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Autore: WillowG    29/11/2010    1 recensioni
Ogni amicizia nasce da un incontro. Una serie di One-shot legate tra loro riguardanti i membri fondatori dell'AX. Come si sono conosciuti, e cosa li ha portati a creare l'AX.
Genere: Comico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Caterina Sforza, Vaclav Havel
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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File 03

 - TEARS -

 Il disordinato rumore di forchette sui piatti lo stava facendo impazzire. Nonostante il volto impassibile, i nervi di Vaclav stavano andando disintegrandosi. Erano passati quasi tre giorni dal suo primo giorno al servizio della famiglia Sforza. Più precisamente da quando aveva accompagnato la Duchessa a scuola la prima volta. E da allora, nessuna creatura vivente aveva osato rivolgergli parola. La giovane Catherina per puro dispetto. I guardiani della scuola per ovvie ragioni. E tutte le persone in servizio a Villa Sforza per paura di ritorsioni della Duchessina. Carlo, forse unica persona che gli avrebbe fatto un minimo di compagnia, era bloccato a letto per il resto della settimana a causa di un improvviso mal di schiena.
 E se per lo svolgimento del suo lavoro, la cosa non era che gli dispiacesse tanto, dal punto di vista umano, il giovane Inquisitore iniziava a non reggere più la situazione. Essere totalmente ignorato dal mondo, era una tortura ben più grande di quel che poteva immaginare. Con un sospiro, osservò la sua tazza di caffé. Già vuota. Preso dal nervoso per la situazione di stallo in cui si trovava, le sue papille gustative non avevano neanche registrato il sapore del liquido scuro mentre veniva ingerito. Pur non nutrendo grandi speranze, chiese alla cameriera un’altra tazza. Solo per essere ignorato. Come se non avesse neppure fiatato. Unico segno di essere stato sentito, il rabbrividire della donna, e l’occhiata di sottecchi lanciata alla giovane duchessa, che continuava a fare colazione come se nulla fosse.
 Cercando di ignorare il desiderio di strangolare la cameriera, Padre Havel decise di alzarsi da tavola, e avviarsi all’auto. In teoria avrebbe dovuto restare ad aspettare che Catherina avesse finito, e accompagnarla, ma se non fosse uscito al più presto dalla stanza, avrebbe commesso un omicidio. Magari la cameriera. Nonostante tutto, non si sarebbe azzardato a sfiorare con un solo dito la Duchessa. Ergo, meglio uscire, per il bene della cameriera.

 Come da aspettativa, anche il viaggio fino all’istituto fu contraddistinto dal totale silenzio di autista e passeggeri nei confronti del prete. Con una nota di maligna soddisfazione, però, Vaclav notò che non era il solo a trovare la situazione pesante, e a voler terminare il tragitto al più presto, se l’acceleratore spinto al massimo dal sostituto autista era di qualche indicazione.
 Più verde di una zucchina, all’arrivo a scuola, il giovane Inquisitore notò appena il razzo munito di boccoli dorati che era Catherina superarlo, misteriosamente eccitata di entrare in classe. Ma la velocità della Sforza era nulla, di fronte all’eclissarsi delle guardie della scuola, alla sola vista del prete. Lasciato nella polvere sollevata dall’autista anche troppo felice di lasciare i suoi passeggeri, Padre Havel decise che era decisamente ora di mettere la parola “fine” a questo voto del silenzio nei suoi confronti.

 Senza sorpresa, la giornata scolastica passò ad una velocità da far apparire, almeno agli occhi del giovane Inquisitore, veloce e atletica una lumaca. Il suono della campanella fu liberatorio tanto per gli studenti che per la guardia del corpo. Nella marea festante di ragazzi, Vaclav individuò quasi subito la testa ricciuta che gli stava causando tanti problemi. E, come aveva fatto negli ultimi giorni, le si affiancò senza dire una sola parola, silenzioso e non intrusivo. E come negli ultimi giorni, la giovane Duchessa gli lanciò un’occhiata glaciale, per poi ignorarlo del tutto. Ignorando che una vena gli si era gonfiata sulla tempia, Padre Havel proseguì comunque con la ragazza fino all’automobile, dove però li attendeva una brutta sorpresa. L’autista provvisorio era quasi completamente nascosto dentro il motore dell’auto, lanciando esclamazioni che ben poco si addicevano ad un servitore papale.
