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Autore: martyki    20/11/2010    19 recensioni
Rimasi come una stupida, ferma ed impalata a fissare il punto dove lui non c’era più.
Non so cosa mi mosse qualche minuto dopo ad andare in camera sua.
Si era già messo sotto le coperte e girato dalla parte opposta a quella dove mi trovavo io.
Mi avvicinai di soppiatto al letto.
"Zero… "
Non rispose.
Lo tastai.
"Zero?"
Si voltò.
"Cosa c’è?"
Non risposi subito. Un po’ perché speravo capisse da solo il motivo del mio andare in camera sua. Un po’ perché mi vergognavo.
“Me ne vado o resto?”
"Yuuki, cosa c’è?"
"Ehm… ecco io…"
Adesso mi sentivo davvero tanto in imbarazzo.
"possodormireconte?" avevo parlato così velocemente che tra un po’ neanche io capii quello che avevo detto. Non mancò infatti un’occhiata bieca del biondo.
"Posso… posso dormire con te?"
Yuuki ha dodici anni: è terrorizzata dalla neve che le ricorda l'inizio della sua vita.
Zero è arrivato da due mesi in casa Cross: il suo cuore è di ghiaccio.
Sarà proprio la paura di Yuuki a sciogliere l'animo del ragazzo.
BUONA LETTURA!:)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaien Cross, Yuki Cross, Zero Kiryu
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Posso_Dormire_con_te1

Voglio dedicare questa one-shot al mio amore.

Ti amo, Francesco.

Posso dormire con te?

La tempesta di neve imperversava fuori dalla finestra della mia camera. Il vento ululava.

Mi nascosi sotto le coperte.

“Non è niente, non è niente, non è niente. È solo la neve”.

La neve, unita all’acqua e al vento, batteva violentemente sul vetro della mia finestra, graffiandola.

Tremavo come una foglia nonostante sotto le coperte ci fossero più di venti gradi.

La porta della mia camera si aprì cigolando.

Mi strinsi più che potevo al mio gattino di peluche.

Rumore di passi. Lenti. Molto lenti.

“Lui è qui. Lui… lui vuole mangiarmi”.

Le lacrime di terrore che tentavo con tutta me stessa di trattenere da quando mi ero chiusa nella mia cameretta per cercare di dormire ormai rigavano il mio visino tondo. Tenevo gli occhi serrati. Non volevo guardare.

Poi accadde. Mi tolse la coperta e io gridai stritolando tra le braccia il mio pupazzo.

«Yuki! Yuki, calmati! Sono io!». Due braccia forti mi strinsero forte mentre cominciavo a piangervi all’interno.

La tensione iniziò a scemare. La paura si sciolse insieme alle lacrime.

«Calma, piccolina. Va tutto bene».

«Papà», singhiozzai facendo cadere il peluche sul pavimento, «il vampiro cattivo… lui era qui, vero? E tu l’hai cacciato via».

Mio padre, sospirando, mi strinse più forte. «Tesoro, quante volte dove dirti che sono sei anni che il vampiro cattivo non c’è più?». Mi scostò leggermente da sé per poter asciugare i miei occhioni cioccolato.

«No, non è vero», piagnucolai imbronciata. «Lui c’è sempre. Con il viso sporco di sangue. Mi cerca. Mi trova. Mi tormenta tutte le notti».

Papà si tolse gli occhiali e sospirò di nuovo. «Yuki, nessuno può farti del male». Mi diede un bacio sulla fronte e si alzò avviandosi verso la porta. Immediatamente afferrai la manica del suo pigiama. «Papà!».

Lui si voltò guardandomi con quei suoi occhi color grano. Poi sorrise prendendomi in braccio. «Va bene. Puoi dormire con me questa notte. Ma è l’ultima volta, siamo intesi? Devi imparare che è solo la tua testolina a che pensare che ci sia il vampiro quando fuori nevica forte».

