La verità che continui
a cercare
All’improvviso,
ho sentito un tremendo bisogno di piangere.
Sbatté un paio di volte
le palpebre, cercando di focalizzarsi non sul dolore che sentiva
all’arto, ma su quello che riusciva a distinguere in quel buio che gli si
parava davanti e che lo circondava.
Il sangue non sembrava uscire
in maniera così copiosa da far pensare ad una
ferita molto profonda o che potesse mettere in pericolo il braccio; tuttavia ne
usciva abbastanza da lasciar intendere che non fosse nemmeno un graffio che ci
si procura accidentalmente nella vita di tutti i giorni per distrazione.
Oz puntò lo sguardo di
fronte a sé e sulla figura di Glen Baskerville in piedi, ora che la
poltrona – come tutto ciò che fino a poco prima era stato nella
stanza – sembrava essere sparito.
L’uomo pareva completamente
a suo agio: lo sguardo freddo sul ragazzino di fronte a lui, alzò una
mano portandola a sfiorare qualcosa in un punto impreciso sopra la propria
spalla. Qualcosa che Oz non riuscì a distinguere subito, come se i suoi
occhi avessero ancora bisogno di abituarsi all’oscurità che senza
preavviso era calata lì.
Quando però
riuscì a scorgere con più chiarezza la figura dietro Glen,
rabbrividì: enorme rispetto alla persona dietro la quale si trovava, non
c’era nulla di umano. Somigliava – se proprio Oz avesse dovuto
descriverlo accostandolo ad una figura conosciuta
– ad un grifone di quelli che si vedevano nelle illustrazioni dei libri
antichi, spesso anche di ambientazione medioevale.
Gli occhi brillavano di una
luce sinistra e, così gli sembrava, maligna; tuttavia, Glen carezzava
proprio in quel momento le piume poco sopra il becco, come se quel bestione
fosse un animaletto domestico come un altro.
«Quello…?»
fece per chiedere Oz, senza riuscire a trovare qualcosa di razionale o
conosciuto nell’esistenza di una creatura simile.
Glen non perse il sorrisetto
divertito che aveva assunto all’apparizione di quella creatura, alla
quale rivolse uno sguardo veloce: «Jabberwocky. Una figura che mi
affianca ormai da diversi anni.» si
limitò a dare come unica spiegazione.
«Creatura affascinante,
non trovi?» lo incalzò quindi, come se all’improvviso e a
dispetto dell’indole sempre dimostrata nei confronti del biondo, avesse
avuto voglia di fare conversazione per passare un po’ di tempo.
Oz scelse saggiamente di
tacere per il momento: aveva la sensazione che, se avesse detto qualcosa di
particolarmente sgradito a Baskerville non solo non avrebbe avuto le risposte
che cercava, ma avrebbe rischiato molto più di
un taglio al braccio.
«Sai, devo ammettere che
sei dotato di una dose di sfortuna particolarmente abbondante.» riprese
Glen in tutta tranquillità, lo sguardo che era sulla creatura chiamata
Jabberwocky.
«Seguito dagli spiriti,
affiancato da persone che mentono e le poche sincere ti lasciano… come la
figlia dei Kolstoj.»
«Sai di Alyster?»
«Differentemente da
quanto sei portato a credere non sei il centro dell’esistenza di nessuno.»
lo interruppe freddamente portando lo sguardo scuro su di lui per una manciata di secondi, il tempo necessario ad estendere
quella freddezza anche agli occhi.
«Le cose accanto a te si
evolvono a prescindere dalla tua – perdonami – mediocre vita. E, se
proprio vogliamo esprimere un concetto chiaro e preciso, è certo che
siano più gli spiriti che non gli umani ad avvertire una vita che si
spegne. Al livello spirituale, certamente.» concluse.
Il tono era atono, per certi
versi forse anche annoiato, riflettendo la tediosità di un argomento che
viene spiegato per l’ennesima volta ad un
allievo particolarmente tonto o privo di intuito.
Oz in tutto quel discorso
trovò il tempo di formulare in un angolo della sua mente un pensiero che
non aveva granché a che fare con il discorso che il moro stava facendo
in quel momento: Glen Baskerville più parlava, meno gli piaceva.
Soprattutto, iniziava a chiedersi come fosse stato possibile che quella persona, di indole così cupa e diversa da quella di
Jack, fosse considerata da suo fratello addirittura il proprio migliore amico.
Tacque, tuttavia, e tenne per
sé quel pensiero; supponeva infatti che non
sarebbe stato particolarmente gradito.
«Dunque»
riprese Glen: «hai intenzione di trattenerti per molto, ancora?» lo
incalzò.
Parve che il poco interesse
nel fare due chiacchiere si fosse nuovamente spento
del tutto in lui. Oz assunse un cipiglio deciso: non era andato ad infilarsi in una presunta tana di spiriti –
peraltro abbastanza violenti – per noia o per fare da compagno di
chiacchiera a Glen Baskerville assecondandone i capricci del momento.
Anzi, se lo sarebbe volentieri
risparmiato se il problema fosse stato solamente quello.
«Quanto basta a
chiederti di mio fratello.»
«Non avevo sottolineato nel nostro primo ed unico incontro che non
gradisco affatto che ci si immischi nei miei affari?» sottolineò
Glen guardandolo.
Oz deglutì, ma
cercò di non farsi intimorire: «Sì,
ma sei l’unico che sembra possa darmi delle risposte. Il diario di mio
fratello lo dipinge come un assassino… ma non credo che sia tutto
lì. Ed in ogni caso Jack era mio fratello. Non
sono soltanto affari tuoi.» azzardò.
Non seppe cosa di quello che
aveva detto avesse attirato l’attenzione di Glen, ma fu chiaro dal
mutamento nel suo sguardo che doveva aver detto qualcosa di relativamente
importante.
Il moro tacque, per un lasso di tempo che ad Oz parve eccessivo, complice lo stato
di ansia misto ad aspettativa – e una certa dose di inquietudine e
soggezione – che lo animava in quel momento.
«Attento alle domande che poni.
Jabberwocky ti ha ferito una volta e ti assicuro, non esiterà a farlo di
nuovo.» gli fece presente, nel tono qualcosa di indecifrabile.
Oz, però, fu abbastanza attento da capire che
in quel monito vi era un permesso di parlare che sebbene riluttante, Glen gli
aveva accordato.
Sorpreso, cercò quasi
febbrilmente il modo migliore di chiarire i propri dubbi tramite lo spirito che
forse meglio di chiunque altro tra i vivi aveva conosciuto suo fratello.
«Jack…»
«…non era affatto un assassino. Non lo è mai stato e,
se anche fosse vissuto a lungo, non lo sarebbe mai diventato.»
chiarì in maniera quasi brusca il moro.
Oz, nonostante tutto se ne
sorprese: se c’era una cosa certa era che Glen
avesse dimostrato dal primo istante in cui gli aveva parlato tramite Elliot,
era il pessimo temperamento e il carattere assai discutibile che aveva. Se
questo fosse peggiorato dopo la sua morte o fosse sempre stato così Oz
non lo ricordava, ma dubitava seriamente – vedendolo e parlandoci ora
– che in vita fosse stato un uomo affabile, cortese e sorridente.
Questione di sensazioni.
«Allora perché
dice di averti ucciso?» chiese Oz a bruciapelo, portando gli occhi chiari
a fissare direttamente quelli scuri di Glen, cercando di non vacillare. Questi
aggrottò le sopracciglia, come se qualcosa per un attimo gli fosse
sfuggito.
«Perché tuo
fratello era uno stupido.» commentò laconico; di primo impatto,
dava persino l’impressione di stare insultando la memoria del suo
migliore amico. Ma ad Oz sembrò – non
sapeva bene perché, visto che non poteva certo vantare chissà
quale conoscenza di Glen Baskerville – che fosse uno “stupido”
bonario.
Come se non fosse stato
davvero un insulto pronunciato con cattiveria o con il chiaro intento di
offendere.
«Aveva la pessima abitudine di
colpevolizzarsi di ogni minima cosa che gli accadeva intorno. Sarebbe stato
capace di dire che quel giorno nevicava perché svegliandosi
aveva posato a terra il piede destro anziché il sinistro.»
chiarì senza che fosse richiesto.
Se non si fosse trovato nel
completo buio dove l’unica cosa visibile oltre Glen era quel grifone
gigante e se solo non avesse avuto la sensazione che muovendo un dito in
maniera errata gli si sarebbe potuto avventare contro
chissà cosa, magari Oz avrebbe anche ridacchiato.
Jack era… esattamente il
tipo di persona che Glen con quella frase aveva descritto con ironia bonaria.
«Non nego che nella mia morte
sia implicata la sua presenza. Ma in termini
strettamente fisici… io ho ucciso me stesso. Nessun altro è
colpevole di nulla.» concluse.
Oz cercò di analizzare
meglio che poté quelle sue parole; cercava di capire se ci fosse
qualcosa di preciso che avrebbe dovuto cogliere, quasi dovesse
obbligatoriamente esserci un indizio che potesse rivelargli più di
quanto non facesse la frase pronunciata.
«Perché ti
sei… tolto la vita?» chiese con cautela, quanta più
poté almeno.
Glen incurvò le labbra
nel sorriso sardonico che gli aveva già rivolto in precedenza: «Manchi
completamente di tatto, giovanotto.» lo apostrofò – e in
quel “giovanotto” sembrava esserci
più derisione per un’infantilità che aveva colto, piuttosto
che l’affetto dell’amico di tuo fratello che ti ha visto crescere.