 -Qualcosa non va?- Chiese padre Havel, senza aspettarsi una risposta. E quando questa arrivò, per quanto poco fine, ebbe la tentazione di buttarsi in ginocchio a ringraziare Dio in lacrime.
 -Non va no, porca di quella miseria!!!- Ruggì l’autista, tirandosi fuori a fatica dall’automobile. E parve essere colto da un mezzo infarto, quando, voltandosi, si trovò davanti Duchessa e guardia del corpo. Il volto a chiazze bianche e rosse, nell’indecisione se diventare paonazzo o impallidire, e ormai insalvabile dalla gaffe, decise di rivolgersi a entrambi e nessuno in particolare dei suoi due passeggeri.
 -Il motore ... ha un problema … da quando sono arrivato non vuole saperne di ripartire ...-
 -Ci vorrà molto per ripararlo?- Chiese Vaclav. Il servitore lanciò un’occhiata incerta a Catherina, ma questa lo fissava, in attesa della stessa risposta del prete, e per una volta, non interessata che venisse mantenuto il “voto del silenzio”.
 -Non ne ho idea.- Ammise l’autista, passandosi una mano sotto il cappello. -Non sono un meccanico. Certo, Carlo saprebbe aggiustarlo subito, ma non si è ancora ripreso dal mal di schiena, e comunque non è qui. Ho già chiamato alla villa, ma ci vorrà parecchio perché mandino qualcuno a prenderci ... Gli altri autisti sono tutti andati col Santo Padre o con il Signorino Alessandro … e né le cameriere, né la governante sono in grado di guidare … non che servirebbe a molto, dato che anche l‘altra auto della villa non vuole saperne di partire.-
 -Questa non ci voleva!- Esclamò la giovane dai boccoli dorati, il bel viso contratto in una smorfia. -Domani ho un compito importante, non posso permettermi di perdere tempo!- L’autista stava per scusarsi, mortificato, ma Vaclav non gliene diede il tempo.
 -Non importa. Andremo a piedi.-
 -Cosa?!- Esclamarono insieme i due, l’autista terrificato, e la Duchessa oltraggiata. Prima che uno dei due uomini potessero aggiungere altro, la giovane si era comunque ripresa, e, lanciando un’occhiata si sfida all’Inquisitore, annuì.
 -Molto bene. Ci vediamo più tardi.- E, senza aggiungere altro, la Sforza imboccò la strada verso la villa, incurante che la sua guardia del corpo la seguisse o meno. Havel era comunque alle sue calcagna, dopo un breve inchino di commiato al povero autista, che dopo una lunga occhiata confusa, tornò a mostrare al motore guasto il suo dizionario di parole volgari.
 Catherina camminava con passo svelto e misurato. Ma la rigidità del corpo mostrava tutta la sua irritazione. Vaclav la seguiva a pochi passi di distanza, senza troppa fretta. La differenza di falcata tra la ragazzina e l’Inquisitore evidente.
 Nonostante l’espressione tranquilla, il prete era in costante allerta. Sapeva che fare una passeggiata sulla strada non era esattamente una delle cose più intelligenti da fare come guardia del corpo, ma aveva assolutamente bisogno di parlare a quattrocchi con la Duchessa. Cosa impossibile tra le mura della villa, e ancora meno tra quelle dell’istituto. Cosa che però non si aspettava era che proprio la Sforza iniziasse un discorso.
 -Lo avete fatto apposta vero? A tirare fuori la storia di andare a piedi.-
 -Mi sembrava che aveste premura.- Rispose l’uomo, che nonostante la tensione nell’aria, non poté non godere nel poter di nuovo comunicare con qualcuno. Per quanto irritata fosse la controparte, e antipatica la conversazione.
 Di tutt’altro parere invece era Catherina, i cui occhi grigi minacciavano di perforare il cranio alla guardia del corpo.
 -Se avessi avuto premura, avrei chiamato un taxi.- Vaclav roteò gli occhi al cielo.
 -Sarebbe bastato dirlo.-
 -E fare la figura della pigrona? No, grazie.-
 -Questa discussione non ha senso!!!-
 -Invece sì!-
 -Invece no!-
 -Sì!-
 -No!-
 -Sì!-
 -Questa ha ancora meno senso!!!- Esclamò il prete, esasperato. Una mano andò a intrecciarsi tra i lunghi capelli scuri, mentre una forte emicrania andava a formarsi. Solitamente non avrebbe mai e poi mai partecipato ad una conversazione simile. Così … insensata. Ma forse per la giovane età della sua interlocutrice, forse era il nervoso covato negli ultimi giorni, o forse ancora i vari problemi che aveva avuto coi suoi superiori prima di venire a Milano … c’era dentro. Fino al collo.
