente.
“Non è un Keyblade” confessai; alcuni dei presenti trasalirono, altri si fissarono tra loro perlopiù sbigottiti.
“E quale arma vorresti brandire?” mi chiese il Re, leggermente indurito dalla mia precedente ammissione.
Osservai un ultimo istante la schiena di Riku: con quell’ultima frase che avrei potuto dire di lì a breve, qualsiasi possibilità di renderlo mio amico sarebbe morta assieme all’opportunità di diventare Keyblader. Presi tempo per rifletterci ancora attentamente su, rendendomi conto che non dovevo essere avventata; sapevo di dover scegliere col cuore, e non lasciarmi andare al semplice capriccio, per quanto forte il desiderio verso quella persona fosse. Infine, presi la mia decisione, guidata dal cuore.
“I Chakram” affermai, in modo tale che tutti sentissero, anche Riku. Soprattutto Riku. -Mi dispiace, ma non posso tradire i miei sentimenti,- mi rivolsi alle spalle di Riku, arrendendomi alla dura verità: avrei accettato passivamente il suo odio, piuttosto che rimpiangere di non aver dato retta, almeno in quell’occasione, alla voce gemente del mio cuore.
Tutti i presenti trasalirono, all’infuori del Re, che si limitò a fare solo un’espressione non molto piacevolmente sorpresa; Riku, invece, si voltò d’un tratto, spiazzato, ma io ormai non lo osservavo più: non sarei mai e poi mai riuscita a sorreggere il suo sguardo, dopo quanto avevo detto.
“I Chakram…?” ripeté Re Topolino, confuso.
“Esatto: i «Fuoco Eterno» appartenuti ad Axel, attualmente nel possesso di Sora” confermai, risoluta, sebbene anche afflitta da quello che esse mi sarebbero costate.
Il Re si voltò verso Sora, e quest’ultimo lo guardò a bocca ancora aperta, non sapendo che parola proferire. Il Re volse nuovamente in seguito il capo, chinandolo poi lo sguardo verso terra, riflettendo attentamente su ciò che stava accadendo. Dopo qualche manciata di secondi, il Re sollevò il capo, mi guardò e disse, con voce greve: “E sia.”
Riku in quell’istante avvertì forse come se nessuno si stesse rendendo effettivamente conto di ciò che stava per compiersi, ma l’evento l’aveva talmente stordito da renderlo incapace di parlare ed impedire così ciò che a lui appariva l’inevitabile catastrofe.
Sora si fece dunque avanti, sebbene con passo incerto; richiamò il Keyblade, che non comparve con una luce dorata o simile, ma con qualche guizzo di fiamme rosse. Quando esse si dissolsero un secondo dopo così com’erano apparse, rivelarono ai miei occhi il Legame di Fuoco. Sora lo porse al Re, ma egli scosse il capo: “Consegnalo direttamente nelle sue mani,” gli ordinò; parve quasi come se volesse verificare un’ultima cosa.
Così Sora fece, nutrendo però molte perplessità: offrì l’elsa a me, osservandomi con un po’ di inquietudine. Io dunque mi soffermai ad ammirarlo un istante: se fossi stata un Keyblader, avrei voluto il Legame di Fuoco. Non perché lo ritenessi il più forte, o che mi piacesse esteticamente di più degli altri: ve n’erano di migliori, e sicuramente molti lo battevano sull’aspetto. Semplicemente, perché era quello il Keyblade che dovevo avere. Sentivo come se io fossi destinata in un certo senso a lui, e lui a me.
Avvicinai lentamente la mano a quella di Sora, il quale sorreggeva l’arma dalla metà superiore dell’elsa; strinsi la mano attorno alla metà inferiore, sfiorando la mano di Sora. Quest’ultimo, adagio, lasciò la presa, in modo che mi abituassi gradualmente al peso dell’arma; in effetti, non era granché leggera, ed anzi, mi parve addirittura un poco scomoda, anche a causa del suo disegno. Una volta che Sora l’ebbe lasciata completamente andare, mi aspettavo che svanisse, com’era similmente accaduto a Leon o a Riku inizialmente quando avevano impugnato la Catena Regale tempo addietro; invece, inaspettatamente, le fiamme riapparvero, seguite però da un fragore di vetri infranti, e la mia mano continuò a stringere saldamente l’elsa. Quando le fiamme dissiparono, vidi la mia mano destra sorreggere i due Chakram, i quali risplendevano d’argento vivo sotto i raggi del sole. Essendo anch’essi abbastanza pesanti, mi affrettai a prenderne uno dei due nella mano sinistra, prima che mi scivolasse; li strinsi entrambi nelle mani, e saggiai meglio il loro peso e maneggevolezza sollevandoli di una decina di centimetri su e giù, giusto un paio di volte. Scoprii che non erano per nulla leggeri né maneggevoli, e mi chiesi come Axel riuscisse a maneggiarli con tale maestria…
“Non ho mai visto una cosa simile…” esclamò il Re, stupefatto.
“Che cosa?” chiese Sora, confuso.
“Se Phoenix non fosse stata un Keyblader, non avrebbe potuto stringere nelle proprie mani il Keyblade. Non è però questo il punto. Ella non solo ha dimostrato di poterlo sorreggere, ne ha pure mutato la forma, riportandolo a quella originale: quest’ultima capacità non è, invece, da Keyblader. Dubito che ne sarei stato perfino io in grado di farlo. E guardate quei Chakram: nemmeno essi svaniscono al contatto di un possessore differente da quello originario. Questa fanciulla potrebbe possedere… un potere opposto a quello degli ordinari Keybladers…” spiegò brevemente, nutrendo molte incertezze al riguardo, seguitando a fissare i due Chakram che stringevo nelle mani.
“I Keybladers utilizzano il potere della luce, corrispondentemente chi utilizza un potere opposto al loro significa che sfruttano l’oscurità, ovvero il potere dei Nessuno!” ribadì Riku, irato perché stufo di essere sempre inascoltato; indicò in seguito le mie nuove armi, con atteggiamento sentenzioso, “Solo un Nessuno potrebbe maneggiare quelle armi! Pur essendovi testimoni i vostri stessi occhi, ancora negate?! Siete forse ciechi?!”
“Riku” esclamò improvvisamente il Re, con tono grave; il ragazzo si zittì immediatamente, intimorendosi pure lievemente per la severità nella sua voce. “Anche tu un tempo utilizzasti il potere oscuro risiedente nel tuo cuore, disprezzando la luce. E tuttora ricorri a tale forza: negheresti ciò?” lo sfidò Re Topolino.
Riku chinò remissivamente il capo, profondamente amareggiato: “No, Maestà,” dissentì con fievole voce.
“Forse, ella non è molto differente da te; proviene da un altro mondo, a suo dire completamente differente dal nostro, e ciò potrebbe essere la causa del suo inconsueto potere. Noi lo ignoriamo; è per tale motivo che desidero Phoenix al mio fianco: è una forza rara e nuova, una fresca brezza di cui tutti noi necessitavamo. Prim’ancora di giudicarlo, dovremmo apprendere le sfumature del suo potere, per renderlo così il nostro. Non dimenticarlo” espose con saggezza il Re.
Riku si limitò ad abbassare maggiormente il capo, avvilito; in parte, me ne sentii responsabile: quel ragazzo stava difendendo solamente ciò che gli era caro da una possibile minaccia, che fosse in errore oppure no, era lodevole come si batteva per la propria causa, anche contro l’opinione dei suoi stessi compagni… Avrei tanto desiderato dire qualcosa, soprattutto indirizzato a Riku, affinché il suo animo si placasse; però… non trovavo parole adatte, parole che non lo facessero irritare…
“Phoenix” mi richiamò infine Re Topolino, ridestandomi dai miei timori; levai il capo dalla figura mesta di Riku, rivolgendo al Re tutta la mia attenzione, senza riuscire però a celargli la mia compassione per Riku. “C’è altro che desidereresti?” mi chiese cortesemente, sembrando quasi esserne già a conoscenza.
Osservai repentina la figura di Riku, intimorita, per poi gettare lo sguardo al suolo: una richiesta l’avevo, oh sì, ma non potevo prevedere la reazione di Riku all’udirla. Ebbi per un istante il timore che sarebbe potuto balzarmi addosso ed uccidermi all’istante al solo pronunciarla…
“Ebbene, qualcosa ci sarebbe, Sire,” ammisi io, iniziando pure a sudare un po’ freddo: esitai infatti sull’esporre la mia domanda.
“Fai pure la tua richiesta, tenterò di soddisfarla,” mi incitò il Re, osservandomi confuso: non capiva il motivo del mio temporeggiare.
Deglutii a fatica, provando un gran terrore della persona che stava a pochi metri da me, -Sto gettando tutto al vento! Potrei subire ripercussioni in futuro per questo mio dannato capriccio; anche gli altri inizierebbero a nutrire gli stessi timori di Riku…- riflettei, allarmata; l’ambiente stesso si era fatto pesante, quasi da soffocarmi… Più me ne restavo in silenzio, però, maggiore era l’agonia….
“Vorrei... Vorrei che mi fosse concesso di indossare la tunica dell’Organizzazione XIII” defluirono le parole dalle mie labbra, come un fiume impetuoso dai propri argini; per quanto fosse stata un’azione stupida quanto avventata, non potei che provare un senso liberatorio, dopo aver confidato a tutti i presenti la mia bramosia.
Ma quella mia sensazione di sollievo durò breve: le mie ultime parole riguardo al soprabito dei Nessuno dell’Organizzazione aveva generato una reazione peggiore dei Chakram di Axel. Riku, al solo udirmi, sussultò e si irrigidì come una statua, e mentre gli altri si fissavano negli occhi con sgomento o con diffidenza, egli si allontanò dal gruppo, rientrando all’interno della casa residenziale, senza proferir parola.
“Oh… Richiesta alquanto insolita, la tua…” farfugliò il Re, cercando di nascondere alla bell’e meglio il fatto di esser in verità rimasto spiazzato da tale domanda.
“Lo so,” replicai io, iniziando a spazientirmi per il modo in cui tutti giravano sempre attorno alla questione, senza mai affrontarmi direttamente: lo ritenevo solo una perdita di tempo.
“Debbo solo domandarti… Ne sei davvero certa?” volle assicurarsi Re Topolino; la sua espressione era agitata, quasi angosciata, come se stesse suggerendomi di riflettere attentamente se quella fosse la giusta decisione.
