Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: congy    29/11/2010    18 recensioni
Cosa può succedere all'interno di una casa editrice quando l'uomo di cui ti sei invaghita ti soffia la promozione e il lavoro che hai sempre desiderato?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
banner





Capitolo 3

Per capire i propri errori occorre sbagliare più volte


“Che cazzo ti sei messa?” Lu mi osserva critica dallo specchio.
“Perché? Cosa c’è che non va?” mi guardo compiaciuta. Sì, non avrei potuto scegliere abbigliamento più adatto per oggi.
“Cosa c’è che va, vorrai dire! Hai messo quegli orrendi jeans conformati che mettevi dopo la rottura con Davide e quell’orribile maglione verde marcio che ti va tre taglie più grande. Posso sapere che diavolo hai mangiato a colazione? Cereali avariati che sono andati ad aggiungersi al truciolato che riempie gran parte del tuo cervello?”
“Oggi mi va di vestirmi così, d’accordo?”
“Hai la sindrome premestruale? No, perché altrimenti non capisco cosa possa portarti ad indossare questi cenci larghi.” Si muove verso il calendario dove aggiorniamo regolarmente il nostro stato mestruale e sbuffa, quando si rende conto che non sono gli ormoni a provocarmi questi comportamenti obsoleti.
“Ho le mie buone ragioni e no, non sono in sindrome premestruale. Sto benissimo”
“Va bene, vatussa, parliamone: qual è il tuo problema? Riguarda per caso l’arrivo del nuovo direttore editoriale?” si siede sul letto e mi osserva critica. Ma perché non riesco mai a nasconderle nulla?
“Assolutamente no. Riguarda, per caso, l’arrivo di un uomo che guarderà prima le mie tette e poi la mia intelligenza”
“Ancora con questa storia? Non ti sembra di esagerare?”
“Gli uomini li fanno con lo stampo. Non voglio che mi tratti come una segretaria o qualcosa del genere da farsi sulla scrivania” sbuffo.
“Ma, tesoro, questo può accadere con tutte. Pensa a me che sono davvero una segretaria. Non essere così drastica nelle tue scelte e nelle tue posizioni. Ricorda che lo stupido è colui che non cambia mai idea” mi ammonisce bonariamente. È strano, non si direbbe che Luciana sia una persona così profonda e sensibile. Infatti interviene per smontare immediatamente questa mia supposizione: “Ti presto la mia maglietta con lo scollo alla coreana, così tu e le tue due gemelle sarete al riparo dai pensieri molesti. Anche se, a dirla tutta, potrebbe essere anche un figo da paura e in tal caso potresti aver tu voglia di violentarlo sulla scrivania. Quindi direi che l’abbigliamento è perfetto. Con quello che avevi scelto prima avresti dissuaso qualsiasi uomo sulla terra a compiere dei pensieri sconci su di te. La scrivania, uno dei miei sogni erotici preferiti e tu  me lo smonti così?” borbotta. Ecco, adesso riconosco la mia nana preferita. Ma in effetti, non dovrebbe sorprendermi la cosa: ogni persona è poliedrica, diversa a seconda delle situazioni; sono io che forse non riesco a capire questo concetto e a metterlo in pratica. Per me, tutto è bianco o nero, non esistono grigi antracite, grigi perla o fumé. Nero o bianco.
Indosso quello che mi ha consigliato e in pochi minuti siamo fuori di casa.
“Dammi le chiavi”
“Scordatelo, nana. Lo sappiamo entrambe che guido molto meglio di te”
“L’unica cosa su cui possiamo essere d’accordo è che tu sia una pazza al volante. La velocità non è indice di bravura.” E le mie chiavi finiscono nelle sue mani infide.
“Ridammele subito” sbatto i piedi sul marciapiede. La odio, la odio quando fa così.
“Assolutamente no. Oggi guido io: tu sei troppo nervosa per guidare bene. Fallo per i miei poveri nervi che ultimamente sono sottoposti a uno stress indescrivibile stando accanto a te”
“E va bene, ma lo faccio solo per i tuoi nervi” ogni tanto occorre dargliela vinta. D’accordo, l’ultima frase detta è un po’ un’assurdità: quando la nana vuole una cosa, la ottiene anche a costo di fracassare i tuoi di nervi e senza un briciolo di pietà per essi.