Lo abbracciai. «Grazie, Papà!».

Ci avviammo verso la sua stanza.

«Aspetta!», dissi all’improvviso prima di mettermi a letto.

«Cosa c’è?»

«Ho dimenticato Kazenamero in camera». Corsi immediatamente in camera mia a prendere il gattino di peluche che avevo lasciato per terra per poi ritornare alla velocità della luce nel lettone di mio padre.

«Ora va meglio?», sussurrò coprendomi per bene sotto il piumone del suo letto.

Annuii e mi raggomitolai vicino a lui.

«Nessuno ti farà del male», mormorò lui mentre mi prendeva la mano.

Un sorriso si dipinse sul mio viso lasciando posto solo ai miei sogni che mi accolsero nelle loro braccia insieme a Morfeo che mi stava aspettando già da qualche ora.

***

La mattina dopo mi svegliai presto. Mio padre aveva già abbandonato il letto.

«Buongiorno, Kazenamero!», gridai baciando e stritolando il pupazzo come ogni mattina, «Dormito bene? Ma certo che hai dormito bene! Papà ci proteggeva!».

Mi alzai e uscii dalla stanza in punta di piedi.

«Che ci facevi nella camera da letto del direttore?».

Al suono di quella voce trasalii. Mi voltai spaventata ma storsi il naso non appena vidi chi era stato parlare. «Non sono affari tuoi», borbottai entrando in bagno tenendo ben stretto il mio gattino.

«Hai dormito di nuovo con lui, non è così?», continuò la voce leggermente beffarda.

«Ho detto che non ti riguarda!», sbottai arrabbiata voltandomi a guardarlo. «Quello che faccio con mio padre sono affari miei, hai capito bene?».

«Il direttore non è il tuo vero padre» mi rimbeccò il ragazzo appoggiandosi alla porta, «ma solamente adottivo».

«Beh, sempre mio padre è!», gli gridai arrabbiata mentre mi avvicinavo al lavandino per lavarmi la faccia.

«A dodici anni ancora t’infili nel letto di tuo padre. Patetica…».

Come una furia tornai alla porta e lo spinsi via con uno spintone. Le guance in fiammate dalla rabbia. «Ma cosa ne sai tu di me, eh? Cosa? Non parli mai! Quando cerco di essere carina con te ti giri dall’altra parte, te ne vai e non dici una parola! Invece quando si tratta di prendermi in giro la parlantina ti torna subito, vero? E poi vorrei lavarmi se non ti dispiace e i maschi non sono ammessi! Sparisci!». Sbattei la porta lasciandolo fuori.

Quello era Zero Kiryu.

Più o meno due mesi prima, il direttore Cross aveva deciso di prendersi cura di lui (un po’ come stava facendo con me da sei anni) poiché la sua famiglia era stata assassinata da un vampiro malvagio. Mi ricordavo esattamente quanto mi fosse sembrato fragile e vuoto il giorno in cui era arrivato da noi. Avevo avuto paura che potesse rompersi al minimo tocco. Mi dissi che dovevo proteggerlo, farlo sentire a casa, di essere per lui come una sorella, un’ancora, un’amica sulla quale contare in qualsiasi momento, ma mai in quei due mesi mi aveva dato la possibilità di poter far breccia nel suo cuore; e pensare che ci avevo provato in tutti i modi: chiedendogli di giocare, una mano per cucinare, qualche aiuto sui compiti, ma niente. O se ne andava via lasciandomi sola come una stupida, oppure, quando andava bene, si limitava a rispondermi per monosillabi tipo «Sì», «No», «Forse», «Va bene», «Buonanotte», «’Giorno» o a guardarmi annoiato poggiando la mano sul collo.