Gettai alcune fugaci occhiate sui volti dei presenti: l’unico che mi fissava con sospetto, sebbene non quanto Riku, era Leon; Cloud invece era del tutto indifferente, quasi come se l’intera faccenda non lo riguardasse; negli altri, avevo seminato solo sgomento e timore, non parevano essermi ostili per ciò che avevo tenuto in serbo per loro. Mi volsi un solo istante verso Riku, giusto per vedere se era ancora a portata d’orecchio: scoprii che purtroppo sì, era ancora sufficientemente vicino per potermi udire.
“Sì, ne sono certa,” confermai, irremovibile, sebbene con labbro tremante; subito dopo, si sentì la porta d'entrata della villa urtare con violenza contro i battenti. Chiusi gli occhi e tirai un profondo sospiro di rammarico: almeno con Riku, mi sarei dovuta rassegnare, per quanto lo trovai difficile. Egli sarebbe stato un compagno di squadra, ma l’attrito tra me e lui avrebbe causato soltanto maggiori disagio e scompiglio anche negli altri membri del gruppo.
“Vedrò dunque di provvedervi. Attualmente, non vi sono tuniche disponibili; baderò a farne confezionare una su misura dal sarto di corte” mi assicurò il Re, ossequioso, mal celando però il proprio turbamento. Già ne immaginavo il motivo: non era affatto normale fare una simile richiesta, ora che l’Organizzazione pareva esser stata annientata, ed ancor meno da una perfetta sconosciuta di tutt’altro mondo, rinvenuta perfino nei Corridoi Oscuri. Me ne sarei però assunta la responsabilità, ripromettendomi di fare di tutto per non pentirmi delle scelte intraprese in quel momento fondamentale della mia avventura.
“Vi ringrazio di cuore, Maestà,” risposi col dovuto rispetto, posandomi la mano destra sul cuore e chinandomi con devozione.
“La mia unica richiesta è saldare codesto debito con me contratto dimostrandoti meritevole di fiducia, Phoenix,” mi ragguagliò Re Topolino, osservandomi con occhi un poco affranti.
“Sarà fatto, Sire. Mi impegnerò fin quanto le mie capacità consentiranno” annuii, serrando meglio la presa ai Chakram e sollevandoli di un poco.
Il Re si voltò in seguito verso gli altri presenti: “Confido in tutti voi: fate in modo che la ragazza abbia un allenamento adeguato, che le consenta cioè di destare completamente, nel minor tempo possibile, la sua forza sopita, senza affaticamento inutile. Dovete insegnarle ogni vostra conoscenza affinché sia in grado di difendere in primo luogo se stessa nei casi di necessità, e se il suo potere lo consente, anche il prossimo. Ora che Phoenix ha tracciato il proprio cammino, possiamo solo accompagnarla lungo la via, fino a che ella lo richiederà. Perdonatemi, sono costretto per cause di forza maggiore a congedarvi nuovamente: la mia strada mi attende, e non posso avere meco alcun compagno” annunciò, risoluto.
“Ne siete sicuro, Maestà?” chiese Leon, osservando il Re con rammarico.
“La vostra presenza non è necessaria. All’occorrenza, mi sarei rivolto a Riku, ma…” spiegò Re Topolino, franco, dopodiché si voltò verso di me, osservandomi con espressione un poco preoccupata: “Vedo che per qualche tempo avrete già un bel daffare…”.
Non replicai a quelle parole del Re, sebbene esse mi urtassero profondamente: realizzai che oramai anche lui, con tutta probabilità, dubitava di me, e che avrei potuto fare gran poco per farlo ricredere. Mi era concesso unicamente diventare una combattente più o meno esemplare, con il relativo margine d’errore ridotto ai minimi termini, altrimenti nessuno di loro avrebbe successivamente avuto più fiducia in me e nelle mie intenzioni.
“Speravo che, data l’impressionante somiglianza tra Phoenix e Riku, quest’ultimo si mostrasse maggiormente disposto nei suoi confronti, instaurando magari un rapporto un poco più proficuo, se non per entrambi, almeno per lei…” aggiunse in seguito, affranto, dopodiché aprì un Corridoio Oscuro sollevando la propria mano aperta.
Sussultai, sorpresa dalle sue parole inattese; volli però assicurarmi di aver ben reinterpretato: “Cosa intendete dire, Sire?” domandai con timidezza e impazienza.
“Intendo dire… che avrei preferito ti trattasse con gentilezza ed indulgenza, che divenisse un tuo punto di riferimento, se non un amico” mormorò, osservandomi con profondo dispiacere.
Me ne restai in riflessivo e mesto silenzio: avevo frainteso la sua precedente affermazione. Non indicava propriamente me, con quel bel daffare di poco prima, bensì la situazione che si era creata tra me e Riku, che avrebbe messo in difficoltà anche tutti gli altri. Ovviamente, non ci si sarebbe potuti schierare sia dalla parte mia sia quella di Riku: si sarebbe dovuto scegliere. Parteggiare per Riku significava rafforzare la sua convinzione, indebolendomi conseguentemente; favorire me, invece, mi avrebbe rafforzato, sì, ma avrebbe accresciuto l’astio di lui, il quale sarebbe potuto passare all’azione per dimostrare una volta per tutte i miei presunti maligni propositi. Mi augurai dal profondo del cuore che ciò non accadesse, e ripromettendomi di non accettare le difese di nessuno per ridurne ulteriormente le possibilità. Sarei rimasta semplicemente alla larga da lui.
“A presto, Maestà,” udii salutare gentilmente Aerith; uno dopo l’altro, porsero i propri saluti il Re, mostrandogli tutto il rispetto che essi nutrivano per lui.
“Vi ringrazio, Sire, per la fiducia concessami. Confido in un Vostro celere ritorno” dissi invece io, umile; mi auguravo davvero tornasse il prima possibile: era l’unico in grado di tenere a freno Riku.
“Non ringraziarmi: è dimostrando fede che si esorta una persona a manifestare il meglio di sé. Ringrazio, invece, voi tutti per i vostri buoni auspici: auguro altrettanto a voi per tutta la mia assenza. Arrivederci” disse il Re, rinfrancato dalle nostre parole, dopodiché varcò il Corridoio, giungendo nel Regno delle Tenebre; infine, il Corridoio si dissolse similmente a vapore, come di consuetudine.
Aerith si voltò in seguito verso di me, con un sorriso a dir il vero giocondo… Anche gli altri presenti seguirono il suo esempio, osservandomi però indecisi sul da farsi.
“Non appena ti sarai completamente ristabilita, potrai chiedere a uno di noi di seguirti nei tuoi allenamenti. Fino allora, riposa” mi disse Aerith, mostrandomi stavolta un sorriso gentile.
“No” replicai io freddamente, serrando energicamente le mani ai Chakram di Axel.
“Cosa?” esclamò Sora, stupito, non comprendendo il mio comportamento; anche i restanti mi fissarono perplessi, non riuscendo a carpire le mie intenzioni.
“Voglio cominciare già da oggi,” resi loro chiaro, in tono arrogante.
“Ma… Hai una ferita alla fronte ancora non completamente rimarginata… Nel caso esagerassi, potrebbe essere pericoloso: potresti avere delle complicazioni…” tentò di farmi ragionare Leon, pacato; sapeva che, se sarebbe stato lui a parlarmene, essendosi procurato anche lui una simile ferita, probabilmente avrei desistito.
“Non accadrà. Saprò pormi un limite. Preoccupatevi solamente di allenarmi ora, per favore, o vi sarò solo d’intralcio” insistei, irremovibile.
“Abbiamo promesso al Re che avremmo provveduto in questo. Ti alleneremo quando lo riterremo più opportuno per la tua salute” mi spiegò Cloud, osservandomi gelidamente, ma mantenendo una certa compostezza, nonostante la mia ostinazione.
“Bene. Ho compreso” sbuffai io con cupa rassegnazione.
“Non ti stiamo negando il nostro aiuto per semplice svogliatezza. Lo facciamo perché in pensiero per la tua salute” ribadì Leon, cercando di farmi capire di non essermi contro, e che anzi, forse da un lato mi compativa pure; fare però l’impaziente non avrebbe condotto a nulla di positivo e costruttivo.
Io non replicai alle sue parole, restandomene a capo lievemente chino e docilmente in silenzio; costatando ciò, Leon trasse un lieve sospiro e s’incamminò per rientrare in casa. Anche gli altri li vidi muoversi verso il portone d’entrata: e decisi di fare così a mia volta. Prima, però, ritenni opportuno liberare le mani… Feci ondeggiare su e giù i due Chakram, nonostante le mani e le braccia iniziassero a indolenzirsi parecchio: ma nulla, essi seguirono obbedienti i miei movimenti, senta produrre alcuna scintilla che preannunciasse il loro dissolversi… provai a concentrarmi ordinando loro mentalmente di svanire, ma ottenni il medesimo risultato…
-Ma… Come diavolo si farà…?- mi chiesi, per nulla entusiasta di quella scoperta: ero totalmente incapace di servirmene, non ero nemmeno in grado di farli scomparire, e tantomeno sicuramente ad evocarli…
Ritentai una seconda volta, ma vedendo che non vi erano miglioramenti, dovetti a rigor di logica rinunciarvi, almeno per il momento: quindi, seguii i miei compagni con i due Chakram ancora in mano.
Una volta rincasata, mi diressi verso la mia stanza con naturalezza, senza dar loro il dubbio di dovermi tenere d’occhio. Una volta in camera, raggiunsi la finestra, ancora aperta, e mi recai sul terrazzo, sempre con i Chakram stretti nei palmi. Mi sporsi dalla ringhiera, alla ricerca di un luogo particolarmente spazioso: le altre case attorno, però, non permettevano chissà quale visuale, per quanto riguardava il quartiere. Abbassai lo sguardo verso il suolo, cercando un punto da potersi definire un po’ morbido: purtroppo, v’era a malapena un poco d’erba a ricoprire il minuscolo giardinetto che abbracciava la villa…
Stavo per arrendermi, quando vidi giungere una figura minuta dai capelli rossi; sollevò il naso al cielo, e mi fissò con sguardo serio e pensoso; mi parve addirittura avesse una quasi invisibile incrinatura di inquietudine…
“Alek!” esclamai, sorpresa di rivederlo in quel momento sotto la mia veranda, per di più da solo.
