Cercavi giustizia, hai incontrato me
Blow
Inspira.
Espira.
- Bella… -
Inspira ancora.
- Domani che fai, Bella? -
Espira.
Avrei inspirato
ancora una volta, il dito che carezzava convulsamente il cucchiaino, se non
avessi avvertito chiaramente i suoi occhi che si fissavano improvvisamente su
di me.
Inspira. Cerca
di inspirare. Devi inspirare.
- Perché? -
Sorrisi
esasperato, lasciando perdere con stizza il
cucchiaino. Perché. Aveva chiesto perché!
Scossi
la testa, chiudendo piano gli occhi. Cosa avrei dovuto rispondere?
Che mangiare
quel gelato con lei era stata la cosa più bella, eccitante,
viva… che avessi fatto da un anno a quella parte? Che per qualche
assurdo motivo non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso? Che parlare con
lei, ridere con lei, stare con lei, era tutto ciò che desiderassi?
Potevo dirlo?
Potevo gridarlo?
Cercare di farle capire cosa stesse scatenando in me?
O dovevo prima
convincerne me stesso?
La solita
vocina, quella dell’avvocato, aveva ormai perso la voce a furia di
sgridarmi. Ma c’era poco da fare: non
c’era partaccia che reggesse. Per me quella ragazza non era più una
cliente, non lo era mai stata. Non mi interessava in
quel senso, non volevo assalirla, tartassarla di domande e sconvolgerla. Semplicemente
iniziavo a temere che non ne sarei stato in grado.
- Edward? -
Riaprii gli
occhi di scatto, incontrando subito quelli di lei. Sorrisi, stringendomi nelle
spalle.
- Non mi hai
risposto – mormorai, riprendendo a giocare con il cucchiaino.
- Nemmeno tu
–
Lasciai che il
sorriso scomparisse poco alla volta dalle mie labbra, sporgendomi sul tavolo ed avvicinando il mio viso al suo. Lei arretrò
istintivamente di qualche centimetro, guardandomi senza capire. E ora?
E per la prima
volta, feci quello che un avvocato non fa mai: dissi
la verità.
Una mezza verità.
- Per tutto il
weekend apriranno una mostra sul lungomare – spiegai, la voce che
sembrava essere sul punto di morirmi in gola. – Così mi chiedevo… -
sollevai lo sguardo verso di lei, indeciso.
Con un sospiro
mi accasciai di nuovo sulla sedia. Dannazione!
Cosa diavolo mi
passava per la testa? Un gelato e mi credevo in diritto di invitarla fuori?!
Scossi la testa,
incredulo del mio stesso comportamento.
Mi avvicinavo
sempre più a quel flebile confine che porta alla follia.
Sempre senza
guardarla mi sentii finalmente tornare in me e fu con voce più sicura che continuai:
- Niente. Volevo
solo sapere se ti andava di venire con me, ma fa finta di niente -
Un sorriso
irrisorio, una sbirciatina alla sua espressione.
E fu allora che
rimasi sorpreso.
Perché Bella non
aveva espressione. Sembrava indossare una maschera, una qualche protezione dal
mondo esterno che le consentiva al tempo stesso di non far minimamente intuire
a chi le era vicino cosa le frullasse per la testa.
Assottigliai lo
sguardo, cercando di capire se qualcosa non andasse.
- Bella? -
Al primo
richiamo non rispose, indifferente come se nemmeno mi avesse sentito.
Mi sporsi di
nuovo sul tavolo, avvicinandomi a lei, ma era come se non fosse più con me.
Preoccupato, le
sfiorai una mano: un tocco leggero, quasi inconsistente.
Una carezza
leggera come le ali di una farfalla.
- Non posso -
Scattò, così:
all’improvviso. Subito dopo che le mie dita le avevano sfiorato la mano.
- Come? -
Non feci in
tempo a concludere la domanda che già era in piedi. I
movimenti agitati, lo sguardo sfuggente, mi lanciò
appena un sorriso tirato ed apertamente falso.
