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Autore: Noony    17/11/2010    1 recensioni
Hannah e Jace non hanno nulla in comune. Vengono da mondi differenti, sono la principessa e il povero dei giorni nostri. Sono due persone che nonostante tutto, si trovano e si innamorano delle proprie differenze.
Lei ha solo sedici anni quando si trasferisce a New York con suo padre. Lascia alle sue spalle un'esistenza vuota, e nessun amico a cui dire addio. Non ha nulla da portare con se nella sua nuova vita. Una vita che non vuole, perché identica alla precedente. É ricca, ma povera di affetti. É una ragazza sola, taciturna,malinconica.
Lui vive con la madre in un appartamento malconcio ad Harlem, frequenta un'esclusiva scuola privata solo perchè ha ottenuto una borsa di studio. Ma è una vita piena la sua, di affetti, di amici, di ricordi felici. Ha solo diciassette anni ma ha già in se un forte desiderio di rivalsa. Ha già progettato tutto il suo futuro, e sa come riuscire a raggiungere i propri obbiettivi: lavorando duramente. É ottimista, intraprendente, bello e carismatico.
Sullo sfondo della loro storia d'amore si intrecciano le vicende di amici e genitori, ognuno con i propri drammi e amori. Questa è una storia banale, una storia come tante altre già scritte e già raccontate.
Dal capitolo 8. Il cambiamento: E sapeva che non pensava di perdere un'amica, pensava di
perdere Hannah. Hannah era Hannah, un mondo a se stante nel suo
universo. Non era un'amica, forse non lo era mai stata.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Hopelessly devoted to you







Hopelessly Devoted To You <3

Capitolo  13. Pazzi d'amore.

Lui.

Venerdì sera Hannah non si era fatta vedere, né aveva dato sue notizie.
Jace l'aveva aspettata invano, sempre più nervoso e irritabile, fino a sera tardi, quando si era dovuto arrendere all'evidenza: non sarebbe andata da lui, non quel giorno.
Aveva continuato a chiedersi quale disgrazia l'avesse tenuta lontano da lui, perché non poteva credere che avesse scelto volontariamente di mancare al loro “appuntamento”, e ancor più grande era stata la preoccupazione quando era arrivato alla conclusione che probabilmente nulla di allarmante era successo in realtà, ma che semplicemente lei doveva aver trovato qualcosa di più interessante da fare che passare il venerdì sera chiusa in casa al capezzale di un fabbrica muco portatore ambulante di virus influenzale come lui. Forse aveva trovato qualcuno di più interessante con cui l'aveva prontamente sostituito.

Il solo pensiero lo incendiava di rabbia e gelosia. Non riusciva a smettere di farsi male, immaginandola passeggiare accanto ad uno sconosciuto senza volto, che l'avrebbe guardata, sfiorata, forse avrebbe persino tentato di baciarla. Tutto ciò rischiava di mandarlo al manicomio, non avrebbe mai creduto di essere così geloso e nonostante ciò continuava a negare di provare nei suoi confronti qualcosa di più di un caloroso affetto. Non poteva permettersi certe implicazioni sentimentali, continuava a ripetersi, doveva pensare allo studio, a realizzarsi professionalmente, lui non aveva tempo per correre dietro alle ragazze, e in quel momento uscire con qualcuna sarebbe stata una costante perdita di quel tempo per lui così prezioso, oltre che una costante distrazione. Non che non sentisse il bisogno di compagnia femminile, ma l'aveva sempre declassato a necessità esclusivamente fisica, e avendo già assaggiato di quella pietanza e non avendola trovata di suo gusto, tentare un altro assaggio sarebbe stato inutile. Non intendeva di certo cambiare idea per due occhioni azzurri! Nossignore, avrebbe tenuto duro, lui!