“È la strada che faccio sempre per tornare a casa,” mi disse con tono noncurante, quasi seccato, senza che io gli chiedessi nulla, “Perché ti guardavi intorno?” domandò poi, parendomi però per nulla meravigliato.
Colta alla sprovvista, non seppi come giustificarmi: restai a fissarlo imbarazzata a bocca semiaperta, mugugnando incomprensibilmente qualche sillaba.
“Ti hanno relegato lassù, per caso?” mi chiese, facendosi scuro in viso.
“Ehm… No! Per niente!” mi affrettai a precisare, scuotendo il capo, “Cercavo… Cercavo solo un modo per…” cercai di chiarire a voce un po’ più contenuta, non volendo che ai piani inferiori potessero udirmi; non seppi però come spiegargli cosa avevo in mente.
“Fuggire?” mi domandò, inarcando dubbioso un sopracciglio: ad Alek sembrava proprio quel comportamento, e non comprendeva perché ci stessi girando tanto intorno.
Risi, divertita da quell’affermazione ingenua: “Non ho bisogno di fuggire per uscire da questa casa! Nessuno mi obbliga a restare!” gli spiegai con un sorriso derisorio.
Lui arrossì un poco sulle gote, e distolse lo sguardo offeso dal mio comportamento canzonatorio; mi dispiacque che l’avesse presa a male, ma allo stesso tempo lo trovai davvero tenero…
“Stavo cercando un modo per uscire portandomi dietro questi,” mi affrettai a fargli meglio intendere, sollevando pure un braccio per mostrargli un Chakram, dopodiché lo riabbassai immediatamente, non volendo creare panico tra la gente della cittadella; “Sono abbastanza pesanti, non vorrei che facessero un gran fracasso e che Sora e gli altri sentissero…”.
“Non vuoi farti scoprire?” mi chiese lui, inarcando un sopracciglio con espressione dubbia, “Non hai appena detto che puoi uscire quando vuoi?”.
“Non con questi: sono vere e proprie armi” gli accennai soltanto, vaga, sperando che non chiedesse altro.
“E perché dovresti uscire con delle armi senza farlo loro sapere?” domandò ancora, incrociando le braccia ed osservandomi sospettoso ed un poco indisponente.
“Perché… mi vorrei allenare con esse affinché ne apprenda l’utilizzo ma… loro me l’hanno vietato” mi arresi alla fine, avvilendo le spalle e distogliendo mestamente lo sguardo da Alek.
Egli se ne rimase in silenzio per qualche istante, probabilmente a osservarmi; in seguito, l’udii allontanarsi di corsa… sollevai di scatto il capo, confusa, e lo vidi affrettarsi su per la via dal quale avevo visto provenire lui ed i suoi amici poco prima; dopodiché, lo vidi svoltare a sinistra, per scomparire nel vicolo.
“Uff…” mugugnai, sconfortata, guardandomi intorno; sollevai le mani e appoggiai il Chakram sulla ringhiera, dopodiché posai anche i gomiti su di essa. Mi inarcai un pochino, affinché potessi adagiare il mento sugli avambracci, ed osservare abbattuta il castello di Ansem il Saggio; -Sono ancora all’inizio… Se vado avanti così, non sopravvivrò al loro primo, futuro attacco…- mi depressi.
Stavo per demordere e, quindi, sollevare ilo capo dalle braccia per rientrare, quand’ecco riapparire Alek dal vicolo; lo vidi trascinarsi a fatica dietro qualcosa… Non appena riuscì a portare nel mezzo della strada l’oggetto, compresi cos’era: un vecchio materasso tranciato a metà e grigio per lo sporco. Alek lo teneva per una corda che spuntava da un lato, ma per trasportarlo, retrocedeva; capendo però che così ci avrebbe impiegato troppo tempo, egli decise di voltarsi, stringere forte la fune nelle mani e appoggiarla sulla spalla in modo tale da trascinarlo alle proprie spalle, avanzando ora molto più spedito. Dato che la strada era anche un po’ in pendenza, si mise pure a correre adagio lungo d’essa, giungendo sul fraticello sotto di me con espressione soddisfatta.
“Prova a gettarle, ora!” mi suggerì con fermezza.
“Sono molto appuntiti, non vorrei che erroneamente ti colpissi…” gli dissi, titubante; lui, gentilmente, si allontanò di qualche metro, sufficienti per la sua sicurezza. Dopo che Alek ebbe fatto ciò, osservai con attenzione il materasso, cercando di focalizzarne il centro; infine, sollevai i Chakram dalla ringhiera, mi sporsi un poco e ne gettai con forza il primo dal balcone. Esso si conficcò nel materasso, leggermente alla mia destra, sena produrre alcun rumore. Toccò al secondo, nella mia mano sinistra: tirai anch’esso, stavolta centrando il materasso, ma colpendo una delle molle: udimmo un raschio stridente, che ci fece venire ad entrambi i brividi. Mi voltai di scatto verso la porta della mia stanza, in ascolto, inquieta; in principio, non udii nulla, ed iniziai a temere di aver destato sospetti negli altri; subito dopo, però, giunsero dal corridoio le voci sommesse dei miei compagni alla mia porta, dai toni allegri ed ignari. Inspirai profondamente, sollevata di ciò, e volsi il capo verso Alek: “Devo però avvertirli che esco” lo avvisai; egli si limitò ad annuire col capo, sempre con quel suo sguardo un poco strafottente.
Rientrai in casa e mi diressi all’ingresso con passo svelto; giunta lì, vidi Cloud e Aerith intenti a sistemare alcuni oggetti, mentre Sora stava appoggiato con la schiena al muro e le braccia raccolte dietro il capo intento ad oziare. Aerith fu la prima ad accorgersi di me: “Cosa c’è, Phoenix?” mi chiese, con un sorriso.
“Scusate per stamattina, ma sento davvero il bisogno di stare all’aria aperta. Vorrei uscire” le spiegai brevemente e con un poco d’impazienza: speravo di strappare un sì senza che mi fossero poste troppe domande.
Aerith non rispose; si voltò verso Cloud, con occhi titubanti. Lui comprese il suo turbamento: “Beh, almeno lascia che una scorta ti accompagni,” replicò con involontaria freddezza, volgendo per un fugace istante lo sguardo verso Sora; era ormai abituato a rivolgersi agli altri in tal modo.
Con la coda dell’occhio, vidi Sora disincantarsi ed affrettarsi verso di noi, ma io parlai prima che potesse avvicinarsi: “Non ne ho bisogno, sto benissimo,” risposi io, infastidita. Non mi andava per niente a genio che mi trattassero come un detenuto.
“Non vogliamo che tu possa incontrare gli Heartless ed essere indifesa,” si giustificò Cloud, facendosi truce in volto.
“Ho bisogno… di stare un po’ da sola” provai a insistere, osservando con determinazione Cloud; lui assottigliò gli occhi, fissandomi con biasimo, ma non disse nulla, non sapendo cos’altro dire per farmi cambiare idea.
“Se davvero non ne necessitassi, non mi impunterei a tal punto,” tentai sulla via della sua sensibilità: essendo Cloud una persona non particolarmente amante della compagnia, forse facendo leva su questa parte del suo carattere avrebbe desistito.
Distolse lo sguardo, crucciandosi: stava probabilmente valutando il rischio che avrei corso ad una sua risposta affermativa. Chiuse in seguito gli occhi, con fare rassegnato: “Va bene. Niente scorta” disse, dopodiché tornò a fissarmi, stavolta mutando il suo tono vocale, facendosi molto severo: “Voglio però che, in caso di pericolo, accorri immediatamente qui. Non tentare di affrontare gli Heartless senza alcun aiuto. È chiaro?”.
“Sì” annuii io col capo e accennando un sorriso di gratitudine.
“Vorrei che tornassi per l’ora di pranzo, per favore,” mi chiese Aerith, con occhi un poco supplici.
“Lo farò, non preoccuparti,” assentii, sorridendole per rinfrancarla.
“Bene. Attenderemo il tuo ritorno; non farci allarmare come stamane” si raccomandò Cloud, facendosi d’un tratto più malleabile.
“Tranquilli, è una promessa!” ripetei io, sorridendo un poco imbarazzata: non avrei mai immaginato di poter ricevere tanta apprensione da parte loro… Iniziai anche a sentirmi in colpa di ingannarli in maniera così meschina… Prima che potesse sorgermi qualche ripensamento, mi voltai e mi indirizzai verso la porta d’entrata; a quel punto, però, incontrai la figura di qualcuno alla mia sinistra. Arrestai il mio passo e le rivolsi lo sguardo, e scoprii che era Sora. Stava in piedi, leggermente curvo, e aveva un’espressione afflitta in viso…
Prima che aprissi bocca per chiedere motivo del suo tormento, lui parlò: “Seriamente non mi vuoi come scorta?” mi chiese, ferito.
Le sue parole mi spiazzarono, non aspettandomi minimamente un simile comportamento da Sora, soprattutto nei miei confronti; non potevo però andarmene senza dirgli nulla, sembrava davvero credere ad una mia antipatia per lui: “No, hai frainteso! Non ho rifiutato perché ti sei offerto tu… Vedi, Sora, il punto è un altro; non so nemmeno io come spiegartelo…” cercai di giustificarmi, arrampicandomi sempre più sugli specchi. Egli sollevò il suo sguardo, rivelandomi, seppur con un leggero velo d’imbarazzo, quanto le mie parole l’avessero duramente urtato: era un ragazzo non avvezzo all’antipatia da parte degli altri. Lo ritenni davvero ingenuo ma, tra l’altro, non potevo pretendere diversamente: Sora non proveniva da un mondo dedito all’odio come il mio…
Espirai con avvilimento, conscia del fatto di dover ora delle spiegazioni che a malincuore avrei dato: “So… di assumere un comportamento poco corretto; so di averti offeso. E ciò è volontario, non voglio esserti ipocrita negandolo; ma ho un motivo, su cui non vorrei dilungarmi troppo. Vorrei solo tu sapessi… che il mio atteggiamento non è dovuto ad alcuna avversione, nei confronti di nessuno di voi. Sono soltanto… una persona abituata ad avere i suoi spazi, nulla di più. Vi chiedo di sopportare unicamente questo mio difetto” spiegai con soli accenni di verità a Sora, volgendomi in seguito a guardare Cloud e Aerith nella speranza di un loro cenno comprensivo.