 Con un grugnito sprezzante, la giovane Duchessa girò i tacchi e riprese la sua marcia. Sul volto il broncio più insofferente che potesse mostrare. Ma Vaclav non aveva ancora finito.
 -Almeno, perché questa insofferenza nei miei confronti? Ci sarà almeno un motivo, per cui incuto tanto odio in Sua Signoria!- Il passo marziale della sedicenne arrivò ad uno stop. E quando si voltò verso il prete, questi fece fatica a mantenere il volto inespressivo. Quegli occhi di ghiaccio un giorno avrebbero fatto raggelare anche i mari, ne era certo. E lui non aveva dubbio che la Sforza lo sapesse, e si allenasse giornalmente per perfezionarli.
 -Esisti e ti trovi qui. Credimi per me è un motivo più che valido.-
 -C … come?!-
 -Vuoi saperla tutta? Tu sei il sostituto della mia guardia del corpo, una persona adorabile, ma me lo hanno portato via, e al suo posto hanno messo te. Per questo ti odio!-
 -Non vedo cosa c’entro …-
 -Abel non è solo la mia guardia del corpo! È mio amico, l’unico vero amico che ho! E non sopporto vedere qualcun altro al suo posto! E tu sei qui, e solo perché mio fratello doveva sbattermi sotto il naso che ora è a capo dell’Inquisizione!- Una piccola pausa, mentre riprendeva fiato. Le guance, di solito pallide, rosse per le emozioni lasciate a briglia sciolta. -Ma tu che ne puoi sapere. Sei un Inquisitore. Un Soldato di Dio. Non hai idea di che vuol dire avere sentimenti.- Neppure il tempo di riprendere a camminare, che la mano di Vaclav si era stretta attorno al polso della giovane. La stretta ferrea, impossibile divincolarsi, nonostante gli sforzi. La ragazza si voltò, pronta a confrontarsi col prete, ma ogni protesta le morì in gola quando incontrò i pozzi scuri che erano gli occhi dell’Inquisitore. Freddi. Impassibili.
 -Per essere figlia di un Papa, avete molti pregiudizi.- Sentenziò il giovane uomo, senza allentare la presa sulla duchessa. -Vorrei ricordarle, che prima di essere un membro dell’Inquisizione, prima di essere un prete, sono una persona! Non ho scelto io questo incarico. Fosse per me, non sarei neppure venuto in Italia. Sarei rimasto in Boemia, nella mia terra.- Catherina smise solo per un momento di divincolarsi. La voce del prete non era cambiata, era sempre fredda e impassibile da far venire i brividi. Ma gli occhi, quelli erano un altro discorso. Nonostante la rabbia delle parole, le iridi color ebano erano cambiate totalmente. La freddezza aveva lasciato spazio ad un dolore profondo, quasi fisico. Di tutte le cose che poteva aspettarsi dall’Inquisitore, la giovane Sforza di certo non si aspettava il dolore. Non aveva mai, neppure per un secondo, immaginato che anche per il prete quella situazione potesse essere un’imposizione. Solitamente, un qualunque membro della Chiesa avrebbe fatto i salti di gioia ad avere l’incarico di guardia del corpo della figlia del Papa. Un onore enorme, che di certo sarebbe stato ben redarguito, in prestigio e potere.
 E ora un forte senso di colpa e vergogna iniziò a farsi strada nella ragazza, tanto forte da farsi fisico, rivoltandole lo stomaco. Si sentì profondamente stupida. Stupida e infantile. Poteva quasi sentire i succhi gastrici venirle su dalla gola, tanto erano forti quelle emozioni. Ma il suo orgoglio era ancora più forte. E, desiderosa solo di restare sola, e il più possibile lontana da quel giovane uomo dai capelli lunghi e il volto affilato, riprese a divincolarsi, con una forza datale dalla disperazione e dalla rabbia, ora indecisa se rivolta contro sé stessa o l’Inquisitore.