“Il che significa che, per sineddoche, lo fai per me. Grazie mille”
Posso dire che la odio quando vuole fare l’intellettuale e contemporaneamente avere l’ultima parola? Bene, in questo momento la odio. Mi sa che l’ho già detto troppe volte oggi. Tutta colpa del direttore editoriale, e di chi altri? Lo aggiungo alla lista di motivi che ho per rimpiangere il giorno in cui sua madre lo ha messo al mondo.
“Sei pedante, Luciana”
“E tu sei pesante”
Prendiamo l’auto e ci dirigiamo al lavoro. Sfortunatamente la mia scelta dell’abbigliamento ha portato via un bel po’ di tempo e, di conseguenza, abbiamo perso il momento propizio per immetterci nel traffico milanese. Risultato? Un grande, immenso, rumoroso ingorgo di macchine.
“Dannazione, Sam, siamo a ridosso dell’ora S.U.C.A.”
“L’ora di che?”
“L’ora del Sono Un Cazzone Avariato. Nessuna persona sana di mente uscirebbe a quest’ora da casa per percorrere il traffico milanese, se non appunto, un cazzone avariato.”.
“Stai dicendo un mucchio di parolacce. Te ne rendi conto, sì?”
“La guida è capace di portare a galla il peggio di una persona. E adesso sono veramente incazzata”
Alla fine, riusciamo ad arrivare sane e salve, dopo molte e molte parolacce di Luciana contro gli altri autisti e contro di me. Fortunatamente abbiamo solo un quarto d’ora di ritardo.
“Parcheggia tu, Sam, io devo correre o il capo mi ammazza”
Altro problema: il parcheggio. Se c’era un traffico bestiale prima, ci sarebbe stato un briciolo di strada libera per infilare una macchina adatta alle dimensioni ridotte della nana? Ovviamente no.
Ogni centimetro, ogni millimetro è occupato, alcune macchine sono addirittura parcheggiate in seconda fila. Ma dove sono andate a finire l’educazione e il rispetto delle regole? Forse sono ancora in fila nell’ora S.U.C.A. Spero che sia così, almeno. Dopo aver vagato per l’intero quartiere riesco finalmente a parcheggiare la minuscola Smart di Lu. Pensa se avessi guidato un SUV, assolutamente impensabile.
Entro nella sede e in portineria mia saluta una sorridente Antonietta che mi dice, con voce ad un’ottava sopra, : “Sam, hai visto chi è arrivato? Il nuovo direttore editoriale. È bellissimo, un vero Alain Delon. Non l’hai ancora conosciuto?” Antonietta è una donna sulla sessantina, dolcissima, con una passione smodata per i film americani anni Sessanta e Settanta. Inguaribile romantica, credo che riversi nei film e nei loro protagonisti i suoi sogni amorosi che, purtroppo, non è riuscita a realizzare. Il pomeriggio, quando il lavoro è meno febbrile, la troviamo in portineria a guardare su Rete4 quei film statunitensi. Film in mano e sorriso malinconico sulle labbra. Ogni tanto io e la nana la invitiamo da noi perché, da persone solo, possiamo capire cosa si provi. Antonietta è non è sposata e non ha parenti, è figlia di emigranti del sud. Sola, ma con un grande cuore.
Ma come fanno le segretarie con gli occhiali a farsi sposare dagli avvocati? Come Venditti, me lo domando anch’io e, soprattutto, mi domando perchè le persone più buone e dolci di questo mondo debbano sempre prenderla in quel posto. Forse la risposta è già nella domanda: sono buone e questo comporta molti bocconi amari da mandar giù.
“Non l’ho visto, Antonietta. Ti dirò dopo se è intelligente quanto è bello”
Prendo l’ascensore che sembra procedere troppo lentamente. Provo un misto di curiosità ed odio verso di lui. Spero che sia un ignorante pedante dotato solo di bellezza. Ma se così non fosse? Risposta ovvia: dovrei odiarlo solo per il fatto che esiste.
Al decimo piano, le porte dell’ascensore si aprono. Fuori, la desolazione più totale. Mancano le piante di cactus e  i rovi per dare vita ad un’ambientazione desertica da film western. Generalmente quella è l’inquadratura che precede lo scontro finale. Bene, sono pronta al mio scontro.
