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Autore: Dean Lucas    18/11/2010    1 recensioni
Ian riabbraccia Isabeau ma scopre il prezzo del perdono di Ponthieu: i ragazzi si vedono costretti a ritornare con Isabeau nel presente in cerca dell'unico manufatto che può convincere Guillaume. Nel passato, una donna mette alla luce una bambina, senza sapere che avrebbe scritto alcune delle pagine più importanti della storia di Francia. Il suo destino si intreccerà con quello di Ian, Daniel, Isabeau e Ty, tra guerre e assedi, sconfitte e vittorie e soprattutto un nuovo amore più forte di ogni cosa. E quando tutto sembrerà ormai perduto, e la vita della misteriosa ragazza e il segreto stesso di Hyperversum saranno in grave pericolo, una donna dovrà prendere la decisione forse più importante nella storia dell'umanità. Chi c'è dietro Hyperversum? I ragazzi forse l'hanno sempre saputo, ma quando arrriverà finalmente il momento di conoscere la risposta, questa li sorprenderà più ancora delle loro incredibili avventure.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disseminate sui tetti verniciati di nero, le canne fumarie e le antenne si protendevano verso il cielo simili a dita adunche e irrigidite dalla morte, in contrasto con l’armonia e i colori caldi dei pittoreschi palazzi attorno alla piazza.

Proprio dietro ad uno di quei comignoli, nel posto dove aveva appuntamento con la storia, era accovacciato il cecchino. Inquadrava la sagoma di una donna, a poco meno di cento metri dalla tacca di mira.

Avvolto dall’equipaggiamento mimetico, era pressoché indistinguibile dal cemento antracite su cui era disteso. Persino la canna da ventotto pollici e il grosso silenziatore del McMillan TAC-50 erano stati accuratamente mascherati e non riflettevano alcuna luce.

Da quella posizione, il suo fucile poteva colpire l’obiettivo con rosate inferiori ai 10mm e una energia d’impatto maggiore a quella di un proiettile esploso da un Ak-47 a bruciapelo.

La distanza dal bersaglio non lo preoccupava: l’uomo sapeva che in Afganistan, nella valle del Shah-i-Kot, il caporale Furlong aveva ucciso con quella stessa arma un talebano a oltre due chilometri.

Si drizzò appena sui gomiti e studiò la figura incorniciata dentro la lente del mirino: i reticoli del Nightforce 16x erano perfettamente centrati sulla chioma biondo cenere della donna. Non c’era vento e valutò che ad una distanza così ravvicinata gli effetti del silenziatore sulla pallottola calibro 0.50 BMG sarebbero stati trascurabili. Aggiustò il mirino telescopico e fece scorrere tra le dita il selettore circolare che comandava l’ingrandimento 16x, indugiando sul corpo flessuoso della donna.

Una scarica crepitò in quell’istante dentro il suo orecchio, dov’era alloggiato l’auricolare della trasmittente.

“Capo Isola a Squadra Aquile” gracchiò una voce femminile, “confermate posizione e vista.” Qualche istante dopo, un’altra voce replicò:

“Aquila Sei a ore dieci, sopra Le Floria. Visuale libera lato sud della basilica”.

“Aquila Cinque a ore otto, su Raichers. Ho campo libero a nord-est”. Si sentì un raschiante rumore di sottofondo e poco dopo, ad uno ad uno, gli altri cecchini fecero rapporto, finché arrivò il suo turno di parlare.

“Aquila Uno a Capo Isola, mi trovo esattamente a ore dodici dall’entrata della cattedrale”.

“La tua vista, Aquila Uno” incalzò la voce femminile.

 L’uomo sorrise tra sé e finalmente pronunciò la battuta che aveva a lungo studiato nei momenti di inedia. “Reticolo perfettamente centrato sul suo egregio fondoschiena, boss.”

Un sommesso rumore di scariche elettriche e risa soffocate si aggiunsero in sottofondo.

Monika diventò tutta rossa dalla rabbia e si preparò a una sfuriata, ma l’uomo la precedette: “Se il mio compito è salvarle il culo, ho pensato di non dovere mai perderlo di vista, boss.”

“Capo Isola a Aquila Uno: tenente Mitch McCarthy, quando questa storia sarà finita, le prometto che passerà il resto dei suoi giorni alla frontiera col Messico, a puntare quel dannato fucile sul culo di qualche dannato clandestino messicano, mi ha capito?”

