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Autore: GurenSuzuki    29/11/2010    8 recensioni
Fanfic a 4 mani. GurenSuzuki&Tora.
“Il mio nome è Kyo. La vostra insegnante di matematica, la Signora Fuwa, ha avuto un incidente domestico e attualmente è ricoverata in ospedale con un braccio rotto e l’anca lussata. Ne avrà per qualche mese, ma a parte questo sta bene. Fino ad allora la sostituirò io. Per andare d’accordo con me ci sono solo tre regole da rispettare: Prestatemi attenzione quando spiego; Impegnatevi; e soprattutto, in tutto ciò che fate dalla mattina quando aprite gli occhi fino alla sera quando li chiudete, pensate sempre e solo con la vostra testa.”
Un insegnante fuori dalle righe, acuto e tenebroso e uno studente dalla mente brillante e ribelle. I loro mondi collideranno e, inevitabilmente, l'impatto li unirà.
KyoRuki.
Genere: Commedia, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Ruki
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CHAPTER 3

L’intervallo è sempre stato uno dei miei momenti preferiti quando ero uno studente.
Sarà perché non ho mai avuto realmente voglia di applicarmi in nulla.
Oppure semplicemente perché così potevo svignarmela indisturbato sul tetto per fumare una meritatissima sigaretta osservando la città dall’alto.
Quasi rimpiango quei tempi sotto certi aspetti.
All’epoca almeno nell’intervallo potevo dedicarmi in santa pace al fumo.
Adesso invece devo starmene rintanato nella Sala Docenti dove c’è un cartello con la terribile sentenza ‘No smoking’ ad armeggiare con i registri  per portarmi avanti col lavoro e scrivere  le programmazioni.
Tuttavia, mentre mastico il tappo della mia bic, penso che questo sia ancora il male minore.
Non so dire se mi secca di più non poter fumare, il fatto che la Fuwa sia indietro con il programma standard in due classi, i Professori più anziani che si permettono di scrutarmi dall’alto in basso come se non avessi il diritto di trovarmi ad occupare il ruolo che detengo,  oppure la professoressa di Giapponese che sono due giorni esatti che prova ad attaccare bottone mentre io ho tutt’altro a cui pensare.
Ed infatti eccola.
La vedo avvicinarsi in punta di piedi con la coda dell’occhio, le guance imporporate e l’espressione esitante come quella di un’adolescente innamorata.
Non posso fare a meno di sorridere, con ironia.
Ti piaccio non è vero?
L’ho visto centinaia di volte quello sguardo.
Lo vedo ogni sera in cui canto nel volto di donne e persino ragazzi che mi rincorrono dietro le quinte, chiedendo una firma su un pezzo di carta o persino, i più sfrontati, il mio numero di telefono.
Ma tu sei esattamente come gli altri.
Come gli altri ciò che ti attrae è solo la facciata esterna.
Ma di me non sai niente.
Stammi lontana o ti scotterai.
Non sono un uomo che si getta in relazioni superficiali e le scopate di una sola notte mi concedono solo un orgasmo di pochi secondi ma non mi lasciano nulla nell’anima.
Invece sembra proprio che abbia deciso di provare a scottarsi perché sento le sue dita affusolate picchiettare sulla mia spalla, approfittando del fatto che io sia seduto, fingendo di non guardarla.
“Niimurasan…” Esordisce con una voce allegra, ma tesa.
Sta fingendo una tranquillità che non possiede.
“Kyo.” Ribatto seccamente tornando a dedicarmi ai miei compiti.  
“Oh si, Kyo.” La sento correggersi e proseguire con voce più attutita. “ Come stai?” Prosegue e solo allora mi decido a sfilare la bic dalla bocca per voltarmi a guardarla.
Ha la bocca coperta da una mano dalle unghie lunghe e curate, terribilmente femminili.
Come tutta la sua figura in fondo.
E’ innegabilmente una bella donna, con ogni curva al posto giusto.
Ma troppo insistente e indiscreta per i miei gusti.
“Ti preoccupi molto per i tuoi colleghi, vero Nakashima?” Chiedo con un sorriso leggermente tagliente cercando di farle capire con tutto il tatto che uno come me possiede che farebbe bene ad alzare le tende e lasciarmi lavorare.
Alla mia domanda avvampa completamente e nel momento in cui i nostri occhi si incontrano distoglie lo sguardo volgendolo altrove mentre un sorriso timido si affaccia sulle sue labbra.
