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Autore: Kourin    25/11/2010    1 recensioni
All'Accademia Militare di Zaft dovrebbe essere un tranquillo pomeriggio di riposo, ma c'è chi non riesce a trovare pace.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Athrun Zala, Yzak Joule
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Miraggio

 

 

Ci hanno detto di rilassarci, di approfittare di questo pomeriggio per non pensare alla guerra perché siamo giovani e abbiamo questo diritto. L'istruttore aveva un sorriso bonario sulle labbra, come di affetto, e io ci sono cascato come un bambino che ascolta una bella storia. Sono passate due ore e la realtà mi ha già fatto capire che questa è una giornata inutile.

Sono andato in mensa, ma non avevo appetito. Stare in mezzo a quel vociare di stupidaggini non ha fatto altro che aumentare il mio nervosismo. Ho seguito Dearka e Rusty nel parco. Un commento sul look di una idol è stato il primo anello di una catena di argomenti sempre più futili che hanno finito per sciogliersi nel silenzio dell'ozio. No, lì proprio non ci potevo stare. Mi sono alzato dalla panchina e me ne sono andato.

Sono tornato indietro dirigendomi verso l'edificio centrale. Le sue ampie vetrate verde-azzurro riflettono il cielo estivo di Aprilius dove non passano né uccelli, né nuvole. Potrebbe essere una trappola: lì il vuoto mi attende per ingoiarmi e io non voglio rischiare. Lascio la strada principale e imbocco un sentiero lastricato di ciottoli bianchi. In principio è scuro, avvolto dall'ombra di una volta di ciliegi ornamentali. In primavera i rami, già appesantiti all'inverosimile dalle gemme, grondano di petali rosa e non c'è studente che non spenda una parola per decantare la bellezza di quella che a me pare solo una densa melassa. Quella stagione è passata da un pezzo. Ora i ciliegi sono creature grottesche vestite di anonime foglie seghettate. Incombono ricurve, per obbligarmi ad abbassare il capo e riconoscere quella grandezza che io ho sempre negato. Non mi voglio piegare. Mi faccio strada scostando le foglie con le braccia finché non giungo alla fine del viale e mi imbatto in un gazebo di legno. E' piccolo, in stile orientale. All'interno un corvo è intento a beccare qualcosa. Si accorge di me, piega il collo per scrutarmi, vola via.

Decido di attraversare il prato estivo non ancora falciato. Con il caldo che fa oggi è una follia, ma il caldo non deve influenzare le mie decisioni. So bene che il mio posto è la luce. La luce forte, intensa, che non si mescola all'ombra.

La trovo al centro di una radura vicino ai confini del parco. In lontananza sento il frinire delle cicale ma qui, intorno a me, non vi è nessuna forma di vita. Si sono arrese, tutte. Pianto i piedi per terra e mi soffermo a contemplare il mio regno assolato. Sento i raggi del sole che scaldano i miei capelli e che iniziano a bruciare la pelle del mio viso. Potrei togliermi la giacca, ma non lo faccio, non sono mica un codardo. Chi vincerà stavolta? Io, oppure il sole? Allargo le braccia e mi metto a ridere. Che stupido. Vedo già Dearka che mi trascina in infermeria pensando che il caldo mi abbia dato alla testa.

Giro su me stesso, osservo gli alberi che mi circondano. Sono belli, in essi non vi è traccia di malattia o sofferenza. In autunno perdono le foglie, riposano in inverno, fioriscono in primavera e in estate tornano rigogliosi ad assorbire questi raggi. Vivono. La loro linfa mescolata al mio sangue dà vita a questo Plant. Sono certo che i Natural bramano di cancellarli. I Natural vogliono donare loro il dolore che ancora non provano. Io devo difenderli, devo difendere Aprilius, devo difendere Plant.