“Perché non ce ne parli?” mi domandò Sora, osservandomi con sguardo mesto.
“Beh, non c’è tutta quella confidenza affinché lei discorra con noi dei suoi problemi. Né dobbiamo forzarla in tal senso, Sora” lo rimproverò Cloud, incrociando le braccia ed assumendo un atteggiamento un poco freddo e duro.
“Ma io… non lo chiedo per impicciarmi! Io… vorrei solo…” cercò di spiegarsi meglio il giovane, voltandosi combattuto verso l’amico, non sapendo però come esprimere a parole ciò che sentiva in cuor suo.
“Lo capisco benissimo invece, Sora. So che tu vuoi essere messo a conoscenza per poter in qualche modo aiutarmi” intervenni io, con l’intenzione di rassicurarlo; Sora si voltò verso di me, con le gote leggermente arrossite. In effetti, forse lui sapeva come terminare la frase precedente, probabilmente utilizzando le mie stesse parole, ma aveva evitato, a mio giudizio, per imbarazzo. Scoprendo però ora quanto io fossi in grado di intuire i suoi propositi, egli avvertiva un disagio ancora maggiore.
“Io però ti ripeto: non ce n’è alcun bisogno. Non dovete angosciarvi tanto per me, vedrete che mi ambienterò, cosicché vi sia un clima accettabile, se non proprio sereno” ribadii, sorridendo a tutti loro con un pizzico di serenità.
Sora posò lo sguardo sul pavimento, ancora un poco affranto: “Beh… Io comunque… sono dalla tua parte…” quasi borbottò, come un bambino timido ed imbronciato. La purezza del suo cuore mi stupì notevolmente: nonostante fossi una perfetta sconosciuta, egli mi considerava, e molto, da come potevo riscontrare dal suo viso leggermente arrossito. Comprendevo benissimo che non si trattava di cotte o simili, ma piuttosto… di un forte gesto d’altruismo, che Sora temeva lo confondessi per infatuazione. Davanti a terzi, faticava ad esternare i suoi sentimenti, tanto che pure le migliori intenzioni lo mettevano talvolta in imbarazzo.
La mia reazione fu coprirmi la bocca e ridere con dolcezza; Sora sussultò e mi fissò, turbato e ancora più a disagio di prima. Non lo stavo schernendo, in verità ci trovai ben poco di divertente: insomma, era di me che si stava preoccupando. Ciò che aveva scatenato la mia ilarità, fu che si affannava tanto per una come me,
un essere inutile,
una che per capriccio gli aveva mentito… Deridevo me stessa.
“P-perché ridi?” mi chiese giustamente Sora, con tono un poco ferito.
“Niente, niente… Ti chiedo scusa” risposi, cessando con le risate ma mostrando un gran, falso sorriso ameno, “Piuttosto, grazie per essermi di sostegno. Non fare però… troppo affidamento su di me…” gli confidai anche, chinando mestamente il capo e fissando cupa il suolo.
Sora esitò, confuso dalle mie parole; dopo qualche istante, sollevò lentamente il suo braccio ma, prima che portasse la mano all’altezza del proprio fianco, io mi voltai e proseguii verso la porta, senza più voltarmi indietro.
Una volta richiuse le porte alle mie spalle, sollevai gli occhi al cielo e inspirai profondamente, soffocando il pungente sentore alla gola del pianto; -Sto rischiando di buttare tutto al vento… Ora che qualcuno si fida di me… non voglio tradirlo- mi fissai bene nella mente, riuscendo a non versare alcuna lacrima. Riabbassai lo sguardo, rivolgendolo verso la strada; vidi Alek, il ragazzino dai capelli rossi, attendermi in fondo al selciato del giardino. Mi fissava risoluto, ardito, che quasi mi inquietò: era molto simile allo sguardo che si rivolge all’avversario verso cui si riscontra molto rispetto…
Qualche istante dopo, però, Alek si rasserenò, mostrandomi un giocondo e scaltro sorriso: “Quanto ci hai messo! Giochiamo?” mi chiese con enfasi.
Io mo diressi verso il materasso logoro, per recuperare i Chakram appartenuti un tempo ad Axel; “No, mi dispiace” accennai la mia risposta, chinandomi: afferrai le armi e strattonai con decisione, disincastrandole, dopodiché mi rialzai lentamente in piedi, “La mia intenzione era unicamente allenarmi. Devo approfittare di ogni attimo concessomi: la prossima volta però farò un’altra partita con te e i tuoi amici, promesso”.
Alek non fu per nulla soddisfatto della mia replica: distolse lo sguardo con aria offesa, incrociando pure le braccia dietro il capo; un tipico atteggiamento infantilmente imbronciato.
“Scusa, Alek” cercai di riconquistare la sua fiducia, poiché necessitavo ancora del suo aiuto; mi chinai leggermente, appoggiando pure parzialmente i palmi delle mani sulle mie ginocchia, stando attenta alle punte dei due Chakram, “Sono troppo indietro rispetto a Sora ed i suoi compagni… Non voglio diventare per loro un peso. Perciò, mi dovrò allenare duramente per raggiungere la loro forza… o, perlomeno, riuscire a badare a me stessa senza che essi corrano rischi al posto mio per cacciarmi fuori dai guai. Intendi?” gli dissi, utilizzando un tono più dolce.
Alek non rispose, crucciando solamente di più il suo viso ed assottigliando i propri occhi.
“Sapresti indicarmi un luogo dove allenarmi al sicuro? Intendo un posto riparato e poco frequentato, cosicché non si corra il rischio di ferire qualcuno o di esser scoperta da Sora o gli altri durante il mio addestramento…” chiesi al ragazzino in maniera un poco impacciata, temendo che egli in quell’istante si sentisse troppo indispettito dal mio comportamento.
Il suo silenzio perdurò ancora finché egli, all’improvviso, cominciò a correre verso la via nord, con una certa velocità.
“Ma…” stavo per replicare dalla sorpresa, quando Alek si voltò a guardarmi con una certa stizza, mentre ancora correva: “Vuoi il tuo territorio o no?” contestò acidamente, vedendomi ancora ferma sul selciato davanti al marciapiede.
“Ah! Sì!” mi affrettai a rispondere e, subito dopo, a corrergli appresso.
Alek mi condusse alla periferia della città, che distava ancora di più dal castello di Ansem il Saggio; si poteva all’incirca ritenerla l’entrata della città stessa. In quel luogo, v’era un gran numero di abitazioni incomplete, ma in sostanza le case ultimate costituivano la maggior parte.
Improvvisamente, vidi il rossino curvare a destra, dietro lo scheletro di un’abitazione ancora in costruzione; io lo seguii. Notai che si era fermato a qualche decina di metri più avanti, in uno spiazzo in terra battuta, e mi attendeva con il suo solito cipiglio un poco insolente.
“Questo dovrebbe esser l’ideale,” mi accennò, non appena anch’io mi fermai al suo fianco, indicandomi pure il luogo distendendo il braccio lungo tutta la sua ampiezza. Non era un terreno molto esteso, il suo perimetro doveva corrispondere circa a quello di un campo di basketball o poco più; a giudicare inoltre dagli oggetti presenti, doveva esser un cantiere abbandonato: sparpagliati qua e là, c’erano alcuni enormi tubi in cemento distesi, qualche attrezzo da lavoro (in particolare, vecchie pale divorate dalla ruggine), una baracca quasi completamente rovinata al suolo, alcuni stracci logori e qualche traccia di immondizia, soprattutto lattine contorte nelle prossimità dei tubi di cemento. Alla mia destra, notai qualcosa che, ad esser sinceri, discordava con l’usuale aspetto da ex cantiere: c’era un grosso palo di legno, dall’aria piuttosto robusta, alto circa quanto una persona, conficcato nel terreno.
“Xavier, Rei ed io utilizzavamo questo vecchio cantiere come base. Essendo in una zona poco alla mano, sono gran pochi a passare di qui, e comunque non disturbano più di tanto. La puoi prendere tu, se vuoi” aggiunse Alek, muovendo qualche passo addentrandosi.
Mi avvicinai a mia volta, dirigendomi verso il pilone in legno chiaro; vi posai sopra la mano, saggiandone la stabilità; era molto saldo, doveva esser stato conficcato bene in profondità nel terreno. “Perché non la utilizzate più, ora?” gli chiesi, dubbiosa.
“Ci è stato vietato di giocare qui. E’ un luogo poco sicuro, dato che è abbastanza distante dal centro della città e così vicino invece al territorio degli Heartless: i nostri genitori, in particolare, temevano attacchi da parte di quei mostri. Come puoi vedere, non hanno ancora completato la costruzione delle mura a difesa della città, per questo passa così poca gente da queste parti” mi spiegò, indicandomi la vasta “Terra di Nessuno” che si estendeva subito dopo pochi chilometri da noi.
“E ciò, significa meno protezione per voi bambini, eh?” mormorai, sorridendo amaramente per l’immagine da lui dipinta del luogo.
“Tsk!” fece tutto d’un tratto lui, apparendomi quasi offeso… Prima che potessi provare soltanto ad interpretare il suo comportamento, lui si voltò e si affrettò su per la salita, con tutta l’aria di volersene andare.
“Ehi, Alek…!” lo chiamai, sperando che si fermasse.
Alek fortunatamente accolse il mio richiamo e si arrestò, volgendomi unicamente il capo e parte del torace, giusto per potermi vedere in volto; aveva ancora un’espressione accigliata, ma un secondo dopo mi sorrise in maniera smaliziata: “Ti regalo la mia base. Non lasciartela fregare da nessuno: in caso, io ci sono” affermò con alterigia; eppure avvertii, nel suo tono di voce, una leggera velatura di dolcezza…
Sussultai, poiché quel suo atteggiamento mi giunse del tutto inaspettato; lo osservai stolidamente a lungo, finché non mi disincantai, accorgendomi della pessima figura che ci stavo facendo. Avvertii, infatti, il mio viso scaldarsi per il disagio, ma cercai immediatamente di rimediare, in un modo o nell’altro: “Ah! Sì… Grazie davvero…” balbettai appena, chinandomi lievemente in segno di gratitudine.
“Hun!” sogghignò compiaciuto, dopodiché corse via, senza nemmeno un saluto; di questo, io non me la presi a male. Anzi, ero più che soddisfatta: finalmente, qualcosa iniziava a girare nel verso giusto, ma soprattutto, c’era qualcuno che mi apprezzava, spoglio di futili esitazioni.