Non perdere tempo con me, Ayumi.
Non sono quello che cerchi.
“Ecco… volevo sapere se ti sei ambientato bene…” Riprende soffiando morbidamente le parole, abbassando la mano che aveva portato alle labbra mentre l’altra resta appoggiata sulla mia spalla.
Odio questi gesti da parte di persone che conosco poco e male da appena una manciata di giorni.
Odio quando invadono il mio spazio.
La tentazione di darle una risposta al vetriolo è forte e devo fare del mio meglio per trattenermi.
In fondo con questa gente, per quanto la prospettiva non mi entusiasmi, devo lavorarci ed io prendo sempre sul serio i miei impegni.
Sempre.
Per questo decido di adottare una condotta più socievole e forzo un sorriso apparentemente cordiale mentre mi alzo in modo da sottrarmi a quel contatto fastidioso.
“Ti ringrazio per l’interessamento, ma è un po’ presto per dire di essermi già ambientato.”
Rispondo chiudendo la bic che ripongo nel taschino della camicia e chiudendo il registro.
Ho già capito che stando qui non mi lascerà in pace fino alla fine dell’intervallo.
“Hai ragione.” Sussurra quasi lei tornando a guardarmi negli occhi. La vedo esitare ancora e tentennare per qualche istante prima di proseguire. “Kyo… ti andrebbe di andare a prendere un caffè?”
Chissà perché improvvisamente la mia mente mi riporta indietro ai giorni del liceo quando non ero in grado di attendere la pausa pranzo per andare a fumare e allora mi rintanavo in bagno per accendermi una sigaretta.
Credo sia perché in questo momento ho la tentazione di prendere i miei registri e chiudermi nel bagno dei professori fino al suono della campana.
Le sorrido cercando di nascondere il fatto che quelle attenzioni mi procurano più fastidio che altro.
“Ti ringrazio ma devo sbrigare delle questioni urgenti poi ho lezione nella III  B. Faremo un’altra volta.”
Spero che non mi chieda anche che questioni ho da sbrigare perché non ne ho idea.
Un lampo di delusione passa sul suo volto, ma lo dissimula immediatamente con un nuovo sorriso.
“Oh… va bene. Io invece ho lezione in V D.”
Alle sue parole inarco un sopracciglio, pensieroso.
La V D. Sono due giorni che non ho lezione da loro. Praticamente da quando li ho incontrati la prima volta.
Chissà come se la stanno cavando.
Soprattutto lui.
Beh lo saprò dopo l'ora della Nakashima.
“Capisco.” Rispondo con calma raccogliendo i miei registri. “ Allora, ci vediamo Nakashima.”
La saluto con calma volgendole le spalle per poi uscire dalla Sala Insegnanti.

Mi dicono in molti che il mio comportamento fa trapelare un'insensibilità di fondo, coadiuvata da un certo menefreghismo, che mi porta ad essere considerato dalla gran parte dei docenti come un vandalo della peggior specie. Per non parlare dei luoghi comuni che -come in un irritante clichè- mi vedono col braccio nudo proteso verso l'ago di una siringa, o col naso immerso nella polvere. Ma il mio non è menefreghismo, ne si può parlare di insensibilità. Anzi, forse -devo a malincuore ammettere- sono proprio il fenotipo opposto di persona.
Anzitutto, non posso essere etichettato come menefreghista solo perché durante qualche lezione dormo invece che ascoltare, giusto? Mh. Okay, forse non sono proprio una persona attenta o partecipe...
Poi, passando all'altro punto, bhe... non ho mai "rivelato" i miei gusti sessuali semplicemente perché non credo debba interessare alle altre persone, ma credo sia abbastanza chiaro che alle curve procaci di un torace femminile preferisco un ventre muscoloso...
E, sì, solitamente preferisco ricoprire il ruolo passivo durante un amplesso, ma non per questo posso essere definito checca, chiaro? Ci tengo a sottolineare il concetto dato che madre natura mi ha affibiato un'acuta sensibilità e dei dotti lacrimali alquanto debolucci. Io piango, per sfogarmi. I miei nervi non contemplano altro modo se non farmi appannare la vista dalle lacrime per chetarsi, e non immaginate l'indescrivibile sensazione di impotenza quando sento le palpebre appesantirsi, conscio di non potere nulla contro l'inarrestabile flusso di emozione.
