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Autore: Frytty    28/11/2010    2 recensioni
Non mi piace Londra, ma in compenso adoro la pioggia.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Robert Pattinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti! Sono una ritardataria cronica, lo so e anche questa volta non ho scuse, perché il capitolo era già pronto. In verità, ho valutato l'ipotesi di un Epilogo, nel senso che, inizialmente, nella mia mente si era affacciata quest'idea, poi ora ho pensato di riesaminarla, perché non ho scritto un Prologo e un Epilogo mi sembra inutile senza un prologo, quindi ho dovuto riadattare questo capitolo come "ultimo capitolo", visto che terminava con la "speranza" dell'Epilogo.

In ogni caso, visto che non ci sono recensioni allo scorso capitolo, voglio fare un ringraziamento generale a tutti quelli che hanno letto, aggiunto tra le preferite, ricordato, commentato e tutto il resto, perché, davvero, senza di voi questa storia non sarebbe andata avanti. Magari lo sentite ripetere da ogni autore alla fine di una storia, ma è la verità e per noi che scriviamo è importante anche solo un rigo di recensione, o qualche parola, perché ci permette di non abbandonare il nostro "lavoro" e di continuare, perché nel bene o nel male ci sarà sempre qualcuno che ci seguirà.

Vorrei inserire tutti i vostri nomi qui, ma siete davvero in tante, perciò mi limito ad inviarvi un abbraccio digitale e un GRAZIE che viene davvero dal cuore <3

Sperando che questo capitolo vi soddisfi, scrivo la parola fine per questa piccola Ff (anche se con i lacrimoni agli occhi ç_ç)

 

 

 

Un anno e due mesi dopo

 

< Che ansia, diamine! > Me ne sto qui, seduta sul bordo vasca del mio bagno ad osservare Abigail che regge in mano quella che dovrebbe essere la gioia più grande della mia vita se solo fosse positiva.

Strano. Se penso che un anno e qualche mese fa neanche lo volevo un bambino ed ora sto sperando con tutto il cuore che il test sia positivo, mi dò della stupida da sola.

< Manca un minuto e mezzo. > Mi avvisa Abigail, controllando l'orologio.

Sbuffo impaziente. Mi prendo la testa tra le mani e mi stropiccio gli occhi.

< Non eri così agitata nemmeno il giorno del tuo matrimonio, sai? > Mi fa eco la mia migliore amica con un sorriso.

< Questo perché qualcuno ha quasi tentato di anestetizzarmi! > Borbotto, guardandola minacciosa.

Lei fa spallucce, indifferente e controlla di nuovo l'orologio.

< Un minuto. > Avvisa.

< Ti prego, avvisami quando scade il tempo, ok? Mi sembra di essere di fronte ad una bomba con timer. > Sbotto, esasperata.

< Sei troppo tesa, tesoro! Che sarà mai! Se anche fosse negativo potete riprovarci, no? > Aggiunge ovvia, sbirciando nella mia trousse sul lavabo.

< Questa è la quinta volta che faccio il test, Abigail e siamo sposati solo da nove mesi! Sai cosa significa? > Ribatto.

< Sì, che ti stai stressando troppo e tutto questo non ti fa affatto bene. Se deve arrivare un bambino, arriverà. > Tira fuori uno dei miei ombretti, provandoselo sul dorso di una mano.

Sbuffo.

Ok, forse ha ragione lei, ma non riesco a rilassarmi in questo periodo e la mancanza di Robert non mi aiuta affatto. Sono tre mesi che non ci vediamo (se non contiamo un fine settimana in cui ho deciso di fargli una sorpresa e sono volata da lui, sul set) e da quando ha finito di girare il suo penultimo film è potuto rientrare a casa solo per una settimana.

Mancano solo due giorni al suo rientro e anche se la cosa dovrebbe tranquillizzarmi, sono più agitata di prima.

Voglio avere qualcosa da dirgli al momento del suo ritorno e vorrei che fosse una delle cose in cui, in fondo, speriamo un po' tutti e due: l'arrivo di un bambino o una bambina.