- Devo andare
– bisbigliò, allontanandosi di qualche passo – Grazie per il gelato
-
La guardai
uscire, chiudendosi la porta alle spalle. Poi i miei occhi tornarono
automaticamente al posto vuoto che avevo davanti. E lì si bloccarono, incapaci
di spostarsi.
Cos’è che
era successo?
Sorrisi
mestamente, prendendomi la testa fra le mani.
- Sono un idiota
– cantilenai – Nient’altro che un idiota.
Idiota. Idiota -
Avrei sbattuto
volentieri anche la testa sul tavolo, ma l’espressione di un cameriere di
passaggio mi ricordò che forse non era il caso.
No, avrei
aspettato… sarei tornato prima in ufficio, ecco.
Certo, mi dissi,
lasciando sovrappensiero qualche banconota sotto il centrotavola: in ufficio
c’era la scrivania. Scrivania in noce, sospirai soddisfatto: il noce sarebbe andato bene.
Mi alzai in
piedi, lanciando un ultimo sguardo alla sedia dall’altro lato del tavolo.
Che gran
stronzata che avevo fatto.
Sorridendo con
rassegnazione afferrai il cucchiaino ed uscii senza
più guardarmi indietro.
Di cos’è
che le avevo parlato, poi? Ridacchiai, contenendomi a stento. Ah, Dio
Mio… e non avevo neanche bevuto!
Continuai a
sghignazzare, camminando senza avere la minima idea di dove stessi andando. Prima o poi tanto da qualche parte sarei pur arrivato.
Non vedevo la
strada, non vedevo il marciapiede. Non vedevo assolutamente
niente.
Di musica, sì,
le avevo parlato di musica.
E di Jasper, sì,
non so come c’era finito anche Jazz nel discorso. E dopo?
Mi fermai un
attimo, fissando con disapprovazione la punta delle mie scarpe. Proprio loro
che non c’entravano niente.
E dopo?
Quando mi venne
in mente scoppiai definitivamente a ridere. Non
riuscii più a trattenermi.
Del gelato, ecco
di cosa le avevo parlato! Di come mi mancasse, di quanto mi facesse piacere
stare lì e … Dio, Dio, Dio! Che cosa pietosa.
Poco ci mancava
che le spiegassi anche come tutta la mia vita oramai mi facesse schifo. “Sai Bella, da un
po’ di tempo a questa parte ho cominciato a prendere in considerazione
l’idea di suicidarmi. Tu che ne dici, sarebbe una buona cosa?
Reclinai la
testa all’indietro, lasciando che lo sguardo si perdesse nel cielo che
mai come in quel momento attirava la mia attenzione. Iniziava ad imbrunire.
- Guarda chi si
vede -
Continuai a
guardare le nuvole appena accennate sopra di me, certo che quella voce non ce l’avesse con me. Sentii anche i fischi e i mormorii
di approvazione che seguirono, ancora convinto che non si riferissero a me.
Tranquillo, relativamente calmo. Ero in pace con il mondo o ad
essere sinceri semplicemente, me ne infischiavo altamente.
Stanco.
- Non si degna
neanche di guardarci, l’angioletto -
A quel punto
probabilmente avrei dovuto intuire qualcosa. Ci sono ottime possibilità che fin
dalla prima frase lo avessi fatto.
Eppure ancora
non mi decidevo ad abbassare lo sguardo.
Che ce l’avessero con me o no, me ne infischiavo.
Volevo
infischiarmene. Con tutto me stesso.
- Non è una
vergogna? – chiese ancora la voce, sempre più vicina – Credevo che
chi ha il coraggio di colpire Mike fosse anche provvisto di un paio di palle.
Mi sbagliavo? -
E successe.
Quello che non volevo succedesse.
Una
concatenazione di parole, di accenni, di stoccate.
Coraggio, Mike,
Palle.
Fu per colpa di
quelle parole che la vocetta dell’avvocato tornò. Non più come
sottofondo. No, tornò più forte di prima, decisa a riprendere il controllo.
