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Autore: Meli_mao    26/11/2010    1 recensioni
Storia Classificatasi Seconda al contest "Dormono sulla collina" Indetto da NonnaPapera.
"Ho assistito ad uno scontro tra gladiatori; Mi sono inginocchiata ai piedi di Filippo II; Ho conosciuto il piccolo Alessandro Magno; ho viaggiato al fianco di Cristoforo Colombo; Ho navigato sotto la guida di Bartolomeu il Portoghese nel mar dei Caraibi; la regina Maria Antonietta era davvero bella come dicono; ed io non ho mai visto nessuna stella cadente illuminarmi il cammino.
Eppure sono ancora qui, e sarò ancora qui molte altre volte.[...]
E per quanto la gente non veda altro che una ventenne in me, nei miei occhi ci sono tutte le ere di questo mondo".
Grazie grazie grazie a chi leggerà!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Castaway

 

Capitolo Primo.

 

 
Sono morta innumerevoli volte.
Venti circa, o forse è alla ventesima che ho smesso di tenere il conto.
Ho una gran buona memoria, ma non perfetta. Molto spesso confondo i ricordi.
Le epoche, le età, le persone… Si mescolano, come granelli di sabbia che scivolano in una clessidra.
I volti dei miei genitori sono opachi, sbiaditi, lontani. La mia prima casa non esiste più.
Ciò che mi resta è solo la capacità di adattamento. È necessaria, per continuare.
Così mi ritrovo per la stessa strada, ad intervalli regolari di 100 o più anni, con il vento che mi scompiglia i capelli sulle spalle, una gonna corta ed un cappotto pesante slacciato.
Ho assistito ad uno scontro tra gladiatori; Mi sono inginocchiata ai piedi di Filippo II; Ho conosciuto il piccolo Alessandro Magno; ho viaggiato al fianco di Cristoforo Colombo; Ho navigato sotto la guida di Bartolomeu il Portoghese nel mar dei Caraibi; la regina Maria Antonietta era davvero bella come dicono; ed io non ho mai visto nessuna stella cadente illuminarmi il cammino.
Eppure sono ancora qui, e sarò ancora qui molte altre volte.
Ora vi chiederete: come è possibile che sia morta innumerevoli volte?
Ma io vi risponderò che la morte non è un cuore che smette di battere, una mente senza pensieri o sogni, né un corpo accasciato a terra  o disteso su un letto.
La morte è un oscuro oblio di insicurezza e paura. La morte è solitudine.
E per quanto la gente non veda altro che una ventenne in me, nei miei occhi ci sono tutte le ere di questo mondo.

 
Mi siedo in un bar, al tavolino accanto alla finestra. Sorseggio una tazza enorme di caffè. Le mani mi tremano per il troppo freddo, ed i capelli sono umidi per la pioggia appena presa.
Il bustino rosato che indosso – ci sono troppo affezionata per poterlo abbandonare al primo cambio di moda, anche se è dal 700 su per giù che lo posseggo – mi stringe sul seno.
“Cristo Margaret, che giornata orribile per un incontro!” La voce non è burbera, nonostante sia scocciata.
Mr. Smith – nome d’arte – si siede di fronte a me, richiamando una cameriera con uno scatto rapido della mano. Il suo respiro veloce ed il sapore della menta del dentifricio per un attimo mi schifano, così non incrocio il suo sguardo fino a che non mi sono abituata.
“E’ da un bel po’ che non passi da queste parti” brontola amichevolmente, togliendosi il cappotto.
“Ventitre anni!” dico piatta, stringendo le labbra tra i denti per un attimo.
Lui mi fissa, dubbioso. Non lo vedo, non ancora, ma so già cosa sta pensando.
“Alcuni vecchi compagni di classe vivono ancora qui, sì. Tuttavia non abbastanza vicini a questo quartiere, né desiderosi di passarci per un caffè alle 6 di domenica mattina, con la pioggia!” Preciso, portando finalmente gli occhi su di lui.
Mi sorride tranquillo, come sempre. Ha questa dote, lui. Non riesco mai a comprenderlo del tutto.
“Una città tranquilla, ma ancora mi sfugge questo tuo attaccamento ad un posto come questo”.
“Non è per la città che torno”.
Lui non cambia espressione, ma incrocia le braccia sul tavolo.
“E dunque, cosa posso fare per te?” Chiede cortese, nascondendo molto bene l’occhiata che ha lanciato verso un signore seduto poco distante.
“Tiene a freno le tue pistole, è solo un vecchio sordo…” Sussurro.
“In ogni caso, mi serve solo un documento, niente di che”. Attendo in silenzio che lui estragga dalla tasca il taccuino blu solito e che afferri la penna.
“Patente, carta d’identità…?” elenca.
“Credo che la carta d’identità andrà bene”
“Nome?”
“Posso tenere il mio”
“E’ rischioso… sei già stata qui pochi anni fa. Qualcuno potrebbe riconoscerti, se non dal viso dal nome appunto”.
“Allora inventane uno tu, è indifferente”.
Annuisce mesto, scarabocchiando qualcosa.
“Devo inventarmi anche compleanno, città di provenienza ed il resto?”
“No, il compleanno lascia il mio… cambia l’anno, ovvio”.
Annuisce di nuovo.
Poi alza gli occhi neri su di me.
“Tutto qui? Mi hai fatto alzare alle 5 per una carta d’identità?”
“No, ti ho fatto alzare alle 5 perché è un orario tranquillo”
Non risponde, ma si infila di nuovo il cappotto pesante, e stringe appena la cravatta.
“Domani sarà pronto”. Celere, come sempre.
“Abiti ancora in quell’appartamento?”
“Ti aspetto per le due di pomeriggio”
“E’ un orario rischioso…”
“Attenta allora”.
Improvvisamente mi sembra indispettito, eppure lancia sul tavolo soldi sufficienti anche per il mio caffè.
Sento le sue pistole tintinnare lievemente contro il suo petto, nascoste sotto gli indumenti.
“Ciao bimba”. E si allontana, silenzioso come è molto bravo ad essere.

