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Autore: TheMaraudersMap    19/11/2010    0 recensioni
E' un mio tema,questo,e la professoressa mi ha detto di pubblicarlo v.v
Si parla di razzismo,di schiavitù.
Un giovane ragazzo di colore(a cui non ho dato un nome)viene estirpato dalla sua terra,costretto alla schiavitù.
Ovviamente,non è una storia felice :D
Pace e Amore a tutti,addio v.v
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era una giornata calda,come al solito,e io ed Joel stavamo preparando le armi per la caccia che si sarebbe svolta nel pomeriggio.

Mi addentrai nella foresta cercando qualche ramo per la mia nuova lancia (dato che quella vecchia si era spezzata colpendo un elefante) quando sentii un rumore provenire dalla riva.

Uomini.Uomini che non parlavano la mia lingua. Bianchi.Con il torso e le gambe coperte da strani indumenti. Non sapevo di quale tribù fossero,da dove venissero,ma qualcosa dentro me mi diceva di starne alla larga e proprio mentre stavo per fuggire verso la mia capanna una grossa rete mi catturò senza darmi scampo.

Erano tanti, armati,cattivi. Dotati di una grande nave, che poi scoprii, atroce ironia, chiamarsi "Freedom". .

Mi risvegliai, forse dopo qualche ora o forse dopo qualche giorno,ma mi risvegliai.

Ero proprio nella stiva della nave e vidi Joel. Piangeva. Piangeva abbracciato a mia madre.

Anche lei piangeva.Tutti stavano piangendo.Perché piangere?

Fu in quel momento che mi guardai intorno.Era pieno,pienissimo, giovani, uomini e donne, non tutti della mia tribù ma tutti neri come me.

Uno di quegli strani uomini dalla pelle diafana e una curatissima barbetta ci puntava contro uno strano oggetto nero,sembrava pesante,pericoloso.

Solo quando si decise a premere il grilletto scoprii cos'era. Una donna piuttosto in carne,con lunghi capelli neri e il volto rigato di lacrime venne presa in pieno, chiuse gli occhi velocemente dopo un urlo lancinante. Anele cadde a terra e un fiotto di sangue bagnò il pavimento, la ricordo ancora adesso, era mia madre.

Mi impressionò l'indifferenza e non solo quella dell'assassino. A nessuno importava di quella crudeltà sensa senso, erano tutti lì a piangere, a fissare il mare impetuoso e piangere.

Solo io, proprio io, avevo gli occhi asciutti ma spenti come privi ormai di vita.

Il viaggio durò tanto,molti, più fortunati, morirono, io purtroppo miracolosamente sopravvissi.

Eravamo centinaia. Non ci davano da mangiare,eravamo tutti terrorizzati, vedevamo i corpi dei nostri cari buttati in mare, cibo per i pesci. Eravamo trattati da bestie da uomini che bestie lo erano davvero.

Finalmente giungemmo a destinazione, e anche se sembrava impossibile, fu ancora peggio.

Uomini bianchi che ci dominavano, muniti di armi complesse e grossi cani pronti a sbranare.

Non mangiavamo.MAI,e i morsi della fame si aggiungevano, accrescendolo, al nostro dolore, sia fisico che morale.

Joel non ce l'aveva fatta, e anche Bikilu, la donna che sarebbe dovuta diventare mia moglie, si era addormentata sulla mia spalla, per sempre. I primi giorni della traversata eravamo tutti uniti e pronti a sostenerci l'un l'altro ma dopo qualche settimana alcuni persero ogni freno e tentarono di uccidere per mangiare.

Imparai presto cosa eravamo diventati. Ero uno schiavo e l'uomo bianco con il buffo copricapo era il mio Padrone. Lavoravamo nei suoi campi dalle prime luci fino al tramonto. Sotto la minaccia di una frusta sempre pronta e le "attenzioni" dei guardiani.Ero ridotto pelle ed ossa.

Non c'era concesso parlare tra di noi, usavamo la bocca solo per urlare ad ogni colpo sulla nostra schiena.

Morire. Morire sarebbe stato meglio perchè avrei raggiunto le persone che amavo e mi mancavano.

E la mia preghiera presto fu ascoltata.