 Vaclav lasciò andare la presa dopo pochi secondi, per la sorpresa di Catherina. Stupito a sua volta per la sua perdita di controllo, cercò di riprendere un poco di lucidità, rendendosi conto di quanto fosse andato troppo oltre con il suo comportamento. Non ebbe però modo di scusarsi, perché la Sforza aveva approfittato dell’opportunità e aveva cominciato a correre, senza davvero sapere per dove, vogliosa solo di essere il più lontana possibile da quel luogo, dalla sua vergogna, la sua rabbia e frustrazione, e dal prete che ne era in parte causa. Sorda ai richiami di Havel, e del proprio cuore che batteva con forza contro la cassa toracica, provocandole dolorose fitte, la ragazza corse alla cieca, spingendo ancora di più le gambe quando sentì gli occhi bruciare, e la vista annebbiarsi. Non voleva piangere. Non davanti a quell’uomo. Non davanti al sostituto di Abel, non davanti al tirapiedi di suo fratello. Un’umiliazione che davvero non avrebbe potuto sopportare.
 Strinse le palpebre con forza, sorda ai rumori e al mondo attorno a sé, se non quando un paio di braccia vestite di rosso la afferrarono e la tirarono indietro. Aprì la bocca per urlare le sue proteste, ma la voce le venne inghiottita dal fracasso di una locomotiva. Aprì gli occhi, e rimase paralizzata alla vista delle carrozze che le sfrecciavano davanti al volto, a meno di un metro di distanza. La violenza dello spostamento d’aria provocato dal treno, unito all’irruenza del gesto di Vaclav, fece cadere entrambi all’indietro. Catherina batté la schiena contro il prete, togliendogli letteralmente l’aria dai polmoni, e rendendogli quasi difficile restare seduto. Rimasero fermi in quella posizione, seduti a terra, Catherina con la schiena appoggiata al petto di Vaclav, e le sue braccia strette protettive attorno alla figura esile di lei, finché il treno non fu passato.
 Una piccola parte della mente di Catherina, l’unica rimasta razionale, si stava dando della stupida. Ogni giorno faceva quella strada. Eppure si era dimenticata che prima di arrivare alla villa, la strada si incrociava con la ferrovia. Rendendosi conto del pericolo corso, il suo corpo iniziò a tremare. Istintivamente, Havel aumentò la stretta sulla ragazza, nel tentativo di rassicurarla.
 Forse fu la paura per il pericolo appena scampato. Forse che era davvero molto tempo che non permetteva a nessuno di tenerla così, stretta tra le braccia, come quando era bambina. Forse l’insieme di rimorso, vergogna e rabbia da cui cercava di scappare, unita alla tremenda mancanza di Abel. Ma le lacrime iniziarono a scorrere dagli occhi della ragazza, fiumi che portavano via il veleno che le si era annidato dentro in tanto tempo.
 Spaventato da quella reazione, Vaclav aprì la braccia per liberare la sedicenne, ma questa si voltò e si aggrappò a lui, come se fosse stato la sua unica ancora di salvezza. E lui decise di lasciarla fare. Di farla sfogare, di buttare fuori tutto quello che la tormentava. Non poteva sapere il profondo significato di quel momento. Solo anni dopo, infatti, Catherina gli avrebbe confessato che quella era stata la prima volta che aveva pianto davanti a qualcuno, dopo l’incontro con Abel e la morte di sua madre.

 Il resto della strada fu percorso in silenzio. Non per imbarazzo, ma perché entrambi, in fondo, sapevano che non c’era nulla da dire. L’apice dell’emotività era passata, e restava solo una tranquilla spossatessa, e la certezza istintiva che quanto successo sarebbe stato un fatto tra loro due. Vaclav si arrischiò a lanciare un’occhiata alla Duchessa. Ma, con sollievo, constatò che la giovane non era differente dal solito. I boccoli biondi forse erano un tantino arruffati, e gli occhi ancora un po’ lucidi, ma per il resto era del tutto normale. Tranne il fatto che non gli stava più lanciando occhiate al vetriolo. Cambiamento di cui era più che grato.
 Beatrice aprì senza fare domande il cancello, professionale come sempre, se non per l’evidente sollievo di vedere tornare a casa la padroncina sana e salva. Dirigendosi verso l’entrata della villa, i due si fermarono al suono di una voce che entrambi conoscevano bene. Carlo, bastone in mano e seduto su una delle panchine che contornava il parco, stava lanciando bonari ordini agli altri servitori, che si affaccendavano sulla seconda macchina, che sarebbe dovuta andare a prendere l’autista rimasto all’istituto e portare soccorso all’altra auto. Sia Inquisitore che Duchessa si avvicinarono all’anziano, ben felici di rivederlo.