«Ed io, peraltro, non sono
tenuto a risponderti. Quello che cercavi da me non era forse la conferma
dell’innocenza di tuo fratello? L’hai avuta. Ora vai, dunque. La tua presenza non è richiesta; e,
dopotutto, non è questo un luogo che si addica ai vivi.» concluse, l’espressione che – chissà
perché e dovuto a cosa poi – era tornata annoiata, priva di
interesse per qualsiasi cosa.
Oz si morse il labbro
inferiore.
Non poteva ancora andare via,
per quanto fosse pericoloso tentare la sorte con Glen e il suo presunto
animaletto da compagnia.
«Io non ho mai dubitato di
Jack. Sono stato stupito da quello che ho letto dal suo diario, è vero,
ma non ho mai pensato di mio fratello che fosse una persona cattiva. Lo
conoscevo e… e so che non avrebbe mai potuto uccidere nessuno. Quel
diario è… triste. Terribilmente. Ma non
solo per la malattia di cui Jack parla. È triste per Gilbert e Vincent,
anche se non so bene cosa temesse mio fratello. Era triste per me e la nostra
famiglia. E… sembrava triste per te.»
azzardò.
Sembrava, o così Oz
aveva colto, che nel parlare di Jack Glen tendesse ad ammorbidirsi quel tanto
che bastava a non minacciarlo né a tentare di allontanarlo con la forza.
Per cui sperava che, almeno
così, avrebbe avuto il permesso di continuare a parlare quanto serviva
per riuscire almeno a capire; notò Glen guardarlo con la coda
dell’occhio, e interpretò il suo silenzio come un invito a
proseguire, almeno per il momento.
«Jack si accusava di molte cose
nei tuoi confronti. Di averti mentito, o di pretendere troppo. Io non ho idea
di cosa intendesse, ma se c’è una cosa
chiara è che… Jack ti considerava esattamente come se anche tu
fossi stato della famiglia. Nonostante ti descriva come qualcuno di rango
superiore ai Bezarius, come una persona distante… tu eri il migliore
amico di mio fratello. Jack stava morendo. E una delle ultime cose che ha
scritto in un diario che forse pensava sarebbe andato
perso dopo la sua scomparsa… è stata la data della tua morte.»
continuò, facendo una breve pausa.
Nemmeno per lui era facile
parlare: condividere qualcosa di Jack, era stata una cosa che non aveva mai
fatto. Da quando era morto, di suo fratello in casa non si era praticamente più parlato.
Troppo presto un Oz bambino
aveva imparato che “non doveva parlare del fratellone davanti a
papà”; lentamente la morte di Jack era rimasta solo nella sua
testa, e giorno dopo giorno si era quasi torturato
ricordando tutto ciò che poteva del periodo in cui il primogenito dei
Bezarius era ancora vivo.
Lo aveva fatto da solo:
né con Ada, che avrebbe potuto ampliare la gamma di ricordi di cui
disponevano, né con Gilbert che non aveva più visto per diversi
anni.
Jack era stato un tesoro estremamente prezioso la cui esistenza era stata taciuta e
soffocata nella propria testa per tanti anni: un po’ per paura, un
po’ per il dolore.
Un po’ –
egoisticamente e infantilmente – per il timore che parlandone, quel
ricordo potesse svanire.
«Perché qualcuno
come te doveva…?»
«Solo perché non
ti viene data risposta, non significa che la domanda
non sia chiara.» lo interruppe Glen, freddamente ma apparentemente
abbastanza propenso a parlare. O a non cercare di farlo azzannare.
«Avvicinati.»
comandò, osservandolo e rimanendo in attesa.
Oz deglutì, senza
alcuna certezza che eseguire fosse la cosa giusta da fare; si avvicinò,
lentamente, senza distogliere lo sguardo dal moro.
Si fermò quando fu a
pochi passi da lui, in silenzio: Glen tacque a sua volta, osservandolo.
«Quando pensi a Jack,
quali sentimenti ti animano?» domandò
quasi a bruciapelo e, complice che fosse l’ultima domanda che si sarebbe
aspettato, Oz rimase imbambolato quasi.
«Non voglio una risposta ovvia.
Una verità per una verità.» lo anticipò
l’altro, ed Oz abbassò lo sguardo.
«…Sono arrabbiato.»
se ne uscì: «Quando penso a Jack
c’è… ci sono così tante cose che mi rendono debole,
da farmi rabbia. Ma soprattutto perché lui?
Era… giovane. So che razionalmente non è giusto pensare che la
morte per qualcuno sia “dovuta” e per qualcun altro no. So che
è così. Eppure Jack era giovane, era sempre stato bene e
all’improvviso, senza un motivo, una malattia lo porta via senza che
nessuno possa fare nulla. È così… frustrante. E so che
anche se non l’ho trovato giusto e vorrei vederlo… Jack non
c’è più. Proprio come Alyster, lui non c’è
più da nessuna parte. Non c’è nulla che io possa fare, non
esiste un modo per incontrarlo, non importa quanti anni io aspetti. C’è
solo quello che ricordo e fa solo male.»
pronunciò, il tono basso, che forse nonostante il suo impegno tremava un
po’.
Svelarsi a Glen non era
geniale.
Nulla gli garantiva che quella
risposta andasse bene, né che ci fosse effettivamente una
“risposta giusta”; a maggior ragione, non aveva nessuna sicurezza
che ora, toccato dal suo discorso Glen avrebbe risposto alla sua domanda
– sempre ammesso che ne avesse mai avuta l’intenzione.
Avvertiva il suo sguardo,
senza però una sensazione particolare con esso: non avvertiva freddezza
né dolcezza, non c’era irritazione ma nemmeno benevolenza.
«Non c’è
solo il ricordo.» lo corresse: «Quando
pensi a Jack, lo ricordi. Da quel punto in avanti, c’è soltanto la
tua disperazione.» aggiunse, tacendo qualche
istante.
«Una disperazione così
buia che un abisso qualsiasi non reggerebbe il confronto. Quella è una
delle due possibilità per chi rimane in vita. L’altra,
perché tu lo sappia, è dimenticare ogni giorno quello che la
causa, ricordandolo forse in un anniversario di morte finché persino
quell’unica volta perderà di significato.» concluse, forse cinicamente, ma Oz sentì di capire in
qualche modo cosa intendesse.
Glen si mosse, dunque,
ripristinando la distanza fra loro come se non avesse mai chiesto al biondo di
avvicinarsi a lui; si sedette – su cosa, con tutta
quell’oscurità, Oz non avrebbe saputo dirlo – e portò
nuovamente la mano a sostenere il volto.
Sospirò, e ad Oz parve stanco quasi; Jabberwocky era fermo ed immobile,
come se la lontananza del suo presunto padrone significasse per lui
l’immobilità assoluta.
«Io non avrei potuto
dimenticare. Non vi ero riuscito, con Jack sarebbe stato un tentativo
altrettanto inutile.» spiegò senza riserve, almeno in quel caso: «Per
contro, la disperazione di cui entrambi siamo ancora a conoscenza era stata mia
compagna già abbastanza a lungo perché io ritenessi impossibile
convivere da solo con essa ancora per molti anni.»
aggiunse infine con un sospiro leggero che sfuggì appena fra le labbra,
i capelli scuri che coprivano parzialmente il volto ora.
Oz lo osservò e
parlò prima che il buon senso o qualsiasi altra cosa potessero fermarlo.
«Prima di Jack avevi
già perso…» voleva dire “qualcuno”, ma il
collegamento mentale – benché non confermato da nulla in
realtà – fu istintivo, totalmente: «…Lacie era una
persona?» sputò fuori quasi, in un misto di sorpresa,
consapevolezza e qualcosa di contrastante con tutte le sensazioni che aveva
avuto da quando stava fronteggiando Glen.
La prima cosa di cui prese
coscienza il biondo, fu la propria schiena che cozzava violentemente contro la
parete – o almeno supponeva che fosse quella.
In sequenza, dopo di essa, ci fu il fiato caldo e pesante di Jabberwocky pericolosamente
vicino al suo corpo e il gelo dello sguardo di Glen addosso mentre lui perdeva
fiato per un istante a causa del contraccolpo e tossiva l’attimo dopo.
«Non tornare mai più in
questo luogo. La prossima volta non ti sarà risparmiata la vita.» pronunciò Glen, glaciale, senza scostare lo
sguardo da lui.
«Non lascerò che nessun
altro interceda per te una seconda volta: né il patto di non aggressione
agli umani con l’erede dei Kolstoj, né altro. Non avvicinarti mai
più a questo posto. Giacché non sei Jack, per me la tua vita non
ha il minimo valore.»
Richiuse la porta, facendogli
cenno di accomodarsi dove preferiva.
Sirjan mantenne per qualche
istante lo sguardo sul docente, prima di eseguire e sedersi su una poltroncina;
Break lo imitò in breve, mentre Rufus Barma rimaneva in piedi, lo
sguardo sul ragazzo.
Sirjan non attese di essere
incalzato né altro, e parlò direttamente, il tono calmo che lo
aveva sempre contraddistinto: «Mi dispiace per l’ora tarda, ma ho
pensato fosse importante abbastanza da comunicarvelo il
prima possibile.» esordì, suscitando quasi subito la
curiosità di Break.
Sirjan solitamente non aveva
mai rapporti così urgenti sugli studenti, perciò quello poteva
considerarsi un episodio più unico che raro; annuì leggermente,
per incalzarlo a proseguire.
«Non vengo come capo
dormitorio.» aggiunse il più giovane, destando stavolta anche
l’attenzione di Rufus. Se Sirjan non veniva come tramite fra gli studenti
e i docenti, significava che l’unico altro ruolo che poteva ricoprire in
quel momento era quello di erede dei Kolstoj.