Sicuramente sono tutti dal capo, quel grandissimo figlio di…Sam, devi calmarti altrimenti ti aumenterà la pressione, affluirà più sangue al cervello e sarai in grado di entrare nel suo ufficio e scaraventargli quante più imprecazioni possibili in modalità “scaricatore di porto”. Sei una donna, e, in quanto tale, devi comportarti con stile e nonchalance. E poi ti serve il tuo lavoro. Se ti sbattessero fuori di qui, dove ne troveresti un altro? Calma e sangue freddo e, soprattutto, lingua tre i denti.
Mentre ripeto dentro di me questo mucchio colossale di boiate, respiro come una donna con le contrazioni. Dovrebbe farmi sentire meglio? Non molto in effetti, ma almeno posso pensare di aver fatto tutto il possibile in caso di mia sfuriata.
Entro nello studio velocemente cercando di fare il meno rumore possibile.
“Buongiorno scusate il ritardo, ma c’era un traffico bestiale e Oh, Cazzo!” porto immediatamente la mano alla bocca dopo la mia espressione colorita, molto colorita, troppo colorita. Ma che, paragonata al mio stupore, è il più gentile dei complimenti.
Siamo due milioni di abitanti a Milano. Quante possibilità ci sono di incontrare la stessa persona due giorni di seguito? Una su due milioni, ovvio. Quindi, o la sfiga mi perseguita,  o ho le allucinazioni, oppure ho centrato quell’uno su due milioni. E che palle, avrei preferito una vittoria al superenalotto. Possibilità per possibilità, con un bel sei me ne sarei andata ai Caraibi e mi sarei fatta coccolare da un aitante giovanotto. Aitante e prestante.
E invece no! Sfiga vuole che dinanzi a me ci sia Daniele Costa, proprio quel Daniele Costa con cui mi sono comportata da vaginacefala ieri sera. Per la miseria!
“Daniele, ti presento il nostro revisore più pittoresco, Samanta Dolce” lui mi guarda con un sorriso da schiaffi. Faccio buon viso a cattivo gioco e mi avvicino a stringergli la mano.
“Beh, più che Dolce, dovrebbe chiamarsi Piccante, allora” Sai dove te lo metto il peperoncino, bastardo?
“Ma certo, signore, sarò la sua salsa messicana” quella piccantissima, che spero renda il bagno la stanza della casa più frequentata da te.
De Santis diventa paonazzo. Forse ho un po’ esagerato, ma sinceramente, avrei potuto essere molto più volgare. In questo modo ho mantenuto una certa dignità.
Daniele fa per aprire bocca, ma la richiude immediatamente. In effetti, non è il caso di parlare in questo modo davanti a tante persone.
Mi scosto da lui e vado da Luciana che mi osserva con gli occhi sgranati e una faccia impagabile. Credo che, se potesse, mi staccherebbe la testa a morsi. Il problema è che, neppur saltando, arriverebbe al mio collo.
“Ma ti ha dato di volta il cervello?”
“Lascia perdere, Luciana, non è proprio il momento più adatto per farmi una ramanzina. Me la farai quando sarò calma. Adesso ti risponderei nella maniera peggiore che conosco” stringo i pugni sul manico della borsa, ma quello che vorrei fare è scappare immediatamente da qui dentro. E questo non per aver fatto una figuraccia oggi, per essermene uscita con quell’esclamazione senza dubbio infelice. Mi vergogno per il mio comportamento di ieri sera, per essermi comportata da vera e propria oca. Non posso crollare solo quando uno si mette a fare il simpaticone con me e a sbattere le ciglia. Quella è una prerogativa dei maschi. E, chiamami Sam , lo preferisco. L’ho sempre detto che l’aria degli ospedali è stagnante e ti fa ammalare. Sicuramente ho inavvertitamente inalato qualcosa che mi ha fatto parlare così. E poi, c’è bisogno di ricordare quel bacio? Stupida, stupida, stupida. Avrei dovuto pensarci due volte: gli uomini sono un’eterna delusione. Sempre. Perché questo ectoplasma che si trova di fronte a me e mi scruta tra il critico e l’ironico non mi ha detto ieri di essere il mio capo?  Ci teneva così tanto a farmi fare la figura della deficiente? Spiacente, mi distruggo con le mie stesse mani senza l’aiuto di qualcun’ altro.
