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Autore: ClaryMorgenstern    24/11/2010    4 recensioni
«Senti, Jace. » lo rimproverò con dolcezza. «Non lo sai che non bisogna giocare con i vetri rotti?»
Soffocò la risata che sentiva salire. Lei lo aveva salvato. In ogni modo in cui una persona può essere salvata. Lo aveva reso ciò che era adesso, lo aveva reso felice, per qualche strano motivo. Le gettò le braccia al collo, la strinse forte a sé e ripeté ancora il suo nome. Una, dieci, cento volte. All'infinito se possibile, come se quella lenta e dolce litania potesse salvarlo dal dolore per la perdita del primo vero amore della sua vita.
 
La città di Ossa, Vista dagli occhi di Jace. Hope you like it!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.
 

Capitolo X; Magnus Bane


Ci vollero tutta la sua calma e la sua forza di volontà per non prendere a pugni il tassista che per la 3° volta aveva sbagliato strada.

«Giri a sinistra! A sinistra! Ho detto di prende-re la Broadway, razza di imbecille!» gridò Jace battendo la mano sul divisorio.

L'autista sterzò violentemente e Clary gli finì addosso. «Perché prendiamo la Broadway?» sibilò.

«Sto morendo di fame» disse Jace. «E a casa ci sono solo gli avanzi del takeaway cinese.» Prese il telefono e compose il numero che gli era più familiare al mondo. Alec rispose dopo 5 squilli con la voce di uno che si è appena svegliato. «Jace? » balbettò.

«Alec sveglia!»

«Ma per l'amor dell'angelo che vuoi?»

«Vediamoci da Taki. Colazione. Sì, hai sentito bene. Colazione.» Chiuse la conversazione senza neanche dargli il tempo di rispondere.

Lasciò un paio di banconote al tassista idiota e spinse Clary giù dal taxi. Finalmente all'aperto si stiracchiò come Church. «Benvenuta nel migliore ristorante di New York.»

«Sembra una prigione» Quella ragazza era un asso nello smontarlo come un palloncino.

Fece dondolare l'indice mimando un 'no' «Ma in prigione potresti ordinare degli spaghetti alla fra' Diavolo da leccarsi le dita? Non credo proprio.» le sorrise.

«Non voglio gli spaghetti. Voglio sapere cos'è un Magnus Bane.»

«Non è un cosa.»le disse. «È un nome.»

«E tu sai chi è questo Magnus?»

«No» ammise . «E non so nemmeno se è un uomo o una donna. Ma...»

«Ehi!» Era Alec. Qualcuno che non lo conosceva poteva pensare che fosse appena sceso dal letto e infilato un paio di jeans. Ma Alec era sempre così. non si curava granché del suo aspetto. Jace cominciava a pensare che non gliene importasse neanche.

Non guardò neanche Clary ma si mise vicino al fratello.«Izzy sta arrivando» disse. «Si porta dietro il mondano.»

«Simon?»-Ma allora era una maledizione. «Da dove è uscito?» chiese lui.

«Si è presentato stamattina presto. Non riusciva a stare lontano da Izzy. Patetico.» Clary sembrava volerlo uccidere.

«Allora, entriamo o no? Sto morendo di fame.»

«Anch'io» disse Jace. «Non mi dispiacerebbe farmi un po' di code di topo fritte.»

«Un po' di cosa?» chiese Clary con la voce più alta di almeno un ottava.

Jace le fece un sorriso. «Tranquilla» disse. «È un ristorante normalissimo.»

Ovviamente il ristorante era pieno di ogni genere di creature, all'ingresso vennero fermati da Clancy e Paul, si scambiarono dei saluti ed entrarono.

Clary li guardò strano. «Jace» sibilò la ragazza spaventata. «Chi era quello?»

«Vuoi dire Clancy?»