Tutta la sua forza di volontà andò letteralmente in frantumi al suono del campanello, il sabato mattina. D'improvviso incontrare quegli occhi limpidi, contro cui poco prima si era impegnato a resistere strenuamente, diventò vitale come respirare, e altrettanto improvvisamente provò vergogna per il caos che regnava nella sua stanza, così disordinata, e provò il desiderio, fino ad allora sconosciuto, di apparire al meglio e far apparire al meglio anche il luogo in cui passava la maggior parte del suo tempo. Una rapida occhiata fu abbastanza per stilare mentalmente una lista delle priorità: nascondere calzini sporchi, svuotare cestino dei rifiuti, raccogliere cartacce, sistemare libri, varie ed eventuali. Grazie all'ascensore rotto avrebbe avuto al peggio dieci minuti di tempo. Sì, poteva farcela, con un piano così ben congegnato non poteva fallire! Anche la febbre, che nonostante fosse scesa non gli dava ancora tregua, non sembrava essere più un problema: si sentiva rinvigorito, impaziente, e francamente esageratamente ottimista.
Quando sentì sua madre salutare qualcuno alla porta, si rese conto di essere ancora circondato dal caos. Dieci minuti non solo non erano bastati, ma non erano stati neppure sufficienti a nascondere l'immane quantità di vestiti sporchi sparsi per la stanza, tanto che facendosi prendere dal panico, cominciò a calciare tutto il calciabile sotto il letto, a nascondere quanto poteva nell'armadio, tuffandosi infine a pesce sul letto, con gran lamento delle molle del materasso e della rete. Si schiacciò i capelli sulla fronte nel vano tentativo di pettinarli, maledicendosi per non aver mai voluto mettere uno specchio nella sua camera. Quando bussò alla porta, si costrinse ad assumere un'espressione sofferente, ma non gli riusciva di smettere di sorridere. Pensava a quanto sarebbe stato bello passare l'intera giornata insieme, cancellare così definitivamente il ricordo di quanto successo il sabato precedente. Sembrava incredibile a pensarci, quante cose fossero successe in una sola settimana. Quella che era stata la sua vita prima di quel giorno sembrava qualcosa di remoto e lontanissimo nel tempo, ora gli sembrava piuttosto di essere stato catapultato in una stupida commedia romantica, ma senza il solito lieto fine. Aveva quasi perso Hannah, e anche se l'aveva ritrovata appena dopo non poteva essere certo di non poter più correre quel rischio.
Questo, con la consapevolezza di averla riscoperta, comprendendo quanto potesse essere splendidamente complessa sotto la semplice e un po' banale facciata di ragazza per bene, la rendevano ancora più interessante e attraente ai suoi occhi. Dovevano esserci lati nascosti di Hannah che neppure lei stessa sembrava aver mai visto, e lui aveva una voglia matta di scoprirli, sfogliarli come un libro e leggerci tutte le cose meravigliose che rendevano Hannah speciale.
Quando bussò ancora alla porta lo riscosse dai suoi pensieri. Cercò ancora di fingersi il più malconcio possibile, e sussurrò con voce roca e stanca un “avanti” appena udibile. Ma quando la porta si aprì non poté nascondere tutta la sua delusione. Occhi color cioccolato lo osservavano stupiti. Nessuna traccia dell'azzurro che desiderava vedere. In tutta la sua vita non fu mai così infelice di vedere Rose, e neppure tutti i pasticcini del mondo avrebbero potuto consolarlo da una simile delusione.

***
In effetti dei pasticcini furono proprio ciò che Rose estrasse dalla sua borsa delle meraviglie: un delizioso premio di consolazione che Jace divorò voracemente senza dire una sola parola, ma assicurando a sé stesso che neppure mille di quei deliziosi dolcetti avrebbero potuto lenire il suo dolore. Non assaggiarne neppure uno però sarebbe stato un vero spreco e un'intollerabile offesa nei confronti della cuoca.
-Quindi...- cominciò Rose, quando gli parve che il ragazzo si fosse rasserenato dopo l'ingente rifornimento di zuccheri - ...É possibile... Non so... Che venga qualcun altro a trovarti oggi?- chiese con discrezione.
