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Autore: miseichan    17/11/2010    15 recensioni
Uno stronzo. Un avvocato cinico e spregiudicato. Un avvocato che non crede nella giustizia. Sempre lo stesso avvocato che odia il suo lavoro, la sua vita, il fatto che a trentatrè anni suonati è ancora single e vive come se ne avesse diciassette. Un avvocato a cui non brillano più gli occhi dorati. Chissà se un paio di occhi da cerbiatto umidi di lacrime non possano compiere un miracolo, riportandolo in qualche modo a vivere davvero.
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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avv

Cercavi giustizia, hai incontrato me

 

Blow

 

Inspira.

Espira.

- Bella… -

Inspira ancora.

- Domani che fai, Bella? -

Espira.

Avrei inspirato ancora una volta, il dito che carezzava convulsamente il cucchiaino, se non avessi avvertito chiaramente i suoi occhi che si fissavano improvvisamente su di me.

Inspira. Cerca di inspirare. Devi inspirare.

- Perché? -

Sorrisi esasperato, lasciando perdere con stizza il cucchiaino. Perché. Aveva chiesto perché!

Scossi la testa, chiudendo piano gli occhi. Cosa avrei dovuto rispondere?

Che mangiare quel gelato con lei era stata la cosa più bella, eccitante, viva… che avessi fatto da un anno a quella parte? Che per qualche assurdo motivo non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso? Che parlare con lei, ridere con lei, stare con lei, era tutto ciò che desiderassi?

Potevo dirlo?

Potevo gridarlo? Cercare di farle capire cosa stesse scatenando in me?

O dovevo prima convincerne me stesso?

La solita vocina, quella dell’avvocato, aveva ormai perso la voce a furia di sgridarmi. Ma c’era poco da fare: non c’era partaccia che reggesse. Per me quella ragazza non era più una cliente, non lo era mai stata. Non mi interessava in quel senso, non volevo assalirla, tartassarla di domande e sconvolgerla. Semplicemente iniziavo a temere che non ne sarei stato in grado.

- Edward? -

Riaprii gli occhi di scatto, incontrando subito quelli di lei. Sorrisi, stringendomi nelle spalle.

- Non mi hai risposto – mormorai, riprendendo a giocare con il cucchiaino.

- Nemmeno tu –

Lasciai che il sorriso scomparisse poco alla volta dalle mie labbra, sporgendomi sul tavolo ed avvicinando il mio viso al suo. Lei arretrò istintivamente di qualche centimetro, guardandomi senza capire. E ora?

E per la prima volta, feci quello che un avvocato non fa mai: dissi la verità.

Una mezza verità.

- Per tutto il weekend apriranno una mostra sul lungomare – spiegai, la voce che sembrava essere sul punto di morirmi in gola. – Così mi chiedevo… - sollevai lo sguardo verso di lei, indeciso.

Con un sospiro mi accasciai di nuovo sulla sedia. Dannazione!

Cosa diavolo mi passava per la testa? Un gelato e mi credevo in diritto di invitarla fuori?!

Scossi la testa, incredulo del mio stesso comportamento.

Mi avvicinavo sempre più a quel flebile confine che porta alla follia.

Sempre senza guardarla mi sentii finalmente tornare in me e fu con voce più sicura che continuai:

- Niente. Volevo solo sapere se ti andava di venire con me, ma fa finta di niente -

Un sorriso irrisorio, una sbirciatina alla sua espressione.

E fu allora che rimasi sorpreso.

Perché Bella non aveva espressione. Sembrava indossare una maschera, una qualche protezione dal mondo esterno che le consentiva al tempo stesso di non far minimamente intuire a chi le era vicino cosa le frullasse per la testa.

Assottigliai lo sguardo, cercando di capire se qualcosa non andasse.

- Bella? -

Al primo richiamo non rispose, indifferente come se nemmeno mi avesse sentito.

Mi sporsi di nuovo sul tavolo, avvicinandomi a lei, ma era come se non fosse più con me.

Preoccupato, le sfiorai una mano: un tocco leggero, quasi inconsistente.

