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Autore: waferkya    15/11/2010    1 recensioni
È buio, ha smesso da poco di piovere. La foresta luccica di bagliori verde chiaro qua e là, tuffata nella luce argentata della luna come un tozzo di pane pucciato nel latte. Cal Monroe è lì che aspetta la fine del mondo – uno con quell’espressione lì non può che starsene ad aspettare l’Armageddon, - e glielo si legge in faccia che è un po’ a disagio per la notte tranquilla.
Genere: Guerra, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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— 17/vi/2010



 

~ In glaciale notte s'azzuffano gli uragani.



È buio, ha smesso da poco di piovere. La foresta luccica di bagliori verde chiaro qua e là, tuffata nella luce argentata della luna come un tozzo di pane pucciato nel latte. Cal Monroe è lì che aspetta la fine del mondo – uno con quell’espressione lì non può che starsene ad aspettare l’Armageddon, - e glielo si legge in faccia che è un po’ a disagio per la notte tranquilla.

Seduto per terra, in mezzo al fogliame un po’ marcio e al fango ancora fresco, con la schiena poggiata alle gambe del sergente e la nuca riversa sul suo grembo, Alexandre fuma distrattamente: ha deciso di essere insensibile, stanotte, vuole soltanto essere un soldato come uno qualsiasi degli altri, eppure non riesce a costringersi a smettere di guardare il cielo grigio, che sembra avercela precisamente con lui.

“In glaciale notte si azzuffano gli uragani,” mormora, e sta citando Hölderlin, ma Dio, Cal fa il barista, fuori di qui: probabilmente non sa fare lo spelling di Shakespeare senza impaperarsi, è una speranza da sciocchi pensare che possa conoscere e riconoscere la poesia tedesca. E infatti Alexandre lo sente agitarsi piano sul mozzicone d’albero su cui è seduto, e se piega ancora un po’ il collo all’indietro lo vede guardare all’insù.

“No,” commenta Cal. “Veramente è sereno. Ha appena smesso di piovere. E non fa neanche tutto questo freddo.” Riabbassa gli occhi su Xandre, quasi con un sorriso. “Hai freddo, capitano?”

Alexandre sbuffa piano un ricciolino di fumo che se ne sale tranquillo verso il cielo verde muffa.

“No, non ho freddo,” mormora. “Stavo… era una citazione. Federico Hölderlin.”

“Beh,” replica Cal, “se è un tuo amico, questo… Federico Elderlin’, digli di aggiornare un po’ il suo vocabolario, mh?”

“Glielo dirò senz’altro,” promette Xandre, soffocando una risata sul fondo della gola – è una bella sensazione, imbrigliarla lì prima ancora che gl’invada il palato e gli addolcisca la lingua. Tutta l’aria tiepida gli scalda il petto e il cuore, è quasi dolce.

Xandre torna a fumare con la testa vuota, gli sembra quasi di stare soffiando via da sé quella dedizione al racconto che lo ha trascinato in questa terra desolata, a mortificare la sua natura di essere umano per il semplice, infantile motivo che c’era una guerra, e anche se lui questa guerra non l’ha voluta, non l’ha scelta, non l’ha mai neppure condivisa, beh, avrebbe certamente potuto cavarne qualcosa di buono, dalla sua storia.

Cal prende ad accarezzargli distrattamente i capelli, districando qualche nodo e quasi pettinandolo – muove le dita pianissimo tra le ciocche, come se temesse di disturbare chissà quale meditazione zen. Alexandre deve sforzarsi per non permettersi di descrivere a sé stesso la sensazione delle mani di Cal addosso; deve sforzarsi per non pensare alle parole con cui, un giorno, su un quaderno magari con la copertina verde annoterà l’immagine perfettamente assurda di due soldati seduti tranquilli in una notte verde, bianca e nera.

“È rilassante,” mugugna, e riesce a sentire lo sbuffo divertito di Cal lambirgli la fronte.

“Ci credo che è rilassante,” ritorce Cal, e anche se Alexandre sente arrivare il suo bacio non fa nulla per evitarlo. “Questo è rilassante?”

Con uno scatto che Dio, perché certa agilità non viene mai fuori quando serve, in battaglia?, Alexandre si volta e, in equilibrio sulle ginocchia, si fa spazio tra le gambe di Cal, si sporge a baciarlo sul serio, tutto lingua e mani sul collo a tenerlo vicino e ancora lingua, e il gemito lento di Cal che sfuma piano contro i suoi denti.

“Non è rilassante per niente,” borbotta il sergente, e ha le mani tra i capelli di Xandre e già se lo tira addosso. “Ma chi è che vuole essere rilassato, al giorno d’oggi?”

Xandre ride sulle sue labbra, gli dà un morso fugace all’angolo della bocca e poi si ferma ad osservarlo, curioso, piegando appena il collo da un lato per guardarlo meglio.

“Per esempio chiunque? Sai, c’è gente che paga per farsi rilassare. Corsi yoga, vacanze mistiche e cose così. C’era un’amica di mia madre, per esempio---”

Cal uccide la storia sul nascere con un grugnito scocciato e un altro bacio, ma Alexandre non deve essersi offeso più di tanto, almeno a giudicare dal modo in cui risponde al bacio in un attimo, ancora più aperto e umido di prima, e poi allunga una mano a sbottonare la casacca di Cal, e davvero hanno intenzione di farlo in mezzo alla fottuta foresta che è praticamente cresciuta sul sangue dei loro commilitoni?

Sì, Dio, hanno davvero intenzione di farlo.

D’altra parte, Cal è verde, rosa, nero e color fango, e Alexandre è piuttosto sicuro di non aver mai visto nulla di più bello al mondo: si tende sotto di lui al minimo tocco, quasi al minimo sguardo, in un modo che forse è poetico e forse è solamente voglia, e la parte migliore del ragionamento è che non ha assolutamente importanza cosa sia, conta soltanto che ci sia, in qualche modo, una connessione insensata che spedisca brividi giù per la schiena di Cal se le dita di Xandre disegnano scarabocchi infantili lungo i suoi fianchi, sotto la divisa, sopra i boxer e contro le cosce.

Alexandre, da parte sua, ha smesso di avere fiducia nelle possibilità descrittive della parola nell’istante in cui Cal si è sciolto in un gemito vocale e un po’ osceno; non c’è verso che si adatti a immortalare quegli occhi, quel viso, quel mordersi le labbra e quella piega irresistibile del collo. Non esiste aggettivo per il sapore della pelle di Cal – è salata, aspra, sa di ferro, proiettili, delle risate in camerata e di tutti i bar che si sono contesi queste mani che adesso tremano appena; sa della morte che Cal si porta in spalla dentro al fucile, del sorriso di una ragazza che forse lo aspetta, a San Francisco, e ha anche il sapore di tutte le altre ragazze che invece no, certamente non lo stanno aspettando, sa di tutto il mondo, e Xandre lo sa che non esiste una parola per questo. Esiste la pancia tesa di Cal ed esiste il modo in cui si aggrappa ai capelli di Xandre per spingerlo giù, ed è in questo gesto che può sperare di intrappolare magari una scheggia di questa notte.

“Deve sempre tornare il mattino?” mormora Xandre, sottovoce, le labbra premute in un bacio al bassoventre di Cal, ma Cal lo sente comunque.

“Di nuovo Federico?” chiede, un po’ ansimando e un po’ sorridendo. Anche Xandre sorride, direttamente contro la sua pelle; annuisce – anche Novalis era un Federico, - prima di scendere ancora, incontro ad una storia assoluta, di quelle che no, le parole non bastano.

  
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