Mia madre dice che siamo ancora così giovani e che non dovremmo preoccuparci di avere figli adesso e Clare pensa la stessa cosa. Anche se Robert ha deciso di prendersi una pausa dopo quest'ultimo progetto, ha sorvolato sulla cosa, almeno con i suoi, perché non vuole mettermi in difficoltà e mi ha rassicurata sul fatto che se un giorno capiterà lui sarà al settimo cielo, ma non dobbiamo per forza impuntarci. Sono stata d'accordo con lui, inizialmente, voglio dire, non è così urgente avere un bimbo, ma da quando è partito ho iniziato a pensarla diversamente.

Mi piacerebbe avere una sua copia in miniatura che gironzola felice per casa. Mi sentirei meno sola.

< Tempo scaduto! Allora, vuoi che ti dia io il responso o vuoi guardare da te? > Abigail tiene la mano premuta esattamente sul tassello in cui dovrebbe apparire la famosa striscetta colorata, per non guardare.

< Faccio io. > Le dico, alzandomi in piedi e raggiungendola. Chiudo gli occhi quando mi passa lo stick e li apro uno alla volta, il cuore che batte a mille e le mani che tremano vergognosamente.

< Dai, dai! Sono curiosa! > Saltella accanto a me eccitata.

Rosa.

Rosa.

E' davvero rosa.

< Sei incinta!!! > Urla, abbracciandomi, mentre io, ancora incredula, rimango con gli occhi sbarrati a fissare il vuoto.

< Alexandra? Alexandra, ci sei? > Mi sventola una mano davanti agli occhi, preoccupata, ma io non vedo altro che quel colore nella mia testa, esattamente come l'ultima volta che ho scoperto di essere incinta, in quell'albergo modesto a New York.

< E' rosa sul serio, vero? > Le chiedo conferma, passandole lo stick.

< Certo che lo è, ma che ti prende? Hai cambiato idea? > Mi fissa stranita, seguendomi in camera da letto.

Ricado sul materasso distesa, le mani che ancora tremano.

< Si può sapere che succede, Al? > La osservo sedersi accanto a me, paziente, tra le mani ancora il test positivo.

Due lacrime sfuggono al mio controllo, bagnandomi le guance, ma le asciugo subito con una mano.

< Ehi, andrà tutto bene, vedrai. Non succederà nulla. > Abigail mi accarezza la testa, premurosa. In quest'ultimo periodo ha imparato a conoscermi meglio, a leggermi negli occhi quando c'è qualcosa che non va, come Robert ed ora anche con lei risulta tutto più semplice rispetto al passato.

La mia paura è quella che possa perdere anche questa volta la piccola creatura che cresce dentro di me, che possa succedere tutto come un anno fa.

< Se dovesse succedere di nuovo, Ab? Sai quello che ha detto il dottore e sai che c'è questa possibilità. > Mi rimetto a sedere e mi sfugge un singhiozzo mentre altre due lacrime mi rotolano giù lungo il percorso già seguito da quelle precedenti, ma questa volta non tento di fermarle.

< Hai solo bisogno di riposo, Alex, niente di più. Ti sei buttata a capofitto nel lavoro l'ultima volta e questo ha comportato dei problemi, ma vedrai che se starai attenta andrà tutto per il meglio e fra nove mesi stringerai un bel fagotto! > Mi sorride e mi abbraccia affettuosamente.

< Non resta che dirlo a Robert, ora. > Aggiunge dopo qualche istante.

 

< Aleeeex! Sono tornato! > Poggio le valigie nell'ingresso e accendo la luce in cucina. E' troppo presto perché sia già andata a letto.

< Alex, dove sei? > La chiamo, sbirciando in camera da letto e poi nella stanza degli ospiti. Niente neanche in bagno e nello studio, il soggiorno è vuoto, come anche lo stanzino.

Sapeva che sarei tornato stasera, possibile che abbia deciso di uscire?

Nell'esatto momento in cui ho già preso il cellulare in mano e composto il suo numero, il rumore di una chiave nella serratura della porta d'ingresso, mi fa alzare la testa. Nemmeno si accorge di me, immerso nel buio come sono, ma quando riconosco i suoi capelli lunghi e castani e il suo modo buffo di sospirare, sorrido.

Entra in cucina, ignorando le valigie, aprendo il frigorifero e tirandone fuori uno degli yogurt di Abigail che ancora non capisco come mai si trovino a casa nostra.

Mi avvicino lentamente, cercando di non manifestarmi prima del dovuto, e la abbraccio da dietro, scostandole i capelli con il naso e baciandole la pelle sensibile dietro l'orecchio.

