Dolci colline
verdi su cui i fiori della prima primavera coloravano gentili le dolci
curve
del terreno. I campi coltivati dove il verde tenero dei raccolti
iniziava a
germogliare nel terreno brullo. Gli alberi che si riempivano dei fiori
bianchi
e rosati. E le case bianche, le vie piene di vita e di persone. Il
mercato. La
fontana della Dea, dalle cui mani sgorgava l’acqua fresca e
cristallina. E poi
il castello, dalle mura alte e imponenti, su cui svettavano gli araldi
bianchi
con il drago dorato dipinto sopra. Tutto era luminoso e tranquillo,
presto ci
sarebbe stato il palio e le strade si sarebbero riempite di persone in
festa,
tutti con addosso il loro vestito migliore. Tutti sarebbero accorsi per
vedere
quali delle otto contrade avrebbe vinto i palii quell’anno.
Ci sarebbero state
gare di bandiere, musiche, danze, giochi di fuoco, tornei per i
cavalieri e
bancarelle piene di dolci e giocattoli. E ci sarebbe stata
felicità, festa e
vita. Ma soprattutto, ci sarebbe stato il Re. Il popolo attendeva
l’arrivo
della primavera soprattutto per questo, per poter vedere lui, il Re
Monaldo.
Lui che aveva permesso la rinascita di quel piccolo regno, che aveva
portato la
pace in quelle terre, lui così bello e perfetto. Presenziava
alle gare delle
contrade e ogni anno partecipava alle gare fra i cavalieri, e il popolo
aveva l’ooportunità
di vederlo da vicino. Era forte e giusto, il re che ogni suddito
avrebbe
voluto. Eppure aveva solo 16 anni, era poco più che un
ragazzino ma alla morte
del padre aveva preso in mano le redini di un regno sull’orlo
della rovina e
l’aveva risanato. Le ingiustizie ora venivano punite, i
deboli erano difesi
dalla spada delle guardie e tutti erano felici. Ogni dubbio che si era
sollevato quando il vecchio re era morto lasciando il regno al figlio
minore si
erano quietate neppure due mesi dopo. Il popolo amava il suo nuovo re e
non
aveva importanza che fosse un ragazzino, faceva in modo che il paese
prosperasse e non si poteva chiedere un re migliore di lui.