“Bene, dopo avervi conosciuto, credo che sia il momento di presentarmi. Sono Daniele Costa, come sapete tutti – quale congiunzione astrale ha permesso a tutti di conoscere il tuo nome? Ah, già, sei stato tu stesso a presentarti. E allora perché sottolineare una cosa già ovvia? Brutto pallone gonfiato. – Ho trent’anni e lavoro nel campo dell’editoria da sei anni, quasi. Vi chiederete come mai abbia ottenuto questo posto. – caro, sappiamo già come tu abbia ottenuto il posto: o sesso, o soldi, non c’è via di scampo. Entrambe le cose sono alla base di ogni società civile, dovresti saperlo. – dopo aver lavorato tre anni in una piccola casa editrice romana, ho vinto un concorso per la Penguin Books e ho lavorato lì per tre anni. Poi ho letto l’annuncio del caro Claudio per un posto come direttore editoriale dell’Agape ed eccomi qui.” Ecco, questo non lo avrei mai sospettato. Ha lavorato in una delle più grandi case editrici britanniche, sfido io che abbia ottenuto questo posto. No, Samanta, non lo puoi giustificare appena apre bocca, devi essere salda e coerente rispetto alle tue posizioni e ai tuoi giudizi sulle persone: e lui è uno stronzo, nulla può cambiare questa verità contingente.
“Ora, tanto per mettere le cose in chiaro, ci sono un paio di questioni di cui vorrei parlarvi – ecco, finalmente, lui che scende dall’alto pirica a istruire noi poveri mortali. Illuminaci, oh sommo! – sapete bene che Agape è una media casa editrice, ma in procinto di diventare molto competitiva. Negli ultimi anni abbiamo fatto numerosi passi in avanti, allontanandoci dal campo che era a noi più congeniale, ovvero quello della saggistica. È sicuramente un ambito importante per la ricerca, ma troppo circoscritto per poter permettere ad una casa editrice come la nostra di sfondare – ma sentilo, è qui da cinque minuti e parla già come se fosse lui il fautore di tutto il successo ottenuto e  non noi con il sudore che abbiamo sboccato in tanti anni per arrivare dove siamo. Ti odio, Daniele Costa! – Ci siamo rivolti alla narrativa e questa è stata la carta vincente e l’ex direttore editoriale è stato, in questo, molto lungimirante. Ma bisogna puntare ancora più in alto. Dobbiamo tentare di pubblicare non solo narrativa impegnata, ma anche qualcosa di più leggero che possa coinvolgere un pubblico quanto più vasto possibile. – se ha intenzione di pubblicare Moccia, lo so, è il mio incubo ricorrente, si sbaglia di grosso. Sono pronta a spaccargli il setto nasale di netto, e non basterò una capatina all’ospedale per rimediare, oppure a conficcargli un peperoncino calabrese lì dove non batte il sole e, magari, vedendo le sue chiappe, potrei anche tirarmi su di morale – punto secondo: sapete bene che la puntualità nel nostro lavoro è tutto. Gli scrittori sono tenuti a rispettare le consegne, così pure noi. Pretendo perciò che come nelle grandi, così anche nelle piccole cose siate puntuali. A cominciare da domani, non ammetto ritardi di nessun genere. Che siano dettati dal traffico o da un meteorite che si è inspiegabilmente abbattuto sulla vostra casa o dai gatti malati –mi lancia un’occhiata in tralice, la frecciatina è rivolta a me? I miei gatti sono sanissimi e li amo, idiota – non mi importa. Alle nove voi dovete essere tutti qui. Ci siamo capiti, signorina Dolce?”
“Perfettamente, direttore editoriale” meglio assumere un tono distaccato.
“Potete chiamarmi Dan, se non si instaura un rapporto di collaborazione e fiducia, non si può lavorare bene” Dan, ha chiesto di chiamarlo Dan. Ieri sera non lo ha fatto, mi ha soltanto preso in giro.
“Scusate” esco rapidamente dalla stanza gremita per correre verso il bagno. Nessuno può vedermi piangere, soprattutto non quando piango per la mia imbecillità. Perché a nessuno devo imputare qualche colpa, solo a me.
“Sam, tutto bene?” Luciana entra silenziosamente nel bagno. Nemmeno una traccia della rabbia di poco fa, solo tanta preoccupazione.
“Sono stata così stupida!” batto il pugno sulla ceramica del lavandino e impreco sottovoce.
