The Streets of London
(La Scalata
verso il Wolfstar, challenge su
wolfstar_ita, Livello 1. Prompt: Londra)
-Se solo avessimo preso su una cartina...-
Sirius sbuffò. -Le cartine sono noiose- replicò per l'ennesima volta quel
pomeriggio, sempre meno convinto.
Remus tolse una mano dalla tasca in cui l'aveva ficcata e si coprì gli occhi,
scuotendo la testa.
Del resto era tutta colpa sua.
Era stato lui a dire a Sirius di non essere mai stato a Londra, tranne che via
camino, da casa al Paiolo Magico e da casa a King's Cross. Era stato lui anche a
fidarsi del fatto che Sirius, che invece a Londra c'era nato e cresciuto, avesse
un'idea di come muoversi nella città babbana. Era stato lui, infine, ad
organizzarsi per passare quella giornata nella grande città con Sirius. E non lo
aveva nemmeno insospettito il termine "esplorare" che Sirius aveva usato per
descrivere le loro attività per quel pomeriggio.
Di norma si sarebbe allarmato all'uso di quella particolare parola, ma gli
ultimi tre mesi, e tutto quello che lui e Sirius avevano fatto in quel periodo,
dovevano avergli decisamente rovinato il cervello.
E di fatti al momento erano persi, completamente, nel bel mezzo di una strada
praticamente vuota, nel bel mezzo di Londra, senza sapere dove fossero e
dove fosse qualsiasi altra cosa conoscessero, lì intorno.
Sembrava che Sirius si stesse divertendo comunque un mondo, dalla sua posa. Ma
Remus non si faceva fregare. Si stava rosicchiando le unghie, segno che era
nervoso, e non lo guardava negli occhi da almeno mezz'ora, segno che... be',
comunque un brutto segno.
-Forse dietro quell'angolo c'è un posto che conosco- disse Sirius, indicando
vagamente in lontananza.
Era la settima volta che quel matto diceva quella frase. Gli angoli erano sempre
scelti a caso.
Remus si guardò intorno. Dall'altra parte della strada c'erano solo una fila
infinita di case dall'aria squallida, e una sorta di bar che sembrava uscito da
un film poliziesco, di quelli dove tutti gli avventori hanno per lo meno un
coltello nella giacca e la puzza di fumo copre misericordiosamente qualsiasi
altro odore meno gradevole; dal loro lato, quella che sembrava una vecchia
fabbrica con le imposte sprangate, una piccola pescheria con la porta d'ingresso
circondata da gatti tignosi e un negozio di dischi chiuso da almeno due anni, a
giudicare dagli ultimi titoli sponsorizzati in vetrina.
Certo, di sicuro un quartiere abitualmente frequentato dal nobile rampollo dei
Black.
Remus si sedette sul lato del marciapiede, sbuffando.
-Vorrei dire che almeno non piove, ma non mi sembra il caso di portare
sfortuna-.
Sirius lo guardò in modo strano. Qualche mese prima sarebbe stato molto chiaro
per Remus il significato di quello sguardo. Ma da quando le cose tra loro erano
cambiate, Remus era improvvisamente diventato insicuro su cosa volessero dire le
occhiate di Sirius. Chissà poi perché.
Eppure, anche in quella situazione, Remus era contento che fossero insieme.
Anche questo era un mistero, ma persino perdersi per Londra in un giorno
d'estate aveva un sapore del tutto nuovo. Sorridendo improvvisamente, fece cenno
a Sirius di sedersi lì vicino. Lui non se lo fece ripetere.
Sirius si lasciò cadere quasi a peso morto di fianco a lui, distendendo le
lunghe gambe sulla strada deserta e appoggiandosi solo casualmente con la spalla
contro quella di Remus. Ultimamente era cresciuto al punto da essere alto come
Remus, e la cosa faceva ancora uno strano effetto ad entrambi: era sempre stato
il più piccolo di loro, e improvvisamente si era allungato e aveva perso le
fattezze da bambino, quasi in una sola notte. E naturalmente era sempre stato
bello, ma adesso lo era in un modo più adulto, più... attraente, per Remus, che
infatti nemmeno si rendeva conto, in quel momento, di averlo guardato -il modo
in cui si era mosso per sedersi e il modo in cui gli stavano i capelli tagliati
da poco- senza dire niente per qualche minuto.
Sirius sembrava non aver notato quello sguardo, ma a conoscerlo bene, le sue
guance non erano mai così arrossate, nemmeno d'estate, se non quando era un po'
in imbarazzo.
Remus non riusciva a smettere di sorridere, stranamente.
-Mi dispiace- disse Sirius dopo un po'. Poi prese di nuovo a mangiarsi l'unghia
del pollice sinistro.