Sicura di poter
riottenere il potere che aveva sempre avuto su di me.
E aveva ragione.
Perché in fondo
la vocetta dell’avvocato era la mia. Che diritto avevo perciò di
scacciarla?
- Mike? –
chiesi, riabbassando lo sguardo senza fretta – Mike, chi? -
La risata
scoppiò istantanea. Prorompente.
Osservai i tre
uomini che ridevano: uno a destra, uno a sinistra e l’ultimo davanti a
me.
Enormi, brutti,
minacciosi.
Che il
principino figlio di papà avesse mandato i suoi
sgherri per avere vendetta?
- Non scherzare, avvocantucolo –
mormorò uno dei tre.
- Non ci
piacciono gli scherzi – rincarò un altro.
Mi strinsi nelle
spalle, infilando le mani nelle tasche. Alternai lentamente lo sguardo su tutti
e tre.
- Posso fare
qualcosa per voi? -
Risero di nuovo.
Avvicinandosi di più, stringendo il cerchio.
- Ci è giunta voce… - iniziò il palestrato alla mia
destra, interrompendosi per passare una mano sulla testa pelata - … solo
una voce, sia chiaro -
A continuare fu
poi il gigante che avevo di fronte: un metro e novanta per, decisamente,
troppi chili di muscoli.
Solo per un
istante presi in considerazione l’ipotesi di fingermi morto: non si
faceva così per sfuggire alla furia omicida degli orsi?
- Si dice,
angioletto, che tu stia prendendo in considerazione l’idea di lavorare
per le persone sbagliate – sibilò, stringendo i denti.
Feci per dire
qualcosa, ma l’altro fu più veloce di me.
- Siamo certi che non commetterai un tale sbaglio –
ringhiò – Faresti una scortesia a qualcuno di molto importante, sai? Non
credo ti convenga -
Sorrisi,
contento di aver ritrovato il mio sorriso. Quello vero. Non quello che mi aveva
strappato il gelato né quello che Bella riusciva a provocarmi.
Il sorriso
dell’avvocato.
- Se permettete,
signori – sussurrai – Sono convinto di saper decidere da solo ciò
che mi conviene -
Loro sorrisero,
muovendo un passo avanti in contemporanea.
- Oh, noi lo
speriamo – rispose uno dei tre, senza che riuscissi a capire quale
– Solo, vogliamo assicurarci che ci sia qualcosa a ricordarti cosa è per
te positivo… -
Diritto nello
stomaco. Non lo avevo nemmeno visto arrivare.
- … e cosa
invece non lo è. -
Il secondo pugno
partì dal basso, centrando in pieno il mento.
Gli altri non li
vidi.
Neanche li
sentii.
Solo ad una cosa riuscivo a pensare.
Un avvocato non
se ne può infischiare.
Mai.
*
* Sventola piano una manina, indecisa se farsi vedere o no*
Okay, sono viva.
Non so se interessa a qualcuno ma lo dico:
sono viva, in salute e chi più ne ha più ne metta.
Certo sono anche in ritardo. Sono
incoerente, bastarda, ignobile… odiata.
Sì, molto probabilmente sono anche odiata. Da tutti voi.
Da tutti quelli che per qualche assurdo motivo seguono le mie
storie.
Per il semplice motivo che mi sono assentata per un lasso di tempo incredibilmente lungo.
Non ho scuse, lo so io e lo sapete voi.
L’unico modo che ho per provare a farmi perdonare è, forse,
(ammesso e non concesso che a qualcuno vada ancora di leggere qualcosa di
mio)… dicevo l’unica cosa che forse posso fare
è continuare a scrivere queste orribili storie.
In ogni caso, per me rappresentano ancora qualcosa.
Non so per voi né se saranno lette, seguite o, miracolosamente,
commentate.
Sono tornata, però… si spera per non sparire di nuovo.
Se c’è ancora qualcuno, bè, batta un colpo ^^
Un bacione,
Sara