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Autore: Sere88    17/11/2010    3 recensioni
Questa storia racconta l'avventura della fortuna, del talento, e dell'amore; la passione di due anime confuse tra destino e sentimenti, e quella di due corpi che si sono cullati e torturati in un intreccio di vite a cavallo tra cronache e fantasie. E' la storia che racconta della vita di un uomo vero, una stella mondiale della musica, adorato e criticato di nome MIchael Jackson e di una donna inventata che almeno nella mia fantasia gli ha regalato l'amore che meritava...
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7


Gennaio 1989.
Allo Sports Arena di Los Angeles si concluse un’impresa titanica che in totale contava quasi quattro milioni e mezzo di spettatori in tutto il mondo. Mai nessun artista prima d’ora aveva toccato cifre del genere.
Furono mesi grandi in tutti i sensi. Grande fu il lavoro, grande la fatica, grande il divertimento, grande la passione…Lui fu un GRANDE!
Prima dell’inizio di ogni concerto seguivamo il nostro piccolo rituale scaramantico lontano dai soliti “merda, merda merda!!!” tanto cari  ai teatranti. Mi lasciava un semplice bacio sulla fronte, uno di quei baci fiduciosi e fugaci che si regalano ad un talismano portafortuna, in grado trasmettere da suo corpo al mio in un breve e morbido contatto il bisogno di condivisione, sostegno, fiducia, stima, amore spassionato e spensierato. Bisogni che come stelle piccole e luminose costellavano lo spettacolo di cielo che era il nostro sentimento appena nato.
-Divertiti!...- mi limitavo a rispondere a quella grinta di lucenti capelli corvini che, prima di abbandonarsi all’estasi del suo talento esplosivo, mi lanciava un occhiolino sensuale come la cinta borchiata che gli avvolgeva il bacino dalla ritmica natura, sogno proibito delle ragazze di mezzo mondo. Poi correva via per respirare a pieni polmoni la sua aria dalle milioni di facce diverse che accaldate ed appassionate lo seguivano in ogni paese, quei fan che tanto lo hanno amato.
-Sarò sempre in debito con loro Susie…- mi disse durante uno dei nostri spostamenti mentre con tutto lo staff eravamo diretti in un nuovo continente da colonizzare con il suo genio poliedrico
-…quello che ricevo dal mio  pubblico è  assai più prezioso di ciò che gli offro...Del resto non gli lascio altro che musica e danza, loro invece…Loro si che danno senso alla mia arte Susie…e io vivo grazie a quel senso…
 
-E a me invece?- esclamai buffamente con la vocina infantile di una bimba -…a me che mi dai?
 
-A te do più l’uomo che l’artista…Attenzione però…-disse sorridendo come fosse un avvertimento- l’uomo è molto più noioso…
 