Barma tacque: aveva idea che
averlo lì in quella veste non fosse proprio una cosa di cui essere
lieti. Conosceva quel ragazzo da abbastanza tempo da intuire che non fosse per
complimentarsi con loro, quel colloquio richiesto quasi frettolosamente.
«Arriverò velocemente al
punto. Le cose stanno andando in un modo tale che, fra poco, rischio di essere
costretto ad intervenire.» chiarì da
subito il soggetto principale della questione, senza aspettare cenni o altro,
ma proseguendo per proprio conto.
«Non mi
interessa se cercate la verità per vostro diletto o altro. Dal momento che è ben difficile ottenerla non mi
preoccupa, e d’altronde nulla nelle regole della mia famiglia mi impone
di far sì che le persone non cerchino di scoprire qualcosa. Io devo
custodire delle informazioni. Diciamo quindi che, in linea di massima,
finché rimanete in una posizione “innocua”, i vostri
movimenti non mi interessano.» spiegò
più chiaramente possibile.
Break sorrise, un incurvarsi
di labbra fra il divertito per aver smosso addirittura l’erede dei
Kolstoj e quello di chi è stato beccato in flagrante con un infantile
“ops” a palesarlo.
«E quindi sei qui
perché…?» lo incoraggiò a proseguire, anche sfacciatamente
da un certo punto di vista.
Sirjan puntò lo sguardo
su di lui, mentre Rufus sospirava appena seccato – quell’idiota di
Xerxes non avrebbe mai imparato a fare l’adulto a suo avviso.
«Sono qui perché
state sfruttando uno studente, l’unico che ho
l’obbligo di allontanare dalla verità peraltro, per i vostri
comodi. Vi sto avvisando che, se doveste continuare, io non potrò
intercedere per nessuno e dovrò mettermi di mezzo.»
replicò, serio.
Break fischiò
d’ammirazione: «Oh-oh,
questo sì che è preoccupante. Non ti ho mai visto intervenire
come Kolstoj, non ho avuto questo piacere lo ammetto.»
commentò, ma non sembrava davvero preoccupato, né prenderlo
troppo seriamente.
Sirjan accigliò appena
lo sguardo, più che infastidito come se gli sfuggisse qualcosa del suo
interlocutore.
Il docente mantenne lo sguardo
su di lui, con la stessa espressione quasi beffarda: «Lungi
da me infierire sull’argomento o manipolarlo, Sirjan, ma non sarà
che stai prendendo Oz in simpatia? O sotto la tua ala protettiva? Perché
vedi, mi sarei fatto un’idea in proposito.»
buttò lì quasi casualmente, Rufus che abbassava lo sguardo verso
di lui come se non capisse per primo dove l’altro stesse andando a
parare.
Sirjan stesso non mutò
particolarmente espressione, limitandosi ad un: «Sarebbe?»
«Sarebbe che in fondo a te,
delle sorti di Oz Bezarius, non è mai interessato granché. Non
è un’accusa, bada bene: dopotutto tu non sei la balia di nessuno,
il ruolo è un altro e non hai l’obbligo di proteggere qualcuno che
continua ad immischiarsi nella verità che devi
nascondere, giusto?» incalzò, ma non ne attese la risposta –
era chiaramente una domanda retorica.
«Dunque mi stupisco di questo
improvviso, mh… attaccamento? Riguardo? Chiamalo come preferisci. Mi sono
fatto l’idea che forse ti senti in dovere perché Alyster lo aveva
preso in simpatia. Ma è solo una supposizione,
chiaramente.» aggiunse l’ultima constatazione quando, in un
movimento veloce e quasi impercettibile, Sirjan lo aveva bloccato sulla
poltrona, la mano pericolosamente vicina al collo del docente.
Il ginocchio faceva perno su
un lato della poltroncina, e il corpo era proteso in avanti;
l’espressione del viso, nonostante i lineamenti non fossero sfigurati
palesemente da rabbia e irritazione, risultava
inquietante: se Oz l’avesse vista, di certo gli avrebbe ricordato quella
spaventosamente disgustata e piena d’odio che aveva intravisto quando
Sirjan aveva fronteggiato Cheshire.
Break non mosse un muscolo,
non mutò espressione a sua volta, né ritrattò quanto
detto.
«Non mi stupisco che
dall’alto della tua indole meschina, piuttosto famosa aggiungerei, osi
mettere di mezzo il nome di mia sorella. Ti consiglio di non farlo una seconda
volta. Ti piaccia o meno, qui ho più potere di
te, signor professore. E ti ricordo anche che, nonostante tu faccia finta di
nulla, devi a me di avere ancora almeno un occhio funzionante. O quasi.»
mormorò piano, il tono gelido.
Rufus non si mosse per
fermarlo: sapeva a cosa Sirjan alludeva – all’incidente di qualche
anno prima con Cheshire, in cui Break aveva quasi perso entrambi gli occhi, uno
dei quali era salvo solo grazie all’intervento
di Sirjan in quell’occasione. Anche se, comunque, la vista di Break da
quell’unico occhio stava peggiorando considerevolmente col passare del
tempo.
«Quindi, lascia che io concluda il monito per cui sono venuto a quest’ora.»
riprese il più giovane senza muoversi dalla sua posizione attuale: «Smetti
di ficcanasare. O, se proprio ci tieni, smetti di usare Oz Bezarius. Ci siamo
intesi?» pronunciò, spostandosi quindi e
tornando in posizione eretta, senza sedersi di nuovo però.
Break, l’espressione
indecifrabile, incurvò labbra in un sorriso che risultò
più seccato che altro: «Ecco perché odio i ragazzini
saccenti.» commentò solamente, ma Sirjan parve leggervi la
risposta che voleva sentire.
Si mosse quindi verso la
porta, senza aggiungere altro, facendo per uscire; fu Rufus a fermarlo: «A prescindere da quello che facciamo, quel ragazzo
finirà in mezzo alla verità che tanto vuoi allontanare da lui,
non importa quanto impegno ci metterai. Lo sai, vero?»
lo interrogò.
Sirjan si voltò: «Se succederà, sarà perché ci
arriverà da solo. Perché ti assicuro che né Jack né
Glen Baskerville, sono interessati a metterlo in mezzo ad una questione che
è morta insieme a chi vi era invischiato. E non
si tratta né di un segreto di Stato, né di qualcosa che potrebbe
salvare o distruggere il mondo. È solo il segreto di due persone, forse
tre, che ormai non ci sono più. Si tratta solo di far soffrire o meno le persone che sono rimaste in vita.» fece
presente, parlando chiaramente, sincero come per il suo ruolo era in poche
occasioni.
Abbozzò un sorrisetto
enigmatico: «Ma questo istinto di protezione, non pretendo
che voi lo capiate. Buonanotte.»
pronunciò, richiudendo la porta dopo essere uscito.
Era da poco passata
l’ora di cena, quando Oz si alzò dal tavolo dove aveva mangiato
con la solita compagnia: anche se Noah non aveva preso il discorso a tavola,
era quasi certo che avesse raccomandato ad Alice e Marcus di non toccare
l’argomento “litigio” mentre erano a cena.
Aveva apprezzato la premura e
aveva mangiato tranquillamente, parlando di argomenti leggeri e ridendo di uno
dei tanti aneddoti del suo compagno di stanza – supponeva che non si
sarebbe mai annoiato ad ascoltare le imprecazioni dell’amico contro
Aveva cercato di non guardare
verso Ada, al tavolo con i compagni di anno; piuttosto aveva tenuto
d’occhio, sebbene con discrezione per evitare di farsi notare proprio dalla
sorella, Elliot.
Al tavolo con i fratelli e Reo
come al solito, aveva aspettato che si alzasse e che
varcasse la soglia della mensa. E ora, si era appena congedato da Noah e gli
altri – devo dire una cosa ad Elliot, ci vediamo dopo in stanza Noah, aveva detto,
uscendo quindi anche lui.
Si mosse veloce, occhieggiando
nell’atrio per ritrovare la figura del più giovane dei Nightray,
riuscendo fortunatamente ad inquadrarlo prima che
sparisse fuori dalla porta dell’ingresso principale.
«Elliot!»
chiamò per attirarne l’attenzione, riuscendovi senza
difficoltà; il castano si voltò, l’aria interrogativa che
assunse forse un’aria perplessa quando
notò chi l’aveva chiamato. Si fermò comunque – meglio
che voltarsi e tirare dritto fingendo di non averlo sentito, almeno… -
rimanendo in attesa, Reo al suo fianco.
Oz li raggiunse, rispondendo
con un sorriso all’incurvarsi di labbra amichevole
di Reo; passò lo sguardo su Elliot che, una mano sul fianco, sembrava in
attesa di qualsiasi cosa Oz dovesse dirgli per poter tornare alle proprie
occupazioni.
Il biondo tentennò: «…hai
un po’ di tempo?» borbottò. Non che fosse particolarmente a
disagio con Elliot – l’ultima volta che avevano parlato non era
andata così male, perciò forse potevano avere un rapporto almeno
da civili compagni di scuola.
Elliot parve sulla difensiva,
come se non capire dove Oz volesse andare a parare lo facesse sentire in
qualche modo vulnerabile: «Stavo andando a prendere gli spartiti per
tornare a suonare nell’altro edificio.» replicò, lasciando
che il biondo valutasse se quanto doveva dirgli
avrebbe richiesto più o meno tempo da essere compatibile con la cosa.
Oz
sembrò pensarci su qualche istante, dopodiché rivolse
all’altro uno sguardo deciso: «Posso venire ad ascoltarti?»
chiese, con l’agitazione di un bambino che emozionato chiede di poter
osservare da vicino un suo beniamino – sebbene celata nella voce: aveva
pur sempre una dignità da difendere, con Elliot.