-Che ti fa credere che io stessi aspettando qualcuno?- ribatté l'altro sulla difensiva, mentre ripuliva dai rimasugli di panna la scatola dei pasticcini.
-Io non ho detto che stai aspettando qualcuno.- la ragazza rise, divertita dal suo essersi scoperto così facilmente - Sembra che qualcuno si sia fregato con le sue stesse mani. Lo sapevo! Quando sono entrata mi hai guardato in modo strano. Come se ti stessi chiedendo "che accidenti ci fa lei qui?". Non cercare di negare, finiresti per dirmi una bugia e sai che non ci riusciresti.- Jace si voltò a guardarla: gli sorrideva con quella sua particolare aria materna, così dolce che si sentì male solo all'idea di doverle mentire. Sbuffò. Stupida aria materna che non riusciva ad ignorare, e stupida, inopportuna empatia che gli impediva di nasconderle qualsiasi cosa!
- Beh... Non è che...- Rose lo fissò corrugando appena la fronte, in attesa - Speravo fossi Hannah, okay? Smettila di guardarmi in quel modo!- sbottò voltandosi dalla parte opposta. Se avesse continuato a guardarla avrebbe finito per confessarle qualsiasi cosa.
-In quale modo?- chiese lei ingenuamente, fingendo di non essere conscia di quali fossero le armi migliori in suo possesso.
-Lo sai quale! Come se ti avessi appena pugnalato alle spalle. Non riesco a negarti nulla se fai così, e tu lo sai!- si lamentò, lanciandole un'occhiataccia prima di distogliere nuovamente lo sguardo.
-Jace, non so di cosa tu stia parlando, credimi.- gli sfiorò una mano, prima di prenderla tra le sue. - Perciò smetterò di parlarne in questo preciso istante, ma se tu volessi dirmi qualcosa qualcosa  io ti ascolterò di certo.-
-Quando fai così sono davvero tentato di odiarti... Ma fai dei dolci troppo buoni!- borbottò, prima di prendere un profondo respiro, preparandosi a sputare il rospo più grande che gli si fosse mai bloccato in gola - é che... Ieri Hannah non si è fatta vedere e nessuno al mondo si è degnato di dirmi perché! Sono un povero malato confinato a letto, ho il diritto di essere informato di quel che succede nel mondo, no?- esclamò con risentimento, incrociando le braccia al petto. Rimase in silenzio, attendendo una risposta che però non arrivava.
-Non lo sai...- mormorò soltanto l'amica, portandosi una mano alla bocca.
-Ma l'ho appena detto! Nessuno ascolta un povero malato in questo mo...- ma venne interrotto.
-Hannah ha ritrovato il suo album...- cominciò la ragazza, ma Jace non sembrava intenzionato a farla continuare, nè a smettere di recitare la parte del malato terminale in lotta contro il mondo intero e contro un destino avverso.
-Ah fantastico! Sostituito da un album da disegno! O peggio! Sarà andata a festeggiare con qualcuno, dimenticandosi del povero, inutile Jace!- non aveva intenzione di dire una cosa così cattiva, ma quel pensiero molesto si era tramutato in una accozzaglia di parole, il cui solo suono lo faceva rabbrividire, ancor prima si rendesse conto di averlo formulato.
Rose gli prese il volto tra le mani dolcemente ma in maniera ferma. Lo fissò dritto negli occhi. - Lo so che non credi ad una sola parola di quel che hai appena detto. Non potresti mai pensare davvero questo di Hannah, perché sei pazzo di lei...- Jace cercò di replicare ma lei non glielo permise -... quindi fermati prima di dire qualcosa di davvero offensivo... Qualcosa per cui non riusciresti mai a perdonarti.- Lasciò il suo volto e gli diede il tempo per replicare ma lui si limitò ad annuire. - Hannah ha trovato il suo album in pezzi. Ha aperto l'armadietto e le è letteralmente piovuto addosso.- Jace sgranò gli occhi per lo sconcerto. Non disse nulla perché il suo unico pensiero era quello di infilarsi un paio di jeans al posto della tuta e correre da lei senza attendere un solo attimo. Non sarebbe stata qualche linea di febbre a fermarlo. Non fece nulla di tutto ciò. Si limitò ad alzarsi lentamente e prendere a camminare su e giù per la stanza, trovando impossibile stare fermo in quel momento.
