Hopelessly Devoted To You
<3
Capitolo
13. Pazzi d'amore.
Lui.
Venerdì sera Hannah
non si era fatta vedere, né aveva dato sue notizie.
Jace l'aveva
aspettata invano, sempre più nervoso e irritabile, fino a
sera
tardi, quando si era dovuto arrendere all'evidenza: non sarebbe
andata da lui, non quel giorno.
Aveva continuato a
chiedersi quale disgrazia l'avesse tenuta lontano da lui,
perché non
poteva credere che avesse scelto volontariamente di mancare al loro
“appuntamento”, e ancor più grande era
stata la preoccupazione
quando era arrivato alla conclusione che probabilmente nulla di
allarmante era successo in realtà, ma che semplicemente lei
doveva
aver trovato qualcosa di più interessante da fare che
passare il
venerdì sera chiusa in casa al capezzale di un fabbrica muco
portatore ambulante di virus influenzale come lui. Forse aveva
trovato qualcuno di più interessante con
cui l'aveva
prontamente sostituito.
Il solo pensiero lo
incendiava di rabbia e gelosia. Non riusciva a smettere di farsi
male, immaginandola passeggiare accanto ad uno sconosciuto senza
volto, che l'avrebbe guardata, sfiorata, forse avrebbe persino
tentato di baciarla. Tutto ciò rischiava di mandarlo al
manicomio,
non avrebbe mai creduto di essere così geloso e nonostante
ciò
continuava a negare di provare nei suoi confronti qualcosa di
più di
un caloroso affetto. Non poteva permettersi certe implicazioni
sentimentali, continuava a ripetersi, doveva pensare allo studio, a
realizzarsi professionalmente, lui non aveva tempo per correre dietro
alle ragazze, e in quel momento uscire con qualcuna sarebbe stata una
costante perdita di quel tempo per lui così prezioso, oltre
che una
costante distrazione. Non che non sentisse il bisogno di compagnia
femminile, ma l'aveva sempre declassato a necessità
esclusivamente
fisica, e avendo già assaggiato di quella pietanza e non
avendola
trovata di suo gusto, tentare un altro assaggio sarebbe stato
inutile. Non intendeva di certo cambiare idea per due occhioni
azzurri! Nossignore, avrebbe tenuto duro, lui!
Tutta
la sua forza di volontà andò letteralmente in
frantumi al suono del
campanello, il sabato mattina. D'improvviso incontrare quegli occhi
limpidi, contro cui poco prima si era impegnato a resistere
strenuamente, diventò vitale come respirare, e altrettanto
improvvisamente provò vergogna per il caos che regnava nella
sua
stanza, così disordinata, e provò il desiderio,
fino ad allora
sconosciuto, di apparire al meglio e far apparire al meglio anche il
luogo in cui passava la maggior parte del suo tempo. Una rapida
occhiata fu abbastanza per stilare mentalmente una lista delle
priorità: nascondere calzini sporchi, svuotare cestino dei
rifiuti,
raccogliere cartacce, sistemare libri, varie ed eventuali. Grazie
all'ascensore rotto avrebbe avuto al peggio dieci minuti di tempo.
Sì, poteva farcela, con un piano così ben
congegnato non poteva
fallire! Anche la febbre, che nonostante fosse scesa non gli dava
ancora tregua, non sembrava essere più un problema: si
sentiva
rinvigorito, impaziente, e francamente esageratamente ottimista.
