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Autore: Oneechan    25/11/2010    2 recensioni
Esclusi gli occasionali omicidi, ero una persona abbastanza abitudinaria. Ed essendo single e non avendo rapporti interpersonali che andassero oltre una chiacchierata fra colleghi, non c'era proprio nessuno che potesse disturbare questa mia comoda routine. O almeno, così credevo.
Genere: Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si guardava intorno come un bambino in una cristalleria: trovava ogni cosa interessante, ma sapeva di non dover toccare niente.

Chiusi la porta a doppia mandata alle sue spalle e m’infilai la chiave in tasca per assicurarmi che, qualunque piega avesse preso la nostra conversazione, non potesse svignarsela senza il mio permesso.

Si voltò allungando un braccio, come se volesse presentarsi.

- Comunque, io sono…

- Non m’interessa chi cazzo sei. – lo interruppi bruscamente – Siediti.

Obbedì, e si lasciò cadere sul letto sfatto. – Ce l’hai una birra? – chiese.

- Non sei mio ospite, sei solo una scocciatura che mi sta rovinando la giornata. La birra te la prenderai quando sarai fuori, ammesso che uscirai da qui sulle tue gambe.

Presi la sedia dalla scrivania e mi piazzai di fronte a lui.

- Allora. Cos’hai di interessante da raccontarmi?

- Sei un’assassina.

- Supponiamo per un istante che sia vero. Come lo sai?

- Ti ho vista.

- Facciamo finta che io ti creda. Quando?

- La notte di martedì scorso, sul Blackfriars Bridge. Hai buttato il cadavere di un uomo giù dal parapetto dopo averlo sventrato.

- Però. E immagino che i giornali questo non l’abbiano scritto, vero? – lo afferrai per il colletto – Stai giocando col fuoco, ragazzino, ed è molto, molto pericoloso. Voglio sapere perché lo stai facendo proprio con me.

- Perché sei la persona che cerco. Perché so cosa sei capace di fare.

- Tu non mi hai visto fare un bel niente, e lo sappiamo tutti e due. Non hai la più pallida idea di chi sia l’assassino di quel tizio.

- Tu.

- Non è vero.

- Hai una parete coperta di articoli di cronaca nera.

- Sono un’eccentrica che s’interessa ai casi di omicidio.

- Quei vestiti sono sporchi di sangue.

- Mi sono tagliata mentre cucinavo.

- È pieno di roba in scatola qui, tu non cucini.

- Mi sono tagliata e basta, non sono affari tuoi. – ringhiai – Dimmi perché dovrei crederti.

Mi guardò con aria di sfida e nei suoi occhi ricomparve quel lampo d’innocenza che gli avevo visto mentre rideva. – Erano le 2 e 37 esatte quando sei arrivata. Trascinavi quel tizio per le spalle, era svenuto ma respirava ancora. Hai percorso solo pochi metri del ponte, probabilmente stavi facendo troppa fatica, sembrava avessi male da qualche parte. Indossavi una giacca chiara che poi hai ripiegato nella borsa prima di andare via. Siccome non c’era nessuno te la sei presa comoda, gli hai piantato la lama di un coltellino svizzero in un lato del collo e poi hai tagliato di netto fino dall’altra parte. Gli hai aperto la pancia, hai srotolato un paio di metri di intestino e ci hai fatto un origami attorno a un palo, poi hai preso lui e l’hai buttato di sotto. Gli era caduto qualcosa dalla tasca, penso un cellulare, l’hai raccolto e lanciato nel Tamigi. Poi te ne sei andata. Anche questo l’hanno scritto i giornali?

- Non era un cellulare. Era il suo portafoglio.

- Hey, era buio. Non potevo certo avvic-

Quando mi resi conto di aver spostato la mano dalla sua maglia al suo collo, era già per terra e io sopra di lui.

La sigaretta gli sfuggì dalle labbra e cadde lasciando un altro cerchiolino bruciato sul mio già logoro tappeto, mentre occhi-azzurri boccheggiava senza cercare di liberarsi dalla mia presa.

Guardai i suoi occhi appannarsi mentre il suo cuore batteva all’impazzata.

Gliel’avrei strappato, quel cuoricino palpitante, l’avrebbero ritrovato stretto fra le dita rigide del suo cadavere senz’occhi, quegli occhio così blu che avrei trasformato in gioielli e indossato mentre trattavo il suo corpo come un delizioso giocattolo da fare a pezzi…

Mentre stavo praticamente sbavando all’idea, lui non reagiva.

Potevo avergli fatto male sbattendolo a terra, ma diavolo, non abbastanza da non poter almeno provare a lottare contro una morte così violenta e dolorosa. Realizzai che mi stava semplicemente lasciando fare. Mi stava permettendo di ucciderlo.

Fu questo particolare a farmi risvegliare di colpo dalla trance in cui la rabbia mi aveva fatto sprofondare.

Mi costrinsi a lasciarlo e ad allontanare le mani da lui. Non fu una passeggiata: mi sentivo come un cane da caccia costretto a mollare la lepre dopo averla inseguita per tutto il bosco, ma alla fine riuscii a rialzarmi e fare qualche passo indietro mentre il petto di occhi-azzurri si alzava e abbassava freneticamente e il suo respiro provava a tornare regolare.

Asciugai la goccia di sudore freddo che mi stava scivolando lungo la fronte.

- Tu adesso esci da qui e non ti fai mai più vedere. – sibilai sforzandomi di restare calma – Dimenticati di me, e andrà tutto bene. Ma di una parola, una sola parola a chicchessia, e giuro che ti ammazzo come un cane.

- Perfetto. – dichiarò, la voce ancora strozzata – E’ esattamente quello che voglio.

  
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