Questo aveva provocato in me un moto di non sopportazione nei suoi confronti. Capivo che stesse male, ma aveva la possibilità di avere una sorellina come me che gli avrebbe fatto tutto, ma proprio tutto, quello che voleva e invece la prima vera frase composta da soggetto, verbo e complemento che era stato in grado di rivolgermi era un vero e proprio insulto! Mi aveva appena dato della poppante stupida.

«Uffa! Kiryu, Non ti sopporto!».

***

Erano le nove di sera.

«Il direttore ancora non è tornato», sussurrai mentre finivo di mangiare la mia zuppa di miso alzando lo sguardo su Zero.

Come al solito il ragazzino non mi degnò della benché minima considerazione.

Espirai a fondo voltandomi verso la finestra.

Era la terza notte di fila che nevicava e il direttore non era ancora rincasato.

Sospirai di nuovo fissando il piatto ormai vuoto. “Yuki devi smetterla di avere paura! Nessuno può farti del male! Nessuno! Il direttore tornerà da un momento all’altro; e poi in casa ci sono la signora Tota Ki1 e Zero…”.

Che era paragonabile proprio ad uno zero.

All’improvviso il telefono cominciò a strillare all’impazzata. Prima che potesse rispondere la tata mi affrettai ad alzare la cornetta.

«Pronto?».

«Yuki, sono Papà».

La voce di mio padre era molto stanca e sembrava invecchiata di dieci anni. Però c’era. Era lì, giusto dall’altro capo del telefono.

«Papà? Papà, quando torni?». Solo in quel momento mi accorsi di quanto la mia vocina acuta fosse affannata, come dopo una lunga e stancate corsa. In realtà era solo l’agitazione.

«Yuki, sono bloccato a lavoro questa sera. Abbiamo avuto un problema e non so quando riuscirò a tornare a casa».

Panico. Iniziai a stringere la cornetta in maniera convulsiva con entrambe le mani. «Non sai…».

«Tesoro, stai tranquilla», disse subito mio padre con il tono allegro di sempre, «cercherò di tornare il prima possibile».

«Ma quando torni?» ripetei sull’orlo di una crisi di pianto.

«Il prima possibile. Stai tranquilla. E poi non sei sola. C’è Zero».

“Sì, Zero assoluto proprio”.

Mi dovevo trattenere, non dovevo scoppiare a piangere. Dovevo resistere…

«Ok». dissi solamente.

«Vai a dormire. Io sono lì con te con il pensiero. Capito, Principessa?».

«Va bene, ma tu torna presto».

«Farò il possibile e ricorda che non c’è nessun vampiro cattivo. Buonanotte, Piccolina».

«‘Notte, Papà».

Lentamente riagganciai la cornetta. Rimasi pietrificata con la mano sul ripetitore per un bel po’. Era l’unica cosa che in quel momento mi trasmettesse la presenza di mio padre e un po’ di tranquillità.

«Problemi?».

Sobbalzai spaventata.

Zero era appoggiato alla porta con le braccia incrociate al petto e i liscissimi capelli argentei che gli ricadevano sugli occhi. Non aveva l’aria antipatica, scocciata e tirata di sempre.

«Papà non sa quando riuscirà a tornare a casa», mi limitai a rispondere avvicinandomi al punto in cui si trovava lui, «mi ha detto di andare a dormire».

Il ragazzo non disse niente ma continuò a fissarmi.

«Vado in camera mia», dissi dopo un po’. «Buonanotte, Zero».

Mi allontanai di due o tre passi, non di più, e la sua mano sfiorò la mia come se avesse avuto l’intenzione di afferrarla.

Sorpresa mi voltai nuovamente a guardarlo. Questa volta fui io a studiare meglio il suo viso. Più precisamente i suoi occhi: l’ombra triste era sempre là, copriva quelle iridi violette che brillavano di una luce più rossastra dovuta al riflesso del caminetto acceso, ma, allo stesso tempo, aveva anche una sfumatura che andava dalla preoccupazione allo stupore.

“Stupore di essere preoccupato per me?”.