Quando
sentì sua madre salutare qualcuno alla porta, si rese conto
di
essere ancora circondato dal caos. Dieci minuti non solo non erano
bastati, ma non erano stati neppure sufficienti a nascondere l'immane
quantità di vestiti sporchi sparsi per la stanza, tanto che
facendosi prendere dal panico, cominciò a calciare tutto il
calciabile sotto il letto, a nascondere quanto poteva nell'armadio,
tuffandosi infine a pesce sul letto, con gran lamento delle molle del
materasso e della rete. Si schiacciò i capelli sulla fronte
nel vano
tentativo di pettinarli, maledicendosi per non aver mai voluto
mettere uno specchio nella sua camera. Quando bussò alla
porta, si
costrinse ad assumere un'espressione sofferente, ma non gli riusciva
di smettere di sorridere. Pensava a quanto sarebbe stato bello
passare l'intera giornata insieme, cancellare così
definitivamente
il ricordo di quanto successo il sabato precedente. Sembrava
incredibile a pensarci, quante cose fossero successe in una sola
settimana. Quella che era stata la sua vita prima di quel giorno
sembrava qualcosa di remoto e lontanissimo nel tempo, ora gli
sembrava piuttosto di essere stato catapultato in una stupida
commedia romantica, ma senza il solito lieto fine. Aveva quasi perso
Hannah, e anche se l'aveva ritrovata appena dopo non poteva essere
certo di non poter più correre quel rischio.
Questo,
con la consapevolezza di averla riscoperta, comprendendo quanto
potesse essere splendidamente complessa sotto la semplice e un po'
banale facciata di ragazza per bene, la rendevano ancora più
interessante e attraente ai suoi occhi. Dovevano esserci lati
nascosti di Hannah che neppure lei stessa sembrava aver mai visto, e
lui aveva una voglia matta di scoprirli, sfogliarli come un libro e
leggerci tutte le cose meravigliose che rendevano Hannah speciale.
Quando
bussò ancora alla porta lo riscosse dai suoi pensieri.
Cercò ancora
di fingersi il più malconcio possibile, e
sussurrò con voce roca e
stanca un “avanti” appena udibile. Ma quando la
porta si aprì
non poté nascondere tutta la sua delusione. Occhi color
cioccolato
lo osservavano stupiti. Nessuna traccia dell'azzurro che desiderava
vedere. In tutta la sua vita non fu mai così infelice di
vedere
Rose, e neppure tutti i pasticcini del mondo avrebbero potuto
consolarlo da una simile delusione.
***
In
effetti dei pasticcini furono proprio ciò che Rose estrasse
dalla
sua borsa delle meraviglie: un delizioso premio di consolazione che
Jace divorò voracemente senza dire una sola parola, ma
assicurando a
sé stesso che neppure mille di quei deliziosi dolcetti
avrebbero
potuto lenire il suo dolore. Non assaggiarne neppure uno
però
sarebbe stato un vero spreco e un'intollerabile offesa nei confronti
della cuoca.
-Quindi...-
cominciò Rose, quando gli parve che il ragazzo si fosse
rasserenato
dopo l'ingente rifornimento di zuccheri - ...É
possibile... Non so... Che venga qualcun altro a trovarti oggi?-
chiese con discrezione.
-Che
ti fa credere che io stessi aspettando qualcuno?- ribatté
l'altro
sulla difensiva, mentre ripuliva dai rimasugli di panna la scatola
dei pasticcini.
-Io
non ho detto che stai aspettando qualcuno.- la ragazza rise,
divertita dal suo essersi scoperto così facilmente - Sembra
che
qualcuno si sia fregato con le sue stesse mani. Lo sapevo! Quando
sono entrata mi hai guardato in modo strano. Come se ti stessi
chiedendo "che accidenti ci fa lei qui?". Non cercare di
negare, finiresti per dirmi una bugia e sai che non ci riusciresti.-
Jace si voltò a guardarla: gli sorrideva con quella sua
particolare
aria materna, così dolce che si sentì male solo
all'idea di doverle
mentire. Sbuffò. Stupida aria materna che non riusciva ad
ignorare,
e stupida, inopportuna empatia che gli impediva di nasconderle
qualsiasi cosa!
-
Beh... Non è che...- Rose lo fissò corrugando
appena la fronte, in
attesa - Speravo fossi Hannah, okay? Smettila di guardarmi in quel
modo!- sbottò voltandosi dalla parte opposta. Se avesse
continuato a
guardarla avrebbe finito per confessarle qualsiasi cosa.