“Aquila Uno a Capo Isola, non la prenda sul personale boss, stavo solo cercando di tirar su il morale ai ragazzi. E’ da un secolo che stiamo qui immobili, niente pausa caffè oggi? Avrei anche un problemino con la vescica, boss…”

“Ottimo tentativo Aquila Uno, ma sono sicura che questo si rivelerà un buon allenamento per il suo prossimo lavoretto alla frontiera messicana”.

Monika, avanzò di qualche passo tra i turisti, spingendo una ingombrante carrozzina che nascondeva il suo equipaggiamento e chiamò i restanti uomini delle special forces sotto il suo comando.

“Capo Isola a Squadra assalto di terra, rispondete”.

Ad uno ad uno, Kincaid e il resto della squadra d’assalto mimetizzata a terra tra i turisti intorno alla piazza snocciolò i propri pseudonimi, descrivendo lo spazio che stavano sorvegliando.

“Capo Isola a Squadra Hotel…”

“Ancora nessun movimento Maggiore.”

 

 

***

  

 

Mitch smorzò il sorriso che ancora si affacciava sul volto e assunse in pochi istanti quello stato di vigile concentrazione che poteva conservare per ore, nuovamente immerso nella missione.

Poggiandosi sulla culatta, spostò delicatamente sui perni del cavalletto il suo McMillan TAC-50, scandagliando minuziosamente la visuale da un lato all’altro.

Non poté evitare di pensare all’incredibile riunione tenutasi quella mattina in un Hotel dietro la piazza. Oltre al Generale John Freeland e Szigi che comandava le operazioni, erano in soli dodici uomini a conoscere finalmente il vero obiettivo dell’operazione Fenice.

Per una volta, pensò, il nome di un incarico segreto era quanto mai azzeccato. La Fenice era l’uccello mitologico che risorgeva dal fuoco delle proprie ceneri, qualcosa che somigliava maledettamente allo scopo della missione.

Catturare la Fenice.

Era ancora incredulo e sbalordito da quanto aveva appreso dal Maggiore, ma conosceva abbastanza quella donna da non dubitare di una sola parola che aveva pronunciato.

Nessuno avrebbe probabilmente mai conosciuto il suo nome, il compito della squadra era di operare nell’ombra, ma sapere di essere parte di quell’evento straordinario e inconcepibile gli riempiva il petto d’orgoglio.

Gli sembrava di essere seduto sul tetto del mondo, improvvisamente a parte di una verità che i minuscoli esseri umani, che si muovevano attraverso il suo mirino telescopico, avrebbero ignorato per sempre.

 

 

***

 

 

Monika si aggiustò nervosamente sul volto gli occhiali da sole, schiacciando dietro l’orecchio una lunga ciocca di capelli biondo cenere.

Una famiglia e il loro figlio grassoccio sceglievano rumorosamente alcune cartoline dal pannello alla sua destra. Una coppia di giovani asiatici, entrambi coi capelli ossigenati, passava proprio in quel momento davanti a lei, affrettandosi verso un altro obiettivo per la loro macchina digitale. Decine e decine di visitatori di ogni età, nazionalità e colore gremivano la piazza, spostandosi in ogni direzione, ignari di quanto stava per accadere.

Come una turista qualsiasi, era seduta sul muretto di pietra irregolare sberciato dai secoli, ciò che restava dell’originale Place du Vieux Marché, a Rouen. Fingeva di scrivere qualcosa sul palmare e di vegliare sulla carrozzina, ricolma del materiale che avrebbe utilizzato per portare a termine la missione.  Dietro gli occhiali da sole, sorvegliava con estrema attenzione ogni movimento intorno all’église de Sainte-Jeanne D’Arc. 

Sapeva che in quel giorno il corso della storia stava forse per cambiare per sempre. Oppure, grazie alla sua missione, non sarebbe cambiato affatto.

L'ago della bilancia in grado di influenzare nientemeno che il passato e il futuro dell'intera umanità era proprio lei. Tutto dipendeva dalla decisione avrebbe preso e a chi avrebbe dato ascolto.

Stava per fare la cosa giusta?

Chi l’avrebbe giudicata?