-é stata lei a dirtelo?- chiese, incrociando le braccia al petto e seguitando a misurare la stanza con passi larghi.
-No, la governante. Quando ieri sera ho chiamato Hannah non ha voluto parlare con me. Ho richiamato stamane, ma è stato lo stesso. Così ho chiesto se Hannah stesse bene, e la Signora MacFie mi ha spiegato ciò che è successo. L'hanno trovata che piangeva e cercava di raccogliere tutta quella carta. Poi l'hanno accompagnata a casa e da quel momento non ha voluto rivolgere la parola a nessuno.- Spiegò, con aria seriamente afflitta.
-Chi l'ha accompagnata?- chiese il ragazzo con un tremito nella voce, mentre mentalmente continuava a ripetere mentalmente come un mantra "non Tom, non Tom, non Tom".
-Ted Shelby.- Jace tirò un sospiro di sollievo. Ted era un bravo ragazzo, troppo narcisista per i suoi gusti, ma in fondo un tipo a posto.
Tornò a sedersi sul bordo del letto, prendendosi la testa tra le mani. - Dio... Sono proprio un idiota.- mormorò, scuotendo il capo. Rose si sporse a dargli una leggera pacca su una spalla.

-Solo quando ti rifiuti di vedere più in là del tuo naso.- disse ridendo - Credo che ora andrò da lei. Potresti telefonarla più tardi, che dici? Tu sei l'unico che lei vorrebbe avere vicino in questo momento, ne sono certa. Ho paura si senta in colpa per non essere venuta ieri.-
-Che...? Dopo quel che è successo non dovrebbe proprio pensare a me.- borbottò, sospirando gravemente. L'ultima cosa che mancava ad Hannah erano i sensi di colpa.- Okay, facciamo che tu vai da lei, poi appena esci da casa sua mi chiami e io chiamo lei.-
-Non è quello che ho appena detto? Ora chi è che non ascolta?- Jace le rivolse un occhiataccia.
-Ti sto affidando una missione d'estrema importanza soldato. Non deludermi.- si alzò, preda di un rinnovato entusiasmo. - Non c'è tempo per le battute.- scatto in un saluto militare.
-Sissignore!- la ragazza rispose al saluto con un altro, ridacchiando.- Tu però rimettiti a letto, e non fare sciocchezze, d'accordo?- Jace annuì, attese che l'amica prendesse le sue cose, e quindi le aprì la porta. Dietro questa, senza che ne avessero avvertito la presenza, c'era Seth, con un pugno ancora alzato, colto proprio nell'atto del bussare ad una porta che invece si era aperta rivelandogli un mondo di meraviglie. Jace prese dolorosamente coscienza della grave perdita: il suo fidato soldato era da dare per disperso ancor prima di partire per la sua missione.
-Ahm...- mugugnò Seth, lo sguardo fisso su un'imbarazzatissima Rose, che rispose a quel verso con un timido sorriso. Ecco, le comunicazioni con il campo base erano state interrotte, e Jace fece un ultimo, vano, tentativo per ristabilirle.
-Hei! Ciao Seth, che piacere vederti. Ma ora Rose sta andando via. Tante care cose eh!- prese la ragazza per le spalle e la spinse fino all'ingresso.- Bene, ciao Rose, vai e non deludermi!- Aprì la porta e la spinse fuori. Non aveva tempo per la cortesia, ma più tardi, si disse, si sarebbe scusato per averla cacciata via di casa in quel modo. - Corri Rose, corri come se ne andasse della tua vita!- le urlò dietro. Gli spiaceva sinceramente di essere stato rude con la sua “mammina”, ma conoscendo i due sapeva avrebbero continuato a fissarsi come ipnotizzati per ore, senza dire una sola parola, dimentichi del mondo intero. Non appena ebbe chiuso la porta alle spalle della ragazza, Seth sembrò riprendere un minimo di lucidità. Era capace di una rapida ripresa.