-In
quale modo?- chiese lei ingenuamente, fingendo di non essere conscia
di quali fossero le armi migliori in suo possesso.
-Lo
sai quale! Come se ti avessi appena pugnalato alle spalle. Non riesco
a negarti nulla se fai così, e tu lo sai!- si
lamentò, lanciandole
un'occhiataccia prima di distogliere nuovamente lo sguardo.
-Jace,
non so di cosa tu stia parlando, credimi.- gli sfiorò una
mano,
prima di prenderla tra le sue. - Perciò smetterò
di parlarne in
questo preciso istante, ma se tu volessi dirmi qualcosa
qualcosa
io ti ascolterò di certo.-
-Quando
fai così sono davvero tentato di odiarti... Ma fai dei dolci
troppo
buoni!- borbottò, prima di prendere un profondo respiro,
preparandosi a sputare il rospo più grande che gli si fosse
mai
bloccato in gola - é che... Ieri Hannah non si è
fatta vedere e nessuno al mondo si è degnato di dirmi
perché! Sono un povero
malato confinato a letto, ho il diritto di essere informato di quel
che succede nel mondo, no?- esclamò con risentimento,
incrociando le
braccia al petto. Rimase in silenzio, attendendo una risposta che
però non arrivava.
-Non
lo sai...- mormorò soltanto l'amica, portandosi una mano
alla bocca.
-Ma
l'ho appena detto! Nessuno ascolta un povero malato in questo mo...-
ma venne interrotto.
-Hannah
ha ritrovato il suo album...- cominciò la ragazza, ma Jace
non
sembrava intenzionato a farla continuare, nè a smettere di
recitare
la parte del malato terminale in lotta contro il mondo intero e
contro un destino avverso.
-Ah
fantastico! Sostituito da un album da disegno! O peggio!
Sarà andata
a festeggiare con qualcuno, dimenticandosi del povero, inutile Jace!-
non aveva intenzione di dire una cosa così cattiva, ma quel
pensiero
molesto si era tramutato in una accozzaglia di parole, il cui solo
suono lo faceva rabbrividire, ancor prima si rendesse conto di averlo
formulato.
Rose
gli prese il volto tra le mani dolcemente ma in maniera ferma. Lo
fissò dritto negli occhi. - Lo so che non credi ad una sola
parola
di quel che hai appena detto. Non potresti mai pensare davvero questo
di Hannah, perché sei pazzo di lei...- Jace cercò
di replicare ma
lei non glielo permise -... quindi fermati prima di dire qualcosa di
davvero offensivo... Qualcosa per cui non riusciresti mai a
perdonarti.- Lasciò il suo volto e gli diede il tempo per
replicare
ma lui si limitò ad annuire. - Hannah ha trovato il suo
album in
pezzi. Ha aperto l'armadietto e le è letteralmente piovuto
addosso.-
Jace sgranò gli occhi per lo sconcerto. Non disse nulla
perché il
suo unico pensiero era quello di infilarsi un paio di jeans al posto
della tuta e correre da lei senza attendere un solo attimo. Non
sarebbe stata qualche linea di febbre a fermarlo. Non fece nulla di
tutto ciò. Si limitò ad alzarsi lentamente e
prendere a camminare
su e giù per la stanza, trovando impossibile stare fermo in
quel
momento.
-é
stata lei a dirtelo?- chiese, incrociando le braccia al petto e
seguitando a misurare la stanza con passi larghi.
-No,
la governante. Quando ieri sera ho chiamato Hannah non ha voluto
parlare con me. Ho richiamato stamane, ma è stato lo stesso.
Così
ho chiesto se Hannah stesse bene, e la Signora MacFie mi ha spiegato
ciò che è successo. L'hanno trovata che piangeva
e cercava di raccogliere
tutta quella carta. Poi l'hanno accompagnata a casa e da quel momento
non ha voluto rivolgere la parola a nessuno.- Spiegò, con
aria
seriamente afflitta.
