Capitolo 13
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Get through this night there are no second
chances/
This time I might/
To ask the sea for answers.
Mettiamoci
in testa che stanotte non ci sono altre possibilità/
Questa volta potrei/
Domandare
al mare delle risposte.
(Placebo,
Ask for Answers)
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Mi svegliai di
soprassalto nel bel mezzo della notte col cuore che andava a mille, ansimando
come se avessi corso la maratona.
Jack, che dormiva
accanto a me, si spostò impercettibilmente e, sempre dandomi la schiena, chiese
- Hai fatto un
incubo?
Io annuii e deglutii,
mi resi conto che non poteva vedermi e gli risposi a voce. Jack si girò a
guardarmi; aveva gli occhi annebbiati per il sonno e la voce impastata
- Sono due settimane
di seguito ormai.
Notò, quindi
sbadigliò e si stiracchiò. Era vero; avevo preso l’abitudine di farlo dormire
Però c’erano gli
incubi.
Facevo incubi che mi facevano svegliare con il fiato corto, senza che mi
ricordassi nulla una volta in piedi. Succedeva una notte su due da ormai due
settimane, ed era francamente insopportabile.
Vidi che Jack si
alzava e frugava nella sua borsa, quindi gli domandai con voce secca
- Che cerchi?
- Camomilla e
pastiglie.
Fu
- Non sapevo se avevi
camomilla a casa.
Disse a mò di giustificazione
- E poi questa è
biologica.
- E le pastiglie?
Chiesi, indicando con
un cenno della testa il barattolino
- Uh? Ah, è
valeriana. E’ piuttosto blanda come cosa, ma con me funziona. Stai fermo qui,
torno subito.
- Non mi muovo.
Assicurai chiudendo
gli occhi.
Mentre aspettavo che
la camomilla infondesse, riflettei su quegli incubi.
Erano cominciati più
o meno quando io avevo cominciato a restare ospite fisso per dormire, quindi
forse c’entravo qualcosa. Presi l’appunto mentale di chiedere a Janette, che era psicologa, se la cosa avesse qualche
fondamento logico, quindi afferrai una tazza, ci versai dentro la camomilla
rovente e tornai nella stanza. Mentre passavo per il salotto feci in tempo ad
accorgermi che Patti si era riuscita a sollevare su quella
zampette cicciotte abbastanza per salire sul divano,
ma decisi di non badarci fino al mattino seguente.
- Tieni.
Dissi, porgendo la
tazza a Tyki, che la guardò sospettoso, ma ad un mio
cenno affermativo bevve, quindi fece una smorfia
- Non sa di niente.
Si lamentò. Io mi
strinsi nelle spalle
- E’ biologica.
Dissi; per me
spiegava tutto. Lui, guardando la tazza con ancora più
sospetto, mi domandò
- Sei sicuro che
questa roba funzioni?
- E’ un rilassante,
quindi sì. Non voglio più passare una nottata con te che ti rigiri come un
kebab sullo spiedo perché non riesci a dormire, per cui ingoia anche queste.
Sentenziai,
allungandogli due pastiglie. Lui, rassegnato, le buttò giù con la camomilla.
Mentre aspettavo che
finisse di bere, seduto sul letto con le gambe incrociate, mi buttai
- Forse potrei, hem, non venire più. Per un po’.
- Perché?
Domandai, buttando
giù l’ultimo sorso di camomilla. Jack si agitò, a disagio.
- Bè,
questi incubi sono cominciati quando ho cominciato a
dormire qui, per cui… Forse…
- Continua.
- Forse se non vengo
più per qualche settimana e poi smettono, ecco, sappiamo il perché. E poi tra…
Si fermò a pensare un
attimo
- …Tra
tre settimane è il tuo compleanno. Non voglio che ci arrivi con le occhiaie
fino al mento.
Io annuii. Il mio compleanno, era pure vero.
- Che fai per natale?
Domandai. Jack scosse
la testa
- Vado da mamma e
papà. Tu?
- Mamma, papà e sorella
vengono da me.
- Figo!
Per quanto?
- Solo qualche
giorno. Odiano Londra con tutto il cuore.
Jack riflettè su questo, poi mi chiese
- Cosa fai a
capodanno, invece?