Una carezza leggera come le ali di una farfalla.

- Non posso -

Scattò, così: all’improvviso. Subito dopo che le mie dita le avevano sfiorato la mano.

- Come? -

Non feci in tempo a concludere la domanda che già era in piedi. I movimenti agitati, lo sguardo sfuggente, mi lanciò appena un sorriso tirato ed apertamente falso.

- Devo andare – bisbigliò, allontanandosi di qualche passo – Grazie per il gelato -

La guardai uscire, chiudendosi la porta alle spalle. Poi i miei occhi tornarono automaticamente al posto vuoto che avevo davanti. E lì si bloccarono, incapaci di spostarsi.

Cos’è che era successo?

Sorrisi mestamente, prendendomi la testa fra le mani.

- Sono un idiota – cantilenai – Nient’altro che un idiota. Idiota. Idiota -

Avrei sbattuto volentieri anche la testa sul tavolo, ma l’espressione di un cameriere di passaggio mi ricordò che forse non era il caso.

No, avrei aspettato… sarei tornato prima in ufficio, ecco.

Certo, mi dissi, lasciando sovrappensiero qualche banconota sotto il centrotavola: in ufficio c’era la scrivania. Scrivania in noce, sospirai soddisfatto: il noce sarebbe andato bene.

Mi alzai in piedi, lanciando un ultimo sguardo alla sedia dall’altro lato del tavolo.

Che gran stronzata che avevo fatto.

Sorridendo con rassegnazione afferrai il cucchiaino ed uscii senza più guardarmi indietro.

Di cos’è che le avevo parlato, poi? Ridacchiai, contenendomi a stento. Ah, Dio Mio… e non avevo neanche bevuto!

Continuai a sghignazzare, camminando senza avere la minima idea di dove stessi andando. Prima o poi tanto da qualche parte sarei pur arrivato.

Non vedevo la strada, non vedevo il marciapiede. Non vedevo assolutamente niente.

Di musica, sì, le avevo parlato di musica.

E di Jasper, sì, non so come c’era finito anche Jazz nel discorso. E dopo?

Mi fermai un attimo, fissando con disapprovazione la punta delle mie scarpe. Proprio loro che non c’entravano niente.

E dopo?

Quando mi venne in mente scoppiai definitivamente a ridere. Non riuscii più a trattenermi.

Del gelato, ecco di cosa le avevo parlato! Di come mi mancasse, di quanto mi facesse piacere stare lì e … Dio, Dio, Dio! Che cosa pietosa.

Poco ci mancava che le spiegassi anche come tutta la mia vita oramai mi facesse schifo. “Sai Bella, da un po’ di tempo a questa parte ho cominciato a prendere in considerazione l’idea di suicidarmi. Tu che ne dici, sarebbe una buona cosa?

Reclinai la testa all’indietro, lasciando che lo sguardo si perdesse nel cielo che mai come in quel momento attirava la mia attenzione. Iniziava ad imbrunire.

- Guarda chi si vede -

Continuai a guardare le nuvole appena accennate sopra di me, certo che quella voce non ce l’avesse con me. Sentii anche i fischi e i mormorii di approvazione che seguirono, ancora convinto che non si riferissero a me. Tranquillo, relativamente calmo. Ero in pace con il mondo o ad essere sinceri semplicemente, me ne infischiavo altamente.

Stanco.

- Non si degna neanche di guardarci, l’angioletto -

A quel punto probabilmente avrei dovuto intuire qualcosa. Ci sono ottime possibilità che fin dalla prima frase lo avessi fatto.

Eppure ancora non mi decidevo ad abbassare lo sguardo.

Che ce l’avessero con me o no, me ne infischiavo.

Volevo infischiarmene. Con tutto me stesso.

- Non è una vergogna? – chiese ancora la voce, sempre più vicina – Credevo che chi ha il coraggio di colpire Mike fosse anche provvisto di un paio di palle. Mi sbagliavo? -

E successe. Quello che non volevo succedesse.

Una concatenazione di parole, di accenni, di stoccate.