-E ora, allenamento…- cercai di farmi coraggio, fissando con fermezza il palo che avevo di fronte, -Come primo obiettivo, direi di arrivare almeno di avvicinarsi a colpire questo. Soltanto dopo inizieremo a considerare l’idea di tranciarlo in due pezzi- mi posi il primissimo punto di partenza; mi distanziai dal pilone di una ventina di metri, verso il centro del cantiere, dopodiché mi voltai verso il mio bersaglio.
-Colpirlo… Devo lanciarlo con forza e arrivare a colpirlo…- focalizzai nella mente con determinazione, mentre mi passavo uno dei due Chakram, retti entrambi nella mano sinistra, da quest’ultima a quella di destra. Feci ondeggiare l’arma, saggiandone nuovamente il peso e valutando la potenza che avrei dovuto impiegare nel lancio, e tenni invece fisso lo sguardo sul palo di legno per prendere la mira e decidere quanto avrei dovuto stendere il braccio e fino a che ampiezza per dirigere il Chakram verso l’obiettivo.
Non appena realizzai un’ipotesi approssimativa, scattai: levai indietro il braccio destro, seguendo il movimento con il torace per caricare maggiormente la forza del lancio, dopodiché, con un grido feroce e ardente, scagliai energicamente il Chakram verso il palo.
Con il cuore trepidante, seguii con lo sguardo il procedere dell’arma, come ipnotizzata: essa eseguì appena mezza rotazione sul proprio baricentro, ma sembrando comunque mantenere discretamente la direzione… Finché, dopo appena quattro metri, essa iniziò ad abbassarsi inesorabilmente verso terra…
Atterrò raschiando il terreno, sollevando una leggera folata di polvere, a forse sette o otto metri da me…
La osservai attonita, non credendo possibile a ciò avevo assistito; notai, come se lo smacco non fosse già sufficiente, che avevo pure ottenuto un margine d’errore piuttosto notevole: il raggio compiuto dal Chakram rispetto alla linea orizzontale immaginaria, costituita dalle mie spalle poste perfettamente frontali rispetto al palo di legno, era di circa 120°; ovvero, eccedeva di ben 30°. Non ero mai stata un prodigio nei lanci, ma non mi era mai capitato, fino a quel momento, un lancio tanto pessimo…
Sogghignai con amarezza, muovendo i primi passi verso il Chakram appena gettato: “Tsk… Non posso certo ritenermi una loro pari… Che razza di idea mi è venuta…?” rimbrottai, schernendo me stessa e la mia stupida quanto infantile presunzione di poter avere le loro stesse capacità; mi chinai, tesi il braccio verso l’arma e l’afferrai. Mentre mi rimettevo ritta in piedi, soffermai lo sguardo sul Chakram: “In particolare… Axel…”. Dopo un lungo istante di esitazione e commiserazione, tornai a fatica indietro sui miei passi, riprendendo la posizione di prima. Rivolsi, per la seconda volta, gli occhi all’asta davanti a me, stavolta con mestizia: avevo realizzato di non essere forte. Nemmeno in sogno…
“Al diavolo! È solo uno stupido sogno!!” inveii con rancore, lanciando per la seconda volta il Chakram contro l’obiettivo.
Trascorsero, sotto allenamento duro ed intenso, le ore; le pause furono sporadiche e molto brevi: non riuscivo a darmi pace per la mia inettitudine. La sgradevole sensazione di deludere per l’ennesima volta qualcuno, chiunque egli fosse, mi avvelenava il cuore. Almeno in sogno... volevo sentirmi realizzata. I miei tentativi furono però sostanzialmente vani: non raggiunsi mai l’asta, in compenso i miei lanci si fecero sempre più deboli, a causa di un doloroso indolenzimento ad entrambe le braccia. Non appena il sole fu allo zenit, segno che mezzogiorno era giunto, smisi con l’addestramento; mi buttai a sedere per terra, un poco ansante, indietreggiando leggermente con la schiena. Volendo stare in una posizione vagamente più comoda, posi le braccia indietro, per mantenere la schiena sollevata dal terreno senza sforzarla, ma come la rilassai, sopraggiunsero delle potenti fitte ai muscoli delle braccia, che mi costrinsero ad alzare nuovamente il torace. Digrignai i denti e ringhiai sommessamente, accorata e furiosa allo stesso tempo, con gli occhi fissi al terreno.
-È ora di tornare, oramai… Meglio che mi muova, prima che vadano a cercarmi e mi trovino qui…- pensai, sospirando con rassegnazione; mi alzai faticosamente in piedi, gemendo pure per i movimenti di tanto in tanto bruschi, e raccolsi i Chakram. Nel momento di rialzarmi, però, avvertii una sensazione di gelo alla schiena. Mi voltai di scatto alle mie spalle, spaziando freneticamente con lo sguardo, ma non vidi nulla che avesse potuto giustificare quel sentore di essere osservata… L’accaduto mi scosse un po’: ciò che in un primo momento temevo mi stesse spiando, a causa dell’ambiente da cui originariamente provenivo, fosse un malintenzionato, non un Heartless o che altro; decisi dunque di affrettarmi verso la villa del Re, immaginando con timore più un possibile attacco da parte di un umano che di un nemico di Sora e compagni…
Giunsi presto all’ingresso del giardino rigoglioso della villa; mi fermai sul selciato un istante, accorgendomi di non poter entrare in casa con i Fuoco Eterno nelle mani come se nulla fosse; dovevo ovviamente celarle.
Sollevai lo sguardo verso il balcone dal quale avevo lanciato le armi in precedenza: non sapevo se tentare un lancio lassù, oppure nasconderle alla vista in qualche angolo all’esterno della villa. Preferii la seconda opzione: incominciai a girare in senso antiorario intorno alle mura della casa, alla ricerca di una qualche fessura o strumento che mi consentisse di coprire i Chakram senza dare troppo nell’occhio. Stavo per giungere nuovamente sulla parete dell’ingresso, quando notai qualcosa che poteva fungere al caso mio: notai alcune casse accatastate contro il muro della villa, e tra quelle situate in basso e la parete c’era un poco di spazio, largo forse una decina di centimetri o poco meno. Era abbastanza buio da poterci infilare i Chakram senza che essi fossero notati. Mi avvicinai ad esse, e provai ad introdurvi le armi: esse passarono senza problemi attraverso la fessura, immersi in un buio sicuro e complice.
-Bene,- dissi tra me e me, sorridendo soddisfatta, dopodiché mi recai al portone d’ingresso.

“Ti sei divertita?” mi fu chiesto da Aerith non appena mi vide nella vasta anticamera della villa.
“Non saprei… Mi sono limitata a girovagare esplorando la città” cercai di mentirle il meno sfacciatamente possibile: quella fu sicuramente una giornata da dimenticare, dopo il miserevole fallimento dei miei allenamenti nella periferia.
Aerith dopo un primo breve istante di esitazione, mi sorrise dolcemente; stavo per ricambiare il sorriso, quando una voce maschile alle mie spalle mi chiese: “Fin dove sei giunta?”.
Mi voltai di scatto, colta alla sprovvista e quasi spaventata: mi accorsi che era in realtà Cloud.
“Scusami, ammetto di sopraggiungere a volte con passi esageratamente felpati” si scusò lui, forse facendomi pure un accenno di un sorriso.
Mi sentii in imbarazzo per l’accaduto, ma mi affrettai a ricompormi, cercando di mostrarmi indifferente, sebbene le mie gote probabilmente mi tradissero: “Non è nulla… Beh, ho girato un po’ qui nei dintorni, non mi sono mai allontanata eccessivamente dalla villa” mentii, ovviamente.
D’un tratto, Cloud si fece scuro in volto: “Cerca di non muoverti mai al di fuori di un certo raggio di distanza di questa casa. In particolare, evita di passare nelle prossimità del castello di Ansem o della periferia, e soprattutto, di non varcare le mura della città: le pianure che si estendono al di fuori di Radiant Garden sono di una quiete ingannevole, in verità esse pullulano di Heartless, più di quanto potesse la fossa del castello. Fai molta attenzione, e chiamaci in caso di pericolo” si raccomandò.
“Lo farò,” dissi, sebbene tutte quelle menzogne non facevano che incrementare vertiginosamente il mio senso di colpa.
“Bene” disse soltanto il ragazzo, passando alla mia sinistra e dirigendosi verso la cucina.
“È pronto il pranzo. Se vuoi precedermi…” mi suggerì Aerith con un sorriso, facendomi cenno con le braccia verso la cucina.
“Sì!” annuii io, affrettandomi verso di essa.
Seduti a tavola, erano presenti tutti all’infuori di Riku… Alla mia destra sedeva Kairi, per cui mi voltai verso di lei e le chiesi il motivo dell’assenza dell’amico.
“Mi sembra di aver capito che pranzerà fuori. È rincasato poco prima di te, ma è uscito subito dopo. Sembra che anche lui abbia voglia di muoversi un po’,” mi rispose, abbozzando un sorriso; sospettai che, ovviamente, egli non avesse intenzione di sedersi al mio stesso tavolo, e che si fosse assentato apposta per evitarlo. Ciò mi arrecò dell’amaro dispiacere, ma d’altronde, con Riku non poteva essere altrimenti. Cercai di ignorare il suo comportamento e di mangiare con tranquillità qualcosa, giusto per recuperare qualche energia e riprendere, seppur futilmente, gli allenamenti.
Finito il pranzo, ringraziai per il buon pasto e mi congedai da loro, avvertendoli unicamente che avrei fatto un’altra passeggiata per la città; nonostante gli amici più anziani si scambiarono qualche sguardo incerto tra di loro, acconsentirono senza chiedermi nulla al riguardo.
“Cerca di essere a casa prima dell’imbrunire: con l’oscurità, le apparizioni degli Heartless aumentano di consistenza” mi avvertì Aerith con premura.
“Il calare della sera non dovrebbe causare problemi grazie ai dispositivi di difesa realizzati da Cid, ma la sicurezza, quando si tratta di Heartless, non è mai troppa. Resta nelle vicinanze, mi raccomando” si raccomandò Cloud, con la solita espressione crucciata.
“Sarò qui prima del tramonto, promesso,” risposi, annuendo pure col capo.