- Niente, al momento…
Ma sai, gli inviti arrivano sempre all’ultimo. Tu che
fai?
- Non festeggio
capodanno da circa sei anni.
Sorrise lui, al che
io tossii
- E perché, scusa?
Lui tentennò
- Perché mi sembra
tristissimo festeggiare l’addio ad un anno, e poi… Bè, sei praticamente obbligato ad andare ad una festa,
altrimenti sembri uno sfigato e poi… Insomma, hai capito.
- Penso di sì.
Annuii, poi
sbadigliai. La camomilla faceva effetto, forse?
- Buona notte.
Dissi, stendendomi.
Jack si accomodò a sua volta e chiuse gli occhi.
Più avanti nella
nottata, si girò e mi abbracciò nel sonno. Io non mi sottrassi.
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Quando Lavi entrò mi
vide con la testa sulla scrivania, i capelli spettinati (non che mi fosse
realmente possibile pettinarli) e il respiro regolare che andava al ritmo del
sonno.
- Ma che fai?!
La sua esclamazione
mi fece tornare alla realtà in modo improvviso e, oserei dire, scioccante.
Scattai come un tappo da spumante, gli occhi aperti e vigili e la schiena
dritta, e quando vidi che era lui mi rilassai.
- Scusa.
Bofonchiai,
stiracchiandomi. Lavi mi guardò incredulo
- Da quando in qua ti
addormenti al lavoro? Sei impazzito?
- Stai calmo.
Sbadigliai,
scompigliandomi i capelli per tenerli lontani dagli occhi
- E’ solo che
stanotte non ho dormito bene… Tutto qua.
Effettivamente,
pillole e brodaglia mi avevano fatto entrare in un piacevole stato di
dormiveglia, che tuttavia non era sfociato nel sonno. A beffa mia, Jack aveva
dormito benissimo, senza ausilio di infusi o pasticche.
- Soffri di insonnia?
Domandò Lavi,
sedendosi sul bordo della scrivania
- No, mai sofferto.
Prima d’ora, intendo.
Per ribadire il fastidio che la situazione mi creava, sbadigliai
di nuovo.
- Sarà lo stress
lavorativo.
- Sarà.
Gli feci eco,
appoggiando la testa tra le mani e chiudendo gli occhi di nuovo.
- Che belle occhiaie.
Ghignò Lavi, al che
gli tirai addosso un portapenne vuoto, che lui schivò
e che quindi si andò a schiantare contro la parete producendo un rumore sordo. Bum!
- Una volta mi
beccavi.
Fece Lavi con una
punta d’ammirazione, probabilmente rivolta a sé stesso.
- Una volta riposavo.
Replicai, alzandomi e
facendo per uscire: una tazza di caffè.
Forse sarebbe servita
a svegliarmi un po’.
Composi il numero di
cellulare di Tyki ed aspettai pazientemente che
rispondesse
- Ti va un servizio
di caffetteria a domicilio?
Gli domandai quando
rispose
- Sono al lavoro.
- Lo so, per questo
mi offro. Starbucks?
- Cappuccino con
cannella?
Disse, con un filo di
speranza.
- Rischierò la vita
per procurartelo.
Assicurai, facendo
per riagganciare, ma Tyki mi fermò
- Aspetta, aspetta… Lavi chiede se gli puoi prendere un caffè nero in
tazza grande.
Sospirai con un mezzo
sorriso.
- D’accordo.
- Cerca di arrivare
prima delle undici e mezza, d’accordo?
- Agli ordini.
- Lo dico per te.
Si difese Tyki
- Sai cosa ti fa il
mio capo se vede te, sconosciuto, che molesti sessualmente un suo impiegato
durante delle ore che non sono di pausa?
- Mi appende per le
tonsille?
- Possibile.
Confermò lui, prima
di salutarmi e riattaccare.
- Appena in tempo.
Commentò Lavi quando
Jack entrò nel mio ufficio con il fiatone ed un cartone di Starbucks
contenente quattro tazze di plastica.
- Scusa tanto.
Replicò quest’ultimo,
aprendosi il cappotto, accaldato per il passaggio improvviso di temperatura.
- L’hai trovato alla
cannella?