< Robert! Mi hai fatto perdere dieci anni di vita! > Mi rimprovera, liberandosi del mio abbraccio, ma sorridendo.

< Mi spiace, ma eri così assorta che non ho resistito. > Faccio spallucce. < E comunque mi sei mancata tantissimo! > La abbraccio di nuovo, sollevandola e lei ricambia felice, baciandomi una guancia.

< Anche tu, tantissimo! > Mormora, ancora il cucchiaino dello yogurt in mano. Fa scontrare le nostre labbra ed io, quasi senza rendermene conto, la sollevo in braccio e la faccio sedere sul tavolo dietro di me, allargandole le gambe per avere maggiore accesso alla sua bocca. Profuma di fresie appena colte.

Il matrimonio per noi non è stato un trauma: si parla sempre di coppie che dopo il matrimonio si ritrovano a litigare tutti i giorni, che impazziscono se il proprio compagno rientra troppo tardi a casa, che non sentono più quell'attrazione fisica di un tempo. Per noi, invece, è stato come passare al livello successivo. Forse perché avevamo già testato una specie di convivenza, forse perché siamo davvero anime gemelle, non abbiamo avuto problemi e, nonostante la lontananza, siamo riusciti a sopravvivere e a continuare ad amarci senza litigare.

Le bacio il collo, stringendole i fianchi e lei mi lascia fare, intrufolando le mani sotto la maglietta per accarezzarmi la pelle dei fianchi e del torace.

Sono solo io, oppure era davvero una vita che non la sfioravo? Non riesco a trattenermi e sembra che neanche lei voglia farlo, tanto che mi ritrovo i pantaloni slacciati, alle caviglie, senza nemmeno sapere bene come e la maglietta sfilata per metà. Me ne libero lesto e la sollevo di nuovo in braccio, facendo aderire perfettamente i nostri bacini, sentendola sospirare. L'unico rumore che avverto è quello dell'acciaio del cucchiaino che è scivolato a terra, ma non me ne curo, troppo preso a pensare a lei.

Le impegno di nuovo le labbra con le mie, schiacciandola contro la parete del corridoio. La camera da letto è decisamente troppo lontana per i miei gusti. La scosto dalla parete e la sospingo gentilmente verso il divano, facendola sdraiare sotto di me e aiutandola a liberarsi della maglia e dei jeans.

Le mordicchio la pelle calda, arrivando fino agli slip, abbassandoli con due dita fino alle ginocchia. Lei fa lo stesso con i miei boxer. Impaziente di sentirmi, solleva il bacino contro il mio e geme frustrata. Mi rifiuto di farla attendere oltre e la bacio di nuovo prima di entrare in lei, rimanendo senza fiato.

L'orgasmo non si fa attendere per entrambi ed io mi ritrovo ad accasciarmi su di lei senza forze, cercando di non pesarle troppo addosso.

< Dovrei eliminare qualche cuscino. Risulta molto scomodo quando si vuole utilizzare il divano per attività alternative. > Sorride e sfila da dietro la sua testa un cuscino verde acqua, stringendoselo sul petto.

< Ti porto a letto. > Le bacio una guancia e mi rimetto in piedi, raccogliendo i miei vestiti e infilandomeli alla bell'e meglio, prima di prenderla in braccio e portarla in camera da letto, lasciando che si intrufoli sotto le coperte calde.

< Dove vai? > Sento che mi domanda, mentre sto per andare a recuperare anche i suo vestiti dalla cucina.

< A prenderti i vestiti. > Le sorrido.

< Lascia stare, possono aspettare. Resta un po' con me. > Mi fa segno di stendermi accanto a lei ed io ubbidisco, sentendola stringersi a me e rilassarsi.

 

Non sono una di quelle persone che cercano di tergiversare le cose, di girarci intorno, ma, questa volta, ho davvero paura e intendo paura non nel senso lato del termine. La mia paura è quella che vada di nuovo tutto storto, che succeda come un anno fa e che Robert mi abbandoni di nuovo e anche se Abigail dice che non succederà, non può esserne sicura, come non posso esserne sicura io o il dottore. Bisogna solo aspettare.

< Devo dirti una cosa. > Continuo a giocherellare con la pelle della sua pancia solo per non alzare lo sguardo su di lui.

< Cosa? > Mi chiede, accarezzandomi i capelli e anche se non riesco a guardargli il viso, so che sta sorridendo.

