Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Lachesis_    29/11/2010    2 recensioni
Una sera d'estate, un temporale che infuria fuori dalle finestre. Lui è lontano, non risponde al telefono. Come sempre. Lei è sola, non c'è nessuno a consigliarle cosa fare, a tenderle una mano. Perchè ci sono momenti in cui bisogna scegliere, in cui bisogna decidere da che parte stare, che cosa fare della propria vita. E per lei era uno di quei momenti fondamentali, in cui tutto cambia per sempre.
Ma ogni volta che incontrava quegli occhi, ogni volta che vedeva quel cielo in tempesta così dolorosamente simile a quello che luccicava fuori dalla finestra, resistere diventava impossibile.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
HTML Online Editor Sample

I hear you calling (Beth).

Alla Dids, perchè per noi questa canzone ha un senso.
Perché certi grazie non si possono spiegare.
Perché diciassette anni si compiono una volta sola.

Beth - Kiss. (play)

Quella sera pioveva. Tuoni e lampi si susseguivano in una danza senza fine di suoni e luci, scoppi improvvisi e bagliori sfolgoranti.
Non le avevano mai fatto paura i temporali.
Il cielo quasi viola illuminato a tratti, i rombi possenti dei tuoni che facevano tremare l’aria assurdamente calda, la fragilità estrema di un fulmine argentato che raggiungeva il terreno battuto dal vento, le gocce di pioggia che disegnavano arabeschi incomprensibili sui vetri… tutto era di una bellezza strana, sovrannaturale, fatta di tinte scure e rimbombi cupi, di folate umide in un’aria estiva, immobile.
Lei guardava dalla finestra; la casa vuota era immersa nel buio.
Un’armonia spezzata, remota e irraggiungibile solleticava i vetri dal bar di fronte, cercando un pertugio per entrare, costantemente respinta dal borbottio del temporale: gocce che ticchettavano sulle finestre, folate che facevano sbattere una porta lontana, il richiamo di una mamma preoccupata.
Ma nessuno chiamava lei; lei era sola. Come sempre.
Beth, I hear you calling,
But I can’t come home right now.
Me and the boys are playing
And we just can’t find the sound.

Si era avvicinata al telefono, incerta. Non aveva paura, ma la solitudine picchiettava sul suo cuore come le gocce di pioggia. Tu non sei niente per lui, sei solo un accessorio, non gli servi.
Non aveva resistito e aveva lasciato squillare. Una, due, dieci volte. Nessuno aveva risposto. Nessuno rispondeva mai.
Ormai non sapeva nemmeno più che cosa la spingesse a provare , a dargli un’altra possibilità. Questa è l’ultima, ripeteva, e ogni proposito andava in frantumi, era delicato quanto un lampo nell’aria estiva.
Just a few more hours
And I'll be right home to you.
I think I hear them calling,
Oh Beth what can I do,
Beth what can I do.

Ma ogni volta che incontrava quegli occhi, ogni volta che vedeva quel cielo in tempesta così dolorosamente simile a quello che luccicava fuori dalla finestra, resistere diventava impossibile.
Non importava quanto fosse forte, quanto volesse resistergli. Non poteva; come il tuono segue sempre il lampo, lei seguiva lui.
Non credeva più alle sue scuse, non credeva più a nulla. Nemmeno all’amore.
Sola e disillusa, lei guardava il temporale, il telefono stretto in mano, le lacrime che scendevano insieme alla pioggia.
You say you feel so empty,
That our house just ain't our home;
I'm always somewhere else
And you're always there alone.

Il vuoto era parte di lei, lei era il vuoto. Non c’era niente dentro di lei, non c’era più fiducia, compassione, speranza, gioia; anche la rabbia era sparita. Le illusioni si erano spezzate una a una, come specchi infranti e calpestati sul pavimento polveroso di quella casa troppo grande, quella casa dove l’eco delle sue parole risuonava senza fine, in cerca di una risposta che non arrivava mai.
Non c’era affetto tra quelle mura, non c’era nient’altro che una vita spezzata, un sogno distrutto.
I vetri bagnati riflettevano il suo viso pallido, stanco. Stanco della vita, delle bugie, del dover credere a qualcosa che non esisteva più, che non era mai esistito, forse.
E mentre le folgori si susseguivano in una danza senza fine, lei era tormentata dai ricordi. Ricordi di sorrisi, di sussurri, di complicità, di un’altra lei che aveva perso nel viaggio, che aveva sepolto in un luogo inaccessibile.
Just a few more hours
And I'll be right home to you.
I think I hear them calling,
Oh Beth what can I do,
Beth what can I do.