“Che è successo? Dimmi che hai” mi porge un fazzolettino di carta.
“Dan è..Dan è il ragazzo che ho baciato ieri” la nana mi osserva dubbiosa e scoppia a ridere, mentre io continuo a piangere. Una vera e propria tragicommedia.
“Lu, non mi aiuti così!” sbotto.
“Scusami, Sam, ma è così strano. Non volevo ferirti” mi si avvicina e mi lascia un bacio leggero sulla guancia. E questo gesto, per me, vale più di mille parole.
“Non preoccuparti. In effetti, fa ridere. Certo non quando capita a te personalmente, ma potrebbe essere la trama di un romanzo: La vita tragicomica di Samanta Dolce e, come sottotitolo, Come sfidare le statistiche e batterle. Direi che le statistiche d’ora in avanti mi faranno un baffo.”
“E che palle, ma vuoi sempre stare sempre al centro dell’attenzione tu? Io direi di scrivere un libro intitolato: La nana e la vatussa e, sottotitolo, Come le persone piccole possano essere dotate di un cervello superiore a quelle alte.” Il suo sorriso si spalanca a tal punto che temo avrà presto uno spostamento della mandibola.
“E tu avresti un cervello superiore al mio? Ma, andiamo”
“Rammenti, Mignolo e il Prof. Io sono il Prof e ti ricordo che tu sei una donna in carriere bella e affascinante che non deve in alcun modo lasciarsi intimorire da un uomo, solo perché ti ha baciato il giorno prima. Su, esci fuori e stendilo con il tuo charme da fruttivendolo al mercato.”
Ha ragione: non posso lasciarmi trascinare da una cosa che non conta nulla. Lui è solo il mio capo raccomandato che io odierò fino alla fine dei miei giorni, che non è per nulla affascinante, che ha la pelle flaccida e le pustole sicuramente sul sedere e la lingua bruciata perché suo padre, ogni volta che il figlio diceva una cazzata, gliela lavava col sapone. Purtroppo Daniele è un po’ duro di comprendonio e trent’anni di sapone non sono bastati, per farlo smettere di sparare cazzate. Che disgrazia avere un figlio così. Mi sa che l’unica a dover essere sottoposta al lavaggio della lingua dovrei essere io, ma continuo a naufragare in questo mare di bugie e ciò mi rende felice. Meglio mentire a se stessi piuttosto che accettare la realtà.  
Rientro, dopo aver asciugato le ultime lacrime, nello studio di De Sanctis e lo trovo lì, proprio come lo avevo lasciato: sguardo fiero, occhi fissi sui suoi interlocutori, appoggiato alla scrivania, sguardo imperturbabile. Posso mentire pure a me stessa sulla raccomandazione, ma la mia vista non mi può ingannare: Daniele è uno degli uomini più affascinanti che io abbia conosciuto. E quando lo vedo scrutarmi curioso, vado a fuoco. Dannazione, non posso arrossire. L’ultima volta è stata quando la nana, per farmi un dispetto, mi ha chiuso fuori dalla stanza dell’albergo con solo la biancheria addosso. E, a pensarci bene, con lui che mi osserva mi sento proprio così: nuda, esposta, vulnerabile, come se riuscisse con i suoi occhi a leggermi dentro. Sam, hai letto troppi libri romantici e stucchevoli, non puoi farti influenzare in questo modo. Quest’ incantamento può avvenire solo nella letteratura. Abbasso, perciò, lo sguardo e mi sgancio dal suo. Libera finalmente di essere nuovamente me stessa.
“Come stavo dicendo poco fa, ho deciso di avere un’assistente con me. Non una segretaria, ovviamente, ma una persona fidata che possa collaborare con me nella scelta dei libri da pubblicare. Sono dell’avviso che in due si lavori meglio che da soli. –sicuro, magari lei sotto e lui sopra, vero?- I libri, quando devono essere pubblicati, non possono essere valutati soggettivamente. Più opinioni sono fondamentali per poter comprendere a pieno un libro e decidere se mandarlo nel Cimitero dei libri dimenticati o se portarlo alla stampa. Noi abbiamo in mano una fetta cospicua della cultura del Paese e non possiamo essere negligenti nel nostro lavoro, perché, magari, anche solo con una scelta giusta, corretta, possiamo aprire la mente a molti. E non è questa, oltre alla finalità meramente economica di una casa editrice, il vero fine di un libro? – oh, perché devo essere dannatamente d’accordo con te? Perché devi dire delle cose così assurdamente giuste? Io ti odio - Quindi, tornando a noi, nelle prossime settimane, guarderò il vostro operato e sceglierò il mio collaboratore. Per oggi credo che sia tutto. Vi ringrazio molto della vostra accoglienza calorosa e, in alcuni casi anche pittoresca, - i suoi occhi si posano su di me mentre delle risatine si propagano per la stanza – che mi avete riservato. Buon lavoro a tutti”  in silenzio, solo io almeno, vado nel mio ufficio anche se, prima di chiudere la porta, posso notare un sorriso canzonatorio che compare sulle sue labbra.