L’uomo e l’artista; scinderli era quasi un’impresa epica. Ma non perché sulla scena della vita reale fosse sempre quel mostro da palcoscenico sicuro e perfetto che appariva al pubblico, anzi; era un uomo con le sue debolezze e le sue fragilità, tanto reali da farlo apparire ai miei occhi così irresistibilmente normale, ma era anche lo stesso uomo che migliaia di donne in tutto il mondo desiderava. Ed io, giovane ed inesperta intrattenitrice di relazioni umane di un certo tipo, mi trovai a fare i conti con il peso di quelle migliaia.
 Accettare in maniera matura e professionale questa cosa non fu facile, lo devo ammettere, perché in fondo ero solo una ragazzetta sprovveduta nata con la danza nel sangue. Compresi presto che se questo era sufficiente a rendermi una ballerina del corpo di ballo di Michael Jackson, non sempre lo era a rendermi la donna di Michael Jackson.
Durante il tour assistetti a centinaia di bagni di folla che lo vedevano risucchiato da mani e braccia strepitanti, e la prima volta che accadde fu una esperienza quasi agghiacciante. Ricordo che prima di conoscerlo, in tv avevano mandato talvolta delle immagini come quelle, ma vedere dal vivo quel delirio umano fu quasi traumatico.
Eravamo appena arrivati e già una nidiata di ragazze svenevoli era appostata sotto il nostro albergo. Viaggiavo su di un’altra macchina che seguiva quella su cui invece si trovavano lui e i suoi collaboratori. Lo vidi scendere con quel sorriso pieno di tutto che faceva accapponare la pelle e dopo qualche secondo era già sepolto sotto una bufera di ormoni impazziti con gli occhi a mandorla. Le guardie del corpo dovettero intervenire energicamente per cercare di strappare Mike da quelle mani, tanto voraci da strattonarlo tirandogli i vestiti. Distante osservavo quella scena come una spettatrice incredula e mi feci spazio tra la folla intrufolandomi in mezzo a ragazze che piangevano disperatamente, che svenivano, che si strappavano i capelli. Che c’entravo io in tutto quello? Come avrei potuto accettare di dover dividere l’uomo che amavo con il resto del mondo? Sarebbe mai stato mio veramente?
Queste domande si spintonavano nel mio cervello come se fossero state a loro volta coinvolte in quella ressa, mentre a fatica cercavo di avvicinarmi all’ingresso dell’albergo. Quando credevo di averlo raggiunto ecco che venivo trascinata dietro da spintoni e gomitate.
Vicina ad un palmo e poi violentemente lontana alcuni metri…Io, lui e i nostri sentimenti ci siamo strattonati in un analogo e delirante marasma di emozioni lungo i nostri anni di condivisione.
 
Durante quei mesi decidemmo di non voler rendere ancora pubblica la nostra storia, quasi come se sentissimo il dovere di proteggerla dal resto del mondo. Non volevamo che venisse inghiottita dai tabloid e dai paparazzi.
Ci amavamo perché stare insieme sembrava la cosa più naturale del mondo. Noi due eravamo il nostro rifugio segreto, lontano dallo stress del lavoro, dei viaggi, delle pretese di tutti.
Avevamo sviluppato un’abilità a sgattaiolare via dalla confusione e da occhi indiscreti e quanto più era difficile e rischioso tanto più ci provavamo gusto. Il desiderio di sfiorarsi, toccarsi, annusarsi in un tempo nascosto ritagliato solo per noi, giovani anime alla scoperta di un sentimento grande come il mondo, ci regalava la scintilla di vita che ci accompagnò durante quei mesi di intenso lavoro e caricandoci di adrenalina dentro e fuori il palco.
Nemmeno il palco infatti fu risparmiato alla micidiale chimica dei nostri corpi, che sapientemente convogliammo in un delizioso binomio scenico.
 Durante la tappa newyorkese del tour avevo la febbre a trentotto e mezzo, non riuscivo a stare in piedi per cui pensammo di sostituirmi in uno dei pezzi, quello che prevedeva che io camminassi sul palco ancheggiando con una minigonna inguinale e che lui mi seguisse. Tutto era stato organizzato per l’occasione, quando poco primo dell’inizio dello spettacolo Mike annunciò un cambio di programma.
Venne a bussarmi in camerino.
 
-Signorina stasera passeggi con me…- mi disse sbucando da dietro la porta.
 
-…Si vede che sei stressato, non ti ricordi più le cose. Già abbiamo provveduto alla sostituzione, non ti preoccupare filerà tutto liscio come sempre…- gli risposi mentre frugavo tra le mie cose alla ricerca di una felpa per coprire quei brividi di freddo non intenzionati a smettere.
 
-No Susie, non esiste! Io quel pezzo lo voglio fare con te, insomma ha senso solo se lo faccio con te, è più vero, viene meglio…Dai…
 
-Mike ma è lo stesso su. Ho la testa in fiamme. Meglio che mi riposo quei cinque minuti, è per il bene dello spettacolo. Non lo faccio certo per pigrizia, ho un febbrone. E poi Tracy va benissimo lo hai detto anche tu ieri.
 
-Si ma poi ci ho ripensato. Tu sei tu…Ho deciso...sono il capo no?- mi disse divertito facendomi un occhiolino.
 
-…Ma dai che cambia, anche lei è una professionista e poi non mi sembra corretto nei suoi confronti dato che è già stata avvisata.
 