“Sicura di non volere una scorta?” mi domandò Leon, incrociando le braccia e osservandomi con espressione imperscrutabile; nonostante il suo atteggiamento da duro, mi parve che in realtà il lasciarmi a zonzo da sola, col rischio di un attacco da parte di qualche mostro fuori dalla norma, lo preoccupasse.
“Non c’è problema al riguardo, correrò immediatamente qui nel caso si presenti il pericolo” dissentii in tono cordiale.
“Beh, se gli altri non hanno niente su cui contestare…” disse Leon, voltandosi verso i suoi compagni; Aerith scosse il capo con un dolce sorriso, mentre Cloud incrociò le braccia e chiuse gli occhi con indifferenza.
“Grazie” risposi, chinando pure leggermente la schiena in avanti come segno di devozione, dopodiché corsi verso il portone d’ingresso ed uscii. Mi avvicinai al luogo in cui avevo nascosto i Chakram, sentendo come se sprizzassi d’energia da tutti i pori; mi chinai di fronte alla cassa ed allungai la mano verso la fessura, saggiando con cautela l’aria per evitare di ferirmi con le punte delle armi. Ciò che incontrai, a ben una ventina di centimetri di profondità, fu solo aria immersa nell’oscurità…
-Saranno finiti più in fondo…?- pensai, confusa; infiltrai la mano ancora più nell’apertura, praticamente fino al gomito, ma non arrivai a toccare nulla, all’infuori della parete, a destra, e delle assi di legno della cassa, a sinistra… Iniziai a esser inquieta: tastai ancora da una parte all’altra della fessura, introducendo il braccio fino alla spalla, dopodiché lo levai e provai a vedervi attraverso: fortunatamente, essa era aperta anche dall’altro lato, ma ciò che potei solamente intravedere fu una sottile porzione di muro e giardino…
-Non ci sono!- entrai nel panico: non potevo accettare di aver perso in modo così stupido il solo lascito di Axel, mai avrei potuto farlo…
Rimasi basita per un lungo istante davanti alle casse, dopodiché d’impulso mi precipitai dentro casa. Mi pietrificai non appena mi ritrovai di fronte ad Aerith; “Cosa succede? Hai dimenticato qualcosa?” mi chiese, ponendosi a mia disposizione.
Anche Leon, vedendomi di nuovo nell’ingresso, si avvicinò e mi osservò interdetto. Spostai lo sguardo dall’uno all’altra con frenesia, non sapendo come comportarmi e provando sempre più ansietà.
-Non posso rivelare loro di aver perso i Chakram! Mi chiederanno come ciò sia accaduto, e se loro lo scoprono…- iniziai finalmente a ragionare con più senno, dandomi anche gradualmente maggiore autocontrollo; cercai di inventarmi lì sul momento un motivo plausibile per la mia marcia indietro: “Sì, scusate, ho dimenticato di portarmi dietro un po’ d’acqua. Sembra che oggi faccia davvero caldo…” espressi la prima cosa che mi venne alla mente.
“Serviti pure nella dispensa, in cucina: l’acqua si trova nello sportello subito affianco al frigorifero. Puoi anche prenderne una da quest’ultimo, se la preferisci fresca” mi rispose Aerith con squisitezza.
“Grazie!” risposi, dirigendomi ora in cucina; tentai di sembrare molto naturale, sebbene trapelasse visibilmente la mia tensione: l’espressione del mio viso e la freneticità dei miei movimenti si sarebbero potuti notare a distanze astrofisiche…
Ad ogni modo, presi una bottiglietta da mezzo litro dalla credenza, e mi fermai un istante per riflettere: «Torniamo un attimo in camera e riprendiamo fiato…» decisi con più fermezza. Ero troppo nervosa, dovevo cercare di quietarmi un poco prima di andare a cercare i Chakram, o non avrei concluso nulla accumulando unicamente stress. Tornai dunque indietro sui miei passi, con molta calma; fortunatamente, i miei “coinquilini” parevano indaffarati: nella sala d’ingresso, vidi soltanto Cloud attraversare la stanza nel senso opposto al mio.
“Ehi” mi salutò soltanto, con un cenno del capo, senza fermarsi.
“Ciao” risposi, sentendo le guance accalorarsi tutt’a un tratto; era davvero un bel ragazzo, non riuscivo ad essere indifferente. Lui voltò immediatamente il capo: non ne potei esser certa, ma mi parve di aver visto il suo volto illuminarsi di un sorriso… Per l’imbarazzo, affrettai maggiormente il passo, salii le scale quasi di corsa e mi restò appena un po’ di fiato per raggiungere la mia stanza. Aprii la porta, e mi giunse spontaneo gettare un’occhiata sul letto. Spostando lo sguardo sulla sedia situata al lato destro del letto, li vidi…
“Ma…!” esclamai, fissando basita i Fuoco Eterno appartenuti ad Axel. Essi erano adagiati uno sull’altro in posizione verticale contro le gambe della sedia, quasi con cura…
Mi precipitai da loro e li presi strettamente nelle mani, incredula: come erano finiti nella stanza, non riuscii a spiegarmelo…
-Che qualcuno mi abbia visto? Ma no, sono stata molto attenta, quando li ho nascosti… Inoltre, nessuno ha posto domande al riguardo…- cercai futilmente una spiegazione plausibile, senza però ottenerla. Rimasi a fissarli per qualche istante, perplessa, finché non riconobbi che la risposta non era di gran importanza: il ritrovamento dei Chakram lo era stato. Strinsi con forza le dita attorno alle croci dei Fuoco Eterno, biasimando la mia condotta d’indubbia superficialità: -Mai più. Non permetterò mai più che questo si ripeta- ripromisi a me stessa.
Ovviamente, per uscire di casa con i Chakram il problema non si presentava: avevo ancora il materasso sotto il terrazzo, potevo usufruire di quello. Era il rincasare il vero grattacapo: come fare ad entrare senza farsi scoprire con le armi nelle mani?
Uscii un istante sulla balconata, per vedere se potevo trovare qualcosa di utile. Effettivamente, adagiata contro la parete a sinistra, vidi avvolta una fune color grigio pallido. Mi avvicinai e mi chinai sulle ginocchia, posando i Chakram sul pavimento, per esaminarla meglio: era un sottile cavo di fibre d’acciaio intrecciate e rivestite di uno strato di plastica. Insomma, un comunissimo filo da bucato, niente di straordinario. Mi rimisi in piedi e mi sporsi oltre la ringhiera, a pochi centimetri di distanza dal cavo, ed osservai la posizione del balcone. Potei costatare che, dal lato sinistro, avrei potuto calare il cavo senza che si notasse troppo. Dall’altro lato della terrazza, invece, si sarebbe potuto vedere, dato che era rivolto proprio sulla facciata principale della casa. Inoltre, non sarebbe stato parzialmente celato alla vista, cosa che con un po’ di fortuna, dal versante sinistro, avrebbe contribuito in un primo momento a negarlo alla vista.
-Non c’è altra via…- appurai con fermezza: presi la corda da bucato e iniziai a srotolarla, verificandone la lunghezza. Era molto più lunga di quanto mi fosse necessario, ma non fu un problema. Presi un lembo e lo calai oltre la ringhiera, verso l’esterno, finché non arrivò a toccare terra; presi poi l’altra estremità, e la feci completamente calare stavolta verso l’interno della ringhiera, in modo tale che la fune potesse scorrere da entrambe le parti semplicemente tirando uno dei due capi. Fatto ciò, spostai poi la parte che abbracciava la ringhiera fino alla parete, in modo da celarla un poco di più.
-Bene,- affermai, soddisfatta, osservando il mio operato: dovevo unicamente scendere e spostare i fili verso la parete, in maniera tale che non li si vedesse penzolare dalla terrazza. Ripresi intanto i Chakram, mi sporsi di nuovo dal balcone e, dopo aver preso accuratamente la mira, li lanciai sul materasso: s’infilzarono con un sordo tonfo, stavolta senza incontrare le molle.
Ridiscesi con fretta le scale con bottiglietta dell’acqua in mano, sorridendo compiaciuta, senza far caso a chi potessi incrociare; quando giunsi al portone d’entrata, difatti, mi sentii osservata, e mi parve addirittura di udire una strana e flebilissima melodia: mi voltai, leggermente inquietata, ma per quanto vagassi con lo sguardo per tutta la vastissima sala, non vidi nessun altro oltre a me, e nello stesso momento in cui avevo indirizzato gli occhi alle mie spalle, il suono era svanito… Feci spallucce ed uscii, probabilmente quella sensazione fu frutto della mia immaginazione a causa della forte tensione accumulata.

Giunsi finalmente alla mia “zona di addestramento”: era deserta, come solitamente lo era sempre stata anche secondo l’affermazione di Alek. Mi posi davanti al solito palo di legno, a circa una decina di metri di distanza o poco più, posai bottiglietta e Chakram a terra, e feci un po’ di stretching prima di cominciare, in modo tale da preparare i muscoli ancora indolenziti a lavorare ancora senza causarmi eccessivo dolore.
-Non ci conto molto, ma sempre meglio che rinunciare subito…- pensai con un poco d’amarezza, riconoscendo la mia debolezza ed incapacità incolmabili; ripresi il mio futile e ridicolo allenamento.
Per quanto fossi ostinata, non potevo ribellarmi alla mia scarsa forza e ad il mio fisico indebolito: mi ero da poco ripresa dall’incidente sulla Gummyship, senza escludere poi il doloroso risveglio a Crepuscopoli. Difatti, finii per abusare eccessivamente delle mie energie, tanto da dovermi fermare un momento a riposare per far cessare i giramenti di testa che andavano intensificandosi. Posai le mani sulle ginocchia, respirando avidamente: ero talmente affaticata che, oltre ai muscoli, ora pure i bronchi mi dolevano.