Dietro il bancone vide Kaelie , un adorabile fata che lo ammiccò con lo sguardo e gli fece cenno di sedersi dove voleva. Era uscito con lei, un paio di volte. Era molto carina, ma in quel momento non gliene importava granché. «Clancy tiene fuori le persone indesiderabili» le disse mentre la dirigeva delicatamente verso un separé.

«È un demone!» urlò.

Mezzo locale si girò a fissarla. Non era una cosa carina urlare 'è un demone' in un ristorante pieno di nascosti. anche se,una bella scazzottata con uno o due bestioni non gli sarebbe dispiaciuta.

«No» fece lui sedendosi con Alec al seguito e Clary di fronte. «È un ifrit» spiegò. «Stregoni privi di magia, mezzi demoni che non possono fare incantesimi.»

«Poveri mezzosangue» disse Alec prendendo il menù. A Jace non dispiacevano i nascosti né tantomeno gli facevano piacere, ma Alec sembrava quasi non sopportarli. Forse perché non ne aveva mai conosciuto uno.

«Chi mangia pesci crudi interi?» chiese Clary con voce davvero troppo alta.

«I kelpie» rispose Alec. «I selkie. E ogni tanto anche i nixie.»

«Non ordinare i piatti delle fate» disse Jace lanciandole un occhiata «Tendono a mandare fuori di testa gli umani. Un minuto prima ti stai ingozzando di prugne fatesche e un minuto dopo ti ritrovi a correre nudo lungo Madison Avenue con delle corna di legno che ti spuntano dalla testa. Non» aggiunse velocemente coprendosi le guance arrossate con il menù. «che questo sia mai successo a me.»

Alec scoppiò a ridere. «Ti ricordi Quando ti sei buttato nudo nell' East River e ti sei quasi fatto ammazzare dal fidanzato di una ninfa d'acqua?»

Jace sorrise, ma ascoltava solo per metà. Stava riflettendo su qualcosa di completamente nuovo.

C'erano almeno una decina di ragazze in quel ristorante che si sarebbero divertite volentieri con lui.

E poi.. Se Clary si fosse ingelosita?

«E' stato ridicolo, dai! Pensi che...» di solito Alec non era così loquace. Sembrava voler dimostrare qualcosa. O… escludere qualcuno.

«Credi che prima o poi ci arriverà un po' di caffè?» disse Jace a voce alta interrompendolo.

Alec si smontò. «Io...»

«Per chi è tutta quella carne cruda?» disse Clary mostrando la pagina.

«Lupi mannari» disse Jace. «Anche se una bistecca al sangue ogni tanto non dispiace neanche a me.» con un sospiro le girò il menu dalla parte giusta.

«I piatti umani sono dietro.»

«In questo posto servono i sorbetti?!» chiese sgomentata.

«Hanno un sorbetto di albicocca e prugna con miele millefiori che è semplicemente divino» disse Isabelle comparendo accanto al separé.

Scostò un po' la ragazza e si sedette accanto a lei. «Stringiti un po'» disse con un sorriso. «Dovresti provarlo.» le disse Izzy.

Accanto a lei si sedette Simon.

Jace represse l'astio.

Clary fece un sorriso imbarazzato.

«Allora, com'è andata alla Città di Ossa?» Chiese Isabelle prendendo un menu.

«È stato fantastico» disse Jace allegro. «Un'orgia continua.»

«Avete scoperto cosa c'è nella testa di Clary?»

'Non credo che al mondo esiste qualcuno che sappia cosa ci sia sotto quella cascata di riccioli rossi.' avrebbe voluto dire. Invece disse: «Abbiamo un nome» disse Jace. «Magnus...» Fu interrotto da Alec che lo colpiva col menu. Alec non lo colpiva mai. Ma che diavolo stava cercando di fare?

«Che problemi hai?» chiese indignato.

Questo posto è pieno di Nascosti, lo sai benissimo. Dovresti cercare di tenere segreti i dettagli della nostra indagine.»

«Indagine?» Isabelle scoppiò a ridere. «Cosa siamo adesso? Detective? Forse dovremmo inventarci dei nomi in codice.»

