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Autore: _Fedra_    13/11/2010    4 recensioni
Questa storia è nata poco più di una settimana fa in un posto magico in cui ho trovato rifugio quasi per caso: il Museo della mia Facoltà. E' un posto straordinario, una specie di grande cripta dai lunghi corridoi semibui in cui sono stipati i calchi delle più celebri opere d'arte classica. Mi ha colpito molto la presenza di quei gessi quasi dimenticati lì sotto, dei cloni oscurati dall'immortale fama dei loro originali. E così, spinta dall'amore che ho per l'Arte, ho deciso di dedicare loro questo piccolo racconto, parlando di loro e conferendogli la dignità che hanno sempre sognato. E ora ve li presento.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scritto nella pietra
 





Nike si strinse ancora di più nel suo cappotto grigio, il bavero che le celava parte del volto. Si guardò attorno di nuovo, scrutando il puzzolente passaggio debolmente illuminato dalle luci elettriche che sembrava non finire mai. Sembrava non ci fosse anima viva, tranne qualche pendolare frettoloso e un paio di studentesse dalle sciarpe multicolore. E se la stesse attendendo proprio in cima alle scale, tagliandole la strada? Conosceva quella scorciatoia? Nike prese a sudare freddo. No, doveva rischiare, a tutti i costi. Non era comunque intelligente starsene lì con la schiena appoggiata al muro, in quel sottopassaggio che poteva rivelarsi una trappola da un momento all’altro. Una mano strinse la borsa a tracolla, come se il tesoro che conteneva al suo interno avesse potuto darle coraggio. Corse.
 

 
 Anche quel giorno, nella Cripta regnava un silenzio assoluto, quasi come quello di una tomba. In effetti, quella era proprio una tomba, solo che nessuno di quelli che vi erano chiusi dentro lo volevano ammettere, così la pensava Iulius. Neanche a lui, d’altronde, quell’idea piaceva. Questo è un Museo, continuava a ripetersi fissando il vuoto. Il Museo delle Cose Dimenticate. Cose che non potevano più toccare il cuore di nessuno. Che non valevano più nulla. E che nulla potevano fare. Cose morte.
 
Le era andata bene. L’Uomo dell’Ombra doveva essere caduto nel suo tranello ed essere filato di corsa alla fine del binario principale, ignorando il dedalo di gallerie sotterranee che lo precedevano. Quando si sarebbe accorto dell’inganno, sarebbe stato troppo tardi. E non avrebbe mai scoperto come la sua preda fosse riuscita a sfuggirgli. Ma Nike sapeva che quello non era il momento di prendere fiato. Il suo inseguitore era scaltro e avrebbe atteso il suo minimo segno di debolezza per piombarle addosso. Doveva continuare a correre. E ­­– la consapevolezza della sua decisione le fece pizzicare gli occhi – doveva separarsi da quei fogli il prima possibile. Era quasi arrivata in fondo al vialone costeggiato da eleganti palazzine, quando, proprio nel momento in cui stava per credere nella salvezza, l’alta figura priva di volto le sbarrò la strada, avanzando rapidamente verso di lei. Nike urlò e si voltò di scatto, riprendendo a correre verso la Stazione Centrale. La sua tomba. Lì non avrebbe avuto scampo. La mente le si annebbiò, le gambe le bruciavano fino a farla urlare di dolore. Era finita. O no?
“Presto, signorina, di qua!” le disse una voce fioca ma decisa nella mente. O forse, non proprio nella sua mente. Fatto sta che, quasi senza rendersene conto, Nike si ritrovò improvvisamente in una stretta stradina laterale, dove non aveva più nessuno né davanti né dietro.
“Corri, signorina! Conosco un posto dove lui non può venire!” continuava a chiamare la voce. Nike la seguì. Svoltò sul retro del teatro e proseguì ne dedalo di vicoli, stringendo spasmodicamente la borsa al petto.
“Qui!” gridò la voce, prima di scomparire del tutto. Nike si era fermata. Davanti a lei, la porticina di uno scantinato ricoperta da uno strato di cacca di piccione a mo’ di benvenuto. Dei gatti erano acciambellati tra i bidoni dell’immondizia. Lì? Ma stavamo scherzando! Dei passi affrettati stavano sopraggiungendo nel vicoletto. Non aveva più tempo per fare la schizzinosa. Entrò. 
 