Come flash luminosi, come un susseguirsi di lampi, uno dopo l’altro: un sorriso, i suoi capelli scompigliati, la pioggia intrappolata tra le sue ciglia, le loro mani unite e stagliate contro il sole estivo.
Non era colpa sua, continuava a ripetere ossessivamente una parte di lei. Ma era sbagliato, era ingiusto, era colpa sua. Lo sapeva e non lo sapeva. Ci credeva, ma lo giustificava. Tutto era contraddizioni, era luce e insieme buio.
Come sembrava più nera la notte dopo il lampo, come sembrava più scabra la sua vita dopo il balenare di un sorriso, subito scomparso, effimero.
Le avevano detto che gli opposti si attraggono, che sono i due lati della stessa medaglia; in fondo come avrebbe potuto apprezzare del tutto la luminosa delicatezza di un lampo senza il nero pastoso della notte che lo circondava? Ma questo significava che lei non avrebbe potuto esistere senza di lui, che non sarebbe mai stata completa. E dipendere da qualcuno non le piaceva.
Come aveva potuto permettere che succedesse una cosa simile? Aveva bisogno di reagire, di trovare qualcosa, qualcuno a cui aggrapparsi. Ma le sue mani scivolavano sul vetro freddo, lasciavano scie traslucide sulla condensa, tracciavano linee insensate senza avere nulla su cui fare presa.
C’era solo la pioggia che cadeva fuori dalla finestra, solo il cielo violaceo, senza possibilità, solo un lampo troppo sottile per essere afferrato.
Un telefono squillava in lontananza, sullo sfondo. Un suono dimenticato, sussurrato da una vita diversa, da una promessa non mantenuta. Come tutte.
E c’era quella voce, quella voce instancabile e suadente che le sussurrava di arrendersi, di non cercare una via diversa di abbandonarsi a qualcosa che non poteva essere definito vita.
Beth I know you're lonely
And I hope you'll be alright,
'Cause me and the boys will be playing all night.

Era stanca di essere fiduciosa, di accettare ogni cosa, stanca di trovare un compromesso per ogni cosa, persino per se stessa. Non c’erano vie di mezzo possibili, non c’era un modo per sistemare le cose. Probabilmente sarebbe stata male, ma in fondo anche in quello stesso momento stava male.
Le avevano detto che c’è una sola vita, che bisogna godersela. Lei la stava buttando al vento per inseguire flebili illusioni, immagini inconsistenti quanto i fulmini che attraversavano il cielo, troppo rapidi e sottili per essere afferrati.
Aveva un sapore amaro, la delusione. Estraneo. Ma lei non sarebbe stata una delle tante disilluse, una di quelle che affogano semplicemente. No, lei avrebbe imparato a nuotare.

 

Note.

Bene, ecco. Ehm. Questa cosa non ha senso, ne sono perfettamente consapevole. Non è altro che una serie di paragrafi sconclusionati senza un nesso logico, ma per una volta non ci è voluto nessuno che mi minacciasse di morte per farmi pubblicare.
Sì, ok, i motivi sono altri rispetto a quelli che dovrebbero spingermi a imbrattare efp con le mie idiozie, ma questi sono dettagli.
Qui trovate la traduzione della canzone, non mi andava di metterla anche nella fanfic.
Ok, non so più cosa dire, se non che mi dispiace di aver rubato cinque minuti per farvi leggere questa schifezza.
Grazie mille ad Emmettì, che mi ha trovato un titolo che non fosse quello della canzone, nonché l’unica cosa decente di questo coso.
E grazie, grazie infinite a quell’idiota che ho citato sopra, perché certe cose non avrebbero senso, altrimenti (no, non è da intendere in modo smielato, devi dare un’interpretazione pragmatica alla frase). Buon compleanno, cara. Che poi è l’unico motivo che mi ha spinta a pubblicare, ma sorvoliamo.
Ok, alla prossima schifezza, gente. Se vorrete recensire per insultarmi fate pure, leggo sempre tutto con molto piacere.


Bea.

  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Lachesis_