Arrivò Kaelie a chiedere le ordinazioni sfoggiando un meraviglioso sorriso completamente rivolto a Jace.

Ah, qualunque ragazza di quella terra gli rivolgeva quel sorriso. Tutte, Tranne una. Non ci pensò e le sorrise. «Il solito»

«Anch'io» Disse Alec.

Isabelle ordinò un sorbetto alla frutta. Simon chiese un caffè, e Clary balbettò qualcosa con delle frittelle.

«È anche lei un'ifrit?» chiese Clary seguendola con lo sguardo.

«Kaelie? No. Credo sia una mezza fata» disse Jace.

«Ha gli occhi da nixie» commentò Isabelle soprappensiero.

«Non sapete esattamente cosa sia?» chiese Simon.

Jace scosse il capo. «Io rispetto la sua privacy.» Diede una gomitata ad Alec. «Ehi, fammi uscire un momento.»

Riuscì ad alzarsi ed andò da Kaelie, rendendosi conto perfettamente dello sguardo di Clary addosso. La nascosta stava parlando con il cuoco da dietro il passavivande ed appena lo vide gli sorrise. «Ed io che pensavo fossi occupato.»

Jace le mise un braccio intorno alle spalle. «Perché lo pensavi?»

Le si rannicchiò contro. «Niente. Così.»

«Ma lo sai che oggi sei più carina del solito?» Era sempre così, con le ragazze. Qualche moina, qualche tenerezza e riusciva a conquistarle tutte. Ma al mondo non c'era nessuna che volesse davvero.

Non sapeva quanto si sbagliava.

Tornò al tavolo un paio di minuti dopo sentendo di sbieco che la conversazione era incentrata sui nascosti.

«Quindi sono deboli?» stava chiedendo Clary.

«Non direi questo» disse mentre si sedeva. «Almeno non i djinn, gli ifrit e chiunque altro sia all'ascolto.» lanciò un sorriso a Kaelie appena arrivata con le ordinazioni con uno smagliante sorriso..

Jace mordicchiava distrattamente una patatina e guardava Clary mangiare i Pan cake. Aveva uno sguardo così raggiante, sembrava una bambina alla sua prima caramella.

«Te lo avevo detto che questo è il migliore ristorante di Manhattan» le disse.

Clary non lo degnò di risposta e guardò il mondano che mescolava il caffè come se la sua vita dipendesse da quello.

Alec fece un verso positivo con la bocca piena.

«Non è una cosa a senso unico» continuò Jace rivolgendosi a Clary. «A noi non piacciono sempre i Nascosti, ma nemmeno noi piacciamo sempre a loro. Qualche secolo di Accordi non può cancellare mille anni di ostilità.» 'Io, piaccio sempre a tutti' aggiunse fra se.

«Temo che lei non sappia cosa siano gli Accordi, Jace» disse Isabelle guardandola come fosse una ritardata.

Peccato che Clary fosse sveglia. «Sì, invece» replicò.

«Io no» disse Simon.

«No, ma a nessuno interessa quello che sai tu.» Disse Jace con sincerità studiando con un assurda intensità una patatina prima di addentarla. «Al momento giusto e nel posto giusto non mi dispiace la compagnia di alcuni Nascosti. Ma diciamo che non veniamo invitati alle stesse feste.»

«Aspettate un momento.» Isabelle si raddrizzò improvvisamente sulla panca. «Come hai detto che era quel nome?» chiese rivolta al fratello adottivo. «Quello nella testa di Clary?»

«Non l'ho detto» Precisò Jace. «O almeno non ho finito di dirlo. Magnus Bane.» Rivolse un sorriso canzonatorio ad Alec. «Mmm, non è che vi verrebbe in mente una rima con "rompiscatole ansioso"?»

Lo prese in giro persino il mondano per la battuta.