Le ore successive trascorrono con un’alternanza di pensieri, che passano da quelli lavorativi a quelli che gravitano intorno a lui, Dan, anzi no, Daniele. Meglio mantenere un certo distacco.
E’ bello.
E’ stronzo.
Qui ci andrebbe una virgola, renderebbe il discorso più fluido.
Perché mi ha mentito?
Mi ha baciato. E che bacio!
Voleva usarmi.
Questo participio cozza con la struttura della frase. Meglio esplicitare il verbo.
E’ stato uno dei migliori baci che io abbia ricevuto. Forse perché è passato così tanto tempo dall’ultima volta che ho baciato un ragazzo.
È stato così affascinante stamattina, così sagace, spiritoso.
E’ un bastardo, mi ha solo usata. Ieri sera voleva solo divertirsi e magari farmi fare una figura da cretina oggi. C’è riuscito.
Qui c’è un anacoluto mostruoso. Ma nessuno gli ha insegnato che soggetto e verbo devono concordare?
“Posso disturbare?” senza bussare, Daniele entra nel mio studio.
“Sebbene tu sia il capo e quindi, anche la mia sedia sia tua, gradirei che la prossima volta bussassi”
Avanza velocemente verso di me e si siede al di qua della scrivania.
“Fa parte della mia ricerca del collaboratore perfetto. Devo vederlo nel suo habitat naturale e senza che sia osservato. In caso contrario potrebbe essere sottoposto alla cosiddetta ansia da prestazione. E non è una cosa buona, vero?”
“L’ansia da prestazione non è mai una cosa buona, soprattutto se è quella di un uomo che ha qualcosa da nascondere”
“Quindi mi stai dicendo che io soffrirei di ansia da prestazione?” si avvicina pericolosamente a me, i gomiti poggiati sulla scrivania e il volto proteso verso di me.
“Stiamo..stiamo parlando di una situazione generica. Tuttavia, credo che tu abbia la coda di paglia per cui, sì, soffri di ansia da prestazione.”
“Ansia di cosa?”
“Di sentirti dire in faccia un sonoro ‘Vaffanculo’. Ma non lo riceverai, perché sono una ragazza educata”
“Sì, ti ci vedo proprio nelle vesti di femme fatale.” Sghignazza divertito. Ma tu guarda che razza di, bah, non riesco nemmeno a trovare un termine adatto.
“Io non ho parlato di femme fatale”
“No, ma è come vorrei vederti io”  rimango per qualche secondo immobile, senza sapere cosa dire. Dannazione, perché ha un potere così forte su di me? Perché riesce sempre a spiazzarmi con queste frasi uscite quasi da nulla? Non posso continuare così, lui è il mio capo, per la miseria.
“Non mi vedrai mai nelle vesti di femme fatale, proprio perché io sono e sarò solo ed esclusivamente uno dei revisori di bozze della tua casa editrice. Te l’ho detto, sono dolce solo con chi se lo merita e, detto francamente, dopo ieri sera, le possibilità che tu mi veda per quella che sono realmente sono piuttosto scarse. Diciamo che quando ti sarai prostrato  ai miei piedi per chiedermi scusa sulla Torre Eiffel ad agosto mentre nevica, beh, allora potrei mostrarti quella che sono veramente. Quindi, se hai qualcosa da dirmi inerente al lavoro, sono tutta orecchi, se, invece, hai intenzione di parlarmi di ieri sera, puoi benissimo uscire da quella porta e an…”
“Sei bellissima quando sei infervorata” e, detto questo, si alza e mi lascia da sola. Rimango a fissare la porta chiusa davanti a me per oltre cinque minuti, sempre più turbata dal suo comportamento, con le guance in fiamme e il battito del cuore accelerato. Non si è mai dimostrato intimidito o preoccupato dalle mie parole, o dai miei gesti. Nulla, imperturbabile. Credo che a determinare la sua reazione sia stata più che altro quella muta mentale che creano le persone quando non vogliono ascoltarti, un rivestimento che ti tappa le orecchie, oppure impedisce al cervello di comprendere ciò che l’interlocutore dice. Le persone ridono, fanno finta di ascoltare quello che dici e invece pensano se hanno dato da mangiare al cane. Mi alzo perciò e corro nel suo ufficio, anch’io senza bussare.