-Chi
l'ha accompagnata?- chiese il ragazzo con un tremito nella voce,
mentre mentalmente continuava a ripetere mentalmente come un mantra "non
Tom, non Tom, non Tom".
-Ted
Shelby.- Jace tirò un sospiro di sollievo. Ted era un bravo
ragazzo,
troppo narcisista per i suoi gusti, ma in fondo un tipo a posto.
Tornò
a sedersi sul bordo del letto, prendendosi la testa tra le mani. -
Dio... Sono proprio un idiota.- mormorò, scuotendo il capo.
Rose si
sporse a dargli una leggera pacca su una spalla.
-Solo
quando ti rifiuti di vedere più in là del tuo
naso.- disse ridendo
- Credo che ora andrò da lei. Potresti telefonarla
più tardi, che
dici? Tu sei l'unico che lei vorrebbe avere vicino in questo momento,
ne sono certa. Ho paura si senta in colpa per non essere venuta
ieri.-
-Che...? Dopo
quel che è successo non dovrebbe proprio pensare a me.-
borbottò, sospirando gravemente. L'ultima cosa che mancava
ad Hannah
erano i sensi di colpa.- Okay, facciamo che tu vai da lei, poi appena
esci da casa sua mi chiami e io chiamo lei.-
-Non
è quello che ho appena detto? Ora chi è che non
ascolta?- Jace le
rivolse un occhiataccia.
-Ti
sto affidando una missione d'estrema importanza soldato. Non
deludermi.- si alzò, preda di un rinnovato entusiasmo. - Non
c'è
tempo per le battute.- scatto in un saluto militare.
-Sissignore!-
la ragazza rispose al saluto con un altro, ridacchiando.- Tu
però
rimettiti a letto, e non fare sciocchezze, d'accordo?- Jace
annuì,
attese che l'amica prendesse le sue cose, e quindi le aprì
la porta.
Dietro questa, senza che ne avessero avvertito la presenza, c'era
Seth, con un pugno ancora alzato, colto proprio nell'atto del bussare
ad una porta che invece si era aperta rivelandogli un mondo di
meraviglie.
Jace prese dolorosamente coscienza della grave perdita: il suo fidato
soldato era da dare per disperso ancor prima di partire per la sua
missione.
-Ahm...-
mugugnò Seth, lo sguardo fisso su un'imbarazzatissima Rose,
che
rispose a quel verso con un timido sorriso. Ecco, le comunicazioni
con il campo base erano state interrotte, e Jace fece un ultimo,
vano, tentativo per ristabilirle.
-Hei!
Ciao Seth, che piacere vederti. Ma ora Rose sta andando via. Tante
care cose eh!- prese la ragazza per le spalle e la spinse fino
all'ingresso.- Bene, ciao Rose, vai e non deludermi!- Aprì
la porta
e la spinse fuori. Non aveva tempo per la cortesia, ma più
tardi, si
disse, si sarebbe scusato per averla cacciata via di casa in
quel
modo. - Corri Rose, corri come se ne andasse della tua vita!- le
urlò dietro. Gli spiaceva sinceramente di essere stato rude
con la
sua “mammina”, ma conoscendo i due sapeva avrebbero
continuato a
fissarsi come ipnotizzati per ore, senza dire una sola parola,
dimentichi del mondo intero. Non
appena ebbe chiuso la porta alle spalle della ragazza, Seth
sembrò
riprendere un minimo di lucidità. Era capace di una rapida
ripresa.