Caddi nei.campi, tra le odiate piante di cotone. Tentarono di obbligarmi a rialzarmi, a riprendere il lavoro. Io già non sentivo più nulla, fui molto fortunato perché la mia schiena giaceva sulla dura terra e l'ultima cosa, che di questo mondo, i miei occhi videro fu quel lontano uccellino che in alto volava, libero, libero, libero.

Per pochi istanti tornai felice perché tutto era finito. 

 

Era una giornata calda,come al solito,e io ed Joel stavamo preparando le armi per la caccia che si sarebbe svolta nel pomeriggio.

Mi addentrai nella foresta cercando qualche ramo per la mia nuova lancia (dato che quella vecchia si era spezzata colpendo un elefante) quando sentii un rumore provenire dalla riva.

Uomini.Uomini che non parlavano la mia lingua. Bianchi.Con il torso e le gambe coperte da strani indumenti. Non sapevo di quale tribù fossero,da dove venissero,ma qualcosa dentro me mi diceva di starne alla larga e proprio mentre stavo per fuggire verso la mia capanna una grossa rete mi catturò senza darmi scampo.

Erano tanti, armati,cattivi. Dotati di una grande nave, che poi scoprii, atroce ironia, chiamarsi "Freedom". .

Mi risvegliai, forse dopo qualche ora o forse dopo qualche giorno,ma mi risvegliai.

Ero proprio nella stiva della nave e vidi Joel. Piangeva. Piangeva abbracciato a mia madre.

Anche lei piangeva.Tutti stavano piangendo.Perché piangere?

Fu in quel momento che mi guardai intorno.Era pieno,pienissimo, giovani, uomini e donne, non tutti della mia tribù ma tutti neri come me.

Uno di quegli strani uomini dalla pelle diafana e una curatissima barbetta ci puntava contro uno strano oggetto nero,sembrava pesante,pericoloso.

Solo quando si decise a premere il grilletto scoprii cos'era. Una donna piuttosto in carne,con lunghi capelli neri e il volto rigato di lacrime venne presa in pieno, chiuse gli occhi velocemente dopo un urlo lancinante. Anele cadde a terra e un fiotto di sangue bagnò il pavimento, la ricordo ancora adesso, era mia madre.

Mi impressionò l'indifferenza e non solo quella dell'assassino. A nessuno importava di quella crudeltà sensa senso, erano tutti lì a piangere, a fissare il mare impetuoso e piangere.

Solo io, proprio io, avevo gli occhi asciutti ma spenti come privi ormai di vita.

Il viaggio durò tanto,molti, più fortunati, morirono, io purtroppo miracolosamente sopravvissi.

Eravamo centinaia. Non ci davano da mangiare,eravamo tutti terrorizzati, vedevamo i corpi dei nostri cari buttati in mare, cibo per i pesci. Eravamo trattati da bestie da uomini che bestie lo erano davvero.

Finalmente giungemmo a destinazione, e anche se sembrava impossibile, fu ancora peggio.

Uomini bianchi che ci dominavano, muniti di armi complesse e grossi cani pronti a sbranare.

Non mangiavamo.MAI,e i morsi della fame si aggiungevano, accrescendolo, al nostro dolore, sia fisico che morale.

Joel non ce l'aveva fatta, e anche Bikilu, la donna che sarebbe dovuta diventare mia moglie, si era addormentata sulla mia spalla, per sempre. I primi giorni della traversata eravamo tutti uniti e pronti a sostenerci l'un l'altro ma dopo qualche settimana alcuni persero ogni freno e tentarono di uccidere per mangiare.

Imparai presto cosa eravamo diventati. Ero uno schiavo e l'uomo bianco con il buffo copricapo era il mio Padrone. Lavoravamo nei suoi campi dalle prime luci fino al tramonto. Sotto la minaccia di una frusta sempre pronta e le "attenzioni" dei guardiani.Ero ridotto pelle ed ossa.

Non c'era concesso parlare tra di noi, usavamo la bocca solo per urlare ad ogni colpo sulla nostra schiena.

Morire. Morire sarebbe stato meglio perchè avrei raggiunto le persone che amavo e mi mancavano.

E la mia preghiera presto fu ascoltata.

Caddi nei.campi, tra le odiate piante di cotone. Tentarono di obbligarmi a rialzarmi, a riprendere il lavoro. Io già non sentivo più nulla, fui molto fortunato perché la mia schiena giaceva sulla dura terra e l'ultima cosa, che di questo mondo, i miei occhi videro fu quel lontano uccellino che in alto volava, libero, libero, libero.