La reazione di Elliot fu
inaspettata, almeno per lui: sgranò appena gli occhi dalla sorpresa,
nonostante ci fu un palese tentativo di non darlo a vedere. Dopodiché
– Oz fu certo di scorgerlo complice l’illuminazione del giardino
dell’istituto – ci fu un rossore imbarazzato leggero ad imporporare le guance del castano.
Assunse però quasi
subito un’espressione seccata, stizzita, voltandosi dall’altra
parte: «Tsk, fai come ti pare se hai tanto tempo da perdere!»
sbottò, iniziando ad avviarsi.
Oz rimase fermo per qualche
attimo, stupito, cercando quasi una conferma in Reo che sorrise con fare
complice prima di avviarsi al fianco di Elliot, invitando il biondo a fare lo
stesso con un cenno del capo.
Aveva ascoltato Elliot
suonare, per quanto non lo sapeva.
Ma, dal
momento che guardando dalla finestra le luci dei dormitori risultavano
quasi tutte spente, Oz aveva supposto che si fosse trattato di ore. Almeno due.
Era rimasto in silenzio, senza
dire nulla ad Elliot; aveva atteso seduto vicino alla
finestra dell’aula di musica, il gomito poggiato al davanzale, lo sguardo
fuori che non aveva osservato nulla di particolare.
Aveva ascoltato ogni brano che
il castano aveva suonato, quasi tutti senza imperfezioni; aveva ascoltato Lacie, dapprima suonata da sola e poi a
quattro mani – cosa che lo aveva portato a spostare l’attenzione e
lo sguardo verso il centro della stanza, dov’era il pianoforte, per
notare Reo seduto al fianco di Elliot che suonava con lui.
Se ne era un po’
stupito, perché non sapeva né aveva sospettato che anche Reo
suonasse il piano: tuttavia l’effetto che ottenevano
insieme era bello, e piacevole all’udito.
Perciò ora ascoltava,
ancora in completo silenzio, la melodia che insieme stavano
facendo giungere al termine.
Fu solo quando le note si interruppero sfumando nel silenzio della stanza e il
sospiro di Elliot fu l’unica cosa che le seguì che Oz
parlò; con un sorriso ammirato, si rivolse a Reo: «Sei bravo, non
sapevo suonassi anche tu.» esternò la considerazione fatta
mentalmente.
Reo stava per dire qualcosa,
probabilmente un ringraziamento per il complimento di Oz, ma
Elliot lo interruppe parlando per primo.
«Insomma, cosa
c’è?» se ne uscì, agitato a quanto
si coglieva dal tono di voce appena impaziente: «Non penso proprio che tu
sia venuto qui per ascoltarmi suonare due ore di fila.» commentò
eloquente.
Solo per essere smentito pochi
istanti dopo; Oz abbozzò un sorrisetto, l’indice che sfiorò
la guancia in una movenza un po’ infantile ed
impacciata: «A dire il vero a me piace ascoltare quando suoni.»
fece presente, come se avesse pensato che fosse ovvio e si fosse invece
ritrovato a dover spiegare qualcosa che dava per scontata.
Ciò che accadde dopo fu
una reazione prevedibile, ma anche la condanna a morte dell’orgoglio di
Elliot Nightray; il castano arrossì, anche se non vistosamente
abbastanza da essere visibile. Imbarazzato, ribatté con uno sgarbato: «Non
prendermi in giro, nano!» rivolto ad Oz.
Il biondo lo fissò
dapprima sorpreso e poi, cercando di trattenere una risata.
Senza un vago successo, tra
l’altro.
Ma la vera rovina di Elliot,
fu che nel momento in cui Reo aprì bocca fu
chiaro da che parte stava: e non era quella dell’erede dei Nightray.
«Perdonalo Oz, Elliot si imbarazza facilmente quando si complimentano riguardo il
pianoforte.» fece, placido, neanche fosse la madre del castano e ne
stesse scusando l’indole burbera; l’interessato non fece in tempo a
dire nulla, che il biondo lo precedette: «Oh, davvero? Ma
non dovrebbe sentirsi in imbarazzo! È una sua peculiarità, no?» fece eco, rivolgendosi al moro come se Elliot non
fosse nemmeno presente nella stanza.
«Concordo, ma sai, è di indole timida.»
«Più che timida,
è un po’ scorbutico… o dici che è per nascondere la
sua anima gentile e fragile?»
«Mh… è un punto di
vista interessante. In effetti, quando era piccolo e Padron Gilbert
era appena arrivato a casa, Elliot per ammirazione lo trattava veramente male.»
«…Ma che modo di ammirare sarebbe?»
«Credo si tratti
di—»
«La volete piantare?!» sbraitò Elliot, interrompendoli bruscamente
e dando uno scappellotto – neanche tanto leggero – ad Oz, lanciando
invece un’occhiataccia a Reo che, con perfetta calma e compostezza
accompagnate da un sorriso leggero commentò con un: «Elliot,
questo non è un po’ eccessivo?» indicando il punto colpito
dal castano.
Mentre Oz si massaggiava la
parte lesa, Elliot riempiva la stanza con la sua voce decisamente
poco soave, rivolgendo al servitore un: «Mi sfotti con quel nano biondo e
poi vieni a dire a me che sono eccessivo?!»
Reo ridacchiò, senza
replicare – cosa che, effettivamente, non fungeva da calmante sul
castano.
Elliot fece schioccare le
labbra in un verso stizzito, tornando su Oz: «E
quindi? Hai anche litigato con tua sorella perché dovevi parlarmi e lei
non voleva, giusto?» tirò in ballo, senza
la minima parvenza di tatto che fu accolta da un sospiro del moro al suo
fianco, senza commenti stavolta.
Oz sgranò appena gli
occhi, quasi lo avesse dimenticato, sfruttando la
musica di Elliot per trascurare almeno un po’ il discorso che avrebbe
voluto affrontare con lui.
Nonostante la mente fosse
piena ancora della voce e delle parole di Glen Baskerville, questo non gli
aveva permesso di accantonare completamente il discorso fatto con Break e
soprattutto la rivelazione che il docente gli aveva fatto volutamente.
«Ho parlato con una
persona.» iniziò, prendendola un po’ alla larga forse, ma
nemmeno lui sapeva esattamente come porre la domanda. Ma
capì un po’ dall’occhiata di Elliot – mentre questi si
sedeva nuovamente incrociando le braccia al petto – un po’ da solo,
che tirarla per le lunghe di certo non lo avrebbe ben disposto, né
avrebbe agevolato il discorso o lo stesso Oz.
Perciò sospirò,
come a cancellare quelle prime parole e a ricominciare da capo.
«Elliot, vorrei parlare
con te di Glen Baskerville.» disse, il tono deciso a non lasciar perdere il discorso anche se l’altro si fosse
dimostrato ostico nel portarlo avanti. Gli occhi chiari si soffermarono su di
lui, quasi a volergli dare il tempo di assimilare l’argomento e al tempo
stesso spiandone la reazione.
Contrariamente a quanto si era
aspettato forse, Elliot non fece nulla di particolare: tacque, ricambiando lo
sguardo come se fosse in attesa del resto del discorso per
poter decidere se rispondere o meno. Reo lo guardava portando l’attenzione ora su uno, ora sull’altro.
«E cos’è che
vorresti sapere da me? Non sono né un lontano parente, né
qualcuno che ne abbia studiato la storia come se fosse
un personaggio famoso.» gli fece notare, una nota stizzita nel tono di
voce che usava per parlare in quel momento. Oz non deviò lo sguardo,
rimanendo serio: «Ma sei stato tu che lo hai trovato.»
rimbeccò.
Sapeva che non era il modo
migliore di prendere l’argomento; immaginava che, se davvero Elliot lo
aveva trovato da bambino, la cosa doveva essere stata a dir poco
traumatizzante.
Un ragazzino che trova un
cadavere in una pozza di sangue sarebbe stato uno spettacolo discutibile
già per un adulto, figurarsi nel caso del castano. Però Oz aveva
perso la lucidità per analizzare le situazioni, per pensare ad una qualsivoglia strategia che potesse portargli
più informazioni possibili.
Era solo stanco e,
infantilmente, voleva trovare presto delle risposte.
Voleva solo sapere che suo
fratello, come aveva sempre creduto d’altra parte, era un ragazzo normale
che era morto sì in giovane età, ma senza essere messo in mezzo a
nulla di strano.
Dopodiché,
egoisticamente, di cosa fosse accaduto a Glen Baskerville o al perché si
fosse ucciso non era interessato; se non sfiorava in
qualche modo la memoria di suo fratello, allora non era nulla che lo
riguardasse.
Anche la questione degli
spiriti che sembravano dimorare a Latowidge, avrebbe perso di
importanza se soltanto non avesse più volte finito con
l’incrociarli nella ricerca della verità.
Elliot non gli sbraitò
contro. Assunse un’espressione che Oz non gli aveva mai visto, piuttosto:
un sorriso leggero, mesto e amareggiato come se avesse ricevuto una grossa
delusione e stesse deridendo se stesso per essere stato così sciocco da
credere a quel qualcosa che ora si rivelava tutt’altro.
«Alla fine, quindi, non sei
diverso da tutti gli altri. Anche tu vieni,
incuriosito chissà perché dall’idea di un ragazzino che
trova un cadavere. Pensi che sia stato divertente, immagino, o almeno degno di
attenzione. Allora va bene, ti accontento. Tu e la tua schifosa
curiosità.» esordì, parole dure e
piene di disgusto.
Probabilmente, pensò
Oz, molti adulti allora dovevano aver indagato sulla cosa sottoponendo Elliot
allo stesso racconto per chissà quante volte.