«Non può essere, però sono quasi sicura che...» Isabelle rovistò nella borsa e ne estrasse un foglietto blu. «Guardate questo» disse porgendolo

Alec glielo strappò di mano e scrollando le spalle lo passò a Jace. «È un invito a una festa. Da qualche parte a Brooklyn» disse. «E io odio Brooklyn.»

«Non fare lo snob» disse Jace. «Dove lo hai preso, Izzy?»

Isabelle scrollò le spalle ed assomigliò molto al fratello in quel momento. «Da quel kelpie al Pandemonium. Mi ha detto che sarebbe stata una festa pazzesca. Ne aveva una pila intera, di questi.»

«Che cos'è?» chiese Clary impaziente. «Avete intenzione di farlo vedere anche a noi o no?»

Jace mostrò l'invito alla festa anche ai mondani.

«Magnus» disse Simon. «Magnus come Magnus Bane?»

«Non credo che ci siano molti stregoni di nome Magnus, in questa zona degli Stati Uniti» gli fece notare.

Alec sbatté gli occhi. «Questo significa che dobbiamo andare a una festa?»

Jace rilesse l'invito e notò delle parole scritte in piccolo in fondo alla pagina.

Dicevano: "Non mancate alla festa del sommo Stregone di Brooklyn."

«Non dobbiamo fare un bel niente» Lo corresse. «Ma secondo quello che si dice, Magnus è il Sommo Stregone di Brooklyn.» Guardò Clary che lo guardava spaventata. «Per quanto mi riguarda sono abbastanza curioso di scoprire cosa ci faccia il nome del Sommo Stregone di Brooklyn nella tua testa. Tu no?»

 

 

Nell'attesa della festa dello stregone, Jace ed Alec sparirono completamente in armeria.

Alec impugnò la Guisarma del padre, Jace una katana e si allenarono come quando erano ragazzini, solo con le armi più piccole. Jace adorava allenarsi con Alec, primo perché vinceva sempre, secondo perché Alec non era mai stato un tipo troppo loquace, lo lasciava pensare ed il più delle volte lo aiutava anche a pensare. Certo, a volte assomigliava ad un vecchio isterico, ma Alec era fatto così.

Finito di allenarsi Alec e Jace si rifugiarono nelle loro camere concedendosi una doccia. Jace non era stanco ed aveva troppa adrenalina in circolo per andare a dormire, nonostante la festa a mezzanotte. Moriva dalla voglia di andare da Clary.

In corridoio, però fu fermato dalla voce del suo tutore. «Sarà il suo compleanno domenica.»

«Eh?» Jace si girò a guardarlo. Sembrava stanco, e l'ombra di un sorriso echeggiava nelle labbra rovinate.

«Clary.» disse Hodge avvicinandosi. «Compirà 16 anni, se non ricordo male.»

Jace gli sorrise. «Magari potremmo regalarle un divoratore. Ho sentito che le piacciono.» Hodge alzò gli occhi al cielo, sorridendo.

Jace si fermò davanti la porta della ragazza ma si fermò dal bussare. Un flash della vasca da bagno della tenuta ad Idris gli occupò lo sguardo.

Clary sarebbe stata sola al suo compleanno, la sua vecchia vita era ormai un ricordo sbiadito che non sarebbe mai più tornato.

Jace voleva darle qualcosa per quella nuova.

Bussò piano alla porta ma non ottenne risposta. Entrò in camera ma era vuota, le scarpe di Clary erano ai piedi del letto, segno che non era lontana. Il blocco da disegno era stato lasciato distrattamente aperto sul letto.

Vinto dalla curiosità Jace si fiondò sui fogli e sfogliò ogni pagina.

Rimase a guardarli incantato. Clary era fenomenale. C'erano disegni di ogni tipo, forma e colore. Molti rappresentavano l'East River, uno una donna dai capelli rossi intenta a dipingere distratta su una tela, -Sua madre- realizzò. Accanto a lei un uomo che riconobbe come Lucian. Un altro raffigurava Il mondano in una specie di sala giochi. Un altro lei e Simon abbracciati.