-Perchè
l'hai mandata via? Non ti vergogni? Sei senza cuore!- lo prese per le
spalle,scuotendolo con forza.- Dove sta andando? Ma prima, di cosa
parlavate? No perché se ha parlato di me, tu me lo diresti
vero? Non
c'è un altro, dimmi di no, ti prego!- sembrava sull'orlo di
una
crisi isterica, e intanto continuava a scuoterlo e a fissarlo con
occhi pieni di disperazione. - Dove l'hai mandata?Sei un essere
spregevole, mandare la mia Rose a sfacchinare per te!-
-Seth,
finiscila!- gli afferrò le mani, così strette
attorno alle sue
spalle da cominciare a fargli male.- Gesù! Smettila di fare
la
regina del dramma!E smettila di scuotermi, mi fai venire da
vomitare!- stacco le mani dell'amico dalle sue spalle – Tu mi
preoccupi! Seriamente! Non puoi venire qui e accusarmi di qualcosa
che non farei mai! Ho già i miei problemi, io!-
aprì nuovamente la
porta, facendogli cenno d'andarsene - Sta andando da Hannah. Se non
fossi rimasto qui a strillare avresti potuto raggiungerla.- il
ragazzo avvertì chiaramente il rumore delle rotelle che
giravano
nella testa dell'amico. Fissava lui, poi la porta, poi nuovamente
lui, poi ancora la porta. Jace, porta, porta, Jace.
-Oh,
io non... Stavolta... Poi ho da... Sì, sì, non
è il caso e... No,
non lo posso fare Jace, non posso io... Sì, sì
invece che posso!
Ciao Jace!- poco mancò che si lanciasse giù per
la rampa di scale,
nel tentativo di raggiungerla prima che gli mancasse nuovamente il
coraggio. Jace si affacciò dall'ingresso, fissandolo
allibito.
-Sono
finito in una gabbia di matti...- sospirò massaggiandosi la
tempia
mentre richiudeva la porta. - Devo trovarmi degli amici normali!-
***
Jace
tornò a letto come Rose gli aveva raccomandato. Acceso il
televisore
aveva cercato inutilmente di rintronarsi facendo zapping da un canale
all'altro, senza trovare niente di abbastanza interessante da
assorbire completamente la sua attenzione. Intanto aspettava
ansiosamente una telefonata che tardava ad arrivare. La testa gli
scoppiava, ma non era la febbre, erano i pensieri che si agitavano
instancabili e incontrollabili. Aveva ancora voglia di andare da
Hannah, era un bisogno così pressante che lo rendeva
indolente. E se
si fosse innamorato per davvero? Era possibile innamorarsi un pochi
giorni? Gli pareva assurdo, ma non più impossibile.
Alle
sette della sera non aveva ancora avuto nessuna notizia da Rose,
tanto meno da Hannah stessa. Fissare intensamente il telefono come
stava facendo, non l'avrebbe fatto uscire dal suo ostinato silenzio,
lo sapeva bene ma non riusciva a smettere di farlo, certo che nel
momento in cui l'avesse fatto questo avrebbe cominciato a squillare e
lui avrebbe rischiato di perdere la chiamata. Non riusciva neppure a
smettere di pensare ad Hannah. E se in quel momento stesse piangendo?
Se avesse un disperato bisogno del suo conforto? Ovvio che aveva
bisogno di lui, ma era chiuso lì, in esilio forzato, e non
poteva
aiutarla. Telefonare non era un'alternativa, lei avrebbe potuto
rifiutarsi di rispondere. Ma lui doveva assicurarsi che stesse
meglio, che avesse chi si prendeva cura di lei, e Rose... Beh, non
era più tanto sicuro che avesse portato a termine la sua
missione.
"Secondo
me da Hannah non è neppure arrivata..." si disse.
Basta!
Doveva vederla, era assolutamente necessario, o sarebbe diventato
pazzo, e se questo significava scappare di casa, beh, l'avrebbe
fatto. Doveva solo mettere a punto la giusta strategia, e con un po'
di fortuna la sua fuga sarebbe riuscita. Ma sì, avrebbe solo
dovuto
aspettare che sua madre si spostasse dalla cucina ad un'altra delle
stanza della casa. Sarebbe stato facile, lei non riusciva a stare
ferma per più di cinque minuti! Dopo sarebbe sgattaiolato
fino alla
porta e sarebbe uscito senza fare il minimo rumore. Poteva... No,
doveva riuscirci.