Ci fissammo ancora un po’ senza dire nulla.

Immobili.

Per la prima volta affogai in quel mare viola. Lui sembrava ipnotizzato da me.

La mano che aveva provato a fermarmi sfiorava appena il dorso della mia.

«Buonanotte», disse alla fine e andò verso il divano buttandosi pesantemente a sedere.

Dopo qualche altro secondo di stordimento, mi avviai verso la mia stanza molto lentamente. Nonostante avesse chiuso la nostra conversazione di sguardi con quel semplice saluto continuavo a sentire i suoi occhi su di me e provai una sensazione che non avevo mai provato; sensazione alla quale non sapevo proprio che nome dare.

***

“Non ho paura. Non ho paura. Non ho paura!”.

Dovevo convincermi che fosse così altrimenti sarei impazzita.

Il vento e la neve, mista a grossi chicchi di grandine, imperversavano in maniera molto peggiore rispetto alla notte precedente. Durante la serata il tempo era peggiorato e più la notte andava avanti, più il vento ululava come il pianto di un lupo disperato al chiaro di luna.

Mi strinsi più forte che potevo al mio gattino di peluche.

“Non ho paura. Sei al sicuro! Qui nessuno può farti del male, nessuno! È tutto chiuso! Non entrerà nessuno, nessuno, ness…”.

Scrash!

La grandine era così grossa e così violenta a causa del vento d’aver rotto la finestra della mia stanza lasciando entrare, oltre al pungente freddo, anche altri lamenti ventosi.

“Non piangere, non piangere, non…”.

Un rumore lieve come… di passi. Sì, passi nella neve. Chiari e ben distinti. Ma felpati. Passi che conoscevo. Passi che… adesso stavano facendo scricchiolare il parquet della mia cameretta.

“Non è niente. È solo la tua testa. Non è niente, niente, nient…”.

La coperta scivolò via da sola.

La figura di un uomo coperto solo da un’impermeabile torreggiava sopra di me.

Alzai appena la testa, giusto in tempo per vedere i suoi occhi scarlatti e le zanne illuminate dai fulmini.

«Piccolina…». La voce melliflua dell’uomo era appena un sussurro. Non aveva neanche mosso le labbra.

La paura mi attanagliava la gola.

I suoi occhi color sangue mi impedivano qualsiasi movimento.

Si avvicinò a me, lentamente. Piano. Silenziosamente, come un leone che si accosta alla vittima senza farsi vedere.

«Piccolina…», ripeté.

Gettai un urlo con tutto il fiato che avevo nei polmoni. L’uomo fece qualche passo indietro.

Continui a strillare. Le urla erano la mia unica arma di difesa e l’avrei utilizzata fino alla morte.

«Yuki! Yuki, calmati! Yuki, basta!».

Spalancai gli occhi. Il mio cuore batteva troppo forte e avevo paura che potesse esplodere di lì a qualche secondo.

Due mani forti mi stavano scuotendo tenendo ben strette le mie braccia.

Zero mi fissava con sguardo apprensivo.

Il mio respiro era del tutto irregolare.

«Yuki, cosa c’è?». La voce del ragazzo era esattamente come il suo sguardo: preoccupato.

«C’er-c’era il vampiro cattivo…».

Sulla fronte del biondino si formarono delle rughe. «Vampiro cattivo?»

«Sì, quello che… quello che voleva mangiarmi sei anni fa».

«Un vampiro voleva mangiarti?».

Annuii. «Era un giorno nevoso come questo e lui voleva mangiarmi. I miei ricordi cominciano da quell’istante. Non ricordo nulla dei miei primi cinque anni di vita».

Le mani di Zero erano ancora salde sulle mie braccia, poi… mi abbracciò.

Senza preavviso.

Stupendomi.

Fu la prima volta che fui pervasa dal suo profumo intenso, un odore così dolce e aspro allo stesso tempo da non poter essere descritto.