-Non farla tanto lunga, non se la prenderà. Io voglio te su quel palco, quindi vedi tu come vuoi metterla. E poi ti dimostrerò che non sarà la stessa cosa…vedrai non te ne farò pentire…
 
Non mi diede il tempo di rispondere e andò via di corsa. Quella piccola sfida che mi aveva lanciato mi lasciò un guizzo di eccitazione che colsi al volo, ma infondo ero tranquillissima perchè credevo di sapere cosa mi aspettasse. E invece mi sbagliavo.
Ammetto che accompagnarlo in quel brano mi divertiva da matti, per cui messo piede sul palco ogni decimo di febbre era svanito.
Tutto stava andando come il previsto, ci avvicinavamo, ci allontanavamo, mi sfiorava, mi strusciavo come da copione, ma quella volta la carica sensuale che di solito faceva da spettacolare cornice alla sua danza e alla sua voce era di una intensità senza pari. Avevamo provato quel pezzo insieme centinaia di volte, ma mai come quella sera lessi nel suo sguardo miliardi di cose poco ortodosse che andavano bel oltre i limiti di quel palcoscenico.
La sua voce a tratti acuta e a tratti graffiata mi fece divampare in un secondo come paglia accanto al fuoco…Quanto ero paglia io…e lui…quanto era fuoco.
La sua bocca proferiva parole dettate da un testo ben scritto, ma che tra le righe mi lanciava pericolosi messaggini subliminali. Voleva dimostrarmi che ne era valsa la pena nonostante la febbre  e io a mia volta gli volli far capire chiaramente quanto avessi apprezzato il suo impegno.
La musica era pronta a suggerirci un avvicinamento; come ad un amo mi impigliai a quegli occhi scuri che sembravano gridare “Fatti avanti ragazza e fammi vedere quello che sai fare…”. Ero vicina abbastanza per sentire le sue mani dire “toccami“ e le sue labbra “baciami”, e prendendolo per il collo della camicia la mia bocca rispose piacevolmente sorpresa a quel richiamo. 
L’episodio produsse un boato di pubblico tra urla invidiose, incitanti ed eccitate per quel colpo di scena. Un analogo boato si produsse dietro le quinte; ma quello che ci toccò sentire non furono applausi scroscianti ma le grida del suo manager. Il cambio di programma venne giudicato una mossa azzardata che comunque avrebbe inciso parecchio sull’immagine pubblica di Michael.
 
-Niente distrazioni ragazzo!...Qua ci sono in gioco soldi, successo e la tua faccia che vale miliardi di dollari…E tu bellezza, trovati qualche altro maschio per calmare i tuoi bollori, Mike non può permettersi di fare cazzate del genere…con una come te poi…Ti avverto, alla prossima stronzata che fai sei fuori, da questo posto e da qualunque altro!
 
Rimasi pietrificata e bruciata da quelle parole fatte di calce viva. Ogni sillaba era uno sputo di cattiveria, ogni occhiata di disprezzo era una mortificazione al mio lavoro, al mio amore per Michael e alla mia dignità. Scappai piangendo nel mio camerino, e tra singhiozzi e disperazione dietro la posta riuscii a sentire la voce di Michael  che si limitò a giustificare l’accaduto presentandolo come una sua idea per fare scena, niente di più.
Dopo pochi minuti vidi strisciare sotto lo spiraglio di porta un bigliettino maltrattato con su scritto “Scusa…”
Era ancora lì fuori quando aprii la porta. Era accovacciato nella stessa posizione che presumibilmente aveva assunto per lasciarmi il foglietto di scuse. Si mise in piedi con uno scatto agile, spalancò la porta ed entrò nella stanza con la voglia di chi vuole scappare da ogni cosa. Prese il mio viso umido di mortificazione tra le sue mani, avvicinò la sua fronte alla mia e parlò con le sue labbra sulle mie, come se quelle parole provenissero dalla sua bocca quanto dalla mia.
 