Iulius capì all’istante che qualcosa era cambiato. Eppure i suoi compagni erano ancora tutti lì, immobili nella penombra, fiancheggiando i lunghi corridoi deserti. Eppure…eppure questi sembravano proprio dei passi sul pavimento di marmo! Che qualcuno si fosse finalmente ricordato di loro? Il ragazzo volse lo sguardo verso Athena. Sorrideva. E non era un sorriso di marmo, quello. I passi si facevan0 sempre più vicini. E poi eccolo, l’essere che avevano tutti così tanto sognato. Era una giovane donna sui vent’anni, i lunghissimi riccioli neri scarmigliati e un consunto cappottino di lana grigia sulle spalle. I suoi occhi mostravano smarrimento e paura. Si fermò al centro del corridoio per riprendere fiato, poi, vinta dalla stanchezza, si lasciò cadere sul pavimento, appoggiando la schiena proprio al piedistallo di Iulius. Il ragazzo rabbrividì, sebbene sapeva che non poteva farlo in alcun modo. C’era qualcosa in quella ragazza, qualcosa che di colpo lo faceva sentire vivo. Aveva delle sensazioni. Sentiva. Vedeva. E tutto da quando la porta della Cripta si era aperta. Chi era dunque quella ragazza e perché faceva accadere quelle cose attorno a lui? La risposta venne da sola. Lei lo aveva scelto. La vide posare il suo sguardo smarrito sul nome CAESAR scolpito nel marmo. La vide soffermarsi sui suoi lineamenti sottili e pensosi, da giovane filosofo. Sapeva che lui era lì? Si guardarono negli occhi e trasalirono entrambi nelle proprie anime. Fu un istante lunghissimo, un istante che stabilì tutto quello che sarebbe avvenuto in seguito. Qualcosa doveva essere passato nella mente della ragazza. Si chinò sul piedistallo e vi depose sopra una pila di fogli scritti con una grafia ordinata e sottile. Gli occhi le si stavano riempiendo di lacrime. Anche Iulius pianse. Sapeva che quello che stava facendo era una cosa troppo grande da sostenere. Eppure, quella scelta gli stava dando forza. La Poetessa gli gettò un ultimo sguardo, poi si voltò e fuggì. Iulius si sentì montare il panico. Non voleva che se ne andasse. Ma i fogli erano rimasti. E gli parlavano. Raccontavano una storia.
 
La Poetessa si chiamava Nike. Non voleva parlare del suo passato. Era tutto andato bene fino all’arrivo dell’U0mo dell’Ombra. Voleva le sue poesie. Tutte. Le voleva distruggere. Perché? Perché la Poesia, come tutta l’Arte, è inganno e illusione e l’uomo non vuole più illusioni, è finito il tempo in cui parlava con gli dei, finito per sempre. Anche per le Statue era stato così. Anche loro erano morte. Come le Poesie. Abbandonate. Dimenticate. Era quello l’unico modo per salvarle dall’Uomo dell’Ombra. Sarebbero state liberate solo quando non avrebbe potuto fare loro alcun male. Sì, ma quando? Quando l’Arte avrebbe cercato l’Arte, sarebbe stata chiamata, l’avrebbe trovata. Ecco l’ultima Poesia. Una Poesia d’amore. La traccia. La chiave.
 
“Destatevi, anime! L’Uomo dell’Ombra non c’è più, la Poetessa ha scelto!” gridò la voce di un bambino, rimbombando nella deserta penombra della Cripta. Un fanciullo alato attraversava con aria soddisfatta i corridoi, mentre una grande luce avvolgeva ogni cosa. I vecchi muri spogli crollarono, facendo risplendere al sole le bianche colonne dell’antico Tempio. Iulius non avvertì più le sue membra di pietra; non era più Materia, ma puro Spirito. E così tutte le altre Statue. L’Arte lo aveva cercato e l’Arte lo aveva trovato. Ora erano tutti liberi. I fogli furono spazzati via da un turbine di vento e diedero forma alla Poetessa. Ora lui non era più Marmo e lei non era più Carne. Nike gli sorrise e gli venne incontro.
“Grazie” le disse. “Grazie per averci liberati”.
Ora sapeva che anche lei, un tempo, era stata come loro, nascosta e dimenticata. Ma ora era felice, finalmente libera. Rise e le sue guance si tinsero di rosa. Si presero per mano e volarono via e tutti, nel mondo dei mortali, poterono vedere il loro amore scritto nella pietra.
 

 

FINE

  
                                                                                                                                                                                                                                                        

Salve a tutti!
Questa è stata la prima storia che ho pubblicato su questo sito e oggi, a un anno dalla sua stesura accoccolata su uno dei tavoli del Museo dei Gessi del mio ateneo (un posto affascinante, tra l'altro, se amate l'arte classica e i luoghi suggestivi), in attesa dell'inizio della lezione.

Vorrei dedicare questa fiction a tutte le persone fantastiche che ho conosciuto in questo primo anno di università. Ragazzi, siete mitici!


 

   
 
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