-Perchè l'hai mandata via? Non ti vergogni? Sei senza cuore!- lo prese per le spalle,scuotendolo con forza.- Dove sta andando? Ma prima, di cosa parlavate? No perché se ha parlato di me, tu me lo diresti vero? Non c'è un altro, dimmi di no, ti prego!- sembrava sull'orlo di una crisi isterica, e intanto continuava a scuoterlo e a fissarlo con occhi pieni di disperazione. - Dove l'hai mandata?Sei un essere spregevole, mandare la mia Rose a sfacchinare per te!-
-Seth, finiscila!- gli afferrò le mani, così strette attorno alle sue spalle da cominciare a fargli male.- Gesù! Smettila di fare la regina del dramma!E smettila di scuotermi, mi fai venire da vomitare!- stacco le mani dell'amico dalle sue spalle – Tu mi preoccupi! Seriamente! Non puoi venire qui e accusarmi di qualcosa che non farei mai! Ho già i miei problemi, io!- aprì nuovamente la porta, facendogli cenno d'andarsene - Sta andando da Hannah. Se non fossi rimasto qui a strillare avresti potuto raggiungerla.- il ragazzo avvertì chiaramente il rumore delle rotelle che giravano nella testa dell'amico. Fissava lui, poi la porta, poi nuovamente lui, poi ancora la porta. Jace, porta, porta, Jace.
-Oh, io non... Stavolta... Poi ho da... Sì, sì, non è il caso e... No, non lo posso fare Jace, non posso io... Sì, sì invece che posso! Ciao Jace!- poco mancò che si lanciasse giù per la rampa di scale, nel tentativo di raggiungerla prima che gli mancasse nuovamente il coraggio. Jace si affacciò dall'ingresso, fissandolo allibito.
-Sono finito in una gabbia di matti...- sospirò massaggiandosi la tempia mentre richiudeva la porta. - Devo trovarmi degli amici normali!-

***

Jace tornò a letto come Rose gli aveva raccomandato. Acceso il televisore aveva cercato inutilmente di rintronarsi facendo zapping da un canale all'altro, senza trovare niente di abbastanza interessante da assorbire completamente la sua attenzione. Intanto aspettava ansiosamente una telefonata che tardava ad arrivare. La testa gli scoppiava, ma non era la febbre, erano i pensieri che si agitavano instancabili e incontrollabili. Aveva ancora voglia di andare da Hannah, era un bisogno così pressante che lo rendeva indolente. E se si fosse innamorato per davvero? Era possibile innamorarsi un pochi giorni? Gli pareva assurdo, ma non più impossibile.
Alle sette della sera non aveva ancora avuto nessuna notizia da Rose, tanto meno da Hannah stessa. Fissare intensamente il telefono come stava facendo, non l'avrebbe fatto uscire dal suo ostinato silenzio, lo sapeva bene ma non riusciva a smettere di farlo, certo che nel momento in cui l'avesse fatto questo avrebbe cominciato a squillare e lui avrebbe rischiato di perdere la chiamata. Non riusciva neppure a smettere di pensare ad Hannah. E se in quel momento stesse piangendo? Se avesse un disperato bisogno del suo conforto? Ovvio che aveva bisogno di lui, ma era chiuso lì, in esilio forzato, e non poteva aiutarla. Telefonare non era un'alternativa, lei avrebbe potuto rifiutarsi di rispondere. Ma lui doveva assicurarsi che stesse meglio, che avesse chi si prendeva cura di lei, e Rose... Beh, non era più tanto sicuro che avesse portato a termine la sua missione.