 
Mr. Smith non è un brav’uomo, ma è ottimo nel suo lavoro.
Per questo probabilmente il suo appartamento è assai diverso dalle topaie dei suoi “colleghi”.
Uomini di guardia, prostitute sorvegliate e pulite, locali all’ultima moda. Ovviamente, tutto abbastanza triste se non lo si frequenta di notte.
Mi accoglie in terrazza, sempre col cappotto nero e il completo della stessa tinta. Gli occhiali scuri per ripararsi da un sole così pallido da non meritare tale titolo.
 “Bimba, sei in perfetto orario”. Con un gesto della mano manda via una giovane donna e due uomini armati.
L’odore della polvere da sparo mi nausea, ma non cambio espressione.
Mi invita a sedermi e mi porge un pacchetto marrone di piccole dimensioni.
E io ricambio con un plico di banconote nuove.
“C’è anche la patente, io non ti avevo chiesto…”
“Non te la farò pagare, Margaret! È un regalo di bentornato, sperando tu possa fermarti da me e non tornare a dormire in quella stanza presa in affitto anche dai cani”. Spiega allegro.
“Oh non fare quella faccia. So benissimo che sai che ti ho fatto seguire”.
Già, lo sapevo.
“Allora, resti a far compagnia ad un vecchio amico?”
“Non mi pare tu abbia bisogno di compagnia”
“Che frase fatta…” Ma non aggiunge altro, attendendo che un’altra giovanetta in biancheria intima porti un vassoio di tè caldo.
“Fai un bagno caldo, mangia qualcosa, cambiati… poi ne riparliamo con calma” si affaccia al bordo della terrazza, fissando con orgoglio il paesaggio sotto di lui.
Non mi sembra ci sia molto di cui  riparlare, ma un bagno caldo e un pasto gratis fanno sempre comodo. Così seguo la ragazza come se non conoscessi la strada per il bagno, e resto zitta.
 

Quando cammino sola per la strada mi sento parte di qualcosa. Dell’universo probabilmente.
Seguo il flusso di persone e dei loro pensieri, mi ci lascio andare dentro.
Qualcuno soffre per un amore, qualcuno per un’amicizia, qualcun altro per una scomparsa. C’è anche chi crede di essere felice ogni tanto. È raro, ma capita.
È la mela marcia del sistema.
Non ho mai avuto legami duraturi. I sentimenti rimangono per il tempo di una vita, poi sfioriscono lentamente.
Chi ha conosciuto il mio segreto o è scappato o ha finto di non capirlo.
Mr. Smith però è sempre rimasto. Mi dispiacerà, il giorno in cui anche il suo corpo cadrà per mano del destino.
Terrò d’occhio la sua tomba, per portargli fiori freschi. In fondo, lui è sempre stato gentile con me.
E forse, tornerò per partecipare al suo funerale. Un omaggio che concedo a tutti a dire il vero. Ci sono periodi della mia vita in cui, per alcuni mesi, non faccio altro che presiedere ai funerali.
È una buona cosa, che muoiano tutti insieme. Mi risparmiano viaggi di andata e ritorno inutili e il dolore lo si percepisce una volta sola, semplicemente.
È veramente una cosa buona.