Si
vestì con cura, indossando strati su strati di vestiti,
tanto che
dopo pochi minuti già cominciava a sudare. In quel modo
però, il
freddo dicembrino sarebbe stato di certo più sopportabile e
forse
meno dannoso. Era conscio dei rischi che la sua evasione comportava,
e il suo corpo stanco e malaticcio glielo ricordava ad ogni
movimento. Ma lui ignorò ogni segnale. Infilò il
portafoglio nella
tasca posteriore dei jeans, quindi si acquattò accanto alla
porta,
attento ad ogni rumore. Gli parve di attendere per un secolo o
più,
ma finalmente sentì sua madre muoversi dalla sala fino al
bagno. Era
il momento: si mosse il più silenziosamente
possibile,camminando velocemente. Attraversò il soggiorno e
strisciò
fuori dalla porta. Scese quatto quatto e guardingo la prima rampa di
scale per poi lanciarsi giù per le restanti, correndo il
più
velocemente possibile. Tutto quel moto era tremendo per la sua tosse
e sudare a quel modo non era certo un toccasana. Arrivato
all'ingresso ansimava e le gambe gli tremavano, tanto che temette
fossero sul punto di cedere. Stava male, fuggire di casa non gli
pareva più una brillante idea. I polmoni gli facevano
così male che
gli pareva di aver respirato del vapore bollente e che gli stessero
strizzando lo stomaco.
Il
pensiero di essere ancora in tempo a tornare a casa, dove lo
attendeva il suo letto caldo e soffice lo sfiorò, invitante,
ma lui
lo scacciò prontamente. Ormai si era messo in testa di fare
quella
pazzia e non si sarebbe fermato, non a quel punto! Non aveva fatto
tredici piani a piedi per tornare da mammina alla prima
difficoltà.
Sarebbe andato avanti, a costo di stramazzare a terra nel bel mezzo
della strada. Prese un profondo respiro, si strinse nel suo cappotto
e attraversò l'ingresso del palazzo, dirigendosi con passo
deciso
verso la più vicina stazione della metro.
Fu
il viaggiò peggiore, e in apparenza anche il più
lungo, della sua
esistenza. Il treno sembrava troppo caldo, troppo affollato e
rumoroso. Il suo dondolio gli dava la nausea. Quando ne
uscì,
barcollante e sudaticcio, fu un sollievo. Forse per tornare a casa
avrebbe fatto meglio a chiamare un taxi. Il freddo intenso fuori fu
quasi un sollievo dopo il tepore della stazione che gli era sembrato
fosse sul punto di soffocarlo. Subito dopo però
sentì il sudore
alla base della nuca ghiacciarsi. No, questo non avrebbe giovato
affatto alla sua salute!
Lei.
Continuava
ad osservare i disegni così faticosamente ricomposti. Jace,
Jace,
Jace... Era ovunque. Come era arrivata a considerarlo tanto
importante, a pensarlo tanto intensamente da finire per ritrarlo
costantemente e quasi del tutto inconsciamente? Era bizzarro notare
come il suo stile, e i suoi stessi gusti si fossero evoluti a seconda
dell'influenza che lui esercitava su di lei. Era passata da paesaggi,
mondi immaginari sempre desolatamente deserti, pieni di vegetazione ma
ugualmente privi di vita, a scene cariche di vivacità: una
strada
affollata e la folla stessa possono essere il soggetto più
banale se
il ritrarli non è altro che uno sterile esercizio. Diventa
tremendamente significativo se ci si accorge di aver ritratto tanti
volti differenti solo per il piacere di poter scorgerci almeno l'ombra
di una vitalità che non si riesce quasi più a
trattenere. Ad un
occhio distratto i suoi schizzi potevano apparire innovativi o
interessanti quanto una natura morta, ma un osservatore attento
avrebbe sicuramente notato i piccoli ma costanti cambiamenti, e che
in ogni disegno c'era un particolare che riportava a Jace. Era
umiliante che qualcuno le avesse guardato dentro a quel modo, era una
malignità che non avrebbe mai potuto perdonare,
perché oltre alla
sofferenza nel vedere il suo lavoro distrutto, le metteva davanti
agli occhi cose che aveva volutamente ignorato fino ad
allora.