Prendo un bel respiro.

< Sono incinta. > Sento le sue dita fermarsi, rimanere intrappolate tra i miei capelli senza fare niente per districarvisi.

< Sei... dici sul serio? > Mi decido ad alzare gli occhi sul suo viso: la sua espressione è un misto di felicità, orgoglio e sollievo, gli occhi gli brillano di gioia.

Annuisco, sorridendo.

< Sono andata dalla ginecologa stasera e me l'ha confermato. Sono alla terza settimana. > Gli spiego.

< Dio, è meraviglioso, Alexandra! Cosa ti dicevo? > Mi abbraccia stretto e ho l'irrefrenabile voglia di piangere dalla felicità. Prima che una lacrima possa bagnarmi la guancia, però, Robert si solleva appena e mi scosta da sé con delicatezza e decisione, scrutandomi serio.

< Lo vuoi davvero, Alexandra? Non voglio essere egoista e non voglio che tu debba subire una gravidanza solo perché io ne sia felice. Voglio che lo sia anche tu. > Mi fa presente, serio.

Annuisco, tirando su col naso. Sono più che sicura questa volta.

< Al cento per cento. > La mia voce trema appena per via delle lacrime che ancora cerco di trattenere, ma il mio tono è sicuro, senza incertezze.

Mi accarezza una guancia e mi sistema i capelli dietro le orecchie, attento, poi sorride, un sorriso che mi fa totalmente sciogliere come neve al sole e mi fa scoppiare a piangere incontrollata, costringendomi a rifugiarmi tra le sue braccia.

< Tesoro, cosa succede? > Mi domanda preoccupato, cercando di calmarmi, accarezzandomi la schiena, dolce.

< Se succedesse come l'ultima volta? Se perdessimo anche questa possibilità? > Mormoro tra un singhiozzo e l'altro.

< Alex, basterà che tu stia a casa, tranquilla e vedrai che andrà tutto benissimo. Non voglio dire che devi startene tutto il giorno a letto, ma basterà non stressarti più del dovuto e andrà bene, ne sono sicuro. > Mi tranquillizza. < E poi sarò sempre con te, non ti lascerò mai. > Continua, baciandomi i capelli.

Forse ha ragione. Sono solo mie inutili paranoie, queste. Se continuo a pensare troppo al fatto che potrebbe non filare tutto liscio, finirò solo con il peggiorare le cose. Per nove mesi devo rinunciare ad esibizioni e tour in giro per lo Stato, ma non mi sembra più così terribile come un tempo, perché questa volta sono sicura di ciò che voglio e non intendo perderlo per la mia stupidità.

< Hai fame? > Mi chiede con un sorriso quando riesco a calmarmi, separandomi da lui per sedermici accanto, poggiando la schiena contro la testiera del letto.

Annuisco, felice.

< Non ti ho neanche lasciato mangiare. > Borbotta contro se stesso prima di baciarmi una guancia e sgusciare via da sotto le coperte per correre in cucina.

Ritorna dopo qualche minuto con un vassoio pieno di tutto quello che è riuscito a trovare.

< Ma qui ci può mangiare un esercito, Rob! > Rido, allungandomi per afferrare una fetta di pane tostato.

< Le donne in gravidanza non hanno sempre voglia di cose strane? Ho pensato che almeno così potevi scegliere. > Fa spallucce e mi si siede accanto, mordicchiando anche lui una fetta di pane tostato.

< Grazie, sei un amore. > Gli bacio una guancia e mi siedo di fronte a lui, facendo in modo che il vassoio non si rovesci, trattenendolo con le gambe al centro, esattamente in mezzo a noi due.

< E' incredibile che tu sia già incinta di un mese, sai? > Mi dice.

Faccio spallucce. Sembra incredibile anche a me.

< Sono tre settimane, per la precisione. > Puntualizzo.

< Rimane comunque incredibile. > Mi fa una linguaccia per la mia precisione.

< Cos'è, non sei sicuro che sia tuo? > Gli chiedo provocante, avvicinandomi al suo viso.

< E tu hai da confessarmi qualcosa? > Risponde con lo stesso tono, avvicinandosi a me, le sopracciglia aggrottate.

< Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda, sai? > Gli faccio presente, riprendendo il mio posto e lui il suo.

< E poi sono sicuro che sia il mio. > Precisa, saccente.