 
Stringo il piccolo coltello sulla coscia, agganciato in maniera sicura. Sul fianco sistemo la mia solita pistola bianca.
Raccolgo i capelli con una coda, scostando la lunga frangia all’indietro. Sanno di pesca, il bagnoschiuma. Per qualche attimo l’intensità del profumo mi impedisce di sentirne altri.
La giovane ragazza mi chiede se rivoglio i miei vecchi abiti o preferisco qualcosa di più “fresco” – sinonimo nella loro lingua di “pulito” – .
Mi lascio convincere solo per gli stivali, i miei sono logori.
Ma la gonna corta nera, il mio vecchio corsetto rosa, ed il cappotto non posso lasciarli andare.
Mr. Smith mi aspetta con il solito sorriso e gli occhiali scuri, le gambe accavallate e le braccia aperte.
“Grazie” Sento di doverlo dire.
Lui alza le spalle e io mi siedo su una poltrona fin troppo grande.
“Lo sai vero che questo non mi convincerà a trasferirmi da te?”
“Lo sospettavo, ma ci conosciamo da parecchio e volevo solo essere gentile”.
Sorrido anch’io.
“Ti conosco da quando era un marmocchio con la fissa del mafioso”.
“Bei tempi, quelli. Bei tempi…”
“Tornano. Prima o poi si ritorna all’inizio, sempre”.
“Peccato che io non li rivedrò”.
“Per gli uomini ci sono le stagioni giuste. Tu eri destinato a fiorire in questa, non rimpiangere quelle passate, non serve a nulla”.
Alza di nuovo le spalle, insoddisfatto.
“Resti per cena?” mi chiede sereno, sfoggiando la solita strafottenza di chi non vuole un rifiuto.
“Mr. Smith, ho vissuto molto più a lungo di quello che appare… cosa vuoi sapere?” Non dubito della sua buona fede, tuttavia lo conosco abbastanza per capire che vuole qualcosa da me.
Tace qualche tempo, portandosi alle labbra una sigaretta e aspirando diverse volte.
“Ogni tanto ti invidio. Tutti ti invidiano in effetti, anche se hanno paura. L’immortalità…”
Aspira di nuovo.
“Non farò moralismi, né discorsi intrisi di depressione” chiarisce.
“Stai morendo!” Le parole mi escono rapide, accompagnate da un pensiero ovvio che tengo per me.

Tutti gli uomini dicono le stesse cose arrivati a questo punto.
Lui sorride ancora, tranquillo.
“Il mio dottore non si pronuncia nemmeno più…” ammette.
“Così quando ho avuto la tua chiamata, ho pensato che avrei potuto chiederti il segreto, il come. Ho pensato che fosse un segno ecco. Ma poi, ieri in quel bar, non ce l’ho fatta. Il fatto è che non mi interessa”.
Lo guardo  mentre si toglie gli occhiali e i sui occhi neri fissano sereni la sigaretta tra le dita.
Ecco il suo lato insolito. Anche ora, a due passi dal sonno perenne, non riesco a capirlo. Mi è sembrato scontato, qualche secondo fa. Ma ora non lo è più.
Ecco Mr. Smith, l’enigma.
“Però c’è una cosa che fremo dalla voglia di chiederti, Maggie. A prescindere dalla situazione attuale…”
Mi guarda, pronunciando quel soprannome con affetto. Un affetto che non ricordo nemmeno che senso abbia.
“Perché questa città, quello stupido buco per cani? Perché sei così ossessionata da questo luogo?!”
E attende.
“Perché pensi che te lo dirò?”
“Perché sono un povero moribondo…” annuisce convinto, scoccando una rapida occhiata senza fini verso la mia pistola.
“Questo genere di cosa non mi interessano” Mento spudoratamente, o forse nemmeno troppo.
“Maggie…” mi chiama, con voce così bassa da farmi venire un brivido.
“Ci sono cresciuta, in quella casa per cani”. Sputo con naturalezza, sfiorando con le punta delle dita la mia arma sul fianco.