Però voleva chiarire che
ciò che voleva sapere, non era quello che Elliot stava certamente
immaginando in quel momento.
«Vuoi sapere cosa, mh? Quanto sangue
c’era? Molto. Più di quanto tu possa immaginare sul cadavere di
una persona. O vuoi sapere com’è morto materialmente?» lo
incalzò, senza però dargli tempo di rispondere ponendo domande a
sua volta: «C’era una spada. Si è trafitto con una spada,
ecco com’è morto ed ecco il perché di tutto quel sangue. E
se vuoi sapere com’era, era come qualsiasi altro defunto sulla faccia
della terra: era pallido, era immobile e sembrava che dormisse. Ma questo tu
non dovresti forse saperlo meglio di me?» insinuò, forse
crudelmente a giudicare anche dalla mano di Reo che andò a posarsi sulla
sua spalla in un tacito monito riguardo le sue parole.
«O forse vuoi sapere
com’è stato trovarlo? È stato uno schifo. C’era
puzza, avevo la nausea, ed era uno spettacolo che mi sarei risparmiato a dir
poco volentieri, ecco com’è stato!» sbottò, alzandosi
in piedi istintivamente, quasi ad enfatizzare le
parole.
Oz aveva abbassato lo sguardo,
e le prime parole che scivolarono fra le labbra suonarono probabilmente
incoerenti con la sua decisione a volerne sapere di più.
«Ti chiedo scusa.»
pronunciò, il tono basso che risultava udibile
solo per il silenzio che aveva nuovamente riempito la stanza dopo le ultime
parole dell’altro: «Hai ragione. So meglio di te che aspetto ha una
persona morta. E so che vederlo da bambini non è
affatto divertente.» aggiunse, come a fargli notare che anche nel
suo caso se lo sarebbe volentieri risparmiato.
Anche se la situazione di Jack
era stata molto diversa, di certo meno traumatica visivamente.
«Però
io non volevo ficcanasare su questo.» chiarì Oz, portando
nuovamente lo sguardo su Elliot, sincero: «Quello che volevo chiederti
è… come mai lo hai trovato proprio tu, ad esempio. Di tante
persone che probabilmente lo circondavano, come la servitù, lo hai trovato
tu. In casa Baskerville.» puntualizzò.
Era strano che proprio il
figlio minore dei Nightray trovasse morto l’erede di un’altra
famiglia in un giorno qualsiasi; il problema era che qualsiasi altra
supposizione sfiorava il surreale.
Elliot era un ospite abituale
dei Baskerville? Difficile. Non c’erano bambini della sua età che
lo giustificassero e dubitava che Glen avesse l’indole tipica di chi ama
giocare con un ragazzino tanto più piccolo di lui.
Glen si era ucciso con i
Nightray in casa? Bizzarro. Dubitava si fosse suicidato per qualunque cosa
avesse portato la famiglia di Elliot alla tenuta dei Baskerville quel giorno,
perciò era difficile che fossero stati loro la
causa scatenante. E – ma era qualcosa di azzardato, perché non
conosceva Glen a tal punto – era sconveniente togliersi la vita con degli
ospiti quando appartenevi all’alta società.
Significava fare
volontariamente della propria morte uno scandalo.
Elliot era lì per puro
caso? …sembrava assurdo pensare ad una
casualità da qualche tempo a quella parte.
Non esternò tutte
quelle ipotesi che aveva fatto, ma rimase in attesa di
una risposta da parte dell’altro; il castano, per contro, sembrava
confuso. Come se non si fosse aspettato quella fra
tutte le domande possibili, e come se non sapesse nemmeno bene come rispondere.
Alla fine sospirò,
portando una mano a scompigliare leggermente la zazzera castana, in un gesto
che Oz non gli aveva mai visto fare – insomma, era molto più da
Noah che da Elliot, tanto per essere chiari.
«Io non è mi ricordo
granché di Glen Baskerville a dirla tutta. Ero un bambino. Mi ricordo
solo che non era proprio raro che andassimo alla loro tenuta. Qualche volta era
il padre di Glen a venire da noi, ma in quei casi il figlio non c’era
mai. Anche quando siamo andati da loro, l’ho incrociato pochissime volte
e ho un ricordo molto vago. Perciò non è che
avessi chissà quale profondo rapporto con lui. Per la verità
erano i nostri padri che avevano a che fare l’uno con l’altro.
Questioni amministrative suppongo.»
spiegò, un po’ a disagio, il tono di voce quasi stanco.
Oz ne fu colpito
perché quel tipo di stanchezza, gli ricordò in qualche modo la
propria: non di tipo fisico, quanto più l’essere stanchi di una
situazione e di qualcosa che evidentemente – sebbene non la stessa
– affliggeva Elliot da tempo sufficiente a rendere la cosa mentalmente
spossante.
«Semplicemente è
successo. Sono entrato in quella stanza… non so perché. E
c’era Glen Baskerville steso per terra in un
pozza di sangue e la spada che non so cosa fosse, forse un cimelio di famiglia,
che aveva procurato la ferita. Non mi ricordo granché più di
questo.» concluse Elliot, asciutto, lo sguardo
su un punto impreciso del pavimento.
Oz tacque a sua volta,
cercando di fare ordine nella propria mente innanzitutto.
Se era davvero tutto lì… allora non c’era modo di venirne a capo: Glen
Baskerville era stato chiaro, non avrebbe detto nulla di più e anzi ad
un prossimo incontro non sarebbe andata di lusso come quel primo che
c’era stato. Altri – viventi – non sapevano nulla.
E Jack non era di certo
interpellabile.
…Se avesse sostenuto di
non averci mai pensato, alla possibilità che Jack potesse essere uno
spirito esattamente come si era rivelato Glen, Oz avrebbe mentito; però
lui cercava volutamente di non prendere la cosa in considerazione. Non si
trattava di mancanza di affetto verso suo fratello, piuttosto il contrario
forse.
Parlare con Sirjan era stato
quasi illuminante per quanto triste e in una situazione tale – dopo la
morte di Alyster – in cui avrebbe dovuto fare più male che altro.
Sirjan, per quanto di certo
avrebbe desiderato riavere la sorella con sé, aveva continuato ad
affermare di non desiderare nuovamente rivederla se avesse significato fare di
lei uno spirito. Questo perché gli spiriti erano animati da sentimenti
che li incatenavano quasi; e il pensiero che fossero
qualcosa dalla quale non avrebbe mai potuto difendere Alyster nemmeno volendo,
era qualcosa di insopportabile per lui.
Oz si era ritrovato
perfettamente d’accordo: immaginare Jack costretto a vagare ancora fra i
vivi, afflitto dalla tristezza o dal dolore, era qualcosa di molto simile ad un
incubo. Specie per chi come lui, nonostante tutto, conservava il ricordo di un Jack che sorrideva con dolcezza com’era solito fare
alle persone a cui voleva bene.
«Ho incontrato Glen
Baskerville.» disse, senza sapere bene nemmeno lui perché.
Non alzò subito lo
sguardo su Elliot e Reo: era cosciente del fatto che a chiunque
quell’affermazione sarebbe suonata assurda. Probabilmente anche a lui
stesso, se non l’avesse vissuta in prima persona. Il silenzio aleggiava
nella stanza senza che nessuno dei tre dicesse nulla; quando Oz alzò lo
sguardo per capire quale reazione ci fosse stata dall’altra parte –
derisione, incredulità, sorpresa – vide le mani di Elliot tremare
leggermente. Di rabbia, pensò, ma dovette ricredersi.
Lo sguardo che il castano gli
rivolse, infatti, Oz lo definì istintivamente “perso”; come
se avesse appena smentito le certezze dell’altro.
«Che significa che
hai… incontrato Glen Baskerville?» chiese Elliot, cauto.
Oz si rese conto che,
effettivamente, poteva sembrare che la frase si riferisse al passato, quello in
cui Glen era vivo e non uno spirito.
Si demoralizzò,
perse coraggio.
Ma, inaspettatamente, Elliot
parlò nuovamente – dal tono e dallo sguardo sembrava non crederci
nemmeno lui: «Tu… lo hai visto di recente.» mormorò
come se dirlo ad alta voce potesse avere chissà quali ripercussioni. Oz
cercò di capire in base a cosa lo stesse
affermando, ma non vi riuscì del tutto; tuttavia annuì
lentamente.
Elliot sembrò
sciogliersi in un sospirò prolungato: portò una mano sulla
propria fronte, e ad Oz parve ancora più stanco
di prima.
«Da quanto lo incontri? Questa
è stata la prima volta?» chiese, senza
portare lo sguardo su di lui per il momento.
Oz scosse la testa: «La seconda. La prima è stata quando eravamo in
corridoio e ti ho detto che avevi avuto un mancamento o qualcosa del genere.» rivelò.
Elliot lo fissò basito
stavolta: «Che cosa?!» esclamò «In
quell’occasione è apparso Baskerville?!» chiese, brusco. Oz,
pur sapendo che non fosse la cosa ideale da dirgli visto il panico dilagante,
si lasciò sfuggire istintivamente: «Più che apparso ti
ha… mh, posseduto?» ipotizzò.
Elliot mutò
l’espressione in quella di chi sta seriamente per esplodere: «Senti
un po’, ma tu lo sai cos’è il tatto?!»
sbottò fissandolo.
«No, ma sono in
compagnia, fidati!» ribatté a tono il
biondo, riferendosi chiaramente all’altro.