< Adesso che sono sposata non posso permettermi più certi lussi... > Giocherello con la fede all'anulare, facendo finta di niente.

< Sei un piccolo diavoletto, lo sai? > Allunga le mani per acchiapparmi i fianchi e pizzicarmeli, facendomi solletico.

Rido, dimenandomi.

< Non è giusto! Prima cascavi con più facilità ai miei scherzi! > Sbuffo, finendo di schiena contro il materasso, lui che mi osserva stranito.

< Perché prima non ti conoscevo così bene. > Sposta il vassoio sul comodino e quasi mi si avventa addosso, pizzicandomi i fianchi e la pancia, delicatamente, facendomi ridere e dimenarmi per liberarmi.

Rispondo portando una mano sulla sua nuca ad accarezzargli i capelli corti e avvicinandolo a me. Come previsto, smette di torturarmi e si avventa sulle mie labbra, assaggiandole con devozione e tracciandone il contorno con la punta della lingua, leggero.

< Ti amo. > Sussurra quando ci separiamo, guardandomi negli occhi e sorridendo.

Sposto il viso un po' di lato per guardarlo meglio e ricambio il sorriso.

< Ti amo anch'io. > Mormoro in risposta, accarezzandogli i capelli.

 

< Mi accompagni dal dottor Masterson domani sera, vero? > Mi chiede prima di sistemarsi sotto le coperte, al mio fianco. Metto via il libro che stavo leggendo e le dedico la mia attenzione, osservandola.

< Domani sera?!? Ma non avevi detto mercoledì? > Le domando, confuso. Nick mi ha obbligato a partecipare ad una specie di party per festeggiare non so nemmeno io quale delle tante organizzazioni umanitarie di cui mi faccio promotore. So che dovrei prendere in seria considerazione queste iniziative benefiche, ma, tecnicamente, sono in vacanza e, sempre tecnicamente, ho promesso a mia moglie di esserle accanto durante la gravidanza e come impegno è già sufficiente. Il mio manager, ovviamente, non la pensa così.

< Sì, te l'ho detto tre giorni fa. Oh, non dirmi che hai preso un altro impegno! > Sbuffa, rassegnata, sistemandosi meglio con la testa sul cuscino.

Sospiro e prendo a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli.

< E' che Nick ha insistito per quel party di beneficenza. Non ne sono entusiasta, ma secondo lui devo pur presenziare alle iniziative di queste fondazioni se ne sono uno dei principali benefattori. > Le spiego.

< Ma puoi richiamarlo e dirgli che hai un altro impegno e che te ne sei ricordato all'ultimo minuto! > Protesta debolmente.

< Mi tormenterebbe fino alla nausea. > Alzo gli occhi al cielo e la sento sbuffare e mettere il broncio.

< Ma sapremo il sesso del bambino, domani! > Insiste.

Le bacio una tempia, dolce e le accarezzo una guancia.

< Mi spiace. Ti avevo promesso che ci sarei stato sempre. Scusami. > Le mormoro.

Lei fa spallucce e si volta dall'altro lato, una mano sotto il cuscino e l'altra che si allunga appena per spegnere la lampada sul comodino, facendo cadere la stanza nel buio più totale.

< Sei arrabbiata? > Le domando, passandole un braccio intorno alla vita e stringendomi a lei, cercando di individuare il suo viso, nonostante il buio.

< No, ci sono abituata. > Borbotta con diffidenza.

< Non sarà l'ultima ecografia, no? > E' solo al quarto mese e ci saranno altre occasioni per accompagnarla.

< Sai qual è il punto, Robert? > Si volta verso di me, lo sguardo deciso. < E' che quando ho bisogno di te non ci sei, mai. La serata importante è domani e non un'altra. > Continua.

< Che senso ha vedere il bambino in un monitor se prima o poi l'avrò tra le braccia, in carne ed ossa? > Domando, esasperato.

Non sono una donna e sicuramente non riesco a comprendere cosa voglia dire sentire nascere una vita dentro di sé, come magari non posso capire cosa ci trovino di così emozionante le donne nell'osservare il proprio figlio in un monitor, ma sto cercando di fare del mio meglio. Avevo promesso di prendermi una pausa dopo l'ultimo film e l'ho fatto, ma non sono ancora così passato di moda da poter rifiutare l'invito di un'organizzazione di beneficenza, per quanto non mi esalti l'idea di parteciparvi. E' il mio lavoro e lei lo sa.