Era semplicemente Zero. Sarebbe stata l’unica descrizione appropriata.

«Non lo sapevo». Furono le uniche parole che pronunciò continuando a stringermi forte a sé.

Mi sorpresi di quanto mi sentissi a mio agio tra quelle braccia. Erano un vero rifugio. Mi sentivo davvero protetta. Solo altre due braccia mi facevano provare una sensazione simile. Quelle di Kaname Kuran, il vampiro che mi aveva salvato la vita quella lontana notte di sei anni primi.

Ma quelle erano di Zero. E mai le avrei più potute cambiare e paragonare ad altre. Era come per il suo odore. Semplicemente sue.

Restammo in quella posizione per un tempo infinito.

Stavo così bene…

Piano, Zero mi scansò da sé stringendomi solo le mani. Mi fissò per un altro secondo per poi alzarsi e controllare la stanza. Si soffermò un po’ sul vetro rotto dalla grandine. «Hai così paura della neve da farti suggestionare da qualsiasi cosa l’accompagni». Tornò da me stringendo nuovamente la mia mano nella sua. «Non c’è nessun vampiro in questa stanza né a parecchi raggi di chilometri. Fidati». Nel dirlo accennò un sorriso.

Inavvertitamente le mie guance s’infiammarono.

“Sicuramente è dovuto alla sorpresa di questo cambiamento repentino nei miei confronti”.

«Ora torna a dormire».

Non mi ero accorta che fosse arrivato alla porta. «Buonanotte, davvero questa volta».

Non risposi. Rimasi come una stupida, ferma ed impalata a fissare il punto dove lui non c’era più. Non so cosa mi mosse qualche minuto dopo ad andare in camera sua.

Si era già messo sotto le coperte e girato dalla parte opposta a quella dove mi trovavo io.

Mi avvicinai di soppiatto al suo letto. «Zero…», lo chiamai.

Non rispose.

Lo tastai. «Zero?».

Si voltò. «Cosa c’è?».

Non risposi subito. Un po’ perché speravo che capisse da solo il motivo del mio andare in camera sua. Un po’ perché mi vergognavo.

“Me ne vado o resto?”.

«Yuki, cosa c’è?».

«Ehm… ecco io…».

Adesso mi sentivo davvero molto imbarazzata. «Possodormireconte?». Avevo parlato così velocemente che tra un po’ neanche io capii quello che avevo detto. Non mancò infatti un’occhiata bieca del biondo.

«Posso… posso dormire con te?» ripetei arrossendo.

All’iniziò non rispose ma poco dopo lo vidi mettersi seduto, spostare le coperte e farmi posto. Il tutto senza una parola.

Lentamente mi stesi accanto a lui: il letto non era grande come quello del direttore ma si stava comodi, io nel mio angolino e lui nel suo.

«Beh… grazie…». La mia vocina era stridula.

«Notte».

Chiusi gli occhi.

Mi sentivo sicura, tranquilla perché non ero sola.

Feci uno strano sogno o forse era un vecchio ricordo. Mani di donna. Mani di donna insanguinate. Un grido che squarciava la notte. E sangue. Sangue dappertutto.

Probabilmente piansi.

Due braccia forti mi strinsero cominciando ad accarezzarmi i capelli. Era un movimento lento e periodico. Delicato.

«Chissà cos’hai passato di tanto brutto da piangere anche nel sonno». Le parole di Zero erano un soffio leggero proprio come quelle carezze che mi stava facendo.

Non stava parlando realmente con me. Pensava stessi dormendo.

Parlò tanto, tanto, tanto senza smettere di stringermi forte sé.

Lasciai che continuasse fin quando cominciai a non sentire più la dolce ninna nanna della sua voce. Solo una frase mi rimase impressa prima di sprofondare finalmente nel mondo dei sogni: «Ti proteggerò da tutto e tutti. Se dovesse essere necessario, ti proteggerò anche da me stesso».