Questa spiccata sensibilità mi ha portato con gli anni ad affinare sempre nuovi schermi di protezione: maschere su maschere si sono incollate al mio volto, scivolando in ogni sorriso, smorfia o gesto che quotidianamente compio. Ormai io stesso non riesco più a distinguere dove io finisco e iniziano queste rappresentazioni fittizie di ciò che vorrei essere. Sono in questo equilibrio dinamico da anni ormai, e fin'ora è andato tutto bene. Se da un lato mi demoralizza il fatto che nessuno -nemmeno il mio migliore amico- si sia mai accorto di quanto i sorrisi che quotidianamente tendono le mie labbra siano il riflesso di una bugia, dall'altro mi tranquillizzano, perché nessuno riuscirà mai ad espugnare la mia fortezza.
Ho vissuto in quest'altalenante marea per così tanto da essermene assuefatto.
Ma stò bene così.
Come sempre il trillo delle campanella segna la fine dell'ora di Giapponese e quella gallina della Nakashima smette finalmente di cianciare e sparisce dalla classe.
"Che abbiamo ora?" chiedo stiracchiandomi a Ryo, immancabile compagno di banco dalla prima media.
Lui apre svogliatamente il diario e getta un occhio all'orario datoci. "Mh... matematica. Ci sarà il tuo bel biondone." sogghigna senza pietà. E improvvisamente trovo che la sua fronte starebbe davvero bene fracassata contro il banco. Non gli rispondo e tiro fuori il libro dallo zaino, appena in tempo per sentire il familiare brivido che mi avvolge interamente all'udire quella voce augurarci il buongiorno.
Rispondiamo in un coro singhiozzante, ma egualmente entusiasta. Devo dire che è riuscito a catturare la simpatia di tutti, qui dentro.
"Oggi vi ho preparato un compito da svolgere qui in classe, giusto per vedere come ve la cavate. La valutazione non farà media, tranquilli." dividiamo i banchi e Kyo fa passare i fogli con le varie domande.
Getto un'occhiata distratta al foglio protocollo, ci scribacchio sopra il nome, la classe e la data. Nemmeno perdo tempo a guardare le domande, so perfettamente di non essere in grado di rispondervi.
Tanto per non fare una figura pessima aspetto qualche minuto prima di consegnare, minuti in cui osservo la cascata di capelli biondi che nascondono parzialmente il viso di Kyo chino su dei registri, mentre mastica il tappo di una bic assorto.
Subito rievoco le immagini dell'altra sera, al Lux. E non posso fare a meno di ghignare.
Improvvisamente un'idea lampeggia. Cerco nell'astuccio -alquanto denutrito devo dire- un matita e scrivo con una grafia leggera e chiara un messaggio, poi mi alzo e con assoluta calma poggio il compito sulla cattedra.

Mentre i ragazzi svolgono il loro test d’ingresso mi dedico alla stesura del resto delle programmazioni dedicandomi nel frattempo al mio pasto preferito: il tappo della penna.
Sembra che niente sia cambiato da due giorni a questa parte.
Mentre consegnavo i fogli non ho potuto fare a meno di scoccare un’occhiata a Ruki.
E’ strano ma mi soffermo spesso a pensare a dove potrebbe arrivare un ragazzo così nella sua vita, cosa potrebbe fare e cosa ottenere.
E’  la prima volta che prendo uno studente così in simpatia e la cosa perplime me stesso per primo.
Prendo un grosso respiro, l’odore dei ciliegi in fiore nel cortile della scuola irrora la classe con il loro profumo.
Se il tempo è così bello anche la prossima volta li porterò a far lezione all’aperto, non ho intenzione di restarmene rintanato qui dentro.
Mentre sono assorto nei miei pensieri nel mio campo visivo arriva una mano che poggia sulla cattedra il foglio del test.
Istintivamente sollevo lo sguardo per vedere chi è il genio che ha completato da… quando? Appena dieci minuti si e no dall’inizio giusto in tempo per trovarmi davanti il sorriso accattivante di quel ragazzo pestifero  impertinente.
Gli sorrido spostando la bic dalle labbra mentre con una mano afferro il foglio appena consegnato.
“Già finito, Ruki?”
“A dire la verità non ho neanche iniziato.” E’ la sua risposta con un sorriso privo di imbarazzo.