< Bene! Mi auguro tu non sia troppo impegnato anche il giorno del parto. > Si volta di nuovo e fa frusciare le coperte rabbiosamente.

 

< No, non ci siamo! La batteria è troppo alta e la chitarra troppo forte, dovreste abbassare entrambi di un tono. > Nonostante la gravidanza sia quasi giunta a termine, abbiamo continuato a lavorare per tutti i nove mesi al nuovo album. D'altra parte, i testi li avevo già pronti e Jasper aveva cominciato ad abbozzare qualche accordo, perciò ci siamo decisi a provarli una volta per tutte in sala registrazione. Abigail mi ha costretta a sedermi su un amplificatore pur di non farmi sostare in piedi e non mi ha permesso di prendere in mano il microfono per accompagnare la musica con le parole, perché dice che mi causerebbe troppo sforzo.

Io non sono d'accordo, in fondo, cosa mai può succedermi di male se canto due pezzi? Tuttavia, siccome l'ultima volta non ho voluto sentire ragioni e ho fatto di testa mia, rischiando di morire, ora ho soltanto sbuffato e accettato in silenzio, per cui me ne sto buona a dirigere le prove.

< Direi che va molto meglio, no? > Mi chiede Abigail, mentre gli altri fanno scemare la melodia per accordare gli strumenti.

Annuisco.

< Non hai ancora chiarito con Jasper, vero? Vi rivolgete la parola a stento. > Il mio vorrebbe essere un rimprovero, ma non riesco a non sorridere se penso al loro modo di rapportarsi. Hanno capito tutti che si piacciono, meno che i diretti interessati.

< Perché devo essere io a fare la prima mossa? E poi non mi sembra si stia dando tutta questa pena. L'hai visto anche tu l'altra sera, no? Di ragazze mi pare ne avesse già abbastanza. > Lo guarda truce e si accomoda sull'amplificatore accanto a me dopo aver abbandonato il basso a terra.

< Sai che lo faceva soltanto per avere una tua reazione! > Rimbrotto.

< Beh, con me non funziona così. > Incrocia le braccia al petto.

Sorrido esasperata, scuotendo la testa, quando un calcetto, proveniente dalla mia pancia, per poco non mi fa mugolare di dolore. Premo il palmo della mano sulla zona corrispondente al "colpo" e aspetto che passi.

< Tutto bene? > Mi chiede Abigail.

Annuisco.

< Scalcia come un matto, dovresti sentirlo! > Rispondo con un sorriso.

< Posso? > Allunga una mano verso il rigonfiamento del mio ventre ed io annuisco per accordarle il permesso.

Sembra quasi di intravedere la forma di un piedino, o forse una manina, chissà.

< E' bellissimo! > Sospira Abigail, gli occhi luccicanti e commossi. < Quando scade l'ultimo mese? > Mi chiede poi.

Ci penso un attimo.

< Dopodomani. > Rispondo e al solo pensiero mi si chiude lo stomaco dalla paura.

< Ma allora ci siamo quasi! > Esclama. < Avete già deciso il nome? >

< Beh, ne abbiamo pensati alcuni... Joy se è femmina, Emmerson se è un maschio. > Emmerson l'avevo scelto io, Joy, Robert. Almeno eravamo super partes, visto che Robert voleva un maschietto ed io una femminuccia.

< Emmerson è un bel nome, sai? > Mi sorride Abigail.

Jasper ci si avvicina, nel frattempo e sorride alla vista della mano di Abigail ancora sulla mia pancia.

< Il futuro Pattinson dà già da fare, vero? > Mi chiede, posando la chitarra contro l'amplificatore e sorridendomi.

< Solo un po'. > Rispondo, dondolando i piedi.

< Diavolo, no! Avete rovesciato di nuovo l'acqua sull'amplificatore, ragazzi! > Borbotta Rick, assistente di produzione.

< Ma di cosa parli, Rick? Noi non abbiamo fatto un bel... o mio Dio! > Vedo Abigail portarsi le mani sulla bocca e gli altri paralizzarsi.

Io, ancora seduta sull'amplificatore, non capisco cosa stia succedendo.

< Ragazzi, vi sentite bene? Perché mi guardate in quel modo? > Mi acciglio.