Jace sfogliò tutto l'album da cima a fondo e si sentii quasi offeso. Neanche una traccia di lui, uno schizzo o un disegnino distratto.

Eppure, come soggetto era decisamente meglio di Simon il topo.

La porta si aprì e Clary entrò con un ampolla fumante in mano che quando lo vide gli scivolò e si riversò sul pavimento.

«Oh, cavoli» disse mettendosi a sedere e trattenendo una risata. «Spero che non fosse niente di importante.»

«Era una pozione per dormire» stuzzicando l'ampolla con un piede. «Ed adesso è andata.»

«Se solo fosse qui Simon. Probabilmente riuscirebbe a farti addormentare dalla noia.»

La ragazza sospirò e si sedette vicino a lui prendendogli l'album di mano. «Di solito non faccio vedere a nessuno le mie cose.»

«Perché no?» chiese. «Non sei niente male come disegnatrice. A tratti sei davvero notevole.»

«Be', perché... è come un diario. Solo che io non penso per parole, penso per immagini, così è tutto fatto di disegni. Comunque è una cosa privata.» disse arrossendo. Jace si strinse la mani per reprimere la voglia di accarezzarle le guancie.

Assunse un espressione tetralmente ferita. «Un diario senza neanche un mio ritratto? Dove sono le torride fantasie romantiche? Le immagini da romanzo rosa? I...»

«Ma tutte le ragazze che incontri si innamorano di te?» chiese Clary.

E quando si parlava di amore, Jace diventava di pietra. Non è quello l'amore e probabilmente lui non avrebbe mai conosciuto quella strana sensazione di appartenere l'uno all'altra. Clary non poteva essere diversa, prima o poi se ne sarebbe stancato.

«Non è amore» disse infine. O almeno...»

«Potresti provare a non fare sempre il fascinoso» disse Clary. «Sarebbe un bel sollievo per tutti.»

Si guardò le mani incapace di sostenere il suo sguardo. Decise di cambiare argomento, l'amore lo metteva a disagio.

«Se sei davvero stanca posso metterti a letto io» disse lui con un tono dolce. «Ti racconto la storia della buonanotte.»

Clary lo guardò. «Dici sul serio?»

«Io dico sempre sul serio.»

Contro ogni sua aspettativa la ragazza posò l'album e si sdraiò accanto a lui. «Va bene.» disse.

«Chiudi gli occhi.» le sussurrò all'orecchio.

Chiuse gli occhi nel ritratto della tranquillità. Ispirava la tenerezza di un angelo che si addormenta sulle nuvole.

Decise di raccontargli l'unica storia che conosceva, per quanto male potesse fargli; i cacciatori sono fatti così, trovano la forza nel dolore.

«C'era una volta un bambino» cominciò Jace.

Clary lo interruppe. «Un bambino Cacciatore?»

Jace sorrise ironico, non credeva di essersi mai definito un bambino. «Certo.» rispose. «Quando il bambino compì sei anni suo padre gli regalò un falco da addestrare, perché i falchi sono rapaci, uccelli assassini, gli disse suo padre, i Cacciatori del cielo. Al falco quel bambino non piaceva, e al bambino non piaceva il falco. Il suo becco affilato lo rendeva nervoso e i suoi occhi acuti sembravano sempre osservarlo. Quando gli si avvicinava, il falco lo colpiva con il becco o con gli artigli. Per settimane i suoi polsi e le sue mani furono costantemente coperti di sangue. Il bambino non lo sapeva, ma suo padre aveva scelto un falco che aveva vissuto libero per più di un anno ed era quindi quasi impossibile da addomesticare. Ma il bambino ci provò, perché suo padre gli aveva detto di insegnare al falco a obbedire, e lui voleva compiacerlo.» fece una pausa, frenò le lacrime, ricominciò:

«Stava sempre con il falco, e lo teneva sveglio parlandogli e anche suo-nandogli della musica, perché gli avevano detto che un uccello stanco era più facile da addomesticare. Imparò tutto sull'equipaggiamento da falco-niere: i geti, il cappuccio, i ganci, il guinzaglio che legava il falco al suo polso. Avrebbe dovuto tenere il falco sempre incappucciato, ma decise di non farlo: provò a sedersi dove l'uccello lo poteva vedere mentre gli acca-rezzava le ali, per fare in modo che si fidasse di lui. Lo nutriva con le pro-prie mani: all'inizio il falco non mangiava, poi iniziò a mangiare tanto sel-vaggiamente che il suo becco tagliava la pelle del palmo del bambino. Ma il bambino era felice dei suoi progressi e voleva che l'uccello imparasse a conoscerlo, anche se doveva versare il proprio sangue perché questo suc-cedesse.

«Il bambino iniziò ad apprezzare la bellezza del falco, a vedere che le sue ali erano fatte per volare veloce, che era forte e agile, feroce e delicato. Quando si tuffava in picchiata, si muoveva come la luce. Quando imparò a girare in cerchio e a posarsi sul suo polso, il bambino quasi urlò per la gio-ia. A volte l'uccello gli saltava sulla spalla e gli infilava il becco in mezzo ai capelli. Il bambino sapeva che il suo falcone lo amava e quando fu certo che non era solo addomesticato, ma perfettamente addomesticato, andò da suo padre e gli mostrò ciò che aveva fatto, aspettandosi che fosse fiero di lui.

«Suo padre invece prese in mano il falco, che ora era addomesticato e fiducioso, e gli spezzò il collo. "Ti avevo detto di insegnargli a obbedire", disse suo padre gettando a terra il corpo senza vita del falco. "Tu invece gli hai insegnato ad amarti. I falchi non devono essere cuccioli affettuosi: so-no animali feroci e selvaggi, aggressivi e crudeli. Questo uccello non è sta-to addestrato, è stato rovinato."

«Più tardi, quando suo padre lo lasciò solo, il bambino pianse sul cada-vere del suo animale, finché il padre non mandò un servitore a prendere il corpo dell'uccello per seppellirlo. Il bambino non pianse mai più e non dimenticò mai ciò che aveva imparato: che amare significava distruggere e che essere amati significava essere distrutti.»

Clary si girò guardandolo negli occhi. «È una storia terribile» la voce grondava pietà per quel bambino.

Senza accorgersene si mise in posizione fetale guardandola negli occhi. «Davvero?»

«Il padre del bambino era una persona orribile. È una storia di violenza psicologica. Avrei dovuto saperlo che le storie della buonanotte dei Cacciatori non potevano che essere così. Qualsiasi cosa ti faccia fare degli incubi terrificanti...»

Ma questa è la realtà, Clary. E la realtà fa male. Avrebbe voluto dirgli, ma non voleva farla star male, Era fragile. Provava persino pena per un ragazzino di cui non sapeva neanche l'esistenza.

«A volte i marchi possono farti fare degli incubi terrificanti» le disse invece. «Se te li fanno quando sei troppo giovane. È una bella storia, se ci pensi» disse poi con poca convinzione. «Il padre del bambino sta solo cercando di renderlo più forte. Più inflessibile.»

«Ma bisogna imparare a piegarsi un po'» obiettò Clary sbadigliando. «Se non vuoi spezzarti.»

«No, se sei abbastanza forte» senza pensarci allungò una mano per accarezzarle la guancia bagnata dalla luce del sole pomeridiano. La ragazza si rilassò sotto il suo tocco e sospirò il suo nome prima di abbandonarsi al sonno.

Prima di uscire dalla stanza, Jace posò un bacio sulla stessa guancia.

 

Nonostante tutto, la storia aveva messo sonno anche a lui. Si concesse un paio d'ore a letto prima che Alec venisse a svegliarlo di tutta fretta.

Non era una ragazza, per prepararsi aveva bisogno di 10 minuti, perché diavolo Alec aveva tutta quella fretta?