Coraggio, Mike, Palle.

Fu per colpa di quelle parole che la vocetta dell’avvocato tornò. Non più come sottofondo. No, tornò più forte di prima, decisa a riprendere il controllo.

Sicura di poter riottenere il potere che aveva sempre avuto su di me.

E aveva ragione.

Perché in fondo la vocetta dell’avvocato era la mia. Che diritto avevo perciò di scacciarla?

- Mike? – chiesi, riabbassando lo sguardo senza fretta – Mike, chi? -

La risata scoppiò istantanea. Prorompente.

Osservai i tre uomini che ridevano: uno a destra, uno a sinistra e l’ultimo davanti a me.

Enormi, brutti, minacciosi.

Che il principino figlio di papà avesse mandato i suoi sgherri per avere vendetta?

- Non scherzare, avvocantucolo – mormorò uno dei tre.

- Non ci piacciono gli scherzi – rincarò un altro.

Mi strinsi nelle spalle, infilando le mani nelle tasche. Alternai lentamente lo sguardo su tutti e tre.

- Posso fare qualcosa per voi? -

Risero di nuovo. Avvicinandosi di più, stringendo il cerchio.

- Ci è giunta voce… - iniziò il palestrato alla mia destra, interrompendosi per passare una mano sulla testa pelata - … solo una voce, sia chiaro -

A continuare fu poi il gigante che avevo di fronte: un metro e novanta per, decisamente, troppi chili di muscoli.

Solo per un istante presi in considerazione l’ipotesi di fingermi morto: non si faceva così per sfuggire alla furia omicida degli orsi?

- Si dice, angioletto, che tu stia prendendo in considerazione l’idea di lavorare per le persone sbagliate – sibilò, stringendo i denti.

Feci per dire qualcosa, ma l’altro fu più veloce di me.

- Siamo certi che non commetterai un tale sbaglio – ringhiò – Faresti una scortesia a qualcuno di molto importante, sai? Non credo ti convenga -

Sorrisi, contento di aver ritrovato il mio sorriso. Quello vero. Non quello che mi aveva strappato il gelato né quello che Bella riusciva a provocarmi.

Il sorriso dell’avvocato.

- Se permettete, signori – sussurrai – Sono convinto di saper decidere da solo ciò che mi conviene -

Loro sorrisero, muovendo un passo avanti in contemporanea.

- Oh, noi lo speriamo – rispose uno dei tre, senza che riuscissi a capire quale – Solo, vogliamo assicurarci che ci sia qualcosa a ricordarti cosa è per te positivo… -

Diritto nello stomaco. Non lo avevo nemmeno visto arrivare.

- … e cosa invece non lo è. -

Il secondo pugno partì dal basso, centrando in pieno il mento.

Gli altri non li vidi.

Neanche li sentii.

Solo ad una cosa riuscivo a pensare.

Un avvocato non se ne può infischiare.

Mai.

 

*

 

 

* Sventola piano una manina, indecisa se farsi vedere o no*

 

Okay, sono viva.

Non so se interessa a qualcuno ma lo dico: sono viva, in salute e chi più ne ha più ne metta.

Certo sono anche in ritardo. Sono incoerente, bastarda, ignobile… odiata.

Sì, molto probabilmente sono anche odiata. Da tutti voi.

Da tutti quelli che per qualche assurdo motivo seguono le mie storie.

Per il semplice motivo che mi sono assentata per un lasso di tempo incredibilmente lungo.

Non ho scuse, lo so io e lo sapete voi.

L’unico modo che ho per provare a farmi perdonare è, forse, (ammesso e non concesso che a qualcuno vada ancora di leggere qualcosa di mio)… dicevo l’unica cosa che forse posso fare è continuare a scrivere queste orribili storie.

In ogni caso, per me rappresentano ancora qualcosa.

Non so per voi né se saranno lette, seguite o, miracolosamente, commentate.

Sono tornata, però… si spera per non sparire di nuovo.

Se c’è ancora qualcuno, bè, batta un colpo ^^

Un bacione,

Sara

 

 

 

 

 

 

   
 
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