"Secondo me da Hannah non è neppure arrivata..."
si disse. Basta! Doveva vederla, era assolutamente necessario, o sarebbe diventato pazzo, e se questo significava scappare di casa, beh, l'avrebbe fatto. Doveva solo mettere a punto la giusta strategia, e con un po' di fortuna la sua fuga sarebbe riuscita. Ma sì, avrebbe solo dovuto aspettare che sua madre si spostasse dalla cucina ad un'altra delle stanza della casa. Sarebbe stato facile, lei non riusciva a stare ferma per più di cinque minuti! Dopo sarebbe sgattaiolato fino alla porta e sarebbe uscito senza fare il minimo rumore. Poteva... No, doveva riuscirci.
Si vestì con cura, indossando strati su strati di vestiti, tanto che dopo pochi minuti già cominciava a sudare. In quel modo però, il freddo dicembrino sarebbe stato di certo più sopportabile e forse meno dannoso. Era conscio dei rischi che la sua evasione comportava, e il suo corpo stanco e malaticcio glielo ricordava ad ogni movimento. Ma lui ignorò ogni segnale. Infilò il portafoglio nella tasca posteriore dei jeans, quindi si acquattò accanto alla porta, attento ad ogni rumore. Gli parve di attendere per un secolo o più, ma finalmente sentì sua madre muoversi dalla sala fino al bagno. Era il momento: si mosse il più silenziosamente possibile,camminando velocemente. Attraversò il soggiorno e strisciò fuori dalla porta. Scese quatto quatto e guardingo la prima rampa di scale per poi lanciarsi giù per le restanti, correndo il più velocemente possibile. Tutto quel moto era tremendo per la sua tosse e sudare a quel modo non era certo un toccasana. Arrivato all'ingresso ansimava e le gambe gli tremavano, tanto che temette fossero sul punto di cedere. Stava male, fuggire di casa non gli pareva più una brillante idea. I polmoni gli facevano così male che gli pareva di aver respirato del vapore bollente e che gli stessero strizzando lo stomaco.
Il pensiero di essere ancora in tempo a tornare a casa, dove lo attendeva il suo letto caldo e soffice lo sfiorò, invitante, ma lui lo scacciò prontamente. Ormai si era messo in testa di fare quella pazzia e non si sarebbe fermato, non a quel punto! Non aveva fatto tredici piani a piedi per tornare da mammina alla prima difficoltà. Sarebbe andato avanti, a costo di stramazzare a terra nel bel mezzo della strada. Prese un profondo respiro, si strinse nel suo cappotto e attraversò l'ingresso del palazzo, dirigendosi con passo deciso verso la più vicina stazione della metro.
Fu il viaggiò peggiore, e in apparenza anche il più lungo, della sua esistenza. Il treno sembrava troppo caldo, troppo affollato e rumoroso. Il suo dondolio gli dava la nausea. Quando ne uscì, barcollante e sudaticcio, fu un sollievo. Forse per tornare a casa avrebbe fatto meglio a chiamare un taxi. Il freddo intenso fuori fu quasi un sollievo dopo il tepore della stazione che gli era sembrato fosse sul punto di soffocarlo. Subito dopo però sentì il sudore alla base della nuca ghiacciarsi. No, questo non avrebbe giovato affatto alla sua salute!


Lei.
Continuava ad osservare i disegni così faticosamente ricomposti. Jace, Jace, Jace... Era ovunque. Come era arrivata a considerarlo tanto importante, a pensarlo tanto intensamente da finire per ritrarlo costantemente e quasi del tutto inconsciamente? Era bizzarro notare come il suo stile, e i suoi stessi gusti si fossero evoluti a seconda dell'influenza che lui esercitava su di lei. Era passata da paesaggi, mondi immaginari sempre desolatamente deserti, pieni di vegetazione ma ugualmente privi di vita, a scene cariche di vivacità: una strada affollata e la folla stessa possono essere il soggetto più banale se il ritrarli non è altro che uno sterile esercizio. Diventa tremendamente significativo se ci si accorge di aver ritratto tanti volti differenti solo per il piacere di poter scorgerci almeno l'ombra di una vitalità che non si riesce quasi più a trattenere. Ad un occhio distratto i suoi schizzi potevano apparire innovativi o interessanti quanto una natura morta, ma un osservatore attento avrebbe sicuramente notato i piccoli ma costanti cambiamenti, e che in ogni disegno c'era un particolare che riportava a Jace. Era umiliante che qualcuno le avesse guardato dentro a quel modo, era una malignità che non avrebbe mai potuto perdonare, perché oltre alla sofferenza nel vedere il suo lavoro distrutto, le metteva davanti agli occhi cose che aveva volutamente ignorato fino ad allora. Non che avesse più importanza oramai: aveva promesso di andare a trovarlo ogni giorno, ma non era stata capace di mantenere la parola data. Mentre si diceva che avrebbe capito Jace se avesse deciso di non rivolgerle più la parola, la porta della sua stanza si aprì.
