Disseminate sui
tetti verniciati
di nero, le canne fumarie e le antenne si protendevano verso il cielo
simili a
dita adunche e irrigidite dalla morte, in contrasto con
l’armonia e i colori caldi
dei pittoreschi palazzi attorno alla piazza.
Proprio dietro
ad uno
di quei comignoli, nel posto dove aveva appuntamento con la storia, era
accovacciato il cecchino. Inquadrava la sagoma di una donna, a poco
meno di
cento metri dalla tacca di mira.
Avvolto
dall’equipaggiamento
mimetico, era pressoché indistinguibile dal cemento
antracite su cui era
disteso. Persino la canna da ventotto pollici e il grosso silenziatore
del McMillan
TAC-50 erano stati accuratamente mascherati e non riflettevano alcuna
luce.
Da quella
posizione, il
suo fucile poteva colpire l’obiettivo con rosate inferiori ai
10mm e una
energia d’impatto maggiore a quella di un proiettile esploso
da un Ak-47 a
bruciapelo.
La distanza dal
bersaglio non lo preoccupava: l’uomo sapeva che in Afganistan,
nella valle del Shah-i-Kot, il
caporale Furlong aveva ucciso con quella stessa arma un talebano a
oltre due
chilometri.
Si
drizzò appena sui
gomiti e studiò la figura incorniciata dentro la lente del
mirino: i reticoli del
Nightforce 16x erano perfettamente centrati sulla chioma biondo cenere
della
donna. Non c’era vento e valutò che ad una
distanza così ravvicinata gli
effetti del silenziatore sulla pallottola calibro 0.50 BMG sarebbero
stati
trascurabili. Aggiustò il mirino telescopico e fece scorrere
tra le dita il
selettore circolare che comandava l’ingrandimento 16x,
indugiando sul corpo
flessuoso della donna.
Una scarica
crepitò in
quell’istante dentro il suo orecchio, dov’era
alloggiato l’auricolare della
trasmittente.
“Capo
Isola a Squadra Aquile”
gracchiò una voce femminile, “confermate posizione
e vista.” Qualche istante
dopo, un’altra voce replicò:
“Aquila
Sei a ore dieci,
sopra Le Floria. Visuale libera lato sud della basilica”.
“Aquila
Cinque a ore
otto, su Raichers. Ho campo libero a nord-est”. Si
sentì un raschiante rumore
di sottofondo e poco dopo, ad uno ad uno, gli altri cecchini fecero
rapporto, finché
arrivò il suo turno di parlare.
“Aquila
Uno a Capo
Isola, mi trovo esattamente a ore dodici dall’entrata della
cattedrale”.
“La
tua vista, Aquila
Uno” incalzò la voce femminile.
L’uomo
sorrise tra sé e finalmente pronunciò
la battuta che aveva a lungo studiato nei momenti di inedia.
“Reticolo
perfettamente centrato sul suo egregio fondoschiena, boss.”
Un sommesso
rumore di scariche
elettriche e risa soffocate si aggiunsero in sottofondo.
Monika
diventò tutta
rossa dalla rabbia e si preparò a una sfuriata, ma
l’uomo la precedette: “Se il
mio compito è salvarle il culo, ho pensato di non dovere mai
perderlo di vista,
boss.”
“Capo
Isola a Aquila
Uno: tenente Mitch McCarthy, quando questa storia sarà
finita, le prometto che
passerà il resto dei suoi giorni alla frontiera col Messico,
a puntare quel
dannato fucile sul culo di qualche dannato clandestino messicano, mi ha
capito?”
“Aquila
Uno a Capo
Isola, non la prenda sul personale boss, stavo solo cercando di tirar
su il
morale ai ragazzi. E’ da un secolo che stiamo qui immobili,
niente pausa caffè
oggi? Avrei anche un problemino con la vescica,
boss…”
“Ottimo
tentativo
Aquila Uno, ma sono sicura che questo si rivelerà un buon
allenamento per il
suo prossimo lavoretto alla frontiera messicana”.
Monika,
avanzò di
qualche passo tra i turisti, spingendo una ingombrante carrozzina che
nascondeva il suo equipaggiamento e chiamò i restanti uomini
delle special forces sotto il suo
comando.