-Perdonami per tutto quello che significo…perdonami perché sarò un problema, un peso, un incapace…incapace di mettere le mani addosso ad un uomo basso e grasso che ha maltrattato la mia donna in quel modo…Ma ti giuro che non permetterò mai più a nessuno di parlarti così…e ricordati che quello senza di me non vale niente, io senza di lui varrò sempre qualcosa…
 
Un suo bacio fu sufficiente a farmi ingoiare lacrime e dispiacere. Non sarebbe stato facile stargli accanto, ma sarebbe stato letteralmente impossibile impedirmi di farlo. Lo amavo.
 
Tuttavia l’accaduto fece insospettire i membri dello staff i cui pettegolezzi vennero alimentati anche da un altro episodio avvenuto sempre in quei mesi.
Mike di natura era un tipo passionale e alle volte anche un po’ geloso, ma detestava quando glielo facevo notare e cercava in ogni modo di non darlo a vedere, pur non risparmiandosi continue frecciatine ogni qualvolta con un mio comportamento toccavo quel nervo scoperto. A me questo suo lato non dispiaceva affatto, noi italiani siamo “carnali” come si dice dalle mie parti, ma adoravo stuzzicarlo.
Una sera durante il tour terminammo tardissimo le prove. Generalmente eravamo abituati a vederci non appena finivamo di lavorare, quando ognuno tornava in albergo nella propria stanza, ma quella volta lui mi disse che era stanchissimo ed aveva bisogno di farsi una dormita. Non obiettai ovviamente, Mike si dava da fare tutto il giorno ed era comprensibile che la sera fosse stanco morto. Tuttavia io mi sentivo ancora in forma, avevo voglia di fare un giretto, del resto ci trovavamo a Melbourne e l’Australia era da sempre stata il sogno della mia vita, non potevo trovarmi lì e rimanere in albergo. Ricevetti un gentile invito da uno dei ragazzi del corpo di ballo, Fritz, era viennese, un giovanotto dolce e dai modi gentili che stimavo tanto come ballerino; mi stava simpatico, ma niente di che. Quella sera andammo in un locale a bere qualcosa e a svagarci un po’ e tra un bicchiere ed una parola si fece tardissimo; erano le tre e mezza quando rientrammo in albergo.
La mia camera si trovava sullo stesso piano di quella di Mike, cosa che capitava raramente; i membri dello staff venivano sistemati sempre su di un altro piano o in un’altra zona dell’albergo, ma per me venne fatta un eccezione, il che già fece insospettire parecchi. Per non dare troppo nell’occhio fece in modo che anche la costumista venisse messa nella stanza accanto alla mia.
Una volta rientrati, Fritz si offrì di accompagnarmi fino alla mia stanza e rimanemmo lì fuori seduti a terra a chiacchierare per un altro po’. Fin qui niente di strano se non fosse stato per il fatto che eravamo completamente ubriachi e stavamo facendo un casino bestiale. Tra risate incontrollate, spintoni e scemenze varie svegliammo l’intero piano, anzi in realtà svegliammo una delle due uniche persone che dormivano su quel piano, quella sbagliata.
Dopo circa una mezz’ora di baccano  una porta si spalancò impetuosa.
 
-Ma che diamine sta succedendo qua fuori?!?!
 
Mike evidentemente alterato si era scaraventato come una furia nel corridoio. Non è mai stato un tipo particolarmente collerico, tuttavia quelli furono per lui mesi molto faticosi e stressanti sia a livello fisico che psicologico, era teso come una corda di violino  e sentiva proprio il bisogno di dormire, cosa che di per sé non gli riusciva mai facile. Ci guardò sorpreso con gli occhi sgranati.
 
-Bene…a quanto pare mentre io cerco disperatamente di prendere sonno dopo una giornata piena come quella di oggi, c’è qualcuno che ha la forza, il tempo e la “compagnia” per andarsi a divertire…Bravi, bravi, non c’è che dire!
 