Non che avesse più
importanza oramai: aveva promesso di andare a trovarlo ogni giorno,
ma non era stata capace di mantenere la parola data. Mentre si diceva
che avrebbe capito Jace se avesse deciso di non rivolgerle
più la
parola, la porta della sua stanza si aprì.
-Hannah, dovresti
scendere di sotto. Hai visite.- disse la tata, in un tono che non
ammetteva repliche.
-Non ho voglia di
vedere nessuno, tata. Non potrebbero tornare domani?-
domandò,
sospirando. Perché non volevano proprio lasciarla in pace?
-No, non può, non
dovrebbe neppure essere qui. Anzi, non riesco a credere che abbia
fatto una simile follia. É meglio che io vada a telefonare a
sua
madre, e anche a tuo padre. Tu intanto scendi di sotto.- disse mentre
si chiudeva la porta alle spalle. Svogliatamente allontanò
la sedia
dalla scrivania e si alzò. La tata aveva detto che avrebbe
chiamato
sua madre... Chissà che intendeva... E lo aveva detto come
se lei
conoscesse questa “madre”, ma lei conosceva solo la
madre di...
Corse fuori dalla sua stanza e giù per le scale.
L'irrazionale
pensiero che potesse trattarsi davvero di Jace le fece balzare il
cuore in petto. Poteva essere avesse compiuto un gesto così
sconsiderato solo per lei? E perché ne era così
felice?
Quando vide dalle
scale la sua testa bionda e arruffata e seppe di non essersi
sbagliata fu presa da una gioia inesprimibile. Al sentire il rumore
dei suoi passi Jace si alzò dalla poltrona su cui sedeva.
Hannah lo
apprezzò ancora di più per quella galanteria che,
date le sue
condizioni di salute, avrebbe potuto risparmiarsi. Era pallido ed era
evidente quanto sforzo gli fosse costato arrivare fin lì.
-Jace?...- mormorò,
raggiungendolo. Lui si fece avanti di qualche passo. - è
successo
qualcosa...? Di grave, intendo.- chiese con un fil di voce. Jace
fissò lo sguardo su di lei, aveva gli occhi lucidi e il
volto
arrossato per la febbre, e sembrava cercare qualcosa nel volto di
lei. Quando lo trovò, corrugò la fronte
contrariato.
-Ma tu hai pianto...
Guarda che occhi...- le disse con voce così roca da non
somigliare
affatto alla sua solita, così squillante. Tese una mano,
accarezzandole il volto. Hannah avvertì il calore intenso di
quel
tocco.
-Hai la febbre...-
mormorò lei di rimando, constatando la triste
realtà.
-Solo un poco... - il ragazzo
ritirò velocemente la mano. - Mi dispiace così
tanto
Hannie. Per il tuo album, dico. Ti ho portato questo.- le tese una
busta in carta che ad una prima occhiata sembrava contenesse un
quaderno, o un libro
piuttosto grande. Riconobbe il logo stampato sulla busta. Era del
negozio di belle arti dove era solita comprare il suo
materiale.
-Jace hai fatto
tutta questa strada con la febbre per portarmi un... Per portarmi
questo?- chiese prendendo la busta tra le mani e soppesandola,
incuriosita e al contempo preoccupata. Possibile la febbre l'avesse
fatto impazzire del tutto?
-Non dire nulla fino
a che non l'avrai aperto.- la ragazza non ribatté, e mentre
apriva
la busta si chiese quale emozione sarebbe stata più
appropriato
mostrare all'occorrenza: soddisfazione? Gioia contenuta? Timida
sorpresa? Ma quando estrasse il contenuto della busta le sue mani
tremarono. Era andato a comprarle un nuovo album.