 
C’è un momento della giornata in cui tutto è sempre uguale, non importa l’anno, non importa il giorno.
Quel momento cambia sempre orario. Ogni tanto è la sera, altre volte i minuti appena dopo mezzogiorno.
Non saprei dire con precisione quale sia, ma c’è. Lo percepisco.
C’è il solito uguale profumo, lo stesso identico tempore anche se fa freddo, e le stesse chiassose espressioni dei passanti.
Così, quando passavo per queste strade tempi addietro, mi piaceva fermarmi ad aspettare che la sensazione passasse.
Nessuno se ne accorgeva. Nessuno realmente nota una persona in una strada affollata, a meno che non la stia tenendo d’occhio da prima.
I miei piedi si immobilizzavano, e le mie mani salivano sul mio volto per togliermi i capelli da davanti e permettermi di gustare quella sensazione della durata di un battito di ciglia.
Poi finiva, se ne andava. E ricominciavo a camminare.
In cuor mio, mi piaceva l’idea dell’inaspettato.
Quando vivi per così tanto tempo, c’è ben poco che ti stupisce.
Fu in uno di quei momenti che incontrai Madame Brunette.
Era una vecchia singolare.
Portava un vecchio scialle viola di lana grezza, che si sarebbe portata fin nella tomba; un’acconciatura d’altri tempi con una parrucca grigia; vestiti neri comprati in negozi di terza categoria per pochi penny e l’odore acre dell’alcool, anche se lei – come ebbi modo di conoscere – non beveva affatto.
Madame Brunette mi aveva squadrata per bene ed infine, arrivandomi vicina con il suo bastone di legno massiccio, mi aveva semplicemente chiesto quanti anni avessi.
In un secondo rammentai le parole di una donna. Mi aveva chiamato “lurida sedicenne”, così quella fu l’età che mi attribuii.
“Sei vergine?”
Chiese infine.
“No”
Lei grugnì piegando le labbra nel dubbio, ma poi si arrese.
“Tanto meglio… Vuoi due pasti caldi e un tetto sicuro?”
E io, seppur non  avessi bisogno di tutta quella cura per me, acconsentii. Ero curiosa, molto curiosa di sapere se quella donna potesse offrirmi qualcosa al di fuori di cibo e un letto.
Scoprii in seguito che non aveva creduto nemmeno per un minuto che quella fosse la mia vera età.
Così come realizzai poi che io avevo, per lei, l’aria di una povera anima abbandonata da Dio.
Fu quello, per quanto insolito per una donna della sua tempra, ad impietosirla.

 
Quando varcai la soglia del “Castaway” intorno a me vi era un silenzio spaventoso.
“Le mie ragazze dormono. Fai piano!” mi ammonì lei, indicandomi una sedia ed una poltroncina logora di fronte ad un camino acceso, in una stanza adiacente.
Ovviamente a me spettava la prima.
Quel posto puzzava di urina e sperma, ma stranamente il mio olfatto lo percepì con alcuni minuti di ritardo.
Fu il rosso delle pareti, della moquette e delle tende a stordirmi. Un rosso così forte e macabro. Nemmeno il sangue ha quella colorazione sconvolgente.
Sembravo calata in uno strano incubo, quello che  cercavo disperatamente di lasciare dietro di me ogni qual volta camminavo per la strada senza voltarmi indietro.
Al tempo vivevo a caso, senza interessarmi ad affittare un appartamento od una stanza, nonostante avessi le possibilità per farlo.
I miei capelli lunghi lentamente erano diventati neri come il terriccio bagnato dei bordi strada. Le mie dita tagliuzzate e dure; le mie labbra piegate all’ingiù e livide.
Quando Madame Brunette mi ripulì, lo specchio mi offrì una visione così diversa di me da spaventarmi.
Fu lei a darmi questo nome, Margaret Polchet. Così mi chiamavano.
Avrebbe dovuto suonare alla francese, ma con scarsi risultati.
In ogni caso, su quella vecchia sedia lei mi spiegò le prime regole base:
“Niente concorrenza. Disponibilità solo finché si sta qui dentro, intesi? Nessuno ti porterà fuori di qui, non senza il mio consenso per lo meno. I tuoi guadagni serali verranno dati per l’80 per certo a me. Io provvederò al tuo cibo e al tuo letto. Persino i cosmetici di cui avrai bisogno me li accollerò io. Per il restante 20 vedi di farci quel che ti pare!”. Aveva tossito forte, allungando le mani verso il fuoco e lasciando ricadere lo scialle sullo schienale della sua poltrona.
“Nessuna romanticheria o preferenza. Chi toccherà a te dovrà uscire soddisfatto da qui, anche se è un vecchio o un barbone. Ah e a proposito… prima ti mostreranno i soldi, poi potranno permettersi di scegliere. Ovviamente ci sono molti illustri gentiluomini assai noti qui, ma c’è tempo, avrai modo di conoscerli”. Mi fissò dubbiosa, senza l’ombra di imbarazzo.
“Hai capito cosa dovrai fare, vero?” chiese infine, poggiando i gomiti sui braccioli ed alzando il mento in attesa.
“Un bordello…” mi uscì lentamente, mentre i miei occhi cadevano incuranti sugli oggetti attorno.
“No no mia cara. Questo è Castaway! Il Bordello”.

 

Note:

Dunque... poche righe per ringraziare di cuore NonnaPapera sia per il contest splendido che ha indetto, sia per avermi piazzato in seconda posizione! Ne sono onorata.
Complimenti a tutte le altre partecipanti ovviamente e un grazie anche in anticipo a chi vorrà leggere e commentare!
La storia è di tre capitoli, spero abbiate la pazienza di seguirli tutti...

Il giudizio lo posterò nel finale.

Baci, Meli_mao!

   
 
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