A chi avrebbe dovuto rendere conto delle sue decisioni? Al Governo che aveva giurato di servire, al suo capo, a se stessa, agli uomini, o forse, se mai ne esisteva uno, a Dio stesso? 

La pressione era diventata insopportabile, centinaia di pensieri e di preoccupazioni si rincorrevano a folle velocità nella mente, ma tutto ciò che poteva fare per il momento era ripetersi che era abbastanza fredda da saper prendere la decisione giusta al momento giusto.

Dal palmare, richiamò la vista satellitare della piazza: l’avveniristica chiesa costruita in memoria di Jeanne D’Arc emergeva dal cuore della città proprio come un’isola, dai contorni frastagliati ma nell’insieme ellittici.

Ancora una dannatissima isola… 

Ad un tratto, mentre il cuore accelerava i battiti per la consapevolezza, seppe che ogni istante della sua vita fino ad allora aveva avuto come unico scopo quello di prepararla a vivere quel momento.

Poi una voce esplose nell’auricolare.

 

 

***

 

 

Bertrand LeClercq si trovava nell’unico posto dove Szigi non avrebbe mai pensato di cercare.

Le navate della chiesa di Sainte-Jeanne D’Arc erano plasmate attraverso un sorprendente intreccio di linee tese e curve, che avvolgevano e meravigliavano il visitatore da qualunque punto le osservasse.

Attraversò la navata centrale incamminandosi verso un transetto laterale, restando affascinato dai giochi di luce delle immense vetrate dipinte con colori vivaci. Si inginocchiò con un fruscio di abiti sopra il legno davanti all’austero confessionale e annunciò:

“Mi perdoni Padre perché ho peccato”.

Sebbene sembrasse che non vi fosse nessun altro, poco dopo un’ombra dietro i fori della grata gli rispose:

 “Il Signore ascolterà i tuoi peccati”.

LeClercq per un momento esitò, come sei i suoi propositi si fossero annebbiati e divenuti indistinti, ma ritrovò presto la fredda determinazione a proseguire nel suo intento.

“Padre so che ho molto peccato durante la mia vita…”

“La confessione ci offre l’occasione di rinnovarci fino in fondo con Dio, confidami i peccati che ti affliggono e ne riceverai sollievo” gli replicò una voce anziana e gentile.

“Suppongo che la mia colpa più grande è di non essermi mai pentito dei miei peccati”.

“Il Signore dice che il pentimento è per chiunque sbaglia”.

“Padre, non mi fraintenda. Riconosco di aver peccato secondo la dottrina della Santa Chiesa, ma so di non aver sbagliato!” ribatté LeClercq, con una nota della voce più acuta di quanto volesse.

“Le mie mani sono guidate dal Signore e stanno per perpetrare l’ultimo peccato, ma so che è Dio a volerlo, è lui che l’ha chiesto!”

“Figliolo, il peccato è qualcosa che non ci appartiene… è qualcosa di maligno che s’insinua dentro ed è assai pericoloso nella misura in cui s’immedesima alla nostra natura fino a fare un tutt’uno. Dio non può averti chiesto di peccare in Suo nome”, rispose pacatamente l’anziano sacerdote.

“Invece Egli ha grandi progetti per me! Assolva la mia anima o non sarò mai degno di compiere ciò che Dio mi ha chiesto di fare. Non sta a lei giudicare, ma a Lui soltanto!”

“Figliolo, In questo tribunale di misericordia non ci saranno mai parole di giudizio e di condanna, perché c’è chi ha già pagato tutto il debito col suo sangue, versato per i nostri peccati. Ma affinché ti assolva è necessario che mi confessi la tua colpa”.

“Ucciderò una donna, Padre. Una strega, un’eretica, una pazza. Il Signore l’ha già condannata a morte.”

Un terrore gelido s’impadronì del vecchio dietro la grata. All’improvviso comprese che stava confessando un folle. E che quel folle era armato.

LeClercq, irritato per non aver ancora ricevuto la necessaria assoluzione, aveva infatti rivolto la Smith&Wesson verso la grata, minacciando il sacerdote.

“Non posso assolvere un uomo che non dimostra pentimento!”

“Lei mi assolverà, invece, altrimenti raggiungerà Dio prima di quanto Lui non avesse previsto!”