 -Carlo!!!- Al suono del proprio nome, l’anziano di voltò sorridendo.
 -Signorina, Padre! Siete riusciti ad arrivare anche da soli vedo!-
 -Così sembra.- Concesse Vaclav, senza aggiungere altro. Catherina gli rivolse una lunga occhiata, quasi lo stesse valutando. Sentendosi leggermente a disagio dal quegli occhi penetranti, il prete si concentrò su Carlo. -Allora, Carlo. Il suo mal di schiena?-
 -Molto meglio, Padre, grazie.- Rise il vecchio, accarezzandosi i baffi. -Tra un paio di giorni al massimo, potrò scorazzarvi di nuovo in giro!-
 -È bello sentirlo, Carlo.- Fece Catherina, sorridendo. Il primo sorriso da molti giorni. L’autista annuì.
 -Grazie, Signorina. Ma adesso andate. Avrete i vostri compiti da fare. E lei, Padre, l’aspetto per cena, così mi ragguagliate un po’ sugli ultimi fatti.- Catherina si irrigidì alle parole del vecchio, e Vaclav intervenne subito.
 -Mi farà molto piacere unirmi a voi. Ma tempo che le potrò dire molto poco. In questi giorni non è successo davvero nulla.- Le iridi chiare slittarono per un secondo su quelle ebano dell’Inquisitore, quel tanto da fargli percepire la sua gratitudine per il suo silenzio. Carlo emise uno sbuffo deluso.
 -Oh, beh. A quanto pare le cose interessanti succedono solo quando ci sono io. Meglio così! Non mi sono perso niente!!!- Concluse ridendo l’uomo, facendo un cenno di saluto ai due giovani. Questi, dopo averlo salutato doverosamente, si avviarono nella villa, dove una impaziente Beatrice li aspettava alla soglia.
 Carlo guardò i due allontanarsi, e solo quando fu sicuro di essere solo, tirò fuori da dietro la schiena la sua fedele chiave inglese. Sapeva bene che qualcosa era accaduto, tra i due, in quei giorni. Beatrice lo informava di ogni cosa, anche la più piccola. E lui aveva anche escogitato il modo per mettere le cose a posto. Eh, già. Il vecchio Carlo aveva molti assi nella manica, ancora. In fondo, da giovane aveva lavorato tanto tempo coi motori, nell’officina del padre. Sapeva aggiustarli come niente. E altrettanto come niente romperli.

 La mattina dopo, quando Catherina scese a colazione, Vaclav era già al suo posto, a sorseggiare caffé nero e a leggere le ultime notizie sul giornale. I sopracigli scuri aggrottati, mentre gli occhi scorrevano sugli ultimi fatti avvenuti in Boemia. La giovane duchessa sentì una fitta di senso di colpa allo stomaco. Sapeva che l’Inquisitore era straniero. Il suo accento e nome ne erano prova. Ma non si era mai soffermata a pensare che potesse avere nostalgia della sua patria. E le parole che le aveva urlato il pomeriggio prima ne erano la prova.
 Un pugno esile si strinse impercettibilmente. Vaclav aveva ragione. Non si era posta il problema che, prima di essere un membro dell’Inquisizione, quindi un soldato, uno degli uomini di Francesco e un prete, Padre Havel era una persona. Il fatto che fosse venuto a coprire nella sua vita, seppure per un tempo limitato, il posto che lei aveva riservato ad Abel, non le dava di certo il diritto di trattarlo in quel modo. Come se tutto fosse colpa sua.
 Con un sospiro, la giovane Duchessa di Milano si sedette al suo posto, e non appena la cameriera le mise davanti la sua colazione, chiese, senza distogliere gli occhi dal piatto:
 -Padre Havel, potrebbe passarmi il latte, per favore?- Le palpebre batterono un paio di volte sulle iridi scure, mentre il prete metabolizzava il fatto che la Sforza gli avesse rivolto parola senza insultarlo. Poi, convintosi di non esserselo immaginato, eseguì l’ordine con un sorriso gentile sulle labbra sottili.