Optò per una maglia nera e l'immancabile giacca di pelle. Prima di uscire passò dal cassettone e pensò a Clary. In una festa di nascosti avrebbe avuto bisogno di un arma, no?

Passò in rassegna le sue preferite. Un paio di spade ordinate per lunghezza e spessore,Chackram e pugnali di ogni forma e dimensione, poi comparve alla sua vista un fodero di pelle scura da cui usciva un elsa lavorata con una pietra rossa a forma di rosa.

Il pugnale di suo padre.

Sarebbe stato disposto a dare quel pugnale a Clary? Dargli la cosa a cui teneva di più? l'unica cosa che il padre gli aveva lasciato, a parte l'anello che teneva gelosamente al dito. Sorrise e prese il pugnale, Dio. Forse stava impazzendo.

In corridoio, insieme ad Alec trovò il mondano che si era preparato in maniera da assomigliare ai cacciatori con una maglietta nera e dei jeans strappati. Jace Rise. «Carino. Ce l'avevano anche in versione da uomo? »

Il mondano sorrise strafottente. «No, ma mi hanno detto che il tutù che hai ordinato è arrivato.»

Assunse un espressione ferita. «Mi sento ferito adesso, contento? » poi rise battendo il cinque ad Alec. In quel momento arrivò Isabelle con Clary al seguito.

Oh Per amor dell'angelo, non si poteva certo dire che sembrasse una mondana quella sera.

Jace represse l'impulso di sgranare gli occhi . Era favolosa. Un vestito nero e aderante le fasciava completamente la forme, le gambe sottili erano fasciate dalle calze a rete nere che finivano con un paio di anfibi scuri. L'unica pecca erano i capelli che erano raccolti invece di essere liberi di farla risplendere.

A quanto pare anche il cervellino del mondano si era accorto di quanto fosse bella dato che era palese che faticasse a non spalancare la bocca e sbavare. Idiota. «Cos'è quella cosa?» chiese. «Quella che hai addosso, voglio dire.» Doppio idiota.

«È un vestito, Simon» disse Clary arrossendo da Capo a piede. «Lo so che non mi vesto spesso così, però dai...»

«È corto» disse il mondano farfugliando.

Jace represse la voglia di scoppiare e a ridere e le si avvicinò. «Mi piace quel vestito» disse gustandosi la sua vista. «Anche se gli ci vorrebbe qualcosina in più.»

«Adesso sei anche un esperto di moda?» disse lei. La voce tradiva l'imbarazzo.

Le sorrise e prese il pugnale dalla giacca offrendoglielo.

La ragazza sbiancò e lo guardò negli occhi. «Non saprei nemmeno come usarlo...»

Le mise il pugnale in mano stringendole delicatamente le dita intorno all'elsa. «Imparerai.» le disse. «Ce l'hai nel sangue.»

Clary ritrasse lentamente la mano. «Va bene.»

«Potrei darti una giarrettiera in cui infilarlo» propose Isabelle. «Ne ho a tonnellate.»

«Assolutamente no!» urlò Simon guadagnandosi un occhiataccia da parte della ragazza

.«Grazie, ma non sono proprio il tipo da giarrettiera» disse lasciando scivolare il pugnale nello zainetto.

Jace notò che era arrossita, non staccava gli occhi dal suo viso. «Un'ultima cosa.» le disse. Allungò la mano e sfilò via dai capelli le mollette lasciandole ricadere i boccoli rossi morbidi sulle spalle .

«Molto meglio» disse Jace con una voce incerta come non la aveva mai sentita.

«Vogliamo andare o avete intenzione di restare qui tutta la notte?» sbottò Alec da dietro di loro. Jace si girò e si accorse che li stavano guardando tutti. Alec sembrava incazzato, Isabelle intrigata e il mondano era sbiancato totalmente.

«Certo che andiamo» disse voltando le spalle a Clary ancora rossa dall'imbarazzo.

  
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