Lo osservo con una punta di perplessità prima di portare lo sguardo sul foglio e notare che effettivamente tutte le domande sono in bianco e gli spazi in cui svolgere i calcoli completamente vuoti.
Tranne uno occupato da una scritta a matita che mi porta a sgranare gli occhi in un moto di sorpresa.

‘ Ti preferivo a petto nudo, come l’altra sera.’

Che CAZZO …??
L’altra sera quando??
Non parlerà mica del Luxury?
Sollevo su di lui uno sguardo interrogativo ricevendo in risposta una scrollata di spalle.
Urge indagare.
Non tanto perché me ne freghi qualcosa del fatto che se lo venissero a sapere i docenti anziani di questo istituto morirebbero d’ictus per l’indignazione, quanto per il fatto che visto che la cosa mi riguarda da vicino voglio almeno sapere quando e come mi ha visto.
“… Ruki, non prendertela ma sei un disastro.” Comincio dunque con un sorriso affabile. “Visto che non sei riuscito a fare nemmeno un esercizio, mentre i tuoi compagni fanno il loro test prendi il libro, il quaderno, una sedia e vieni a sederti alla cattedra.”
Alla mia richiesta torna verso il suo posto per prendere il materiale che gli ho chiesto.
Durante tutto il suo percorso non gli tolgo gli occhi di dosso nemmeno per un istante attendendo con pazienza il momento in cui verrà a sedersi per dare inizio al mio interrogatorio.
Interrogatorio di cui tra l’altro ho già la risposta dal momento che ci siamo esibiti solo al Luxury per questa settimana e a meno che, cosa che dubito, non sia riuscito in qualche astruso modo a scoprire dove abito e raggiungere il sesto piano della palazzina per vedermi mentre uscivo dalla doccia… beh, direi che la risposta è decisamente scontata.
Tuttavia una sicurezza in più non guasta.
Ed è per questo che una volta che si è sistemato accanto a me e mi ha porto il libro di matematica comincio a sfogliare quest’ultimo alla ricerca di qualche esercizio fattibile per lui , senza più guardarlo, dando finalmente voce alla mia domanda.
“L’altra sera quando?” Chiedo a bassissima voce mentre le mie dita scivolano tra le pagine praticamente nuove.
E’ evidente che deve averlo aperto poco o niente.
“Lunedì sera. Al Lux.” Dichiara con quella che sembra una nota divertita nella voce.
Come immaginavo, constato.
E  il fatto che un ragazzo di diciotto anni sia entrato al Luxury non mi stupisce nemmeno.
Chi cerca di sfondare suona ovunque per farsi notare, non importa se è una discoteca, un nightclub o un locale della peggiore categoria come quello di Lunedì dove i controlli non sono così rigorosi come dovrebbero essere.
Taccio per qualche istante riportando il tappo della bic alle labbra.
Con un moto pensieroso chiudo i denti sulla superficie di plastica segnata da diversi graffi derivanti dalla mia abitudine di compiere quel gesto che tanto concilia la mia concentrazione.
Se mi ha visto mi avrà anche sentito cantare.
In genere non me ne frega niente del parere degli altri sulla mia musica.
L’unica cosa che mi interessa è riuscire a trasmettere qualcosa.
Vorrei sapere se ci sono riuscito con uno della generazione futura come lui.
“E cosa ne pensi?” Domando con calma scrutandolo in tralice, alla ricerca del suo sguardo.
Per tutta risposta vedo le sue labbra atteggiarsi in un ghigno mentre stappa una biro, senza permettermi di incrociare i suoi occhi.
“A parte quello che ho scritto? Non male. Non mi siete dispiaciuti.” Dichiara lapidario e la risposta mi strappa una smorfia di ironia e disappunto.
Anche di delusione.
Da uno come lui che mi aveva dato l’impressione di essere in grado di spezzare gli schemi mi aspettavo qualcosa di più profondo e non che si fermasse davanti alla mia muscolatura.
Finora sono sempre stato in grado di intuire l’animo di una persona semplicemente osservandola per pochi minuti.
In lui mi era sembrato di rivedere i miei stessi ideali.
Che mi sia sbagliato?
“Quindi…” riprendo sottovoce senza poter trattenere una nota di feroce ironia nelle mie parole “…a parte i miei pettorali non ti è interessato nient’altro?”