< Alex, credo che ti si siano appena rotte le acque... > Jason indica i miei pantaloni con un dito ed io, incredula, abbasso lo sguardo, scoprendoli bagnati.

< Io direi di cominciare ad accendere la macchina, Jason. > Jasper gli batte su una spalla come incoraggiamento e Jason schizza via.

< Non devi preoccuparti, Alex, ci siamo noi, ok? Andrà tutto bene. > Jasper mi prende una mano tra le sue e mi si avvicina, recuperando il cellulare dalla tasca dei suoi jeans l'istante successivo e componendo il numero di Robert, vista la foga con cui premeva sui tasti.

Io rimango immobile, lo sguardo fisso sulla parete di vetro di fronte a me.

Ho paura, una fottutissima paura e non posso farci niente.

 

< Insomma, ma quanto ci mettono! > Continuo a camminare avanti e indietro per la sala d'aspetto dell'ospedale, reparto maternità, in attesa di qualcuno che mi dia notizie di mia moglie e mio figlio, il tutto, sotto lo sguardo comprensivo di mio padre e mia madre.

< Dovresti calmarti, Robert. I dottori hanno detto che non è ancora ufficialmente in travaglio, quindi dovrai pazientare parecchio, temo. > Risponde mio padre, calmo.

Ha ragione, dovrei calmarmi, ma come faccio se so che Alex è lì dentro da sola e sta soffrendo senza di me?

< Robert, sono dieci minuti che chiede di te, forse faresti meglio ad entrare. > Mi avvisa Abigail, comparendo davanti alla porta, lo sguardo allucinato e i capelli scomposti per via del caldo torrido.

< Sì, ok. > La seguo lungo un corridoio stretto, evitando le infermiere con i carrelli dei farmaci.

Mi aspetto una sala operatoria, o, quantomeno, qualcosa che ci rassomigli, invece la stanza è del tutto normale, tranne per il fatto che è deserta se escludiamo Alexandra e un'infermiera che sta annotando i valori su una cartella di plastica rigida.

< Alex! Come ti senti? > La raggiungo e le bacio la fronte. Ha già indossato una di quelle vestagliette di carta spessa e ha i capelli bagnati di sudore, nonostante rimanga comunque bellissima.

< Sono stata meglio, a dirla tutta. > Risponde flebile.

Neanche il tempo di cercare di tirarla su di morale, che la vedo piegarsi in avanti per colpa di una contrazione che dura qualche minuto.

< Dio! Che male! > Esclama, tornando ad accasciarsi sul cuscino.

Sembra strano dirlo, ma mi sento quasi colpevole.

< I dottori dicono che non possono farle l'epidurale se prima le contrazioni non diventano più ravvicinate. > Mi spiega Abigail.

Questa volta Alexandra quasi urla dal dolore.

Le prendo una mano e cerco di incoraggiarla.

< Vedrai che passerà in fretta e andrà tutto bene. > Le scosto i capelli bagnati dalla fronte e le sorrido.

< Bene un corno! Se provi a mettermi incinta di nuovo, giuro che non risponderò più delle mie azioni! > Mi scruta con aria minacciosa prima che un'altra fitta la colga.

< Non farci caso, ha fatto così anche con Jason e Jasper, ecco perché si sono volatilizzati in un lampo. > Mi sussurra Abigail, notando forse la mia espressione piuttosto scettica.

< Allora, come andiamo qui, Jackie? > Mi volto verso la voce del ginecologo, un uomo dall'aria professionale che afferra subito la cartella che gli porge l'infermiera.

< Controlliamo la dilatazione e vediamo se possiamo finalmente far nascere questo bimbo, va bene? > Io ed Abigail annuiamo mentre lui solleva appena il telo che Alexandra ha sulle gambe.

< Perfetto, sta andando benissimo, Alexandra. Ora, direi che possiamo anche farlo nascere, è d'accordo con me? > Sorride ad Alexandra che mi stringe più forte la mano.

< Rob, non vai via, vero? > Miagola, mentre il dottore infila i guanti.

< No che non vado via, amore, sono qui. > Le mormoro, accarezzandole i capelli e baciandole la fronte.

< Al mio tre, spinga forte, d'accordo? Uno... due... tre! Spinga! > La incita il medico ed Alexandra rischia di stritolarmi una mano per quanto stringe.

Urla e ricade stanca contro il cuscino, ansimante.