 -Ecco qui, Duchessa.-
 -Grazie.- Fece la ragazzina, una volta ricevuta la caraffa, senza però dare una seconda occhiata al prete. Parlargli non significava che l’Inquisitore le piacesse. O ancora meno, che avesse preso il ruolo di Abel. Con la coda dell’occhio, la giovane vide la cameriera offrire dell’altro caffé al prete, ormai tranquillizzata della rottura del “voto del silenzio“. No. Vaclav non avrebbe mai potuto prendere il posto di Abel. In alcun senso. Ma, per il momento, poteva fare lo sforzo di sopportarlo. Almeno quello sì.

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 -Non ho mai voluto prendere il posto di Abel.- Assicurò Vaclav, mentre Catherina appoggiava di malavoglia la foto. Sarebbe stata ore e ore ad ammirarla, persa nei ricordi.
 -E non l’hai mai fatto.- Sospirò la Cardinalessa, finendo l’ultimo sorso di tè. -Tu ti sei creato un posto tutto tuo.- Le mani della donna andarono a coprire quelle del prete, che le donò uno dei suoi sorrisi più sinceri. Ma il contatto venne interrotto, non appena giunsero da dietro la porta dello studio il rumore di passi frenetico. In pochi istanti, Sorella Esthel Blanchett aveva aperto la porta, usando il poco fato che e era rimasto in gola per annunciarsi.
 -Che succede, Sorella? Prendete fiato con calma e spiegatevi.- La voce della Sforza era tornata forte e decisa, ogni traccia del modo in cui era ceduta poco prima alle emozioni sparita. La giovane dai capelli rossi prese un paio di profondi respiri, per dare modo ai polmoni deprivati di ossigeno di riprendersi.
 -Padre Nightroad …-
 -Cos’ha combinato stavolta?!- Ringhiò la Cardinalessa, cui persino il monocolo mandava bagliori sinistri. Vaclav rimase silenzioso, ma lo gli occhi erano vigili, e concentrati sulla giovane suora.
 -Ha provato i bracciali di Padre Leòn, e …- Neppure il tempo di completare la spiegazione, che dal corridoio giunsero urla di ogni genere. I tre membri del clero si fiondarono fuori dall’ufficio cardinalesco, per essere quasi investiti da due razzi in tonaca nera. Uno con occhiali tondi e capelli candidi, l’altro con accento spagnolo e capelli ricci con uno strano taglio proprio alla sommità del capo, che lo faceva sembrare un frate a cui avessero appena fatto la tonsura.
 -Ho detto che mi dispiaceeeeeee!!!-
 -Te lo faccio dispiacere di più quando ti ho preso, quattrocchi!!!- Catherina, Havel e la giovane Eshtel rimasero immobili, troppo allibiti dalla scena che si consumava davanti ai loro occhi per intervenire o commentare.
 -Hanno anche appena dato la cera …- Mormorò Esthel, coprendosi gli occhi, e mormorando un “non voglio guardare”.
 -Vaclav … forse sarà meglio che li vai a fermare, prima che …- Neanche la donna d’acciaio, la potente e determinata Cardinalessa Sforza sembrava pienamente convinta delle sue parole. Altre grida. E l’inconfondibile suono di corpi andati a sbattere contro un muro. Vaclav emise un lungo, sofferto sospiro.
 -Non credo sia più necessario.- Un lungo minuto di silenzio rassegnato, mentre in lontananza, arrivava il sottofondo di mugolii di dolore, intramezzati da deboli scuse e bestemmie in spagnolo.
 -Vado a chiamare Padre Wordsworth. E la capo infermiera.- Mormorò Esthel, depressa quanto i suoi due superiori.
 -Dì alla Sorella infermiera che vedrò di sdebitarmi per quei due.- Disse solo la Cardinalessa, massaggiandosi stancamente le tempie. La giovane suora dai capelli rossi era appena sparita tra i labirintici corridoi del Vaticano, quando la voce di Sorella Scott risuonò nell’aria.
 -Cardinalessa. Il Doge di Genova chiede udienza.-
 -Mai un attimo di pace, eh?- Sbuffò la donna in rosso, sistemandosi il monocolo. -A questo punto, andiamo, Vaclav.- Solo dopo qualche passo Catherina si accorse che Padre Havel non la stava seguendo. -Vaclav, che c’è? Très non è ancora arrivato, quindi devi venire con me!-
 -Il Doge di Genova … è Simone Boccanegra, vero?- Chiese il prete, le labbra serrate in una linea sottile, e un’espressione preoccupata negli occhi. La bionda emise uno sbuffo poco signorile. La sua pazienza messa a dura prova.