Stavo pensando che forse mi sarebbe convenuto maggiormente perlomeno sedermi, quand’ecco che mi sentii ancora osservata, sebbene tale sensazione fosse differente da quella di pocanzi. In un certo senso, l’avvertivo “meno pericolosa”. Gettai qualche frenetica occhiata alle mie spalle, cercando la presenza da me avvertita; vagai però a lungo con lo sguardo senza vederla… Infine, sollevai verso il cielo il naso, e a quel punto inspirai forte per lo sgomento…
Lo scheletro della palazzina in costruzione davanti a me, dato date le sue notevoli dimensioni, aveva piani piuttosto spaziosi; il terzo piano, difatti, incorniciava il cerchio arancione del sole, immerso in un cielo che, tenuamente, sfumava da un delicato color albicocca ad un giallo oro acceso. Da quel piano una figura umana oscura ma circondata da riflessi aurei ove gli ultimi raggi del sole la sfioravano, si mosse verso la mia destra, celandosi alla mia vista dietro uno dei pilastri; sussultai per lo spavento, ed il mio primo pensiero fu quello di fuggire, ma avvertii come se le gambe mi fossero state inchiodate al terreno…
Prima che cominciassi seriamente ad entrare nel panico, vidi la figura spuntare nuovamente, con passo posato, oltre il pilastro; essa procedette verso il palazzo affianco, più basso, e vi saltò con grazia e abilità sovrumane sul tetto, rivelandosi. Posto col viso di tre quarti verso di me, mentre il resto del corpo era quasi completamente di profilo, v’era Riku. Egli mi fissò con incalcolabile disappunto e biasimo per un brevissimo istante, quel tanto che bastava per mortificarmi come solo lui era in grado di fare. Lo vidi voltarsi con sdegno ed allontanarsi, balzando nuovamente al di là del tetto, oltre il mio sguardo.
Chinai remissivamente il capo, provando una stretta al cuore: l’idea che Riku avrebbe potuto rivelare le mie attività al di fuori della villa, in verità, non mi sfiorò subito; ciò che davvero mi doleva, era la mia incapacità di comprendere il motivo per cui Riku provava inimicizia nei miei confronti. Continuare a non capire dove io sbagliassi, sembrava peraltro allontanare il ragazzo sempre di più…
Quando tornai a guardare il cielo e ripensare che era giunto oramai il crepuscolo, ricordai la promessa fatta ad Aerith; solo in quel frangente il timore che Riku avvertisse gli altri del mio esercizio, per di più così prossima alla Terra di Nessuno, per ripicca o chissà cos’altro, mettendomi in cattiva luce con gli altri o facendomi rischiare come minimo il divieto assoluto di uscire.
Per quanto stupido e futile fosse, raccattai in fretta e furia i Chakram e la bottiglia d’acqua e corsi come una freccia verso casa. Una persona potrebbe stentare di giustificare il mio gesto sostenendo che, magari, il tempestivo ritorno era far giungere una giustificazione a coloro che si ritenevano “miei responsabili”, e che l’immediatezza con cui essa sarebbe giunta avrebbe potuto rendere i miei curatori più clementi. Un ragionamento seguito ovviamente solo da menti infantili, ma una parte di me, seppur infinitesimale, ci sperò vivamente. Avevo con me quel sentimento disperato del colpevole che si denuncia innocente fino alla fine: mentre correvo nelle strade che andavano oscurandosi tetramente e le prime stelle iniziavano già ad accendersi nel cielo sempre più cupo, pensavo già che la priorità sarebbe stata nascondere i Fuoco Eterno.
Ovviamente, però, non potei fare a meno di osservarmi attorno: con le ombre che, lentamente, si dipanavano, avvertivo in maniera crescente l’illusione di braccia che si allungavano e protendevano le loro mani adunche verso di me; eppure, sapevo benissimo che così non era: soffermando a volte meglio lo sguardo nelle tenebre più nere, vedevo distintamente che non c’era nulla in movimento, era solo l’illusione prodotta dalla proiezione delle ombre degli oggetti al rapido calar della notte. Nonostante ciò, quasi mi fiondai
Corri!
immediatamente verso il portone d’ingresso, scordandomi di avere ancora le armi in mano.
Riacquistai la calma a pochi metri dall’entrata, giusto in tempo per svoltare prima che qualcuno avesse potuto scorgermi dalle finestre poste ai lati della porta; mi affrettai a raggiungere la corda che avevo lasciato penzoloni dal mio terrazzo, legai entrambi i Chakram ad un suo capo e li issai rapidamente verso la ringhiera, facendo attenzione che non urtassero la parete. Una volta che raggiunsero la ringhiera, tirai gradatamente la fune affinché i Fuoco Eterno si sollevassero e cadessero verso l’interno del balcone, oltrepassando la ringhiera; fortunatamente, dopo un bel po’ di sforzi riuscii nel mio intento, sebbene essi produssero rumori non trascurabili. Nn mi restò che supplicare che i presenti all’interno della casa ignorassero il fracasso e correre come il vento dentro casa.
Entrai e mi richiusi la porta alle spalle con lo stesso atteggiamento di chi era appena fuggito da un branco di Utahraptor digiuni da settimane e che cercava di barricarsi disperatamente in casa nella speranza di sottrarsi al triste destino…
Quando, infatti, mi voltai verso la scalinata, vidi Aerith, Leon, Yuffie e Sora osservarmi con sguardi interdetti, non comprendendo che mi avesse preso.
“Beh, ti avevamo chiesto di tornare prima di sera, ma non intendevamo che avresti dovuto correre come se attardarti avesse avuto conseguenze tremende,” rise Aerith.
Io gettai occhiate ancora spaurite su di loro, non sapendo ancora cosa dire; l’affermazione di Aerith mi fece credere che, forse, ancora non sapevano nulla riguardo il mio allenamento, e che nemmeno sospettassero qualcosa…
“Hai incontrato Heartless sulla via del ritorno?” mi chiese accorto e preoccupato Leon, avvicinandosi un poco verso di me; ciò mi scosse finalmente dal torpore del dubbio, permettendomi di cominciare a spiccicare qualche parola: “N… No! Almeno… io non ne ho visti…” risposi d’impulso, avvertendo le guance accalorarsi un pochino, “Sebbene… abbia avuto uno strano presentimento…” aggiunsi con voce sommessa, grattandomi nervosamente il braccio sinistro.
“In effetti, la loro presenza è opprimente, stasera…” sopraggiunse il tono cupo di Cloud. Ci voltammo tutti verso di lui: sopraggiungeva probabilmente dalla cucina, aveva un passo flemmatico ma risoluto, e rivolgeva lo sguardo verso la finestra. Non fissava alcuno punto particolare, o meglio, non poteva farlo perché le tenebre avevano avvinghiato ogni cosa su cui si sarebbe potuto posare lo sguardo.
“Intendi gli Heartless?” chiese Sora, confuso, portandosi le braccia dietro il capo nella sua inconfondibile, solita posa.
Cloud non rispose, si limitò a mantenere fissi gli occhi sull’oscurità all’esterno, come se egli fosse in attesa o vigilasse.
“È lo stesso presentimento?” mi chiese Leon, indicando col capo Cloud.
Io chinai il capo di lato, grattandomi la nuca e fissando il pavimento perplessa: “Non saprei…” risposi onestamente, “È difficile capirlo, mi è sembrato come se avessi rivissuto alcune paure di quand’ero piccola… Questo ambiente per me nuovo mi è molto suggestivo, potrebbe esser dovuto semplicemente al fatto dell’adattamento…” ipotizzai la motivazione più logica e obiettiva.
Leon incrociò le braccia e mi osservò, in parte persuaso: “Non hai tutti i torti, potrebbe essere così, sebbene anch’io non mi senta abbastanza tranquillo questa sera” confessò.
Paradossalmente, sembrava proprio che Riku non avesse rivelato loro nulla del mio “luogo segreto”; mentre pensavo ciò, voltai lo sguardo con fare distratto verso la cima della scalinata. Fu in quell’istante che incontrai i suoi occhi freddi… quasi trasalii per lo sgomento per la repentinità della sua apparizione; Riku invece non fece la minima piega: seguitò a fissarmi con astio e diffidenza, e per un istante temei fosse giunto a denunciare a tutti la mia attività. Invece egli, come aveva preso a fare da poco, si limitò a voltarsi con gelido distacco e a tornarsene probabilmente nelle proprie stanze. Rimasi a fissare allibita il punto in cui egli aveva sostato, non credendo a ciò che avevo appena assistito: non aveva inveito contro di me, né sollevato un’accusa minima nei miei confronti, nonostante avesse avuto l’ottima occasione da cogliere al volo…
“Andrete quindi a fare la ronda?” mi disincantò una voce femminile molto vivace; distolsi lo sguardo da dove Riku aveva sostato e lo rivolsi alla persona che aveva parlato: era Yuffie, la quale pareva ansiosa di partecipare, da come agitava il suo gigantesco Shuriken.
“Sì, inizieremo dalla periferia. Intendi unirti a noi?” chiese Leon.
“E me lo chiedi?” esclamò lei, facendo roteare con maestria il suo Shuriken; poiché la mia arma non era di molto differente dalla sua, osservai Yuffie con molta amarezza e delusione, comprendendo che io e lei eravamo su due piani completamente differenti, e che probabilmente mai l’avrei eguagliata.
-Mi ha concesso la grazia? Perché mai…?- mi chiesi, tornando ad osservare con rammarico l’angolo della parete oltre il quale Riku era scomparso; riflettendo però con molta attenzione, iniziai a temere che egli si sarebbe potuto servire della mio atto di disobbedienza in seguito, probabilmente per ricatto. Ero quasi certa che l’avrebbe sfruttato per un quasi scontato pseudo interrogatorio, o qualcosa comunque molto simile. Rabbrividii per questo.
“Phoenix” mi chiamò infine qualcuno; mi voltai verso quella voce, e vidi Aerith sorridermi in modo così materno da mettermi a disagio. “La cena è già pronta, se vuoi accomodarti a tavola,” mi avvisò.

In sala da pranzo, a parte per quanto riguardava Yuffie e Sora, fummo tutti piuttosto silenziosi; non conoscevo molto le loro abitudini a tavola, ma rispetto la prima volta che avevo cenato con loro, non sembrava che chiacchierassero molto e nemmeno molto spesso a tavola. Di tanto in tanto, Leon, Cloud, Aerith e Kairi facevano qualche piccolo intervento nelle affermazioni di Yuffie o di Sora, ma tra di loro si scambiarono pochissime parole. Ciò che mi crucciava di più, era comunque seduto capotavola alla mia sinistra, seminascosto dalla figura di Cloud: Riku. Egli, poco prima, aveva attraversato con espressione accigliata la sala, sedendosi al proprio posto, senza degnare di uno sguardo nessuno. Anche mentre cenavamo, da quel poco che potevo osservare, Riku manteneva lo sguardo fisso sul proprio piatto mentre mangiava, sempre con aria severa. Ciò mi avrebbe dovuto tranquillizzare almeno un po’; invece, la sua noncuranza verso i suoi stessi compagni mi rendeva ancora più irrequieta. Anche se sembrava non curarsi di nulla e di nessuno, avevo comunque la sgradevole sensazione di essere tenuta d’occhio, pur sapendo che egli contemplava unicamente il proprio piatto…
“Qualcosa non va?” mi chiese, qualche istante dopo, una calda voce maschile inaspettata; sussultai sulla sedia, colta alla sprovvista, e sollevai gli occhi sulla fonte. Incrociai gli azzurri occhi di Cloud, i quali erano meno torvi del solito: mostrò una sottile preoccupazione nei miei confronti, di cui nemmeno io ne compresi il motivo…
“La cena non è di tuo gradimento?” mi chiese anche Aerith, mostrandomi anche lei, per la prima volta, un’apprensione appena visibile sul suo viso luminoso.