< Forza, stai andando benissimo. Poche spinte ancora e sarà tutto finito, vedrai. > Sono sicuro che far nascere bambini sia il lavoro più bello del mondo, poter avere tra le tue mani il lavoro di Madre Natura.

< Forza, Alex, è quasi fatta. > Le asciugo una goccia di sudore che le sta colando lungo la guancia e le sorrido.

Secondo urlo e seconda spinta.

< Un'ultima spinta ed è fatta, forza! > Gli occhi azzurri del dottore la osservano con entusiasmo e gioia.

< No, non posso farcela. Non ce la faccio più. > Mormora, dibattendosi sul cuscino e respirando affannosamente.

< Sì che ce la fai, Alex. Devi farcela. E' quello che vuoi di più al mondo, no? E allora spingi un'ultima volta e lo avrai tra le tue braccia, dai! > Abigail le sorride. < Pensa solo a quanto vuoi che finisca, Lex. > Continua.

< E' l'ultima, vero? > Chiede, sfinita.

< Le giuro che è l'ultima, Alexandra. > Conferma il dottore.

Terza spinta e terzo urlo, quello più forte.

Il vagito di un neonato risuona nella stanza, mentre Alex sospira di sollievo e si sporge per abbracciarmi.

< Complimenti! E' una bellissima bambina, signori! > Esclama il dottore, lasciando che l'infermiera l'avvolga in un asciugamano rosa.

Alexandra, accaldata e stanca, singhiozza contro il mio petto, mentre non posso fare a meno di lasciare che una lacrima mi scivoli lungo la guancia.

Se penso a quanti uomini, mariti prima di me abbiano affrontato la stessa cosa, mi viene naturale domandarmi se sia lecito che davanti al viso paffuto del proprio bambino, tutto il resto risulti assolutamente insignificante.

Non esistono più nemmeno le infermiere, né Abigail, né le pareti azzurro di questa stanza.

L'infermiera deposita il piccolo fagotto tra le braccia di mia moglie che cerca di asciugarsi le lacrime e di darsi un contegno.

< Ciao, piccola. > Sussurra alla bimba, Joy, che ha appena allungato una manina nella sua direzione.

< E' bellissima, vero? > Mi domanda commossa.

< E'... incredibile. > Ha le guance rosse come due ciliegie mature, gli occhioni azzurri, come quelli della mamma, ansiosi di scoprire il mondo e un ciuffo di capelli biondi che riesce ad emergere dall'asciugamano.

< Ti assomiglia. > Mormora verso di me, mentre le accarezza dolcemente una guancia e Joy, in risposta, gorgoglia contenta.

< Ha i tuoi occhi. > Rispondo.

La vedo sorridere e allungo anch'io una mano, o meglio, un dito per lasciare che impari a riconoscermi.

Joy lo stringe con tutta la forza che possiede tra la sua manina, che poi agita felice.

< Ehi, è una birbante! Non vuole mollare il mio dito! > Protesto con un sorriso.

Sento addosso lo sguardo di Alexandra e mi volto a guardarla.

< Ti amo, sai? > Nasconde il viso nella mia camicia.

< Ti amo anch'io. Se non fosse stato per te, non stringeremmo questa meravigliosa bambina tra le braccia, lo sai. > Le rispondo, accarezzandole la schiena.

< Ehi! E' appena nato e volete già ucciderlo? > Sento la voce di Jasper e poi la risata di Jason, mentre Alexandra si scosta da me e gli sorride, tendendo nostra figlia affinché Jasper possa prenderla in braccio.

< Oh, ma è una bambola! > Esclama, facendola ridere.

< Allora, sei davvero sicuro di essere pronto per qualcosa del genere? > Mi sussurra, osservando Joy che viene salutata dai membri della sua band.

< Vuoi dire a fare il papà? > Domando stupidamente.

< Sì, a fare il papà. > Conferma.

< Mmm... non ne sono sicuro. > Sorrido furbescamente.

< Oh, beh, possiamo sempre farla adottare, pare che abbia già trovato genitori migliori di noi. > E lancia uno sguardo ad Abigail e Jasper che, rimasti soli con Joy, si divertono a farla sorridere.

Sarebbe anche ora che quei due si diano una mossa.

Amare qualcuno significa vedere un miracolo invisibile agli altri.

I miei miracoli erano accanto a me, sorridenti e sereni e niente avrebbe mai potuto portarmeli via.

   
 
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