Per quanto ci pensi, non riesco a capire questo mondo che continua a colpire noi Coordinator in modo così vigliacco. Non ha senso. Vogliamo essere un'umanità migliore. Ci proviamo anche attraverso la genetica, perché la conoscenza è la nostra più grande forza. Un mondo blu e puro che cosa sarebbe? Un mondo che accetta la violenza ma che rifiuta la conoscenza? Non ha senso. I Natural devono comprendere la nostra superiorità. Non possiamo continuare a subirli con l'unico pretesto che loro costituiscono le nostre radici.

Mia madre è il Consigliere di Martius e si batte ogni giorno per il futuro. Io non posso stare a guardare, ormai ho quindici anni e ho il pieno diritto di combattere in prima linea. Voglio essere presto lì, a tutti i costi, e voglio essere davanti a tutti. Non mi basta sentirmi dire che sono bravo perché faccio del mio meglio. Quella è la favola che si racconta ai bambini stupidi. Io non sono più un bambino e soprattutto non sono stupido.

Inizio a camminare tra gli alberi e i cespugli che circondano la radura. Le loro ombre scure mi invitano a deporre la sfida personale che ho iniziato con la luce di questo pomeriggio, ma io le evito di proposito. Voglio dimostrare loro che io sono forte, che sono il cavaliere legittimo di questo Plant. L'unica cosa che ho in mano è il secondo posto in Accademia e so che in guerra non vale nulla: voglio il titolo che mi spetta.

Davanti a me si apre una nuova distesa d'erba. E' leggermente in salita e termina con una recinzione metallica. Pare che la sfida avrà presto fine. Mi guardo intorno: alla mia sinistra c'è un salice. E' un albero alto e rigoglioso. La chioma verde argentato scende come un mantello fino a toccare il prato che la circonda. Intorno non c'è nulla: chi potrebbe reggere il confronto?

Decido che quel salice è il mio traguardo. Se riuscirò a superare a testa alta la distanza che mi separa da lui avrò vinto. Mi metto a correre, sento il cuore battere velocemente nel torace, che passo dopo passo si svuota di ogni peso. Il mio corpo riceve la forza della luce, la assorbe, la trasforma nella volontà che trarrà in salvo la mia gente.

Arrivo davanti all'albero. Respiro profondamente. Lo osservo e vedo che la chioma imponente è fatta di piccole foglioline appuntite. Un vento caldo e leggero le accarezza e il loro fruscio sembra dire "Bravo, ce l'hai fatta". Entro nell'ombra. La assaporo. Me la sono meritata.

Mi siedo sul soffice tappeto di trifoglio che cresce intorno alle radici e appoggio la schiena sulla corteccia grigia. E' il mio trono, mi pare più morbido e prezioso del velluto. Ascolto ancora le foglie mosse dalla brezza. Nel seguire le loro lente oscillazioni, le mie palpebre divengono pesanti e, inspiegabilmente, mi assopisco.

 

Non so quanto tempo sia trascorso. Al di là della coltre di foglie che mi separa dal resto del parco la luce è ancora intensa. Ho fatto dei sogni: erano strani, non li ricordo chiaramente. Una persona camminava accanto a me. Non era mia madre, eppure ero felice di esserle vicino. Non avevo più un obiettivo da raggiungere, forse l'avevo già raggiunto, oppure non aveva più importanza.

Un po' a malavoglia mi rialzo. Sono intorpidito e ci metto qualche istante per realizzare che c'è qualcuno. Arretro quasi spaventato, mi metto in guardia, ma l' istinto mi dice che non ho nulla da temere. Faccio un passo in avanti. Il terreno è morbido, non produce alcun rumore. Appoggio la mano sul tronco del salice e mi sporgo per osservare.

E' un ragazzino dai capelli blu. Il suo corpo è sottile, la sua bellezza è particolare, discreta. La testa è inclinata di lato, la divisa slacciata lascia scoperto il collo. Mi appare vulnerabile. Lui sente il mio sguardo. In qualche modo me ne dispiaccio, io non volevo fargli nulla. Si sveglia, sbatte le palpebre, ha l'aria di non capire dove si trova. Alza la testa verso l'alto, i suoi occhi smeraldini incrociano i miei. Pare quasi che non mi abbia riconosciuto.