“Stavo parlando seriamente! E mi irrita il fatto che tu non abbia ascoltato una sola parola di quello che ho detto”
“Primo: chiudi la porta. Secondo: ho ascoltato tutto quello che mi hai detto. Terzo: anche se ho ascoltato non vuol dire che sia d’accordo con te” mi parla senza quasi alzare lo sguardo dal suo computer. Come se fosse distratto.
Mi siedo di fronte a lui: “Guardami”
“Perché dovrei farlo?”
“Perché te lo sto chiedendo” e finalmente si volta. Incrocio il suo sguardo e abbasso gli occhi. Stupida, stupida idea.
“Cioè, fammi capire: tu vuoi che io non pensi a ieri sera, che non pensi al bacio che ci siamo dati, che non pensi a te come a una bella donna, eppure mi imponi di guardarti. Hai elaborato un nuovo tipo di tortura psicologica?”
“Se io ti parlo, è buona educazione guardare l’interlocutore”
“ E allora perché non mi guardi?” ottima osservazione, colpita e affondata. Faccio forza su me stessa per rispondere alla sua provocazione. Alzo gli occhi e quello che trovo è invece, di nuovo, la sua bocca. Di nuovo incollata alla mia, di nuovo modellata alla mia. La sua lingua traccia i contorni delle mie labbra, mentre io vengo travolta nuovamente dalle stesse sensazioni. Ma non può andare a finire così, non di nuovo. Porto le mani sul suo petto e lo spingo lontano da me.
“No”
“Dimmi che non fai che pensarci anche tu da ieri sera, dimmi che le nostre bocche non sono fatte per stare insieme” la sua voce è roca, i suoi occhi bruciano di una brama che non ho visto nemmeno ieri sera.
“Io so soltanto che ci conosciamo da meno di un giorno, so soltanto che sei il mio capo, che ieri sera mi hai mentito. So soltanto che ho rinunciato agli uomini tanto tempo fa, so soltanto che tu non fai che convalidare la mia tesi: voi maschi pensate sempre a una cosa”
“E tra tutte queste cose non hai capito la cosa fondamentale” ribatte secco.
“E quale sarebbe?”
“Tu non sai me, tu non hai capito me e quanto sia attratto da te, e non solo in senso fisico”
“Daniele, l’attrazione che nasce tra due persone è innanzitutto fisica, almeno all’inizio della conoscenza tra due persone e noi ci conosciamo da nemmeno un giorno.” Sbuffo esasperata. Ma è possibile che sia così infantile?
“ Stai solo cercando di convincere te stessa di non essere attratta da me” è inutile mentire con lui. Sono davvero negata. Meglio optare per la verità.
“Anche se fosse, ti ho detto che non intraprenderei mai una conoscenza con te per due motivi fondamentali: sei il mio capo e sei un uomo”
“Beh, il secondo motivo non è un problema, a meno che tu non sia lesbica, ma non mi pare il tuo caso.” Si avvicina ancora a me. Lei sue mani sono poggiate sui braccioli della sedie. Sono incastrata tra lui e la sedia. Non va bene, non va affatto bene.
“Daniele, non sempre quando una donna dice ‘no’ intende ‘sì’. Non ho nessuna intenzione di frequentarti, né, tantomeno, di permetterti di baciarmi ogni volta che ne senti la necessità. Io non voglio”
“Come non volevi ieri, vero?”
“Esattamente!”
“ E non lo volevi nemmeno oggi?” si alza ed è in piedi di fronte a me.
“Assolutamente no” non posso lasciarmi sottomettere. Mi alzo anch’io e, grazie alla mia statura da vatussa, mi trovo quasi alla sua altezza.
“Ed è stato solo un errore, vero?”