“Capo
Isola a Squadra assalto
di terra, rispondete”.
Ad uno ad uno,
Kincaid e
il resto della squadra d’assalto mimetizzata a terra tra i
turisti intorno alla
piazza snocciolò i propri pseudonimi, descrivendo lo spazio
che stavano
sorvegliando.
“Capo
Isola a Squadra
Hotel…”
“Ancora
nessun
movimento Maggiore.”
***
Mitch
smorzò il sorriso
che ancora si affacciava sul volto e assunse in pochi istanti quello
stato di
vigile concentrazione che poteva conservare per ore, nuovamente immerso
nella
missione.
Poggiandosi
sulla
culatta, spostò delicatamente sui perni del cavalletto il
suo McMillan TAC-50,
scandagliando minuziosamente la visuale da un lato all’altro.
Non
poté evitare di
pensare all’incredibile riunione tenutasi quella mattina in
un Hotel dietro la
piazza. Oltre al Generale John Freeland e Szigi
che comandava le operazioni, erano in soli dodici uomini a conoscere
finalmente
il vero obiettivo dell’operazione Fenice.
Per una volta,
pensò,
il nome di un incarico segreto era quanto mai azzeccato. La Fenice era
l’uccello mitologico che risorgeva dal fuoco delle proprie
ceneri, qualcosa che
somigliava maledettamente allo scopo della missione.
Catturare
la Fenice.
Era ancora
incredulo e
sbalordito da quanto aveva appreso dal Maggiore, ma conosceva
abbastanza quella
donna da non dubitare di una sola parola che aveva pronunciato.
Nessuno avrebbe
probabilmente mai conosciuto il suo nome, il compito della squadra era
di
operare nell’ombra, ma sapere di essere parte di
quell’evento straordinario e
inconcepibile gli riempiva il petto d’orgoglio.
Gli sembrava di
essere
seduto sul tetto del mondo, improvvisamente a parte di una
verità che i
minuscoli esseri umani, che si muovevano attraverso il suo mirino
telescopico,
avrebbero ignorato per sempre.
***
Monika si
aggiustò
nervosamente sul volto gli occhiali da sole, schiacciando dietro
l’orecchio una
lunga ciocca di capelli biondo cenere.
Una famiglia e
il loro
figlio grassoccio sceglievano rumorosamente alcune cartoline dal
pannello alla
sua destra. Una coppia di giovani asiatici, entrambi coi capelli
ossigenati,
passava proprio in quel momento davanti a lei, affrettandosi verso un
altro
obiettivo per la loro macchina digitale. Decine e decine di visitatori
di ogni età,
nazionalità e colore gremivano la piazza, spostandosi in
ogni direzione, ignari
di quanto stava per accadere.
Come una turista
qualsiasi, era seduta sul muretto di pietra irregolare sberciato dai
secoli,
ciò che restava dell’originale Place
du
Vieux Marché, a Rouen. Fingeva di scrivere
qualcosa sul palmare e di
vegliare sulla carrozzina, ricolma del materiale che avrebbe utilizzato
per
portare a termine la missione. Dietro
gli occhiali da sole, sorvegliava con estrema attenzione ogni movimento
intorno
all’église de
Sainte-Jeanne D’Arc.
Sapeva che in
quel
giorno il corso della storia stava forse per cambiare per sempre.
Oppure,
grazie alla sua missione, non sarebbe cambiato affatto.
L'ago della
bilancia in
grado di influenzare nientemeno che il passato e il futuro dell'intera
umanità
era proprio lei. Tutto dipendeva dalla decisione avrebbe preso e a chi
avrebbe
dato ascolto.
Stava
per fare la cosa giusta?
Chi
l’avrebbe giudicata?
A
chi avrebbe dovuto rendere conto delle sue decisioni? Al
Governo che aveva giurato di servire, al suo capo, a se stessa, agli
uomini, o
forse, se mai ne esisteva uno, a Dio stesso?
La pressione era
diventata insopportabile, centinaia di pensieri e di preoccupazioni si
rincorrevano a folle velocità nella mente, ma tutto
ciò che poteva fare per il
momento era ripetersi che era abbastanza fredda da saper prendere la
decisione
giusta al momento giusto.