Domandai, prelevando
il cartone dalle sue mani intirizzite. Lui annuì e tirò fuori dalla tasca del
cappotto delle bustine
- Zucchero, zucchero di canna, dolcificante, dolcificante biologico e…
Guardò l’ultima serie
di bustine con espressione interrogativa
- … Dolcificante
biochimico?
Tirò ad indovinare,
porgendomele tutte. Io scelsi lo zucchero normale, Lavi quello di canna, e Jack
invece il dolcificante. Si accomodò sedendosi sul bordo della mia scrivania,
come aveva fatto Lavi prima, e cominciò a bere.
Lavi, dal canto suo,
dopo qualche minuto di chiacchiere, prese il suo bicchiere ed
uscì; quando fu uscito, Jack bevve rumorosamente dalla sua tazza
- Ora che non ci sono
testimoni puoi baciarmi? Non mi hai neanche salutato.
Disse, buttando il
bicchiere nel cestino vicino alla scrivania. Io mi avvicinai e gli diedi un
bacio sulle labbra, staccandomi quasi subito.
- E’ sempre meglio
essere discreti.
Dissi come
spiegazione rivolta allo sguardo annebbiato che mi aveva rivolto.
Io annuii
contrariato… Ma d’altronde non mi aspettavo che mi saltasse addosso. Mi
stiracchiai e ripresi sciarpa e cappotto
- Meglio che vada.
Dissi, avvolgendomi
la sciarpa di lana rossa attorno al collo ed infilandomi i guanti lisi.
- Non ti sarai mica
offeso per questo?
- Figurati. Ma devo
davvero filare.
Assicurai,
abbottonandomi il cappotto ed uscendo dall’ufficio salutandolo. Mentre aspettavo
l’ascensore mi si affiancarono diverse persone, tra
cui Lavi, che mi salutò sorridendo; risposi al saluto e, una volta in
ascensore, presi a canticchiare.
My name is Jorge Regula, I’m walking down the street, I love you… let’s go
to the beach.
Sognare di spiagge e posti
caldi durante il mese più freddo dell’anno era rinfrancante, pensai mentre
attraversavo a piedi i dieci isolati che separavano i palazzi con gli uffici
dalla fermata della metropolitana. Una volta in metro, mi squillò il cellulare…
Era Tyki, ovviamente. Che mi chiedeva di restare a dormire
- Anche stanotte?
Domandai,
genuinamente stupito e senza riuscire a nasconderlo. Tyki rise al telefono
- Devo dedurre che è
un no?
- Figurati, è solo
che è, come dire, strano. Cioè, capiscimi… Abbassati alla mia posizione e dimmi
che dovrei pensare.
- Niente di torbido,
tranquillo.
- E gli incubi?
Mi lasciai sfuggire.
Tyki rimase in silenzio per un po’
- Può darsi che
stasera non ne abbia.
Disse, poco convinto
persino lui.
Ovviamente ne ebbi, e
ovviamente non me ne ricordai neanche mezzo secondo. Jack, ormai abituato, si
era solo girato a guardarmi con gli occhi cisposi di sonno.
- Niente camomilla?
Avevo chiesto,
deglutendo a fatica e bevendo un sorso d’acqua da una bottiglia vicino al
letto. Lui aveva scosso la testa e si era stiracchiato
- Non mi pare che
abbia funzionato la volta scorsa.
Notò, con un acume
che gli era insolito alle due del mattino. Io annuii ed
appoggiai la schiena alla tastiera del letto, coprendomi gli occhi con entrambe
le mani; Jack mi si era avvicinato e mi aveva abbracciato, appoggiandomi la
testa sul costato
- Dammi un bacio.
Disse all’improvviso,
voltando la testa verso di me
- Cosa?
- Ho detto scendi da
lassù e dammi un bacio, per favore.
- No.
- E perché?
- Perché sì?
- Perché voglio un
bacio, anche solo sulla fronte. E poi, perché no?
Replicò lui,
accomodando di nuovo la testa sul mio fianco, rassegnato. Dopo cinque minuti si
era già riappisolato, ed io cercavo di staccarmelo delicatamente di dosso per
non svegliarlo; ovviamente, durante una delle mie manovre, lui si svegliò.