 -Se non ne è stato messo un altro al suo posto negli ultimi tempi, credo proprio di … Oh!- Improvviso lampo di genio.
 -Oh.- Fece coro Vaclav, soddisfatto che la sua Cardinalessa ci fosse arrivata. Ma non per questo meno preoccupato.
 -QUEL Boccanegra?- Ora la preoccupazione era apparsa anche negli occhi della donna. Da giovane Catherina era entrata una sola volta, convinta dalle sue amiche di scuola, in un locale per soli maggiorenni. E lì, aveva incontrato quello che, di lì a pochi anni, divenne nientemeno che il nuovo Doge di Genova. Non un incontro piacevole. Per nessuna delle parti. Soprattutto per Boccanegra. Da allora, fortunatamente, il Doge e la Cardinalessa non avevano avuto contatti. Fino ad oggi. Vaclav annuì.
 -Quello.-
 -Tu pensi che …-
 -Sì.-
 -Sono passati dieci anni!-
 -Lo so.-
 -Non crederai che se lo ricordi ancora …-
 -Lo do per scontato.-
 -Dovrebbe esserci passato sopra, no?-
 -Ne dubito.- Un sospiro. -Non si passa sopra a un setto nasale spaccato.-
 -Ma mi stavi difendendo!- Cercò di scagionarlo Catherina. Ma l’auto accusa del prete reggeva anche troppo.
 -Ma neanche sapevo chi stavo difendendo! È stata un’aggressione!!! In tutto e per tutto!!!-
 -…è … irrilevante.- Fece la donna, pur non essendo convinta delle sue stesse parole. -Ormai sei qui. E non possiamo farlo aspettare oltre.-
 -Speriamo che Abel abbia ragione, e che sia vero che la barba confonde ...- Sospirò Know Faith, seguendo alfine la figura in rosso, come ormai faceva da tanti anni. Ma entrambi non potevano non tornare, con la mente, alla sera in cui avevano conosciuto il futuro Doge, durante una delle serate più pazze e assurde della loro vita. Almeno fino al ritorno di Abel e l’arrivo di William.

Fine file 03

 Per chi non lo sapesse, Simone Baccanegra è stato il primo Doge della Repubblica Marinara di Genova. Dato che molti, se non quasi tutti, i personaggi di TB hanno nomi ispirati a personaggi storici, perché non infilare anche lui? La verità è che sto studiando la storia delle repubbliche marinare per conto mio, e ho colto la palla al balzo. ^_^
 Se per caso il rapporto tra Vaclav e Catherina vi sembra troppo intimo, beh, sappiate che mi sto ancora trattenendo, perché non voglio che la mia fic sia di tipo romantico. Giuro che la prima volta che ho visto l’anime, ho pensato due cose di Valcav: 1) assomiglia in maniera imbarazzante a Gesù Cristo. 2) questo è l’amante della Cardinalessa. È stupido, ma è quello che ho pensato.
 Nell’anime, Vaclav sembra essere davvero vicino a Catherina, tanto da essere anche l’unica persona davanti alla quale lei possa piangere, ed è l’unico a confortarla, dopo la morte di Noelle. Catherina poi ha sicuramente la confidenza di piangere e sfogarsi anche con Abel, ma credo che con Vaclav abbia un rapporto speciale. Il mio punto di vista è che lei crolli nei momenti più dolorosi con Vaclav per non pesare su Abel che ha già molta tristezza di suo, e probabilmente si prenderebbe il peso anche di quello sulle spalle. Poi io mi sono messa in testa che questi tre siano una sorta di “trio dell’AX” a causa di un’altra immagine dell’artbook vista su internet, con Vaclav, Abel e Catherina assieme in giardino. O che quantomeno siano i tre da cui è partito l‘input di fondare l‘AX, e che Kate e William siano arrivati poco dopo.
 Nessuno sa Havel che armi usa? In un sito ho letto che ha dei coltelli retrattili nascosti nei guanti, ma non so quanto è vero … e la cosa mi sa tanto di Assassin’s Creed (un crossover che non sarebbe male … XD butto lì l‘idea, se a qualcuno può interessare … potrei farci comunque un pensiero per il futuro …) Qualcuno può aiutarmi?

Saluti

Will
  
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