Dal palmare,
richiamò
la vista satellitare della piazza: l’avveniristica chiesa
costruita in memoria
di Jeanne D’Arc emergeva dal cuore della città
proprio come un’isola, dai
contorni frastagliati ma nell’insieme ellittici.
Ancora
una dannatissima isola…
Ad un tratto,
mentre il
cuore accelerava i battiti per la consapevolezza, seppe che ogni
istante della
sua vita fino ad allora aveva avuto come unico scopo quello di
prepararla a
vivere quel momento.
Poi una voce
esplose
nell’auricolare.
***
Bertrand
LeClercq si
trovava nell’unico posto dove Szigi
non avrebbe mai pensato di cercare.
Le navate della
chiesa
di Sainte-Jeanne D’Arc erano plasmate attraverso un
sorprendente intreccio di
linee tese e curve, che avvolgevano e meravigliavano il visitatore da
qualunque
punto le osservasse.
Attraversò
la navata
centrale incamminandosi verso un transetto laterale, restando
affascinato dai
giochi di luce delle immense vetrate dipinte con colori vivaci. Si
inginocchiò
con un fruscio di abiti sopra il legno davanti all’austero
confessionale e
annunciò:
“Mi
perdoni Padre
perché ho peccato”.
Sebbene
sembrasse che
non vi fosse nessun altro, poco dopo un’ombra dietro i fori
della grata gli rispose:
“Il
Signore ascolterà i tuoi peccati”.
LeClercq per un
momento
esitò, come sei i suoi propositi si fossero annebbiati e
divenuti indistinti,
ma ritrovò presto la fredda determinazione a proseguire nel
suo intento.
“Padre
so che ho molto
peccato durante la mia vita…”
“La
confessione ci
offre l’occasione di rinnovarci fino in fondo con Dio,
confidami i peccati che
ti affliggono e ne riceverai sollievo” gli replicò
una voce anziana e gentile.
“Suppongo
che la mia colpa
più grande è di non essermi mai pentito dei miei
peccati”.
“Il
Signore dice che il
pentimento è per chiunque sbaglia”.
“Padre,
non mi
fraintenda. Riconosco di aver peccato secondo la dottrina della Santa
Chiesa,
ma so di non aver sbagliato!” ribatté LeClercq,
con una nota della voce più
acuta di quanto volesse.
“Le
mie mani sono
guidate dal Signore e stanno per perpetrare l’ultimo peccato,
ma so che è Dio a
volerlo, è lui che l’ha chiesto!”
“Figliolo,
il peccato è
qualcosa che non ci appartiene… è qualcosa di
maligno che s’insinua dentro ed è
assai pericoloso nella misura in cui s’immedesima alla nostra
natura fino a
fare un tutt’uno. Dio non può averti chiesto di
peccare in Suo nome”, rispose
pacatamente l’anziano sacerdote.
“Invece
Egli ha grandi
progetti per me! Assolva la mia anima o non sarò mai degno
di compiere ciò che
Dio mi ha chiesto di fare. Non sta a lei giudicare, ma a Lui
soltanto!”
“Figliolo,
In questo
tribunale di misericordia non ci saranno mai parole di giudizio e di
condanna,
perché c’è chi ha già pagato
tutto il debito col suo sangue, versato per i
nostri peccati. Ma affinché ti assolva è
necessario che mi confessi la tua colpa”.
“Ucciderò
una donna,
Padre. Una strega, un’eretica, una pazza. Il Signore
l’ha già condannata a
morte.”
Un terrore
gelido
s’impadronì del vecchio dietro la grata.
All’improvviso comprese che stava
confessando un folle. E che quel folle era armato.
LeClercq,
irritato per
non aver ancora ricevuto la necessaria assoluzione, aveva infatti
rivolto la
Smith&Wesson verso la grata, minacciando il sacerdote.
“Non
posso assolvere un
uomo che non dimostra pentimento!”
“Lei
mi assolverà,
invece, altrimenti raggiungerà Dio prima di quanto Lui non
avesse previsto!”
Terrorizzato,
l’anzianò
pronunciò tutto ad un fiato la formula di assoluzione:
“Dominus noster te absolvat. Ego te absolvo a peccatis tuis, in nomine Patris
et Filii et Spiritus
Sancti”.