- Bastava dire che
eri scomodo.
Commentò,
allontanandosi il più possibile da me. Io sospirai e gli misi una mano sulla
spalla per chiamarlo
- Che c’è?
- Non ero scomodo.
Dissi. Jack mi guardò
disinteressato
- E allora perché mi
staccavi? Vorrei ricordarti che mi hai chiesto tu di restare.
- Lo so.
- E ti rifiuti pure
di baciarmi. Anche in assenza completa di testimoni.
- Lo so.
Ripetei, abbassando
la testa. Sentii che Jack si stendeva, dandomi la schiena
- So che è tardi e
che abbiamo sonno tutti e due, ma vorrei dirti una
cosa importante e vorrei che tu mi ascoltassi seriamente. Non puoi farmi venire
qui e farmi restare per la notte aspettandoti che me
ne stia in un angolo solo per fare da tappezzeria di compagnia, non puoi
rifiutarti all’infinito di mostrarmi in pubblico, non puoi nasconderti
all’infinito e non puoi nasconderci
all’infinito. Non puoi andare a giornata, un giorno decidi di fare l’espansivo
e l’altro invece ti rifiuti di toccarmi, perché io ne esco scemo e più confuso
di te. Non puoi, non è giusto, ed io non ci sto.
Puntai gli occhi
sulla sua schiena, una vaga curva obliqua resa grossolana dalle coperte pesanti
- Tutto questo solo
perché non ho voluto baciarti?
- No, è una cosa più
generale.
- Io non credo.
- E io non credo che
mi importi che tu ci creda o no, il messaggio immagino tu l’abbia recepito.
Buonanotte.
Chiuse il discorso,
zittendosi e chiudendo gli occhi. Dopo qualche minuto
il suo respiro si fece più profondo e regolare, e quando mi avvicinai per
guardarlo mi accorsi che si era addormentato, con gli occhi serrati e la bocca
semiaperta. Gli scostai i capelli dalla tempia e gli diedi un bacio leggero ed
impalpabile come zucchero filato, poi mi girai dal mio lato e mi addormentai,
con la sua schiena che premeva contro il mio fianco.
Chissà, forse quel
bacio che tanto aveva agognato si sarebbe depositato nel suo inconscio, e il
mattino dopo si sarebbe svegliato contento.
Mi svegliai presto, diciamo
prima delle sette, mi girai sulla schiena e, guardando il soffitto, mi misi a
riflettere.
Certo, tutti quanti
consideravano cosa sentiva e pensava Tyki, ma io?
Anche io ero in un bel casino. Lo so che nei confronti di Tyki sembrava una
cosa banale, della serie “Lo so che a te hanno sparato il sale, Joe, ma io
avevo quella dannata unghia incarnita!”, ma era quello che sentivo.
Mettersi nei miei
panni, più che confusionario, era snervante, perché si andava a periodi come le
maree: durante l’alta marea ricevevo baci, abbracci,
carezze e anche qualcosina di più, durante la bassa
nisba. Ed è dura fare a meno di certe attenzioni una volta che ti ci sei
abituato; è dura fare a meno anche di un abbraccio, se ti sei abituato a
riceverne come niente.
Pensando a questo mi
girai sulla pancia, puntellandomi sul materasso coi
gomiti, e guardai Tyki che dormiva steso sulla schiena, con il viso voltato
verso destra. Rimasi per un po’ ad osservarlo
ammirato, come un appassionato d’arte può guardare una scultura particolarmente
ben riuscita, poi presi coraggio e, sperando di non svegliarlo, mi avvicinai,
avvicinandomi al suo viso quanto più possibile.
Non so cosa mi prese
dopo, so solo che ero a cavalcioni sopra di lui, ben
attento a non toccarlo, e Tyki ancora dormiva. Che sonno pesante, pensai avvicinando nuovamente il mio viso al
suo.
Quando aprì gli occhi
per poco non mi venne un attacco colpo apoplettico; a
mio favore posso dire di essere rimasto completamente immobile, a sbattere le
palpebre, come un coniglio ipnotizzato in mezzo all’autostrada.
- Che stai facendo?