Se fosse stata
padrona di sé, l'avrebbe ringraziato con
sincerità, sottolineando
la sua gentilezza e generosità, quindi gli avrebbe
consigliato di
tornare a casa. Ma non aveva parole. In realtà non ne
avevano
bisogno. Hannah sapeva cosa Jace cercava di dirle, in quel suo modo
speciale e unico: qualsiasi cosa avvenga, ovunque tu sia, io
sarò lì
con te. Le stava dicendo che per quanto tremendo potesse essere quel
che le avevano fatto, non doveva farsi dominare dal dolore. Non
sarebbero mai riusciti a buttarla giù, perché lui
sarebbe stato al
suo fianco a sostenerla. Insieme avrebbero avrebbero superato ogni
ostacolo. Continuava a fissare
la copertina verde di dell'album con le lacrime agli occhi. Non
poteva dare un valore al gesto, perché era inestimabile. Il
plico di
fogli bianchi era costato qualche dollaro, ma il loro valore
simbolico era tangibile tanto quanto quello materiale.
-Mi spiace, non l'ho
trovato uguale. Ma la commessa mi ha detto che è molto
simile a
quello che avevi tu. E poi i fogli sono spessi e ruvidi, ottimi per
gli acquarelli. - disse il ragazzo interrompendo il lungo silenzio,
ripetendo le parole della commessa. Hannah annuì solamente.
Si
strinse al petto l'album come fosse quanto di più caro
avesse al
mondo, vinta dall'emozione, perché realizzava in quel
momento di
avere davanti tutto ciò che avrebbe mai potuto desiderare.
Scoprire
di amare Jace era come scoprire che le favole sono storie vere, era
sorpresa e meraviglia, e la felicità di sapere di avere
incrociato
un principe senza titolo ma dall'armatura scintillante, la
personificazione di tutto ciò che un uomo dovrebbe essere.
Lui ancora non lo sapeva, ma
quel giorno aveva fatto suo il cuore di lei, quello stesso cuore che
le batteva in petto assordante come una grancassa. Desiderava
abbracciarlo, e quando lo fece, lasciando cadere anche l'ultima
barriera tra loro, si rese conto di quanto avesse desiderato quel
contatto. Piangeva contro il suo petto, sentendone il battito del
cuore, non avrebbe saputo più dire se piangeva di dolore,
sollievo o
di gioia. Non c'era più modo di tornare indietro, non voleva
tornare
indietro. E se anche il suo fosse rimasto solo un amore non
corrisposto in quel momento non le importava: era innamorata e
provare quei sentimenti per Jace la colmava di una felicità
così
grande che le sarebbe bastata a confortarla per tutta una vita di
solitudine.
L'angolo
dell'autrice:
Rieccomi
qui! Per questo capitolo si
prega di ringraziare l'influenza, che mi ha tenuto in casa per una
settimana (compreso il mio compleanno, bella sfiga) e mi ha dato
tutto il tempo di unire e rivedere i miei tanti appunti sparsi e di
riscrivere completamente il finale, che inizialmente era stano
pensato per essere, diciamo, meno “incisivo” di
questo. :-)
Spero sia gradito! :-)
Un grazie immenso a chi ha messo la
storia tra i preferiti, tra le seguite e le storie da ricordare. :-)
E un grazie ancora più immenso alle
mie fedeli commentatrici Dayan18
e Melikes.
Soprattutto quest'ultima
mi lusinga con delle recensioni lunghissime e minuziose che fanno
gonfiare il mio ego in maniera spropositata! Nel prossimo capitolo
cercherò di trovare davvero il tempo per rispondere
adeguatamente
alle vostre recensioni, lo prometto, questa volta non ho proprio il
tempo materiale, lo studio mi chiama. :-S Dico solo che no, non
è
Tom che ha trovato Hannah, né è lui che suona il
pianoforte, né è
stato lui a prendere l'album. A lui importa di ferire Jace, Hannah
è
solo il mezzo attraverso il quale vendicarsi... Per ora! E come
avrete letto Jace è sempre presente quando si ha bisogno di
lui. :-)