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Autore: A Dream Called Death    19/11/2010    1 recensioni
< Pensi a lei qualche volta? > chiese poi.
< In continuazione > risposi.
Mi alzai dallo sgabello.
Lui mi fissò, incuriosito.
< E come faccio a sapere che con lei al mio fianco tornerò a vivere? Può essere l'anestetico al dolore? > chiesi.
< Lei non è l'anestetico al tuo dolore... Ma potrebbe essere la cura definitiva. >
Anno 2006.
Il tour mondiale di American Idiot è stato appena cancellato ed i Green Day tornano in America dopo tre mesi dalla partenza.
Ma qualcosa è cambiato, fuori e dentro il gruppo.
Per Billie Joe Armstrong lo scontro con le ombre del passato non è mai finito.
I pensieri, i dubbi e le insicurezze di un uomo che deve fare i conti con se stesso: una vita spesa per la musica e per la propria band, ma anche colma di bugie e alcol, nemico ed amico da sempre del protagonista, unico rimedio al dolore ed alla rassegnazione.
Ma un incontro lo sconvolge, mescola i pezzi del puzzle della sua vita, lo mette di fronte alla cruda realtà: non si può fingere per sempre, si deve trovare il coraggio di prendere la decisione più difficile di tutte... Essere felici.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: Triangolo
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Sparita.
Sparita.
Chiusi gli occhi un attimo.
Solo una frazione di secondo, per poi riaprirli e ritrovare nuovamente
avanti a me la stessa scena, invariata.
Non era cambiato niente, se non che in quel preciso istante io,
fottuto stronzo, mi sentivo profondamente in colpa.
E non sapevo nemmeno il motivo.
Mi sentivo colpevole.
Il solo colpevole, in tutta quella faccenda.
Scomparsa, lei?
Ma dove, dov'era andata?
Più smarrita di quanto non lo era già nell'anima, come avrebbe fatto
a smarrirsi ancora di più?
Ed io, che stavo lì a compiangermi...
Mentre lei scappava per non essere trovata.
Io che stavo lì a discutere, dentro quel merdoso aereo, mentre
lei chissà dov'era e se era al sicuro.
Tentai di reggermi in piedi ma le ginocchia iniziarono a crollare
tanto che Jason White dovette aiutarmi a stare in piedi.
Mike continuò a fissarmi con la bocca spalancata.
-Billie... Non so più che fare, è sparita nel nulla da qualche giorno.
Sono... Sono disperato- ammise John, con voce rotta.
Io non risposi, mi guardai attorno.
-Stia... Stia calmo, John. Ora... Ora ci penso io, ma lei deve stare
calmo!- dissi, infine, tentando di riprendere il controllo.
Riattaccai subito, ricomponendomi velocemente.
-Chi cazzo era, Billie? Che cazzo stà succedendo, chi era al telefono?-
ringhiò Mike, avanti a me.
-Fai fermare questo aereo-.
Mike e gli altri sgranarono gli occhi ed a stento il bassista riuscì
a restare in piedi, evitando di cadere all'indietro.
-Ma... Ma che cazzo stai dicendo? Fermare l'aereo? Cos'è questa storia,
Billie, dimmi che cazzo stà succedendo! Dimmelo, ora- sbottò Mike,
afferrandomi un braccio di scatto.
-FERMATE QUESTO CAZZO DI AEREO!- urlai, sbattendo la mia
tracolla sopra al sedile.
Ovviamente, Mike, i due Jason, Tim ed i colleghi continuarono a
fissarmi come se fossi un pazzo da ricovero ma nessuno osò ribattere.
Mi aspettavo che Mike tirasse giù il finimondo, ma non lo fece.
Si limitò invece a guardare il resto del gruppo.
-Tim... Dì ai piloti di non partire-.
Dopo un quarto d'ora ci ritrovammo nuovamente nell'aeroporto,
ma senza assistenti: Tim e i ragazzi si allontanarono per mangiare
qualcosa ed io mi ritrovai solo, con Mike e la sua sfuriata.
-Siamo qui. Ho fatto ciò che volevi, ho rimandato la partenza,
ora mi dici che cazzo stà succedendo?- iniziò lui, tenendo la calma
ma continuando a torturarsi le mani.
Dovevo trovare le parole giuste per dirglielo...
Iniziai a camminare.
Più pensavo, meno risolvevo.
Il punto era sempre lo stesso, non c'era modo di sfuggirgli.
-Io... Non c'è tempo, Mike-.
-Chi cazzo era al telefono?- chiese.
-Era... Era John Rosenberg-.
-John Rosenberg? Quel John Rosenberg? Ancora lei? Un'altra
volta Jane?- borbottò.