Domandò Tyki,
assumendo la mia stessa identica espressione. Io abbassai l’angolo della bocca
e strinsi le spalle, non sapendo che dire; che stavo facendo, in effetti?
- Perché sei a cavalcioni sopra di me?
Chiese di nuovo Tyki,
guardandosi l’addome, dove io mi ero seduto quando lui mi aveva rivolto la
prima domanda. Senza rispondere, mi appoggiai più in basso e lo baciai,
accarezzandogli prima il petto per poi scendere fino al bordo dei pantaloni, finchè lui non mi bloccò la mano, senza però staccarsi da
me.
Per la prima volta
cercai di divincolare la mano che lui stringeva; era più che contento di
vedermi e di vedermi in quella posizione. Lo sapevo
perché ero seduto proprio sul punto giusto per accorgermene senza margine di
dubbio. Dopo poca resistenza, Tyki mi mollò la mano, così che potei finalmente
passare quel bordo che mi aveva bloccato più di una volta nella mia scalata
alla conquista.
Quando arrivai al
bordo dei boxer lui si staccò da me, guardando la mia mano e respirando
vicinissimo al mio orecchio; il suo respiro si era fatto più profondo e
tremante. Lo presi come un fattore positivo e cercai di varcare anche quel
bordo; ero riuscito a fargli arrivare i pantaloni fino a metà coscia, quando
Tyki mi prese per entrambi gli avambracci e fece leva per rovesciarmi: trovarmi
in posizione completamente contraria, lo ammetto, mi dava un senso di
sottomissione che non mi piaceva. O forse
sì.
- Ma che fai?
Chiese Tyki a bassa
voce, sempre col respiro tremante
- Perché mi hai
fermato?
Replicai serio. Tyki
scosse la testa
- Perché non…
“Perché non” un corno, avrei voluto dirgli, ma mi limitai ad
abbassare lo sguardo sul cavallo dei suoi pantaloni e ad alzare un sopracciglio
con aria contrita. Seguendo il mio sguardo, Tyki fremette
- Non vuol dire
niente.
- Come no.
Approvai. Fare il
sarcastico con lui praticamente preso dal panico che
mi teneva inchiodato ad un materasso per entrambe le braccia non era
esattamente una furbata, ma in quel momento me ne
fregai.
- Come no, non vuol
dire niente che ti eccita svegliarti con me, non vuol dire niente il fatto che
io dorma qui da quasi un mese, non vuol dire niente che mi baci con la stessa
tranquillità con baceresti la tua ragazza, non vuol dire niente che a volte
quando mi abbracci mi tocchi il culo e non vuol dire
niente che tutto quello che è successo adesso ti è piaciuto.
L’ultima frase la
dissi a denti stretti, ma lui sentì benissimo, visto che mi mollò e si mise
seduto sul letto con la testa tra le mani. Mi misi seduto a mia volta, con gli
occhi fissi sul muro. Mi si gelò il sangue quando, dopo almeno un minuto di
silenzio, lo sentii sospirare profondamente. Io mi avvicinai titubante e gli
tamburellai lievemente la spalla, prima di accostarmi a lui.
Per la prima volta da
quando lo conoscevo, Tyki si appoggiò completamente a me, passandomi le braccia
attorno alla schiena e premendo il viso contro la mia spalla. Quando vidi la
sua schiena sussultare, gliela accarezzai lentamente, e quando lui alzò il viso
non era più la persona con cui avevo parlato fino a due minuti prima.
Mi baciò e mi spinse
con forza contro il materasso, aderendo a me con tutte le parti del corpo che
poteva.
Lo
scettro dell’autrice:
Mi
scuso tantissimo per questo ritardo vergognoso ^^’ cerco di giustificarmi
dicendo che ho avuto tantissimo da fare con la scuola.
Il che è assolutamente vero.
Direi
che abbiamo raggiunto il “punto” della situazione; ora non so se fare un
capitolo, per così dire, sessualmente ben descritto o lasciar cadere la cosa.
Consigli?
Recensioni,
consigli e critiche, come sempre sono benaccetti ;)
Grazie
mille ai lettori ed ai recensori, che, ho paura,
nell’ultimo periodo potrebbero essersi dispersi. Grazie mille!