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Autore: SaraGranger    12/11/2010    2 recensioni
prendete una Hermione con dei genitori in crisi e un Ron che, invece che alla Tana, abita ad un pianerottolo di distanza da Hermione...ecco che avrete la mia storia...in realtà è qualcosa di molto autobiografico x questo non ci troverete nulla di particolare, sono i miei pensieri trasformati in storia, spero vi possano accompagnare almeno per alcuni minuti...un bacio a chiunque vorrà leggerlo... Saridda ^^
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Urla, maledizioni che rimangono appese nell’aria come granelli infinitesimali di polvere ma che sembrano pesare come macigni. È così da un po’ di tempo. Litigano, litigano in continuazione, ogni giorno più spesso e per una cosa più stupida. Ma so che presto cadrà il silenzio. 5,4,3,2,1 ecco la porta che sbatte e il rombo della macchina indice che mio padre è uscito, sotto si sentono i singhiozzi di mia madre e anche il bicchiere rotto dalla sua rabbia. A furia di litigare e di rompere tutti gli oggetti che gli capitavano in mano avevamo dovuto comprare presto un nuovo servizio di piatti e bicchieri. Sbuffo. E una cosa che non riesco a sopportare. Ora dovrei scendere, raccogliere i pezzi di quella che una volta era mia madre e dirle che andrà tutto bene, la dovrei accompagnare a letto , rimboccarle le coperte, portarle un bicchiere d’acqua e dirle di riposare scoccandogli un bacio sulla fronte.

Però non so se riuscirò a farlo anche oggi.

Sono stufa dei loro litigi, del clima di terrore che regna ormai costantemente dentro queste 4 mura. Sono arrabbiata con entrambi. Non riesco a guardarli più in faccia. Non sanno niente di me da almeno un paio di mesi perché le uniche discussioni che riusciamo ad affrontare si riducono ad un “come va?” E un falso “tutto bene”, sono troppo occupati a pugnalarsi alle spalle per occuparsi di me. Sono stanca fisicamente e mentalmente. Sono, non riesco nemmeno io a dire come sono. Sento i passi di mia madre trascinarsi verso la sua camera. La porta della mia è chiusa a chiave. Lo faccio sempre appena finito il pranzo. Vengo nella mia camera, chiudo la porta e accendo la musica quanto più alta posso senza che i vicini mi uccidano perché so che nell’arco di qualche minuto le urla inizieranno. Forse per un piatto messo male, forse per una camicia non stirata, forse per una bolletta troppo alta. Che famiglia di merda. La odio. Se potessi andrei via, ma ho solo 16 anni cosa posso combinare? Sento i passi fermarsi davanti la mia porta. Posso quasi immaginarmi la figura di mia madre, magra e con grandi occhiaie violastre che ormai si porta dietro costantemente, che se ne sta dietro la porta bianca con scritto il mio nome a colori, possibilmente ha una mano alzata indecisa se bussare o no. Sa che, come è ovvio, le scene appena vissute non le amo e forse ha paura di un'altra sfuriata come quella di qualche settimana fa. All’inizio della distruzione ho cercato di tenere a freno un po’ tutti e due. Mi mettevo in mezzo, finendo per urlare anche io. Accusavo l’uno, accusavo l’altra. Dicevo visto cosa sta succedendo? Visto come stiamo finendo? E con le lacrime agli occhi salivo in camera. Ora non me la sento. Non credo ne valga più la pena, ho l’impressione che qualsiasi cosa possa dire sarebbe inutile e allora perché sprecare fiato? Famiglia doppiamente di merda.

I passi si allontanano, ha scelto la cosa giusta, oggi avrei seriamente potuto spaccarle la faccia. Che rabbia che mi fa vederli ridotti così. Uno in macchina, che vaga senza metà sprecando benzina, con una sigaretta in mano. Una delle tante che si fumerà oggi, una di quelle che a fine giornata saranno diventate venti. L’altra nella sua stanza come una malata, sotto le coperte, ancora con i vestiti del lavoro e il trucco spalmato in faccia come una maschera. Che schifo. Spengo la radio ed esco dalla porta ma non vado da mia madre. Non c’è la faccio, sono stanca di mettermi lì e consolarla sparando cazzate alle quali non credo nemmeno io. Sono io la bambina della famiglia, sono io la figlia che deve essere consolata per qualche minchiata adolescenziale. Non devo essere io l’adulta, non è il mio ruolo e mi sta stretto, non ho intenzione di crescere prima del tempo. Vogliono litigare, uccidersi di insulti, piangere e fumare sigarette fino a morire di dolore o cancro? Bene che lo facciano pure, non mi interessa più nulla. Questa non è la mia famiglia. La mia famiglia è quella che aveva i suoi riti ogni giorno. Papà arrivava, passava dalla mia stanza e mi lasciava il pane comprato al panificio. Io quando tornavo a casa trovavo mia madre ha guardare qualche idiozia alla televisione, posavo lo zaino in camera e le raccontavo la giornata. Ci mettevamo a ballare delle volte e apparecchiavamo insieme. Prima parlavamo, giocavamo a fare le “signore”, mentre lei puliva io le arrancavo dietro parlando come solo una bambina è in grado di fare. Sapeva chi ero, cosa facevo, chi erano i miei amici. Avevamo la nostra canzone estiva che insultavamo perché trovavamo sempre alla radio.  Conosceva i miei voti, il mio umore, sapeva come tirarmi su il morale dicendomi cose sceme come “andiamo a fare la spesa?”. Era tutto diverso. Quella famiglia non esiste più. Una piccola parte cerca ancora di sopravvivere e ogni tanto esce a galla, sono pochi minuti di pura felicità dove ridiamo tranquillamente come una volta, pochi minuti che mi sembravo rubati ad un atra persona con un'altra vita, pochi minuti che durano appunto pochi minuti. Ora non sopporto più la vista di nessuno di loro due, voglio solo uscire di casa appena ci metto piede. Cerco di distrarmi con tutto quello che mi capita e di stare fuori  più tempo possibile. Quando sono a casa la porta della mia camera è sempre chiusa e io sono buttata nel letto a leggere il mio libro preferito una due tre miliardi di volte per sfuggire a quello che mi sta intorno, per non sentire le nuove urla, i nuovi insulti sempre più atroci che riescono a trovare. Per chiudermi in me stessa.

Esco di casa e salgo di un pianerottolo. Il campanello strilla appena lo premo. Mi apre il mio migliore amico. Non devo dirgli nulla, mi dice entra e io lo faccio. Andiamo in camera sua, ci stendiamo sul letto e io mi accoccolo vicino a lui che mi passa un braccio sotto la testa e mi accarezza i capelli. Scoppio a piangere ma lui non dice nulla, lo sento sospirare, ha visto troppe volta questa scena per avere ancora il coraggio di dire qualcosa. Ho vissuto troppe volte questa scena per avere ancora il coraggio di chiedergli di aiutarmi.

  
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