Elliot stava per replicare a
sua volta quando Reo li interruppe con uno scappellotto ad
entrambi: «Smettete di litigare, questo è un discorso serio.»
disse, passando lo sguardo dall’uno all’altro. Oz si
massaggiò la testa – nonostante il colpo non fosse stato
fortissimo, chiaramente – ed Elliot sospirò seccato.
«Ascolta» prese la
parola Oz prima di essere battuto sul tempo dal
più grande: «perché Glen dice che per lui parlare tramite
te ed avere il controllo sulla tua mente è più facile che con
chiunque altro?» domandò forse a bruciapelo, e senza il minimo
tatto come aveva sostenuto il castano. Però, per come erano
andate le cose e a giudicare dalle sue parole, Elliot era l’unico a
sapere qualcosa in più e di conseguenza Oz non poteva permettersi di
avere scrupoli nel fare domande.
Elliot parve colpito dalla sua
richiesta e alla fine sembrò cedere: «Ti dirò quello che vuoi
sapere, ma tu dovrai fare lo stesso.» pose come condizione, alla quale Oz
acconsentì con un cenno del capo, l’espressione seria.
Elliot sospirò: forse,
non era facile nemmeno per lui.
«È perché la mia
menta è predisposta, diciamo così. O almeno credo.» esordì
il castano: «Dopo averlo trovato in quella stanza… per molto tempo,
crescendo, ero riuscito a rimuovere quelle immagini quasi completamente. Poi,
senza un motivo particolare, una notte ho sognato qualcosa di strano.» proseguì mentre Oz, alla parola “sogno”,
trasaliva impercettibilmente.
«Sembrava il classico
incubo da ragazzino, di quelli che non hanno molto senso
a dirla tutta. Un edificio che andava a fuoco, qualcuno che urla nella stessa
stanza in cui ti trovi e la sensazione che siano posti
e voci che non conosci, ma che nel sogno sembrano di importanza vitale. Nulla
di anomalo insomma.» spiegò. Fece una
pausa, cercando con occhi il viso di Oz.
Il biondo taceva,
l’attenzione su di lui.
«Però
poi» riprese Elliot «è diventato un sogno frequente. Anche
troppo. E con il passare del tempo si aggiungevano particolari del ricordo che
avevo rimosso.
Il sangue una volta, la spada un’altra. E infine Glen Baskerville.
All’inizio non mi parlava, non mi si rivolgeva mai. Era come spiarlo
senza essere visti. Poi però mi guardava sempre più spesso, senza
dire nulla. E un giorno, alla fine, mi ha chiesto: “Hai intenzione di
ficcanasare ancora per molto, ragazzino?”.» si interruppe,
tornando a cercare chissà quale espressione rivelatrice sul viso del
biondo. Ma a giudicare da quella che assunse lui, non
la trovò.
«Se stai pensando che
sia pazzo, fai come vuoi, l’ho pensato anche io
e non l’ho ancora escluso del tutto.» dichiarò sulla
difensiva: «Tuttavia questa è la risposta alla tua domanda di
qualche mese fa.» aggiunse.
Oz ne fu confuso:
«Quale domanda?» chiese infatti.
«Come e perché conosco
il brano di “Lacie”. Anche se la risposta “lo conosco e
basta” che ti avevo dato non era poi tanto una bugia,
come vedi.» ammise con un sorrisetto ironico ad increspargli le labbra.
«Eh?!
Vuoi farmi credere che… che lo hai sognato?!»
esclamò Oz dopo qualche istante di silenzio, incapace di trattenersi.
Elliot annuì, lasciando
vagare lo sguardo per la stanza; Reo, rimasto in piedi fino ad
allora si sedette accanto al castano, dov’era stato per suonare a
quattro mani con lui. Nonostante sapesse tutto essendo rimasto al suo fianco
per tanti anni, il moro lasciava che fosse Elliot a parlare: non solo per i
loro ruoli sociali e perché la questione riguardava l’altro di
persona, ma anche perché era la prima volta che – in un modo o
nell’altro – Elliot trovava il coraggio di parlarne con qualcuno
che non fosse lui.
«Puoi non crederci, te
l’ho già detto.» ribadì il
castano, ma Oz volle interromperlo subito: «Ci credo. È strano,
ma… ci credo.» disse, forse persino troppo
partecipe per il modo in cui era abituato a trattare con l’altro.
Tant’è che Elliot ne fu stupito.
«E in
base a cosa?» chiese infatti, com’era prevedibile
probabilmente. Oz non rispose subito, ma solo per trovare il modo più
corretto di spiegarlo: «Perché… questa cosa di fare sogni
strani succede anche a me da quando sono qui.»
confidò, anche se non proprio sicuro. Anche per lui si trattava della
prima volta in cui ne parlava.
«Sono diversi dai tuoi,
e in realtà potrebbero non essere nulla di
strano, però…» indugiò, quasi si aspettasse di essere
interrotto, cosa che però Elliot non fece né sembrava
intenzionato a fare.
«Però sembrano tutti
collegati fra loro. E in ogni caso, anche lasciando stare questa cosa, io Glen
l’ho visto. Non potrei non crederti.» fece
presente.
Elliot annuì, e ad Oz sembrò – ma non poté esserne certo
– che l’altro avesse sorriso leggermente.
«Cosa ti ha detto
Baskerville quando lo hai incontrato?» domandò Reo,
inaspettatamente dato il silenzio quasi completo che c’era stato fino a
quel momento da parte sua. Oz spostò lo sguardo su di lui: «La
prima volta di non impicciarmi dei suoi affari.» replicò,
iniziando dalla cosa più semplice.
«Cosa che avresti dovuto
fare, decisamente.» commentò Elliot con
fare quasi brusco: «Ma qualcosa mi dice che ovviamente tu non hai seguito il consiglio.» aggiunse,
battendo sul tempo il biondo, che assunse un broncio leggero.
«Non potevo. Non è colpa
mia se metà della storia di Glen Baskerville si incrocia
a quello che voglio sapere.» ribatté nuovamente a tono. Elliot non
fece domande in proposito – mentalmente si disse che le avrebbe fatte in
breve però: «E la seconda volta? Quando
è stata e cosa ti ha detto?» chiese
invece.
«Dopo il litigio con
Ada, e—»
«Cosa?!
Ma parliamo di ieri mattina!» lo interruppe
Elliot alzando appena il tono di voce. Oz sospirò: «Avevo bisogno
di sapere la verità.» mormorò, abbassando lo sguardo verso
il pavimento.
Elliot forse intuì la
delicatezza dell’argomento in cui si stavano addentrando; non lo
incalzò né altro, lasciando che si prendesse il suo tempo come
aveva fatto lui a sua volta: «Voglio sapere
perché mio fratello era convinto di aver ucciso il suo migliore amico se
in realtà Glen si è suicidato. Voglio sapere perché, a
distanza di anni, le loro morti si stanno intersecando in questo modo.» rispose infine Oz.
Elliot aggrottò appena
la fronte, cercando di collegare le cose: sapeva che Jack Bezarius e
Baskerville erano stati amici, ma non aveva mai sentito parlare di accuse per
la morte di quest’ultimo. Pensò che al momento non fosse comunque
qualcosa di cui doversi impicciare.
«Ti ha dato le risposte
che ti servivano?» chiese invece, osservandolo; istintivamente, Oz
portò una mano al braccio colpito da Jabberwocky, che era andato a farsi
medicare il giorno prima – con non poche difficoltà: spiegalo tu
all’infermiera perché ti sanguina un braccio a quel modo.
«Non del tutto, a dire
il vero.» ammise: «Qualcosa di vago. Come
il fatto che, materialmente, Jack non c’entra nulla in tutta questa storia.
Ma allora “non materialmente”
c’entra qualcosa invece?» diede voce al dubbio che aveva avuto fin
da subito. Elliot rimase in silenzio, come se anche lui stesse soppesando la
questione: in effetti, in questo stato supponeva fosse ovvio che –
nonostante i vari moniti ricevuti – quel ragazzino continuasse a cercare
un “contatto” con Glen, non curandosi di quanto potesse rivelarsi
pericoloso.
«Ha detto chiaramente di non
tornare. Che, dal momento che non sono Jack» gli
scappò un incurvarsi di labbra di troppo, seppur quasi impercettibile e
di certo non divertito dalla cosa «la mia vita per lui non ha alcun
valore.» riportò.
Elliot lo guardò con
fare indagatore, sospettoso quasi. Oz, accorgendosene, ricambiò con uno
sguardo incuriosito.
«C’è
qualcosa che non va.» se ne uscì Elliot senza una spiegazione
logica: «Ti ha minacciato di morte, praticamente.
O comunque ha lasciato intendere che non farebbe nulla se cercandolo tu finissi
nei guai. Cosa c’è da sorridere?» chiese
diretto, senza tanti inutili giri di parole.
Oz sussultò; non si era
minimamente accorto di aver sorriso, e pertanto quella domanda era apparsa
– scioccamente – come se il castano gli avesse letto nel pensiero o
qualcosa del genere.
Oz si vergognò della
risposta, sebbene non le diede voce immediatamente.
Abbassò lo sguardo, mortificandosi per il pensiero formulato.
«Glen… non vede Jack in
me. Vede suo fratello minore, che con lui non ha nulla a che fare. Non ricerca
in me alcun tratto di lui, al contrario sembra quasi cercare più
differenze possibili per far sì che nulla di quello che vede in me glielo ricordi. Come se per lui Jack fosse stato una
persona unica, che non può essere sostituita da nessuno
anche se questo qualcuno gli somiglia.» ammise, parlando
sinceramente come forse non aveva mai fatto con nessuno dalla morte del
fratello.
Elliot non replicò
subito.