“Certo”
 “Beh, Sam, siamo uomini ed è nella nostra natura sbagliare. E non sai com’è bello sbagliare e poi pentirsi, sbagliare  e pentirsi ancora” e detto questo, mi bacia. Di nuovo. Al diavolo tutto! Mi avvento sulle sue labbra che si schiudono al passaggio della mia lingua. la sua compie dei movimenti circolari intorno alla mia mentre mi mordicchia il labbro inferiore. Le sue mani si arpionano ai miei fianchi mentre la mia mano si poggia sul petto della sua giacca. Ma un gemito da parte sue mi ridesta. Che cazzo sto facendo? Non posso, non posso e non voglio. È il mio capo, il capo affascinante, ok, ma sempre il mio capo. Pensa a Davide, Sam, pensa a lui e a quanto ti ha fatto soffrire. Non vale la pena riprovare di nuovo quelle sensazioni. Il gioco non vale la candela.  La campanella d’allarme finalmente suona nella mia testa. Meglio evacuare la zona e uscire il più velocemente possibile dalle porte d’emergenza.
Mi stacco da lui ansante e lo guardo nella maniera più truce possibile.
“Certo, gli uomini sono fatti per sbagliare, ma sono fatti anche per capire anche i proprio errori e non commetterli più. E tu sei un errore, senza dubbio. L’ho capito e non torno indietro.”
“Non pensare che sia servito solo a te questo bacio”
“Ah, davvero? E cosa ti avrebbe fatto capire? Che non sono disposta a cadere ai tuo piedi? Che sono una persona seria nei confronti del lavoro? Che non sono attratta da te?”
“Oh, al contrario Sam, tu sei molto attratta da me. Ho capito che devo giocarmi tutte le mie carte per conquistarti. E sono pronto a giocarmele tutte”
“Ma certo! E’ un gioco per te, vero? Uno stramaledettissimo gioco? –alzo troppo il tono della voce e immediatamente lo abbasso per paura che qualcuno possa sentirci -  Vaffanculo, Daniele. Tu sarai pure in gamba come  capo, ma sei anche uno stronzo arrivista come persona. E io voglio avere a che fare solo con la tua metà lavorativa. Perché, per il resto, ti odio!” Vado verso la porta e la apro.
“E’ questa la sola parte di me che vuoi? Bene, perché non sai quanto io possa essere stronzo come capo, Sam” lo sguardo che mi lancia adesso non è più divertito, scanzonato o eccitato, appare solo fastidio dai suoi occhi.
“Samanta, il mio nome è Samanta!”






Bene, bene, bene.
Innanzitutto, scusate il ritardo. Come ho detto ad alcune persone a cui ho risposto mi si è rotto il pc e sfrutto quello di mio fratello. Inoltre, sto preparando cinque esami, per cui, capite bene che la situazione è abbastanza incasinata.
Vorrei ringraziarvi però per la pazienza con cui aspettate i miei aggiornamenti, siete dei tesori.
Passando a cose serie, finalmente i vostri dubbi sono stati fugati. Dan è il fantomatico direttore editoriale che darà sicuramente filo da torcere a Sam. Purtroppo, si è bruciata con le sue stesse manine e ne pagherà le conseguenze.
In questo capitolo ci sono un po' di citazioni, tutta colpa di Mirya che mi influenza.
Il termine “Cazzone avariato” è ripreso dal film Nottingh Hill, in particolare dal personaggio mitico di Spike che io adoro incondizionatamente.
La canzone di Venditti è “Notte prima degli esami”
“Incantamento” è un termine ripreso dal sonetto di Dante (ve l’ho detto: Mirya mi influenza) Guido i' vorrei che tu Lapo ed io.
"Cimitero dei libri dimenticati" è un omaggio all’ultimo romanzo letto: L’ombra del vento di Zafòn. Consigliato vivamente a tutti.
Credo che sia tutto. Un ringraziamento speciale a Mirya, è grazie a lei se in tante mi seguite. Un augurio particolare a Paula.
Vi ricordo i miei contatti:
Twitter: @congy_
Facebook : Federica Congedo
Gruppo su facebook per avere anticipazioni e spoiler : E Gea tes Congis


Un bacio
Federica

PS: Mi raccontate la vostra ultima figuraccia? Sono molto curiosa :)

   
 
Leggi le 18 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: congy