Remus, senza pensarci, gli tolse la mano di bocca.
-Di cosa?-
-Di averci fatto perdere. Cosa facciamo se non riusciamo a ritrovare la strada?-
Remus giocherellò con la mano di Sirius, unghie mangiate, saliva e tutto, che
non aveva lasciato andare. -Aspettiamo che venga buio, poi chiamiamo il
Nottetempo. Si può fare anche con la Traccia, vero?-
Sirius annuì.
-Nessun problema, allora- lo rassicurò Remus. Improvvisamente sembrava che
Sirius ne avesse bisogno.
-E' solo...- spiegò il ragazzo, impacciato, -che non sono mai stato molto a
Londra-.
Remus scosse la testa. -Hai sempre vissuto qui- gli fece notare.
-Sì- rispose Sirius, -ma non sono mai andato molto in giro. Più che altro, stavo
in casa-.
Remus gli strinse la mano. -Oggi abbiamo fatto un bel tour-.
Sirius alzò la testa e lo guardò con un sorriso enorme. -Peccato che non sapremo
mai dire dove siamo stati- commentò.
Remus rise, e Sirius rise con lui. La giornata diventò improvvisamente molto più
luminosa, e persino la strada d'improvviso sembrò meno squallida. La vecchia
pescivendola che si affacciava a spazzare il marciapiede e a cacciar via i gatti
sembrava quasi una presenza pittoresca; e ovunque andassero c'era una nuova
avventura ad aspettarli, fosse anche solo un tram babbano che sferragliava per
la via.
-Dai,- disse Remus alzandosi, e usando la mano che ancora teneva tra le sue per
tirare su anche Sirius, -andiamo a vedere cosa c'è dietro quell'angolo-.
Diverse ore più tardi stavano ancora vagando senza sapere dove, ma in
compenso erano in un quartiere molto meno squallido di quello di prima. Avevano
fatto un pranzo veloce con due panini muffiti che Remus aveva pagato con i suoi
pochi soldi babbani, avevano trovato un vicoletto vuoto in cui passare qualche
minuto a baciarsi con calma, lontano dagli sguardi curiosi dei babbani e dalle
loro leggi, e si erano divertiti per almeno un'ora a calciare una lattina vuota
sul marciapiede, cercando di non perderla mai, arrendendosi solo quando un
grosso cane aveva abbaiato loro da dietro il cancello che Sirius tentava di
scavalcare per recuperarla. Il cielo, miracolosamente, era rimasto perfettamente
nuvolo e asciutto per tutto quel tempo. Insomma, erano ancora persi nella grande
città, ma almeno la giornata era decisamente migliorata.
Tranne che da dieci minuti Sirius si guardava attorno rabbuiato, scrutando in
silenzio gli alti palazzi che li circondavano; Remus stava per chiedergli cosa
gli avesse rovinato l'umore, quando lui indicò un punto poco più avanti in cui
la strada svoltava.
-Credo di sapere dove siamo-.
Remus cercò di ridere. -Davvero, questa volta? O come le ultime dieci?-
Ma Sirius sorrise appena, nervoso e forse anche un po' triste. Remus lo seguì
lungo la strada senza dire nulla. Improvvisamente trovava antipatici il selciato
pulito e i muri privi di graffiti, se facevano a Sirius quell'effetto.
Svoltarono comunque dove aveva detto Sirius, e proseguirono per mezzo isolato;
improvvisamente sulla loro destra si aprì una piazzettina con al centro una
piccola aiuola, dove cresceva un poco d'erba stinta e riposava una panchina
dalla vernice scrostata. I palazzi eleganti che li avevano circondati fino a
poco prima sembravano improvvisamente scomparsi, e la piazza era innaturalmente
squallida, un'accozzaglia di edifici forse abbandonati, con tanto di finestre
rotte e portoni deformati dall'umidità. Si percepiva più che chiaramente la
presenza di qualcosa di magico, in quel posto.
Sirius si guardò intorno con aria disgustata, poi, forse senza volerlo, si
avvicinò un po' di più a Remus, come se avesse freddo.
-Grimmauld Place- sussurrò. -Casa mia è proprio qui davanti-
Remus guardò il palazzo di mattoni rossi con le finestre rotte al piano terra,
che era il numero undici, e il casermone di cemento grezzo con la porta
sprangata al numero tredici. Sapeva che Sirius abitava al numero dodici.
-Esattamente quanti incantesimi protettivi ci sono su casa tua?- chiese.
Sirius ghignò, ma non era un sorriso divertito, solo amaro e un po' forzato.
-Non la vedi perché non sei stato invitato- gli rispose. -Dammi la mano-.