Quando lo fece,
l’espressione era seria e sembrava quasi dura ma Reo – fin troppo
abituato ad intuire dalla sua espressione quello che
spesse volte il castano non diceva – vi lesse anche una sfumatura di
dispiacere forse; ma questo, lo sapeva, non avrebbe impedito all’altro di
pronunciare parole che sarebbero certamente state simili ad una ramanzina.
«Ti stai lasciando illudere da
qualcosa che non esiste. Te ne sei accorto, vero?»
pronunciò duramente.
«Ti stai aggrappando a
parole che Glen Baskerville non ha pronunciato né per rincuorarti,
né per farti sentire protetto.» continuò, severo: «Non
leggere nulla di questo, perché se c’è una cosa su cui
Baskerville è stato sincero nei tuoi confronti è che della tua
vita, come di te, non gli interessa nu—»
«Smettila!»
sbottò Oz, lo sguardo basso e i pugni chiusi; alzò però
quasi subito gli occhi verdi sull’altro: «Credi che non lo sappia?! Sto solo dicendo quello che mi ha detto,
e la sensazione che mi ha dato! Che problema c’è se penso che sia
l’unico che finalmente non vede su di me l’ombra di qualcun altro?! Cosa importa a te se anche mi
lascio prendere in giro da una mia convinzione, visto che da quando mi conosci
non hai fatto altro che dire “odio i Bezarius qui”, “odio i
Bezarius là”?!»
«Infatti
non mi interessa! Vai pure a farti ammazzare per quel che me ne importa, ma
sarà una morte idiota! Ma forse sarebbe degna
di te!»
«Non parlare di morte
come se ci scherzassi su, non ho certo detto che vado
a suicidarmi!»
«Invece è precisamente
quello che rischi di fare! Pensi che non mi sia accorto che hai intenzione di
tornare da Glen Baskerville? Certo, forse è per la verità che vai
cercando, ma ti assicuro che tu ci vai per lasciarti coccolare da quello sdegno
che hai colto nelle sue parole e che hai voluto scambiare per la gentilezza di
dirti che tu sei tu e basta. E allora, hai davvero bisogno che qualcuno te lo
dica, pezzo di deficiente?! Non è forse ovvio
che tu non sei e non puoi essere altri che te stesso?!»
sbraitò Elliot, alzatosi in piedi nell’impeto del discorso.
«Ma tu cosa cavolo vuoi
da me?! E se anche fosse?!
Saranno pure affari miei, cosa—» fece per
replicare Oz, interrotto da uno schiaffo che Elliot gli diede in pieno viso e
che, essendo inaspettato, colpì il biondo in pieno.
Oz si portò una mano
sulla guancia offesa, dove si stava spargendo il rossore dovuto al colpo.
«Mi irriti
e basta! Me lo sogno ogni cazzo di notte, e tu non stai nemmeno provando a
resistere un minimo alla prospettiva di abbandonarti ad
una bugia o a qualcosa che vedi solo tu! Se non riesci nemmeno ad avere
coraggio abbastanza da mettere la tua vita davanti alla prospettiva di un
po’ di respiro di fronte alla sofferenza, come pensi di arrivarci alla
verità per cui ti stai distruggendo da solo, eh?!
Se non sei in grado di fare nemmeno questo, forse allora saresti dovuto davvero
morire tu al posto di tuo fratello!» gridò quasi, praticamente.
Oz non disse nulla.
Sentì solo Elliot che
si allontanava, un pugno che colpiva sonoramente lo stipite della porta, e la
mano di Reo che si posava appena sulla sua spalla prima di allontanarsi
seguendo il castano.
Oz non era tornato
subito al dormitorio.
Avrebbe significato seguire
Elliot, e non aveva voluto; il tempo era trascorso, mentre aspettava nella
stanza dove avevano discusso, in maniera quasi ovattata.
Il silenzio aveva nuovamente
avvolto ogni cosa, e il biondo era tornato a sedersi quasi senza accorgersene:
rivolto alla finestra, aveva poggiato la fronte contro il vetro freddo,
socchiudendo gli occhi.
Era rimasto in quella
posizione a lungo – non sapeva quanto, ma era tanto – e ad un certo punto, senza un motivo preciso, si era
semplicemente alzato.
Pur non avendo
l’orologio da taschino con sé in quel momento, aveva potuto
supporre che fosse ormai tardi abbastanza. L’aria all’esterno
– aveva dovuto percorrere il solito vialetto per passare
dall’edificio centrale in cui erano, al dormitorio – era fredda,
come altre volte l’aveva sentita sulla pelle
quando si era mosso in piena notte ad orari improponibili.
Spinse il portone verso
l’interno, aprendo quanto bastava per entrare.
Quando ebbe richiuso alle
proprie spalle e si fu voltato verso l’interno, Oz vide una figura fra le
poltroncine, vicina al camino acceso di un fuoco in procinto di spegnersi
lentamente.
Il ragazzo – logico visto che erano nel dormitorio maschile – era voltato
verso di lui, come se avesse aspettato di vedere qualcuno apparire sulla
soglia; Oz non poteva esserne certo, ma poiché erano potenzialmente solo
due le persone che poteva aspettare, suppose che fosse lì su richiesta
di Sirjan.
Aedan, seduto, lo osservava:
gli rivolse un cenno leggero col capo, invitandolo con un gesto della mano a
sedersi su una delle poltroncine libere.
Oz avrebbe
voluto andare in stanza, infilarsi sotto le coperte e dormire fino a
tardi approfittando dell’arrivo del fine settimana. Non aveva davvero
voglia di parlare, men che meno con Aedan; nulla contro di lui, ma considerando
che spesso altri non era che il messaggero di Sirjan,
supponeva che anche in quell’occasione non fosse diversa. Per un attimo
pensò che forse, sebbene gli sfuggisse ancora come, Sirjan era venuto a
sapere del suo incontro con Glen.
Rimase in silenzio, immobile
dov’era, forse nella speranza che il moro distogliesse lo sguardo al suo
muto rifiuto. Ma Aedan mantenne l’attenzione su
di lui, e alla fine Oz si arrese. Avanzò fino a raggiungere il posto a
sedere indicatogli dall’altro, dove prese posto:
affondò con schiena e testa nel cuscino morbido della poltrona, e
tacque, le mani mollemente poggiate sulle ginocchia.
Si era aspettato che, a quel
punto, Aedan iniziasse subito a riportare un eventuale rimprovero o messaggio
del capo dormitorio – gli era parso di capire che il moro non amasse
particolarmente perdere tempo con dei giri di parole
– ma così non fu.
Aedan, semplicemente, rimase a
sua volta immobile e in silenzio a guardarlo. Le mani sui braccioli, rimase
così per un po’ mentre Oz – sempre più perplesso
– attendeva che parlasse, finché non capì che forse l’altro
si aspettava che fosse lui a parlare.
Per dire cosa, non ne aveva
idea.
«Aedan, c’è
qualcosa che devi dirmi?» ruppe infine il ghiaccio, confuso. Aedan, senza
mutare espressione come suo solito, scosse la testa.
«Quindi
non ti manda Sirjan?» domandò Oz senza capire.
«Sirjan non c’entra. Sono
venuto ad aspettarti perché volevo.»
replicò l’altro, sorprendendolo. Era la prima volta, infatti, che
Oz sentiva usare da Aedan l’espressione “volere”.
«Tu e Sirjan, vi ho
guardati.» esordì nuovamente il moro inaspettatamente: «Vi
somigliate.» chiarì, anche se Oz non riuscì a cogliere dove
l’altro volesse andare a parare.
«Io e Sirjan? Non credo di
somigliargli granché a dire il vero.» buttò lì in risposta, con un sorrisetto leggero – anche se di
sorridere non aveva voglia.
«All’inizio non molto.
Ora però sì. Specialmente quando fai quella faccia lì.» spiegò, indicando l’espressione di Oz
in quel momento. Il biondo suppose che si stesse riferendo a
quell’incurvarsi di labbra forzato e,
improvvisamente, lo colse una consapevolezza.
Era qualcosa che era rimasta
una sensazione sopita per molto tempo, che gli era costantemente sfuggita l’attimo prima di riuscire a darle un nome e una
forma. Aveva colto in Aedan – nel suo atteggiamento – qualcosa che
aveva già visto, ma che non poteva esattamente definire familiare.
Ed ora, senza apparente motivo,
aveva finalmente capito cos’era.
Aedan aveva la stessa
sensibilità e mentalità, per certi versi, di un bambino: i
concetti, le opinioni e quella capacità di cogliere i sentimenti altrui
erano puri, istintivi. Aedan capiva le cose nella loro semplicità di fondo.
Per lui non c’erano
dubbi sulla maggior parte delle questioni che affrontava; capì che
contrariamente a quanto aveva sempre pensato, Aedan non eseguiva qualsiasi
ordine per mancanza di una volontà propria, ma per completa fiducia in
Sirjan – e, supponeva, in quell’Ethan Sparrow.
Allo stesso modo quindi, il
suo mettere la propria vita in secondo piano in confronto a quella dello stesso
Ethan, forse non era scarsa considerazione per se stesso, quanto
più… un affetto incondizionato nei confronti dell’altro.
«Tu non piangi mai?»
se ne uscì il moro.
Ok, rettificò
mentalmente Oz in quel momento, a volte Aedan aveva anche le uscite
“scomode” tipiche dei bambini, oltre a tutto il resto.
«Alla mia età sarebbe un
po’ imbarazzante, no? E poi adesso come adesso non c’è
qualcosa di preciso per cui vorrei piangere, quindi…»
rimase sul vago, a disagio per quella domanda.
Ma il moro lo sorprese
nuovamente quando parlò; spostò lo sguardo dalla figura
dell’altro, portandolo verso una delle finestre presenti lì in
quella fungeva quasi da sala comune per gli appartenenti al dormitorio.