Terrorizzato, l’anzianò pronunciò tutto ad un fiato la formula di assoluzione: “Dominus noster te absolvat. Ego te absolvo a peccatis tuis, in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti”.

“Amen…”, terminò di avvitare il silenziatore sulla volata della Smith&Wesson. “La sua missione in questo mondo temo sia finita, ora inizia la mia…” e così dicendo armò il cane del revolver e premette il grilletto.

 

 

***

“SONO QUI! Trovate Jeanne!”

La voce del Generale dalla postazione all’Hotel, sparata dagli auricolari, scaricò in un istante fiumi di adrenalina in ogni membro della squadra.

Attraverso la lente del suo mirino telescopico, Mitch ispezionò lo spazio davanti all’ingresso della chiesa.

Monika si alzò di colpo, gettando il palmare dentro la carrozzina e trascinandola con sé con una mano, mentre con l’altra cercava la fondina ascellare all’interno della giacca a vento e levava la sicura alla Beretta.

Kincaid, lasciò sul tavolino una banconota da venti euro e si alzò immediatamente, voltandosi in ogni direzione, nel tentativo di scorgere la ragazza.

 

 

***

 

 

LeClercq si mosse lentamente, verso l’altare, inginocchiandosi per pregare. Assorbito dal silenziatore, lo sparo non era stato udito da nessuno. Un uomo gli si avvicinò e si inginocchiò accanto a lui.

“L’hai ucciso?”

“Ho dovuto”.

“Stronzate fratello, io non ho bisogno di chiedere perdono a nessuno, nemmeno a Dio.

“Non ti ho chiesto di capire, Francois.” LeClercq osservò il fratellastro con un sorriso storto. “ti ho chiesto di eliminare chiunque intralci la mia strada, in nome dei vecchi tempi”.

L’uomo ricambiò il suo ghigno. “In nome dei vecchi tempi, allora…”

 

***

              

 

Mitch sbatté nuovamente le palpebre, ma la vista non cambiò: dove un secondo prima c’erano soltanto i gradini della chiesa, ora si trovava un’adolescente che si stava accasciando a terra. I suoi vestiti… Cristo, che diavolo avevano i suoi vestiti? Fumavano.

La Fenice.

Monika intravide la ragazzina inginocchiarsi a terra e crollare su un fianco sopra i gradini. Chinò appena il mento verso il ricevitore per urlare: “E’ all’entrata della chiesa! Tutti in assetto NFDD, cinque secondi all’esplosione!” Nello stesso istante, gettava da un lato il rivestimento che copriva la carrozzina e afferrava la prima granata stordente M84. Staccò la linguetta con i denti e la gettò sui gradini. Prima che la granata toccasse terra stava già lanciando la seconda.

Kincaid vide la giovane avvolta dal fumo e seppe che era lei. Qualche secondo dopo aveva già raggiunto il SUV parcheggiato di fianco a Le Reims e con la portiera ancora aperta, portava su di giri il motore e si muoveva lasciando a terra l’impronta nera dei grossi pneumatici.

 

 

***

 

 

Le due granate stordenti toccarono il cemento e deflagrano devastanti come una dozzina di tuoni esplosi tutti nello stesso istante. L’intera piazza fu investita in rapida successione dai 180 dB prodotti dall’onda sonora di ogni granata, mentre chiunque si trovasse nelle vicinanze, fu accecato dalla luce di oltre otto milioni di candele generate dall’arma incapacitante. Per qualche minuto nessun uomo fu in grado di vedere né di comprendere nulla.

Assorto in preghiera, LeClercq continuava a chiedere imperterrito a Dio una conferma della sua missione, quando udì il segno.

Si riprese immediatamente dai due spaventosi boati, attutiti dalla struttura della chiesa e scattò verso l’apertura, seguito dal fratellastro.

“E’ lì! Lei è lì! E’ lì!” gridò al culmine dell’estasi, mentre scorgeva il corpo della ragazza sui gradini. “Dio è con me! Adesso coprimi, Francois!”

Il fratellastro estrasse dall’impermeabile due mitragliette israeliane Uzi con nastri da cinquanta colpi, impugnandone una per ogni mano e si preparò a polverizzare qualsiasi cosa si avvicinasse alla ragazza.

 

 

***

 

 

 

 

  
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