 Pronunciò quelle parole con tono amaro e deluso e rientrò nella sua stanza sbattendo la porta. Mi sentivo un lurido vermicello strisciante. Insomma, sapevo quanto fosse stanco e teso in quel periodo, sapevo che aveva difficoltà a dormire e come una stupida mi ero messa fuori alla sua stanza con quel tipo a fare la scema. Ero terribilmente  mortificata. Andai a letto tutta stordita; mi aspettava una mattinata di mal di testa atroce, ma prima di coricarmi mi ripromisi che il giorno seguente gli avrei chiesto scusa.
Come sempre la sua imprevedibilità mi precedette. Dopo quello che era successo  la sera mi sarei aspettata un musone lungo e tanta indifferenza e invece…
Erano le sei.
 
-Bum! Bum! Bum! Bum!-un rumore assordante mi fece sobbalzare dal letto.
 
-Ma chi è a quest’oraaa! Ma vi pare il modo di bussare ad una porta alle sei di mattina!?!?- urlai totalmente rincoglionita, nel tentativo di fermare la stanza che girava.
Aprii la porta con uno scatto nervoso.
 
-Ben svegliata cara!...che visetto disteso che hai, si vede che hai riposato bene stanotte…- mi disse Mike con tono ironico ed una faccia da schiaffi, poggiato allo stipite della porta.
Rimasi per un attimo imbambolata senza dire una parola, del resto avevo intenzione di scusarmi con lui, ero io che stavo in torto, ma quel suo atteggiamento mi fece irritare.
 
-Allora ti sei divertita con il bamboccio di ieri sera?...Ah… complimenti vedo e sento che ti sei data pure all’alcool, puzzi come una bottiglia di Martini!
Mi stavo innervosendo, adesso stava calcando un po’ troppo la mano.
 
-Non ti pare che la stai facendo un pochino lunga Mike?...sembri un siciliano degli anni ’50…datti una calmata…- gli risposi con aria di sufficienza mentre mi spostavo per farlo entrare per evitare che facesse una ennesima scenata nel corridoio.
 
-Che avete fatto?Dove siete andati?Ti ha baciata?...dimmelo se ti ha baciata, lo devo sapere…Anzi non me lo dire…non mi interessa…- disse ansiosamente tappandosi le orecchie.
 
-Ma sei impazzito!!! Oh ma per chi mi hai preso??? Ma che credi che vado con il primo tizio che mi capita davanti…Ma guarda te se per andarmi a prendere una birra devo passare pure per una poco di buono...
 
Gli diedi le spalle, mi aveva offesa. Mi sentivo mortificata per quella che era successo, ma questo non lo autorizzava a trattarmi come una mignotta solo per una uscita di qualche ora, mi pareva troppo.
 
-Ma che credi, che questa per me è una vacanza? Anche io sono stressata, anche io ho bisogno di svagarmi un po’, anche io sono giovane Michael…E che diamine a volte sembri mio nonno…
Quella fu la parola chiave.
Ci guardammo negli occhi con l’espressione di chi non ha più voglia di litigare e scoppiammo a ridere come due bambini. In effetti non è che la parola nonno facesse così ridere, ma quella frase aveva spezzato l’atmosfera di tensione e poi avevamo entrambi voglia di fare pace. A modo nostro.
 
-Vieni qui su…-Mi disse avvicinando il mio viso al suo petto- per oggi basta litigare…Scusa se ho esagerato, ma quando ti ho visto con quello a ridere e scherzare mi sembravi davvero felice. Ho avuto paura Susie, perché so che starmi vicino è difficile, so che non potrò darti quella quotidianità di cui hai bisogno; ho paura di dirti quello che provo veramente, ho paura di dirti che io ormai sento…
 
Rimasi in silenzio, immobile; non volevo che una mia parola o un mio gesto potesse suggerirgli quello che volevo lui dicesse spontaneamente. Lo guardai solo, esitante, in attesa di sentirgli pronunciare quella frase.
 
-…che Ti Amo…come mai nessuno al mondo…come mai nella mia vita…come…
 
Era arrivato il momento, non avevo bisogno di sentire altro. Poggiai l’indice sulle sue labbra per dare tregua a quell’affanno di cuori e parole e un bacio concluse quel dolce tormento. 
  
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