«Serve un motivo
preciso, quando si vuole piangere?» chiese, ingenuamente come un bambino
che non sa nulla del mondo.
Oz alzò quindi
istintivamente lo sguardo su di lui, ironicamente proprio ora che Aedan aveva
fatto l’esatto contrario. Era perplesso e stupito da quella domanda che, nonostante di primo impatto non sembrasse particolarmente
sensata, aveva insinuato silenziosamente il dubbio in lui in quel momento.
Serviva? C’era qualcosa
di “necessario” per poter dire “ora
piango”?
«Io credo che vada
comunque bene.» riprese Aedan senza preavviso, senza che avesse mai
parlato così a lungo di sua sponte, dando un parere personale su
qualcosa che sembrava toccarlo in qualche modo, chissà perché.
«Penso che a volte venga solo
voglia di piangere senza alcun motivo. Guardi fuori e vedi qualcosa che pensi somigli a qualcos’altro che hai visto quando non
stavi bene, o qualcosa non andava. E ti viene voglia di piangere, magari
perché lo avevi fatto anche quella volta o forse proprio perché allora non lo avevi fatto.»
proseguì, senza mai guardare il biondo mentre parlava.
Si spiegava con parole
semplici, elementari e in qualche modo sembrava ripetersi come se il
vocabolario che possedeva fosse limitato; eppure colpiva tutto molto più
che se lo avesse detto con parole più complesse o ricercate.
«Credo che non sia molto
importante, il perché. Va bene anche se ora
piangi per qualcosa di poca importanza e la usi come scusa per sfogare
qualcos’altro. In un modo o nell’altro, l’importante è
arrivare a non avere più la forza nemmeno di tenere gli occhi aperti.
Quando ti sveglierai andrà meglio.»
continuò.
Oz era rimasto
in silenzio, ma non riuscì a tenere per sé un: «Stai
parlando di piangere senza controllo e senza motivo apparente?» confuso,
ma anche speranzoso in un modo contorto che non avrebbe potuto spiegare.
Era come se aspettasse che
Aedan, rispondendo affermativamente alla sua domanda,
gli desse il permesso di essere debole almeno per un po’.
Se ne vergognò.
Ultimamente sembrava niente
più che un ragazzino che si lagnava in continuazione
senza fare alcun passo avanti; forse, Elliot non aveva torto.
«Non fa nulla se il motivo non
è apparente o chiaro per gli altri. Tu lo sai perché ridi, o
perché piangi, perché ti arrabbi o perché reagisci in un
modo piuttosto che in un altro. E agli altri, in fondo, non interessa sapere
tutto di te. Ad alcuni potrebbe bastare vederti stare bene.»
Sirjan si era allontanato,
dopo quelle parole.
Il fatto che Aedan avesse
dichiarato di voler parlare da solo con Oz di una cosa lo aveva
inizialmente impensierito – o forse, più che altro,
incuriosito – ed aveva voluto controllare.
Ma, nel momento in cui aveva
colto il significato di ciò che Aedan stava pronunciando, si era
allontanato per non interferire; benché fosse probabile che il moro
avesse colto la presenza di qualcuno, allenato com’era per il ruolo che
ricopriva, doveva aver ritenuto inutile smascherare la sua presenza.
Nel muoversi verso
l’edificio centrale – avrebbe approfittato della ronda,
controllando che anche Nightray fosse rientrato dalle sue sonate notturne
autorizzate per dar tempo a quei due di finire di parlare – qualcosa
aveva catturato la sua attenzione.
Non aveva faticato a capire di
cosa si trattasse: l’aveva seguita, con passo sicuro, e aveva infine
raggiunto la persona in questione – malgrado tutto,
nel suo caso Sirjan non avrebbe potuto definire Jack semplicemente
“spirito”, nonostante la sua natura fosse ormai quella.
«Non è molto
tipico di te lasciare che io ti segua quando vuoi parlarmi.» lo riprese,
ma con tono morbido; Jack sorrise come un ragazzino beccato in flagrante mentre
rubava la marmellata dal barattolo, cosa peraltro non proprio fuori dagli
schemi per il biondo e il suo carattere.
«Scusami, è che è
un po’ imbarazzante forse. Faccio la figura del fratello maggiore
iperprotettivo.» ammise, il tono un po’
impacciato che avrebbe fatto tenerezza a chiunque in quel frangente. E
d’altra parte, chi meglio di Sirjan poteva capire quel lato di Jack?
«Vuoi parlare con Oz,
mh?» tirò ad indovinare – non che
ci volesse un grosso sforzo.
Jack però ne parve
comunque sorpreso, qualche istante prima di sorridere nuovamente: «Non ti
si può nascondere proprio nulla, quando si tratta degli accordi che
abbiamo vero?» disse, una sfumatura particolare del tono che però
l’altro non commentò.
Abbozzò un sorriso
leggero invece: «No, sei solo tu che sei particolarmente prevedibile
Jack.» gli fece presente, tranquillizzato ulteriormente dalla risata
leggera in cui l’altro si sciolse.
«Hai il permesso di parlare con
lui. Tuttavia ci sono cose che non puoi dirgli, specialmente riguardo una precisa questione.» aggiunse, serio nel suo ruolo
che ancora manteneva.
Jack lo osservò,
rivolgendogli un incurvarsi di labbra gentile, molto simile a quello che gli
aveva riservato quando lo aveva incontrato per la prima volta insieme alla
sorella: «Ogni concessione ha le sue regole,
giusto? Dimmi Sirjan, qual è la questione a cui
non vuoi che accenni?» domandò Jack, il tono pacato e lo sguardo
chiaro sul ragazzo.
Questi portò il proprio
sul viso di Jack, la serietà e la severità che lo avevano sempre
distinto in qualche modo nel suo adempiere ai propri doveri – condivisi o
meno che fossero.
«Il figlio illegittimo dei
Nightray. Oz non deve sapere che si tratta di Alice Lewis.»
Note
Quante maledizioni mi state
lanciando in questo momento? ;D *bello che almeno ne
è consapevole*
Io so che sono molte, ma so
anche che sono piene di amore <3 (ma anche no).
Teoricamente (non è un caso che sia sottolineato e corsivo XD) da qui in poi man
mano dovrebbero venire i nodi al pettine come si suol
dire; sto cercando di dosare comunque le rivelazioni perché non vorrei
proprio che dopo avervi fatto soffrire 16 capitoli con
inghippi della trama tutta la spiegazione risultasse poco
“graduale”.
Spero di riuscire
nell’intento (voi non lo sapete, ma sono io quella che vorrebbe chiarire
tutto e subito più di chi legge XD).
La frase in apertura è
del manga yaoi “Doushitemo
Furetakunai” di Yoneda Kou <3
Passo alle risposte alle
recensioni :3
Bacinaru: spero che la tua vita non sia finita al precedente capitolo, innanzitutto
XD come vedi Oz è ancora vivo, e a quanto pare Elliot non è un
assassino (ma perché, qualcuno ci aveva
creduto? LOL *bastarda*)
Per la questione Lacie-Jack
dovrete pazientare – salvo tragedie (che con me tutto è
possibile), dovrebbe essere tutto o quasi nel prossimo capitolo o giù di
lì <3
Ti ringrazio per i complimenti
sull’IC, che per me è un dramma perpetuo. I riscontri da parte di chi legge sono quindi sempre un piacere e qualcosa di
istruttivo :3
Mi dispiace di aver impiegato
tanto con questo aggiornamento, e spero quindi di
farmi perdonare con il capitolo e che possa piacerti come i precedenti <3
NatsuVIII: Noah e i calzini, io ho paura seriamente che voi lettrici ne farete un fan club XD
Incontrare Break CON Rufus
sarebbe la gioia di una yaoi fan girl, ma non di Oz a
quanto pare. Poi devo dargliene atto: mi sbucasse Break di
notte da un corridoio penso che non vivrei abbastanza per raccontarlo XD
*inquietata*
Gil in crisi è un mio
sadico divertimento e tale rimarrà – dovrò pur sfogare il
mio stress di autrice no? XP
Quanto ad Oz è
finalmente esploso ma che non si illuda: per lui
c’è ancora da patire (come è giusto che sia, è il
protagonista u.u)
Spero che questo capitolo ti
sia piaciuto :3
Fiamma Drakon: Noah è un fanboy. Uno
yaoi fanboy. E in quest’affermazione è
racchiusa l’essenza di ogni cosa che fa e di ogni idiozia che dice XD
Ringrazio anche te per l’IC, come detto anche sopra a bacinaru :3 Sono contenta che le parti un po’
più corpose – come la seconda con Gil e Vince, o quelle con molte
spiegazioni o dialoghi lunghi – non risultino troppo pesanti. Non sempre
riesco a calibrare il modo in cui tramite i personaggi do informazioni sulla
trama, quindi è un bene che non vi risulti di
difficile lettura <3
Ecco infine quel che Glen ha
fatto ad Oz (secondo me, gli è andata di lusso xD)
Spero sia stato di tuo
gradimento :3
Meimei: dai che tanto lo so che ami
Noah uwu
La parte che ti interessa (leggasi: Lacie) è ormai alle porte, per
la tua immensa felicità XD Jabby è
amore. Il mio sogno proibito è riuscire a inserire la scena di Jack che lo grattinizza senza farla apparire
completamente fuori luogo in Rinnega XD (impresa ardua, vista
l’atmosfera tutt’altro che allegra di ‘sta fic XD).
Attenderò gli altri
tuoi scleri sul presente capitolo XD
Un grazie infine anche a chi so
che legge a parte, o che mi commenta in separata sede :3