“Amen…”,
terminò di
avvitare il silenziatore sulla volata della Smith&Wesson.
“La sua missione
in questo mondo temo sia finita, ora inizia la
mia…” e così dicendo armò il
cane del revolver e premette il grilletto.
***
“SONO
QUI! Trovate
Jeanne!”
La voce del
Generale
dalla postazione all’Hotel, sparata dagli auricolari,
scaricò in un istante fiumi
di adrenalina in ogni membro della squadra.
Attraverso la
lente del
suo mirino telescopico, Mitch ispezionò lo spazio davanti
all’ingresso della
chiesa.
Monika si
alzò di
colpo, gettando il palmare dentro la carrozzina e trascinandola con
sé con una
mano, mentre con l’altra cercava la fondina ascellare
all’interno della giacca
a vento e levava la sicura alla Beretta.
Kincaid,
lasciò sul
tavolino una banconota da venti euro e si alzò
immediatamente, voltandosi in
ogni direzione, nel tentativo di scorgere la ragazza.
***
LeClercq si
mosse
lentamente, verso l’altare, inginocchiandosi per pregare.
Assorbito dal silenziatore,
lo sparo non era stato udito da nessuno. Un uomo gli si
avvicinò e si
inginocchiò accanto a lui.
“L’hai
ucciso?”
“Ho
dovuto”.
“Stronzate
fratello, io
non ho bisogno di chiedere perdono a nessuno, nemmeno a Dio.
“Non
ti ho chiesto di
capire, Francois.” LeClercq osservò il
fratellastro con un sorriso storto. “ti
ho chiesto di eliminare chiunque intralci la mia strada, in nome dei
vecchi
tempi”.
L’uomo
ricambiò il suo
ghigno. “In nome dei vecchi tempi,
allora…”
***
Mitch
sbatté nuovamente
le palpebre, ma la vista non cambiò: dove un secondo prima
c’erano soltanto i
gradini della chiesa, ora si trovava un’adolescente che si
stava accasciando a
terra. I suoi vestiti… Cristo, che diavolo avevano i suoi
vestiti? Fumavano.
La
Fenice.
Monika intravide
la
ragazzina inginocchiarsi a terra e crollare su un fianco sopra i
gradini. Chinò
appena il mento verso il ricevitore per urlare: “E’
all’entrata della chiesa! Tutti
in assetto NFDD, cinque secondi all’esplosione!”
Nello stesso istante, gettava
da un lato il rivestimento che copriva la carrozzina e afferrava la
prima
granata stordente M84. Staccò la linguetta con i denti e la
gettò sui gradini.
Prima che la granata toccasse terra stava già lanciando la
seconda.
Kincaid vide la
giovane
avvolta dal fumo e seppe che era lei. Qualche
secondo dopo aveva già raggiunto il SUV parcheggiato di
fianco a Le Reims e con la portiera
ancora aperta,
portava su di giri il motore e si muoveva lasciando a terra
l’impronta nera dei
grossi pneumatici.
***
Le due granate
stordenti
toccarono il cemento e deflagrano devastanti come una dozzina di tuoni
esplosi
tutti nello stesso istante. L’intera piazza fu investita in
rapida successione dai
180 dB prodotti dall’onda sonora di ogni granata, mentre
chiunque si trovasse
nelle vicinanze, fu accecato dalla luce di oltre otto milioni di
candele
generate dall’arma incapacitante. Per qualche minuto nessun
uomo fu in grado di
vedere né di comprendere nulla.
Assorto in
preghiera, LeClercq
continuava a chiedere imperterrito a Dio una conferma della sua
missione,
quando udì il segno.
Si riprese
immediatamente dai due spaventosi boati, attutiti dalla struttura della
chiesa
e scattò verso l’apertura, seguito dal
fratellastro.
“E’
lì! Lei è
lì! E’ lì!” gridò
al culmine
dell’estasi, mentre scorgeva il corpo della ragazza sui
gradini. “Dio è con me!
Adesso coprimi, Francois!”
Il fratellastro
estrasse dall’impermeabile due mitragliette israeliane Uzi
con nastri da
cinquanta colpi, impugnandone una per ogni mano e si preparò
a polverizzare
qualsiasi cosa si avvicinasse alla ragazza.
***