Per pochi istanti tornai felice perché tutto era finito. 

 

Era una giornata calda,come al solito,e io ed Joel stavamo preparando le armi per la caccia che si sarebbe svolta nel pomeriggio.

Mi addentrai nella foresta cercando qualche ramo per la mia nuova lancia (dato che quella vecchia si era spezzata colpendo un elefante) quando sentii un rumore provenire dalla riva.

Uomini.Uomini che non parlavano la mia lingua. Bianchi.Con il torso e le gambe coperte da strani indumenti. Non sapevo di quale tribù fossero,da dove venissero,ma qualcosa dentro me mi diceva di starne alla larga e proprio mentre stavo per fuggire verso la mia capanna una grossa rete mi catturò senza darmi scampo.

Erano tanti, armati,cattivi. Dotati di una grande nave, che poi scoprii, atroce ironia, chiamarsi "Freedom". .

Mi risvegliai, forse dopo qualche ora o forse dopo qualche giorno,ma mi risvegliai.

Ero proprio nella stiva della nave e vidi Joel. Piangeva. Piangeva abbracciato a mia madre.

Anche lei piangeva.Tutti stavano piangendo.Perché piangere?

Fu in quel momento che mi guardai intorno.Era pieno,pienissimo, giovani, uomini e donne, non tutti della mia tribù ma tutti neri come me.

Uno di quegli strani uomini dalla pelle diafana e una curatissima barbetta ci puntava contro uno strano oggetto nero,sembrava pesante,pericoloso.

Solo quando si decise a premere il grilletto scoprii cos'era. Una donna piuttosto in carne,con lunghi capelli neri e il volto rigato di lacrime venne presa in pieno, chiuse gli occhi velocemente dopo un urlo lancinante. Anele cadde a terra e un fiotto di sangue bagnò il pavimento, la ricordo ancora adesso, era mia madre.

Mi impressionò l'indifferenza e non solo quella dell'assassino. A nessuno importava di quella crudeltà sensa senso, erano tutti lì a piangere, a fissare il mare impetuoso e piangere.

Solo io, proprio io, avevo gli occhi asciutti ma spenti come privi ormai di vita.

Il viaggio durò tanto,molti, più fortunati, morirono, io purtroppo miracolosamente sopravvissi.

Eravamo centinaia. Non ci davano da mangiare,eravamo tutti terrorizzati, vedevamo i corpi dei nostri cari buttati in mare, cibo per i pesci. Eravamo trattati da bestie da uomini che bestie lo erano davvero.

Finalmente giungemmo a destinazione, e anche se sembrava impossibile, fu ancora peggio.

Uomini bianchi che ci dominavano, muniti di armi complesse e grossi cani pronti a sbranare.

Non mangiavamo.MAI,e i morsi della fame si aggiungevano, accrescendolo, al nostro dolore, sia fisico che morale.

Joel non ce l'aveva fatta, e anche Bikilu, la donna che sarebbe dovuta diventare mia moglie, si era addormentata sulla mia spalla, per sempre. I primi giorni della traversata eravamo tutti uniti e pronti a sostenerci l'un l'altro ma dopo qualche settimana alcuni persero ogni freno e tentarono di uccidere per mangiare.

Imparai presto cosa eravamo diventati. Ero uno schiavo e l'uomo bianco con il buffo copricapo era il mio Padrone. Lavoravamo nei suoi campi dalle prime luci fino al tramonto. Sotto la minaccia di una frusta sempre pronta e le "attenzioni" dei guardiani.Ero ridotto pelle ed ossa.

Non c'era concesso parlare tra di noi, usavamo la bocca solo per urlare ad ogni colpo sulla nostra schiena.

Morire. Morire sarebbe stato meglio perchè avrei raggiunto le persone che amavo e mi mancavano.

E la mia preghiera presto fu ascoltata.

Caddi nei.campi, tra le odiate piante di cotone. Tentarono di obbligarmi a rialzarmi, a riprendere il lavoro. Io già non sentivo più nulla, fui molto fortunato perché la mia schiena giaceva sulla dura terra e l'ultima cosa, che di questo mondo, i miei occhi videro fu quel lontano uccellino che in alto volava, libero, libero, libero.