-Mike, non è come sembra... Lei è sparita, è sparita!-.
-Ma che cazzo stai dicendo?-.
Tentai in tutti i modi di fargli capire la situazione, di parlargli,
spiegargli come stavano le cose, m lui non accennava a venirmi incontro.
In nessun modo.
Preferiva aggredirmi, in qualunque modo.
-Basta, Billie. Piantala con quest'assurda storia, cazzo! Piantala con
queste cazzate! Sei stato moribondo per giorni, hai le allucinazioni,
fai fermare un aereo, ci hai fatti spaventare a morte tutti quanti... E
tutto per raccontarmi questa patetica storiella?- sbottò.
-Non è una storiella, Mike-.
Una scintilla di rabbia comparve nei suoi occhi.
-Tu sei pazzo-.
Quella frase mi fece girare la testa.
Mi credeva pazzo, talmente pazzo da poter racccontare delle
storie così strampalate solo per attirare l'attenzione...
Ed io lo sapevo.
Tutti lo credevano, ormai.
Agli occhi degli altri ero diventato un folle.
Ed io sicuramente non potevo ritenermi poi tanto sano.
-Non sono pazzo, Mike-.
-Ti prego, Billie. Basta. Smettila, ora, o sarò costretto a chiamare Adrienne.
Le racconterò tutto, non vorrei farlo, ma tu non mi lasci altra scelta-.
Lo fissai e caricai in quello sguardo tutto il mio rancore.
-Vuoi chiamare mia moglie? Fallo-.
Afferrai il telefono e glie lo porsi, tenendo il braccio.
Lui non lo prese.
-Fallo, Mike. Chiamala, Adrienne, chiamala ora e raccontale tutto
ciò che mi stà succedendo. Fallo, dille che non l'amo più, dille che
ora so chi sono e non ho più bisogno di lei, dille che amo un'altra donna
e darei la vita per lei-.
Lui non rispose.
-Fallo, Mike. Toglimi questo enorme macigno, prima o poi riuscirò
a togliermelo da solo anche se sarà dura... Ma tu fallo- continuai.
Non prese quel telefono.
Rimase lì, a fissarmi, con gli occhi quasi lucidi.
Stranamente lucidi, per essere suoi.
-Che... Che vuoi fare, Billie?-.
-Cinque giorni. Ti chiedo di darmi solo cinque giorni, non uno di più,
non uno di meno-.
Lui abbassò lo sguardo, pensoso.
-Perchè?- chiese.
-Mi servono cinque dannati giorni... La cercherò e se non la troverò
torneremo in America e questa storia sarà dimenticata-.
Alzò lo sguardo.
-Cosa speri di concludere, eh? Speri di trovarla, riportarla a casa sana
e salva... E poi? Poi cosa succederà, che farai?- chiese, con un tono
di voce più morbido.
-Non lo so, ma... Ma io devo farlo. Devo trovarla, Mike, è sola in una
città che non conosce! Potrebbe succederle qualcosa, potrebbe essere
in pericolo...- ripresi.
Mike sospirò.
Il suo sguardo non era più iracondo.
E ciò significava solo la resa.
-... Cinque giorni, Billie. Hai cinque giorni di tempo, noi staremo
in albergo e partiremo tra cinque giorni esatti. Se non ci sarai, non avrai
una seconda possibilità- sbottò, infine, con la voce ferma e lo
sguardo abbassato per trattenere il controllo.
Sapevo quanto gli costasse mettere da parte l'orgoglio,
ma dopotutto lo stava facendo per me, perchè mi amava.
Sì, lui avrebbe fatto questo ed altro pur di rendermi felice.
Ed io lo sapevo.
Nonostante mi amasse, lui mi stava lasciando andare...
Ed io non potevo non essergli grato, infinitamente grato.
Per tutto ciò che aveva fatto per me, solo ora mi rendevo conto
del suo amore incondizionato nei miei confronti: forse, l'avevo
troppo sottovalutato.
O forse, non avevo mai voluto guardare in faccia la realtà.
Non pronunciai più parola, rimanemmo a fissarci per qualche
secondo visto che nessuno dei due voleva andarsene.
Ma non c'era tempo.
Dovevo trovare Jane il prima possibile.
Evitai di salutare il mio migliore amico, ma fu lui a
parlarmi ancora una volta.
-Billie...- iniziò.
Mi voltai di scatto.
-Sì?-.
-Ti aspetto tra cinque giorni. Ti amo... non deludermi-.
Gli occhi mi si riempirono di lacrime.
Ma non era quello il momento di piangere.
Voltai lo sguardo e me ne andai.
Appena in tempo: una volta fuori, vennero giù.



   
 
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