-Hannah, dovresti scendere di sotto. Hai visite.- disse la tata, in un tono che non ammetteva repliche.
-Non ho voglia di vedere nessuno, tata. Non potrebbero tornare domani?- domandò, sospirando. Perché non volevano proprio lasciarla in pace?
-No, non può, non dovrebbe neppure essere qui. Anzi, non riesco a credere che abbia fatto una simile follia. É meglio che io vada a telefonare a sua madre, e anche a tuo padre. Tu intanto scendi di sotto.- disse mentre si chiudeva la porta alle spalle. Svogliatamente allontanò la sedia dalla scrivania e si alzò. La tata aveva detto che avrebbe chiamato sua madre... Chissà che intendeva... E lo aveva detto come se lei conoscesse questa “madre”, ma lei conosceva solo la madre di... Corse fuori dalla sua stanza e giù per le scale. L'irrazionale pensiero che potesse trattarsi davvero di Jace le fece balzare il cuore in petto. Poteva essere avesse compiuto un gesto così sconsiderato solo per lei? E perché ne era così felice?
Quando vide dalle scale la sua testa bionda e arruffata e seppe di non essersi sbagliata fu presa da una gioia inesprimibile. Al sentire il rumore dei suoi passi Jace si alzò dalla poltrona su cui sedeva. Hannah lo apprezzò ancora di più per quella galanteria che, date le sue condizioni di salute, avrebbe potuto risparmiarsi. Era pallido ed era evidente quanto sforzo gli fosse costato arrivare fin lì.
-Jace?...- mormorò, raggiungendolo. Lui si fece avanti di qualche passo. - è successo qualcosa...? Di grave, intendo.- chiese con un fil di voce. Jace fissò lo sguardo su di lei, aveva gli occhi lucidi e il volto arrossato per la febbre, e sembrava cercare qualcosa nel volto di lei. Quando lo trovò, corrugò la fronte contrariato.
-Ma tu hai pianto... Guarda che occhi...- le disse con voce così roca da non somigliare affatto alla sua solita, così squillante. Tese una mano, accarezzandole il volto. Hannah avvertì il calore intenso di quel tocco.
-Hai la febbre...- mormorò lei di rimando, constatando la triste realtà.
-Solo un poco... - il ragazzo ritirò velocemente la mano. - Mi dispiace così tanto Hannie. Per il tuo album, dico. Ti ho portato questo.- le tese una busta in carta che ad una prima occhiata sembrava contenesse un quaderno, o un libro piuttosto grande. Riconobbe il logo stampato sulla busta. Era del negozio di belle arti dove era solita comprare il suo materiale. 
-Jace hai fatto tutta questa strada con la febbre per portarmi un... Per portarmi questo?- chiese prendendo la busta tra le mani e soppesandola, incuriosita e al contempo preoccupata. Possibile la febbre l'avesse fatto impazzire del tutto?
-Non dire nulla fino a che non l'avrai aperto.- la ragazza non ribatté, e mentre apriva la busta si chiese quale emozione sarebbe stata più appropriato mostrare all'occorrenza: soddisfazione? Gioia contenuta? Timida sorpresa? Ma quando estrasse il contenuto della busta le sue mani tremarono. Era andato a comprarle un nuovo album.