Remus obbedì, prese la mano ruvida di Sirius e la strinse un poco, per
confortarlo da quel suo cattivo umore. E improvvisamente, oh, certo, c'era
un'altra casa, e Remus si chiese come avesse fatto a non notarla prima. Era
elegante e molto appariscente, proprio lì, al numero dodici. Poteva vedere
persino le maniglie dell'enorme portone, ed erano d'argento lucido, arrotolate
come serpenti. L'edificio doveva essere molto grande, pieno di stanze pulite e
ben arredate, fresche, anche, nonostante la calura estiva accentuata dalla luce
del sole che stava calando; ma Remus, onestamente, viveva benissimo anche senza
entrarci. Sembrava che la casa stessa l'avrebbe volentieri tenuto fuori dalle
sue mura.
Improvvisamente gli sembrò un crimine permettere che ci entrasse Sirius. Lui
chiaramente non ne aveva particolarmente voglia, e a Remus sembrava una crudeltà
lasciarlo lì. Anche se era casa sua.
-Possiamo aspettare qui che si faccia buio. Ormai è questione di mezz'ora, e
così non ci perderemo più. Tu puoi prendere il Nottetempo e io sono già
arrivato- propose Sirius, senza nessun entusiasmo.
Remus non era molto d'accordo con quel piano, anzi, non lo era per niente. Se si
fosse trattato di salutarsi, dopo una giornata piacevole, per tornare ciascuno a
cena a casa propria, non sarebbe stato un problema insormontabile. Ma Sirius
guardava l'edificio elegante come se fosse una prigione, per lui.
-Ho un'idea migliore- disse Remus, stupendo un po' anche se stesso. -Vieni a
casa mia, stasera-.
Sirius sembrò illuminarsi da dentro.
-Davvero?- chiese, come se non credesse a quell'invito improvvisato.
Remus annuì. -Puoi mandare un gufo ai tuoi e dire loro che resti fuori,
stanotte-.
Sirius si rabbuiò di nuovo, di colpo.
-Se si mettono in testa di mandare qualcuno a cercarmi, avrai dei guai-.
Ma Remus ci aveva già pensato, e sfoderò il suo sorriso più malandrino. -Casa
mia è intracciabile- rispose, -per via dell'ultima legge sulla protezione dai
Lupi Mannari-.
Sirius, entusiasta come un cucciolo, gli gettò le braccia al collo e lo baciò
sulla bocca proprio lì, in mezzo alla strada, senza curarsi che qualcuno potesse
vederli. -Tu sei un genio- gli disse, -diventeranno pazzi a capire dove sono!
Non mi troveranno mai!-
Remus rise. -La fuga perfetta- commentò, -anche se solo per una notte-. E
restituì il bacio appena ricevuto.
Sirius lo lasciò andare, ma tenne il braccio attorno alle spalle di Remus (lo
faceva spesso, da quando era alto abbastanza) mentre si allontanavano in tutta
fretta da Grimmauld Place e da quella casa orribile, per perdersi di nuovo nelle
strade di Londra, ridendo.
Appena fece buio, chiamarono il Nottetempo sollevando le bacchette in un
vicoletto deserto, e a bordo del mezzo traballante si diressero verso
l'accogliente casa di Remus, persa nella campagna gallese.
Per tutta la strada Sirius non parlò d'altro che della lettera che avrebbe
scritto ai suoi, eccitato come un bambino all'idea di inventare qualche assurda
scusa per passare la notte fuori, nella certezza che nessuno avrebbe mai potuto
verificare dove era stato davvero.
Arrivati in Galles sull'autobus nauseante, la storia incredibile prevedeva una
banda di maghi girovaghi, un babbano molto strano e un rapimento da parte di
scimmie urlanti. E c'era di mezzo un cappello rosso, ma Remus non era riuscito a
capire cosa c'entrasse. Sirius aveva una mente contorta, ma Remus ci si
divertiva un mondo e l'avrebbe avuta per sé ancora per parecchie ore.
Nessuno dei due avrebbe sentito la mancanza di Londra.
Note noiose: Il titolo della fic (il mio primo titolo in inglese in cinque anni!) è il titolo di una canzone dei Beatles, che comunque mi è venuta in mente solo dopo aver scritto la storia, quindi non c'entra se non coincidentalmente...
Non sono mai stata a Londra, quindi è probabile che sia una di quelle città in cui è impossibile perdersi. Ma visto che mi sono persa diverse volte persino a Bologna (e nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino, come cantava Lucio Dalla), ho ritenuto possibile che, se si crede di sapere dove andare, ci si possa perdere clamorosamente, eccome. Forse il senso dell'orientamento di Sirius è tipo il mio: inesistente in una maniera a volte ridicola e spesso pericolosa.
Ad ogni modo, livello uno, archiviato!