Come se mi trovassi ancora in un sogno, cerco nella memoria il suo nome. Lo trovo, ma come le mie labbra si muovono per pronunciarlo, in me si risveglia una scia di emozioni che non riesco a toccare. E' come se quel nome si trovasse all'altro capo di una fune fatta di un groviglio di fili spezzati e taglienti.

E' ovvio, non può essere altrimenti: lui è il mio rivale. Quando lo sfido lui mi batte ferendomi a morte, ma io guarisco ogni volta, come vittima di una maledizione. Il mio orgoglio è così sfigurato da essere irriconoscibile, ma mi scaglio ancora contro di lui nella speranza di essere ridotto a brandelli. E poi? E poi non lo so, mi chiedo che cosa io voglia ottenere. Forse solo dimostrare al mondo che lo ama ciecamente quanto lui sia in realtà spietato e crudele. Perché altrimenti sarebbe qui, se non per usurpare ciò che credevo solo mio?

Distolgo lo sguardo, lui fa lo stesso. Sembriamo uno specchio, come quando lottiamo. Anche lui vede in me quella sembianza d'angelo che ho davanti io? Anche lui la vuole distruggere? Non capisco dove mi stiano portando i pensieri, non hanno più un senso. I miei occhi si fissano su un fiore. E' bianco e forte, ma la corolla è incisa da cicatrici irregolari. Provo a metterle a fuoco, il fiore scompare. Una cicala inizia a frinire, lo stridore penetra nelle mie orecchie. Stringo i pugni per resistere, il suono si impossessa del mio cervello.

La campana delle lezioni risuona a vuoto. Mi appiglio tenacemente ai rintocchi che, uno dopo l'altro, diventano sempre più nitidi e chiari. Distinguo di nuovo i petali di trifoglio, l'intreccio di rami, gli spiragli di luce che si aprono al soffio del vento tiepido. Il luogo da cui me ne sono andato mi richiama indietro.

Mi volto verso la via del ritorno, di scatto, perché nessun dubbio deve seguirmi. Il mio rivale si alza, sulla schiena sento il suo sguardo che mi tiene sospeso in un'ombra che non avrei mai dovuto cercare. Non è ostile, è limpido e calmo come l'illusione in cui mi ero assopito. Il vento spira più forte. Le foglie tremano, un brivido che corre lungo la spina dorsale mi libera dall'ultima incertezza.

Scosto le fronde con un braccio. Subito il calore del pomeriggio torna ad avvolgermi, ma continuo a sentire freddo. Muovo pochi passi, poi inizio a correre. E' diverso da prima: le gambe, le braccia, il cuore, tutto in me è pesante. Perché? Inciampo, cado sul prato, mi ferisco, provo vergogna.

"Athrun che tu sia maledetto," dico finalmente. Spero che ogni creatura qui intorno mi abbia sentito. Spero che lui, di me, stia dicendo lo stesso. Alzo gli occhi verso il cielo di Aprilius come per chiedere una conferma. Ma il cielo tace e i miei occhi iniziano a lacrimare. Di certo è a causa del sole.

Mi rialzo e proseguo sulla strada che ho scelto di percorrere.

 

 

***

 

 

E così arrivò anche la seconda versione dei fatti, se di fatti si può parlare. Finire nel mondo di Athrun non è stato facile per nessuno, nemmeno per Yzak che pure è un tipetto tosto. Chiudo questa fanfic sperimentale in modo che non possa più nuocere, riprendo il mio ruolo di autrice e ringrazio i coraggiosi lettori. Un grazie con cuoricino allegato va ad Atlantislux per le belle parole con cui recensisce e commenta questi piccoli ghirigori narrativi ^^

Kourin

  
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