Se fosse stata padrona di sé, l'avrebbe ringraziato con sincerità, sottolineando la sua gentilezza e generosità, quindi gli avrebbe consigliato di tornare a casa. Ma non aveva parole. In realtà non ne avevano bisogno. Hannah sapeva cosa Jace cercava di dirle, in quel suo modo speciale e unico: qualsiasi cosa avvenga, ovunque tu sia, io sarò lì con te. Le stava dicendo che per quanto tremendo potesse essere quel che le avevano fatto, non doveva farsi dominare dal dolore. Non sarebbero mai riusciti a buttarla giù, perché lui sarebbe stato al suo fianco a sostenerla. Insieme avrebbero avrebbero superato ogni ostacolo. Continuava a fissare la copertina verde di dell'album con le lacrime agli occhi. Non poteva dare un valore al gesto, perché era inestimabile. Il plico di fogli bianchi era costato qualche dollaro, ma il loro valore simbolico era tangibile tanto quanto quello materiale.
-Mi spiace, non l'ho trovato uguale. Ma la commessa mi ha detto che è molto simile a quello che avevi tu. E poi i fogli sono spessi e ruvidi, ottimi per gli acquarelli. - disse il ragazzo interrompendo il lungo silenzio, ripetendo le parole della commessa. Hannah annuì solamente. Si strinse al petto l'album come fosse quanto di più caro avesse al mondo, vinta dall'emozione, perché realizzava in quel momento di avere davanti tutto ciò che avrebbe mai potuto desiderare. Scoprire di amare Jace era come scoprire che le favole sono storie vere, era sorpresa e meraviglia, e la felicità di sapere di avere incrociato un principe senza titolo ma dall'armatura scintillante, la personificazione di tutto ciò che un uomo dovrebbe essere. Lui ancora non lo sapeva, ma quel giorno aveva fatto suo il cuore di lei, quello stesso cuore che le batteva in petto assordante come una grancassa. Desiderava abbracciarlo, e quando lo fece, lasciando cadere anche l'ultima barriera tra loro, si rese conto di quanto avesse desiderato quel contatto. Piangeva contro il suo petto, sentendone il battito del cuore, non avrebbe saputo più dire se piangeva di dolore, sollievo o di gioia. Non c'era più modo di tornare indietro, non voleva tornare indietro. E se anche il suo fosse rimasto solo un amore non corrisposto in quel momento non le importava: era innamorata e provare quei sentimenti per Jace la colmava di una felicità così grande che le sarebbe bastata a confortarla per tutta una vita di solitudine.


L'angolo dell'autrice:

Rieccomi qui! Per questo capitolo si prega di ringraziare l'influenza, che mi ha tenuto in casa per una settimana (compreso il mio compleanno, bella sfiga) e mi ha dato tutto il tempo di unire e rivedere i miei tanti appunti sparsi e di riscrivere completamente il finale, che inizialmente era stano pensato per essere, diciamo, meno “incisivo” di questo. :-)
Spero sia gradito! :-)
Un grazie immenso a chi ha messo la storia tra i preferiti, tra le seguite e le storie da ricordare. :-)
E un grazie ancora più immenso alle mie fedeli commentatrici Dayan18 e Melikes. Soprattutto quest'ultima mi lusinga con delle recensioni lunghissime e minuziose che fanno gonfiare il mio ego in maniera spropositata! Nel prossimo capitolo cercherò di trovare davvero il tempo per rispondere adeguatamente alle vostre recensioni, lo prometto, questa volta non ho proprio il tempo materiale, lo studio mi chiama. :-S Dico solo che no, non è Tom che ha trovato Hannah, né è lui che suona il pianoforte, né è stato lui a prendere l'album. A lui importa di ferire Jace, Hannah è solo il mezzo attraverso il quale vendicarsi... Per ora! E come avrete letto Jace è sempre presente quando si ha bisogno di lui. :-)











  
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