L’Avana, Cuba, 1977
Agosto
“¡Hola,
tío!” esclamò Ricardo, entrando nell’officina dello zio, alla fine del
turno in hotel.
“Ricardo, che ci fai qui? Sei in
anticipo, oggi” rispose lo zio, immerso nel motore di una grossa auto
americana.
“Il signor Ruiz mi ha fatto uscire
prima. Era contento” spiegò il ragazzo, avvicinandosi alla parete dove lo zio
teneva gli attrezzi del mestiere.
“Davvero? Sono felice per lui.”
“Sai, sono arrivate tre americane,
oggi. Sono molto carine.”
“Buon per te.”
“Sai, una di loro assomiglia molto
alla ragazza della foto.”
“Quale foto?”
“Non fare finta di niente. La ragazza
della foto che Luis tiene appesa alla Rosa Negra.”
“Ce ne sono tante di foto, alla Rosa
Negra.”
Ricardo sbuffò. “Beh, sai benissimo
di quale foto sto parlando. Quella della tua regina.”
Javier Suarez si raddrizzò e lanciò
via lo straccetto lurido che teneva tra le mani. “Dubito che l’americana di cui
parli sia Katie Miller” mormorò.
“Forse non lo è, ma si chiama Katie.
E deve avere… trentacinque anni, credo. Insomma, ha l’età per essere lei.”
Javier era confuso. Non sapeva se
sperare che si trattasse di Katie, o se sperare che non lo fosse. Se davvero
era lei, perché non era ancora venuta a cercarlo? Ok, era arrivata da poco. Ma sarebbe
venuta a cercarlo? Si ricordava di lui? Diavolo, era stato il suo primo amore,
come poteva averlo dimenticato? Lui non aveva dimenticato niente della loro
breve storia. Nemmeno un secondo, nemmeno un misero dettaglio gli era sfuggito.
Forse Ricardo si era sbagliato. Forse la Katie di cui parlava lui assomigliava
solo alla sua Katie. “E’ sola?”
Ricardo scosse la testa. “C’è un’altra
donna, avrà trent’anni, bionda, carina. Si chiama Lucy.”
Le speranze di Javier crollarono
come un castello di carte. Katie e Lucy Miller erano tornate a Cuba.
“E poi c’è una ragazza” proseguì il
ragazzo, ignorando l’espressione disorientata dello zio. “Carina, anche lei.”
“Come si chiama?”
“Mmm… Isabella. Avrà sì e no
quindici anni. È la figlia di Katie, credo. È l’unica delle due che abbia un
anello.”
Se Ricardo avesse sospettato di
infliggere tanto dolore allo zio, non avrebbe parlato con tanta sufficienza. Javier
quasi non riusciva a crederci: nonostante tutte le promesse, nonostante
avessero giurato di ritrovarsi, in un modo o nell’altro, Katie si era sposata. Aveva
messo in piedi una famiglia. Dio solo sapeva quanto avrebbe voluto uccidere
quell’uomo così fortunato. Represse il pianto, e con voce dura continuò a
interrogare Ricardo: “Sono in vacanza con la famiglia?”
“Non so che razza di vacanza sia. Ci
sono solo loro.”
Il cuore di Javier si aprì. Beh, il
marito di Katie si fidava a lasciar partire tre donne sole per Cuba… doveva
essere un tipo in gamba. Forse Katie non aveva vissuto tanto male. Forse Katie
si era resa conto di amare quello sconosciuto più di quanto amasse lui. Forse lui
era ricco, e lei non era mai stata la ragazza in gamba che Javier aveva
creduto. O forse era successo qualcosa, qualcosa di grave o brutto, e lei si
era dovuta sposare.
“Ehi, domani potresti venirmi a
prendere al lavoro. Magari riesci a vederla e a salutarla” propose Ricardo.
“No” ribatté duro Javier, tornando a
lavorare al motore. “E loro non devono sapere che sei mio nipote. E nemmeno che
mi conosci.”
“Ma perché, zio?”
“Perché te lo dico io. Ti ho mai
fatto fare qualcosa di sbagliato?”
“No, ma…”
“Fai come ti dico, Ricardo. Per favore. Un giorno ti spiegherò.”
Il ragazzo annuì. Voleva troppo bene
a Javier per disobbedirgli. Era stato Javier a crescerlo, nonostante non ci
fossero legami di sangue tra loro. Era stato Javier a prendersi cura di lui, da
sempre, già da quando sua madre aveva fatto credere a Carlos, fratello maggiore
di Javier, che Ricardo fosse il frutto di una loro relazione. Poi Carlos era morto,
sua madre era morta. Ma Javier era rimasto, e lo aveva adottato. Gli aveva dato
da mangiare, lo aveva vestito, lo aveva mandato a scuola. E non aveva mai
chiesto nulla in cambio.
“Va bene, zio.”