Per pochi istanti tornai felice perché tutto era finito. 

  

Era una giornata calda,come al solito,e io ed Joel stavamo preparando le armi per la caccia che si sarebbe svolta nel pomeriggio.

Mi addentrai nella foresta cercando qualche ramo per la mia nuova lancia (dato che quella vecchia si era spezzata colpendo un elefante) quando sentii un rumore provenire dalla riva.

Uomini.Uomini che non parlavano la mia lingua. Bianchi.Con il torso e le gambe coperte da strani indumenti. Non sapevo di quale tribù fossero,da dove venissero,ma qualcosa dentro me mi diceva di starne alla larga e proprio mentre stavo per fuggire verso la mia capanna una grossa rete mi catturò senza darmi scampo.

Erano tanti, armati,cattivi. Dotati di una grande nave, che poi scoprii, atroce ironia, chiamarsi "Freedom". .

Mi risvegliai, forse dopo qualche ora o forse dopo qualche giorno,ma mi risvegliai.

Ero proprio nella stiva della nave e vidi Joel. Piangeva. Piangeva abbracciato a mia madre.

Anche lei piangeva.Tutti stavano piangendo.Perché piangere?

Fu in quel momento che mi guardai intorno.Era pieno,pienissimo, giovani, uomini e donne, non tutti della mia tribù ma tutti neri come me.

Uno di quegli strani uomini dalla pelle diafana e una curatissima barbetta ci puntava contro uno strano oggetto nero,sembrava pesante,pericoloso.

Solo quando si decise a premere il grilletto scoprii cos'era. Una donna piuttosto in carne,con lunghi capelli neri e il volto rigato di lacrime venne presa in pieno, chiuse gli occhi velocemente dopo un urlo lancinante. Anele cadde a terra e un fiotto di sangue bagnò il pavimento, la ricordo ancora adesso, era mia madre.

Mi impressionò l'indifferenza e non solo quella dell'assassino. A nessuno importava di quella crudeltà sensa senso, erano tutti lì a piangere, a fissare il mare impetuoso e piangere.

Solo io, proprio io, avevo gli occhi asciutti ma spenti come privi ormai di vita.

Il viaggio durò tanto,molti, più fortunati, morirono, io purtroppo miracolosamente sopravvissi.

Eravamo centinaia. Non ci davano da mangiare,eravamo tutti terrorizzati, vedevamo i corpi dei nostri cari buttati in mare, cibo per i pesci. Eravamo trattati da bestie da uomini che bestie lo erano davvero.

Finalmente giungemmo a destinazione, e anche se sembrava impossibile, fu ancora peggio.

Uomini bianchi che ci dominavano, muniti di armi complesse e grossi cani pronti a sbranare.

Non mangiavamo.MAI,e i morsi della fame si aggiungevano, accrescendolo, al nostro dolore, sia fisico che morale.

Joel non ce l'aveva fatta, e anche Bikilu, la donna che sarebbe dovuta diventare mia moglie, si era addormentata sulla mia spalla, per sempre. I primi giorni della traversata eravamo tutti uniti e pronti a sostenerci l'un l'altro ma dopo qualche settimana alcuni persero ogni freno e tentarono di uccidere per mangiare.

Imparai presto cosa eravamo diventati. Ero uno schiavo e l'uomo bianco con il buffo copricapo era il mio Padrone. Lavoravamo nei suoi campi dalle prime luci fino al tramonto. Sotto la minaccia di una frusta sempre pronta e le "attenzioni" dei guardiani.Ero ridotto pelle ed ossa.

Non c'era concesso parlare tra di noi, usavamo la bocca solo per urlare ad ogni colpo sulla nostra schiena.

Morire. Morire sarebbe stato meglio perchè avrei raggiunto le persone che amavo e mi mancavano.

E la mia preghiera presto fu ascoltata.

Caddi nei.campi, tra le odiate piante di cotone. Tentarono di obbligarmi a rialzarmi, a riprendere il lavoro. Io già non sentivo più nulla, fui molto fortunato perché la mia schiena giaceva sulla dura terra e l'ultima cosa, che di questo mondo, i miei occhi videro fu quel lontano uccellino che in alto volava, libero, libero, libero.

Per pochi istanti tornai felice perché tutto era finito.
FI FINE.

  
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