“N… No! E’ solo che…” cercai di spiegarmi, arrossendo, quando mi accorsi gettando qualche occhiata sugli altri presenti che tutti loro, all’infuori ovviamente di Riku, mi stavano fissando… Avvertii le guance accalorarsi ancora di più, ma tentai ugualmente di proseguire: “Stasera non mi sento molto a mio agio, scusate…” confidai loro, chinando il capo con evidente imbarazzo.
Seguì un opprimente silenzio; fu Aerith a prendere infine parola: “Puoi alzarti da tavola, se vuoi, nessuno ti costringe a restare” parlò ella, in tono posato e comprensivo.
“Voi o la cena non siete il motivo…” cercai di far intendere loro, dispiaciuta che potessero supporre ciò, ma non potendo confessare loro la verità della mia irrequietezza: essa era provocata da Riku e i miei timori, non di certo dalla compagnia o dal cibo.
“Non devi preoccuparti, anche noi avvertiamo una certa tensione nell’aria,” affermò Leon, volendo rassicurarmi.
“Tensione?” ripeté Sora, confuso.
“Qualcosa pare attendere fuori” mormorò Cloud, rabbuiandosi in volto.
“Temiamo un’alta concentrazione di Heartless. Sembra che abbiano deciso un attacco di massa, ma niente che non possa rientrare nell’ordinario di un tempo, quando esisteva ancora l’Organizzazione XIII. Diciamo che questo genere di attacchi è diventato molto raro, ma questa sera si è fatto sentire più del solito, come se non fosse stato previsto” cercò di spiegare Leon.
“Previsto da noi?” chiese Kairi, osservando Leon interdetta: le sembrava logico che loro non potessero prevederlo, per cui quell’affermazione le parve superflua.
“Da loro stessi” disse in tono cupo Cloud, fissando la finestra della sala che era più vicina alla facciata frontale della casa.
Non compresi, al momento, cosa loro intendessero; li osservai repentinamente ad uno ad uno, smarrita, continuando a non capire.
Aerith dunque mi posò una mano sulla spalla, serrandovi con delicatezza le dita; mi voltai verso di lei, incontrando il suo splendido, limpido sorriso, che mi confortò un poco e mi fece tralasciare quasi del tutto la questione, come se mi suggerisse che non me ne dovevo preoccupare. “Va pure nelle tue stanze, arriverò più tardi per finire di medicarti” mi consigliò con voce amabile.
Non ebbi la minima indecisione al riguardo; il suo sorriso e la sua voce volevano comunicarmi che andava tutto bene, non dovevo assillarmi inutilmente per qualcosa che si sarebbe comunque risolto. Ringraziai per la cena, mi alzai da tavola e mi recai nella mia camera da letto.
Stavo riportando dentro i Chakram, quando ricominciai a riflettere sulla discussione durante la cena e, conseguentemente, a preoccuparmi sulle parole che si erano scambiati tra di loro. Richiusi la finestra e mi sedetti sul materasso del mio grande letto, facendo roteare un po’ i Fuoco Eterno con semplice movimento di polso.
-Non previsto da loro stessi…- mi soffermai in particolare sulle parole di Cloud, il quale si era sicuramente riferito agli Heartless. Facendo mente locale, sapevo che attualmente gli Heartless non erano diretti da nessuno, e che quindi erano tornati ad agire per puro istinto. Era dunque difficile che essi si riunissero in grande quantità, se non per imposizione da parte di terzi o perché, forse, attirati da qualcosa.
-Da loro stessi- mi risuonò la tetra voce di Cloud nella testa, mentre fissavo corrucciata il Chakram nella mia mano destra ruotare di poche decine di gradi alternativamente prima in un senso, poi nell’altro; l’arrivo degli Heartless, quindi, era in un qualche modo inaspettato, qualcosa che travisava il loro modus operandi; era assurdo dirlo, poiché loro non erano esseri senzienti e, di conseguenza, incapaci di organizzarsi e pianificare, ma sovveniva affermare che era qualcosa che essi non avevano programmato. Qualcosa li aveva indotti a radunarsi nella città di Radiant Garden. Riflettendo sulle possibili cause di questo evento, tornai un attimo a riflettere sui due punti cruciali precedenti: esclusi a priori la presenza di qualche altro nuovo arcinemico, qualcosa mi suggeriva che non era quello il motivo plausibile. Mi soffermai piuttosto sul secondo: -Qualcosa li ha attirati…- cercai di focalizzare bene quest’ipotesi. Rammentai improvvisamente alcune parole di Re Topolino, durante il nostro primo incontro: potrebbero essere sulle tracce della ragazza. Fu come se la mia mente si illuminasse tutt’a un tratto.
Ciò che faceva convergere gli Heartless in gran numero, in un sol punto, potevo essere io. Che cosa essi volessero da me, lo ignoravo completamente: non avevo un cuore forte, né a mio parere puro, per cui non vedevo ragione di dare ad esso la caccia. Forse, c’entrava davvero col fatto di esser stata ritrovata proprio in un Corridoio Oscuro? Anche la mia presenza in quel luogo mi era sconosciuta, non riuscivo nemmeno ad immaginare il motivo per cui mi fossi trovata proprio lì. Se per gli Heartless c’era stato, d’altronde, uno scopo per quello strano caso, mi era impossibile anche il solo supporlo… Tale obiettivo, ad ogni modo, avrebbe potuto averlo un essere senziente, vale a dire che fosse stato in grado di guidarli, ma avendo escluso a priori che tale soggetto esistesse, negai conseguentemente la sussistenza dello scopo stesso. Mi chiesi dunque cosa potesse spingerli ad accorrere come falene alla luce di una lampada…
Lo sguardo mi ricadde sul Chakram sostenuto nella mia mano destra; fu in quell’istante che mi fu suggerita una possibilità, per quanto vaga: -Io… sono in grado di usare i Chakram… Potrei possedere poteri simili a quelli di un Nessuno… Poteri forse appartenenti all’oscurità…- riflettei, cessando di giocare con i Fuoco Eterno appartenuti un tempo addietro ad Axel, mentre avvertivo la temperatura del mio sangue diminuire a poco a poco. -È per questo che mi cercano? Vogliono tale potere…- chiesi tra me e me, sollevando anche il braccio sinistro per poter osservare entrambe le armi, serbando sempre più ansia e turbamento nel cuore, -o mi ritengono una di loro?- ammisi alla fine il mio vero tormento.
Che Riku avesse, in verità, ragione? Tale ipotesi mi gettò nello sconforto, poiché io per prima non mi ritenevo nemmeno lontanamente simile a nessuno dei loro nemici. Non sapevo se il seme del male potesse essere impiantato da terzi e successivamente germogliasse nel corpo ospite, ma così, per me, non era; ero certa che fosse, invece, qualcosa che una persona si sarebbe dovuta sentire dentro il proprio animo, ed ebbene, io avvertivo fortemente nel mio che non ero un’essenza maligna, se così la vogliamo definire. Ho sempre rinnegato, inoltre, la possibilità di Tizio che divenisse malvagio dall’oggi al domani, per quanto avesse validissime ragioni nei confronti di Caio.
-Non sono un nemico! Io qui non ci vorrei nemmeno essere!- iniziai a lasciarmi sopraffare dall’amarezza, mentre una lacrima solcava già la mia guancia. Posai i Chakram contro le gambe della sedia, dopodiché mi stesi sul letto e mi rannicchiai sopra le coperte, lasciando scivolare le lacrime e senza emettere alcun suono. Strinsi un lembo del cuscino: il suo materiale soffice mi avrebbe forse dato un poco di conforto.
-Che mi succede? Non doveva esser soltanto un sogno…?- cercai di distogliere i pensieri su altro, ma fu tutto inutile; il malessere che avvertivo per quello che stava accadendo mi perseguitava, pungente come una lama di ghiaccio conficcata nel cuore. Volevo risvegliarmi nel letto di casa mia, come se destata da un sogno così brutto da sembrare reale e da farmi piangere durante il sonno; niente di più.
-Perché mi importa così tanto?- mi chiesi poi, biasimandomi; per quanto mi sforzassi di convincermi che tutto quello che stavo vivendo non era la realtà, una parte di me continuava a soffrire come se la situazione ch stavo vivendo lo fosse. Pensai che, forse, tutto quell’afflizione che avevo in cuore fosse solo frutto del dolore, da me represso da sempre, che iniziava a manifestarsi durante il mio sonno, coma, o qualunque cosa fosse.
Passarono parecchi minuti, finché non udii bussare alla mia porta: “Sono Aerith, posso entrare?” mi fu chiesto. Ero sfinita, sia per le fatiche fisiche della mio “allenamento”, che per quelle psicologiche a causa del fallimento del mio allenamento stesso, di Riku e del mio sfogo di lacrime non ancora completamente superato. Nonostante non fossi granché disposta a ricevere qualcuno, tantomeno per delle cure, mi alzai a sedere sul materasso, cercando di ricompormi almeno un poco: mi asciugai il viso con il dorso e la manica della mano sinistra, poi rimisi un poco in ordine i capelli passando tra di essi le dita.
“Sì” le risposi affermativamente, alla fine. Ella dunque aprì la porta ed entrò, facendomi uno dei suoi cari sorrisi; sembrò sapere cosa avevo passato fino a qualche istante prima, e che l’unica, vera cura, era un semplice sorriso sincero e rincuorante, senza esagerare: il sorriso di chi forse sa, ma tace per non causare imbarazzo, senza però negare tutto il conforto di cui si ha bisogno.
Un sostegno che io non avevo mai avuto…
  
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