4 anni dopo…

Sangue. Sangue. Sangue. E ancora sangue.

Le mani di quella donna, quei rumori sinistri e quegli occhi…

L’angoscia costante del cercare di ricordare il mio passato e la consapevolezza che qualcuno mi stesse impedendo di ricordare i miei primi anni di vita non mi lasciava dormire da troppe notti ormai.

La mia cameretta nella casa del direttore era così tetra…

Paura. Avevo tanta paura.

“Yuki, devi dormire”.

Sì, era una parola però.

Mi ero svegliata tra un incubo e l’altro almeno quattro volte nell’arco della notte. Mi sentivo terribilmente sfinita.

“Uffa, basta!”.

Spostai con i piedi le coperte e scesi dal letto. Io. Dovevo. Dormire!

Percorsi in punta di piedi il corridoio e bussai piano alla sua porta.

Non rispose nessuno.

Senza far rumore aprii la porta e entrando nella stanza un lieve sorriso si disegnò sul mio volto: dormiva profondamente.

“Beato lui...”.

Mi dispiaceva svegliarlo. Anche lui dormiva poco e vederlo così tranquillo…

“Che egoista che sono!”.

Perché ero andata nella sua camera? Dovevo provare a dormire da sola, senza coinvolgere terzi.

Sempre in punta di piedi feci retro front verso la porta. Mi voltai soltanto un secondo a rimirare il suo viso stranamente rilassato.

Aprii la porta e…

«Ahi! Che male!!».

Mi ero schiacciata il mignolo del piede con lo spigolo della porta. Fortunatamente era solo la botta… però che dolore!

«Yu-Yuki?».

Mi girai di scatto verso la voce. «Zero!». Rimasi ferma sul posto a massaggiarmi il piede. «Ze-Zero, scusami! Non volevo svegliarti!». Ero mortificata. Tanti sforzi per tornare piano in camera e invece…

«Volevi qualcosa?», chiese stropicciandosi gli occhi, mettendosi a sedere sul letto.

«N-n-no! Ma figurati! No!».

«Non fingere con me. Che c’è?».

Era inutile mentire. Zero mi conosceva meglio delle sue stesse tasche.

«Beh… ecco io…».

«Non riesci a dormire, vero?».

Alzai lo sguardo incrociando le sue iridi violette. Riuscii solo ad annuire.

Il biondo mi fissò per qualche altro secondo. «Vieni qui». La sua voce era ancora un po’ impastata dal sonno, ma dolcissima.

Non mi feci pregare e mi avvicinai. Una volta arrivata vicino a lui mi prese la mano.

«Dai, chiedimelo». Mi lanciò uno dei suoi soliti sorrisi enigmatici che mi mozzavano il fiato.

«Cosa dovrei chiederti?», domandai facendo la finta tonta guardando da tutte la parti tranne che il suo viso.

«Lo sai cosa». Continuò a sorridermi facendomi sciogliere come succedeva da un po’ di tempo a quella parte.

Respirai a fondo. «Posso dormire con te?».

Il ragazzo, in risposta, spostò le coperte e mi fece posto accanto a sé. Il letto adesso non era più bello spazioso come quando eravamo bambini; Zero era cresciuto e lo occupava quasi completamente.

Non era un problema.

Mi stesi accanto a lui mi fece appoggiare la testa sul suo petto cingendomi la vita delicatamente.

«Sei proprio una bambina. Hai ancora bisogno di me per dormire».

«Antipatico», mugugnai io, «sono notti che non dormo».

«Lo so».

Alzai gli occhi verso di lui. «Come, “lo sai?”».

«Lo so», ripeté solo lui semplicemente con un’alzata di spalle, «hai certe occhiaie che fanno paura».

«Mai quanto le tue», lo rimbeccai mentre cominciavo a rilassarmi sotto le sue carezze tra i miei capelli.

Non commentò più ma continuò ad accarezzarmi dolcemente. «Aspettavo che venissi».

«Non volevo disturbarti…».

Mi strinse più forte dandomi un bacio sulla fronte. «Ho un debito con te. Lo sai che sono a tua completa disposizione. Sempre».

Mi sciolsi dall’abbracciò per guardarlo meglio negli occhi. Occhi che avevo sempre amato anche quando mi faceva arrabbiare. Occhi che mi attraevano come una calamita, occhi che…

«Zero…». Mi sedetti cavalcioni su di lui e misi le mani intorno al suo collo accarezzando il suo tatuaggio.

«Yuki, che stai…?»

Lo baciai. Non so perché, ma lo feci. Un bacio semplice, a fior di labbra. Mi sembrò la cosa più naturale del mondo. Mi staccai da lui quasi subito e gli sorrisi con fare innocente, con le gote arrossate. «Scusa».

Avevo reagito d’impulso mossa da una sensazione che era l’unica che in quegli ultimi giorni mi sembrava giusta. Era tutto così sbagliato e innaturale mentre quel bacio era così…

Senza accorgermene mi ritrovai ad assaporare nuovamente la bocca del ragazzo anche se questa volta non ero stata io ad iniziare: le sue braccia mi stringevano delicatamente mentre le sue mani mi accarezzavano i capelli.

Ancora una volta mi trovai a dire che anche la sua bocca sapeva semplicemente di lui come il suo odore e i suoi occhi. Era qualcosa d’indescrivibilmente bello e anche…

“Yuki non pensare quella parola!”.

Dopo un po’ di minuti ci staccammo entrambi con il fiato corto e le labbra più rosse e grosse. I suoi occhi brillavano più del solito.

«Di cosa?».

«Di cosa che?», chiesi troppo stordita per poter capire cosa intendesse.

«Mi hai chiesto “scusa” e beh… direi che non c’è niente da scusare, ti pare?».

Il suo bacio voleva dire che andava bene?

Ok, adesso la mia mente stava viaggiando troppo velocemente dopo quei baci e… crollai tra le sue braccia per la stanchezza anche se il mio ultimo pensiero era stato quello di chiedergli: “Zero, posso non dormire con te?”.

Fine

Note

(1) La tata. Torna alla storia.

Note dell’autrice (20/11/2010)

Allora, premetto che l’idea ce l’avevo da un po’ ma l’ultimo pezzo mi è venuto così.

Forse non tutti avranno notato la nota maliziosetta dell’ultima frase anche perché è un po’ ambigua scritta così, però a me piaceva, probabilmente è po’ ermetica però... mi piaceva e l’ho messa, basta xD!!

Spero mi scuserete se troverete qualche errore di battitura o grammatica ma ora come ora sono proprio out (infatti sarebbe il caso di andare a dormire).

Devo dire comunque che mi sento abbastanza soddisfatta di questa one-shot perché è molto dolce, tralasciando un vago accenno di malizia finale (che secondo me non guasta).

Lettrici e lettori vi mando un bacio! Spero che commenterete ma spero soprattutto di avervi trasmesso qualcosa di bello e, possibilmente, emozionante (uno spera sempre!).

Se tra voi c’è qualche lettrice dell’altra mia storia Guardians state tranquille: il capitolo è in fase di scrittura, purtroppo ho avuto un sacco da fare e ancora non sono riuscita a terminarlo, scusatemi! tranquille comunque perché non vi abbandono.

Un bacio a tutti!

Vostra Marty!

Note dell’autrice (24/04/2015)

Penso che questa sia una delle mie one-shot preferite. Tenera dolce... non potevo mantenere la vecchia formattazione, dovevo aggiustarla. Tra l’altro ho corretto pochissime cose perché era già perfetta così. È stato un piacere rileggerla.

Un bacio e spero che piacerà anche a chi la leggerà adesso.

Baci, Marty

   
 
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