”Mi piacerebbe poterti dire di si, ma purtroppo mi hai impressionato a trecentosessanta gradi.” E’ la sua risposta, ed è inaspettata. Come un temporale improvviso in un caldo giorno d’estate.
Ma che mi restituisce la fiducia che avevo riposto in lui. Taccio pensando a come replicare ed osservo l’espressione sul suo volto mutare e divenire seria.
“Li scrivi tu i testi?” E’ la sua domanda successiva.
Tutta l’ironia di poco prima scompare e lasca il posto ad un sorriso più quieto mentre torno a concentrarmi sul libro dove alfine individuo quello che sembra un esercizio di trigonometria alquanto elementare e lo segno con un x accanto al numero.
“ Si li scrivo io.” Rispondo senza esitare restituendogli il volume. “Ti hanno trasmesso qualcosa?”
E’ questo il quesito pressante.
La prova del nove.
La dimostrazione che non stiamo lottando invano.
Ora più che mai ricerco quegli occhi artificialmente azzurri e come prima, non riesco ad incrociare il suo sguardo, dedicato ora ad alternarsi tra il libro ed il quaderno su cui ha cominciato a trascrivere l’esercizio.
Ma il sorriso quasi dolce che gli è spuntato sulle labbra ha già nella mia anima il sapore di una ricompensa per anni di lotte, così come le parole che lo seguono. “ Molto. Troppo.”
In modo istintivo mi sporgo verso il suo orecchio, talmente vicino da poter sentire l’odore della sua pelle.
Sapone.
Nessun profumo.
Solamente un odore semplice e pulito.
Terribilmente differente da quelli che sento sui ragazzi da una botta e via nei camerini.
Ma questa riflessione dura il tempo di un battito di ciglia.
Voglio sapere cosa pensi, Ruki.
Voglio sapere cosa hai sentito.
Voglio sapere cosa possono carpire ragazzi come te dei miei pensieri.
Voglio sapere cosa puoi carpire TU.
“Quanto troppo?” E’ la mia unica domanda mentre la mia voce si spegne in un basso sussurro nel suo orecchio.

Se mi hanno trasmesso qualcosa?
Spero stia scherzando. Mi chiedo chi sia la persona che non possa essere in qualche modo toccata dalle parole che ha cantanto -e in certi punti strillato- l'altra sera. Mi si sono annidate nello stomaco, nel cuore o in qualsiasi cazzo di posto abbia una nicchia per le emozioni. Mi si rimescolano ancora, come un'onda. E le sue parole mi rimbombano in testa, una dopo l'altra le sgrano come perle di un rosario, e mi ticchettano nelle orecchie, amplificandosi.
Mi hai lasciato qualcosa, Kyo. Qualcosa forse non tangibile, ma ugualmente potente. Forse io e te vediamo con gli stessi occhi.
"Molto. Troppo." un sorriso fa per sbocciare sulle mie labbra, ma lo trattengo leggermente. Mi fa stare bene parlare con lui. Sono tranquillo, calmo.
Mentre sto ancora ricopiando il problema, lo sento muoversi e in uno scatto quasi felino accostarsi al mio orecchio.
La sua presenza è calda. Tutto il suo corpo, posso sentirlo, emana un grande calore. Ho il suo collo a pochi centimetri dal viso e posso sentire il suo profumo, il suo odore.
E' un odore forte, virile. Un profumo speziato, menta forse.
E' penetrante.
Non giriamoci attorno, odora di sesso. Sesso crudo, fine a se stesso. Odora di perdizione. Libidine pura.
"Quanto troppo?"
Nel momento in cui le parole scivolano fuori da quelle labbra all'apparenza così morbide, una sensazione avvolgente si arriccia nel mio basso ventre. Come mille braci incandescenti, pronte a spegnersi in centinaia di scariche elettriche in ogni mio arto. Chiudo gli occhi, soggiogato.
"Abbastanza perché io li ricordi ancora." traggo un profondo respiro, poi continuo cercando di ignorare il terremoto che ho in testa. "Mi è piaciuta specialmente la prima canzone, mi ha... colpito. Ho interpretato un amore crudo, vero. Forse non romantico, non bello, non facile. Un amore più vero di tanti altri. Sporco. Due anime che non riusciranno mai a raggiungersi né a toccarsi attraverso il muro dell’incomprensione.*" arriccio con le dita la copertina del libro, nervoso. Ho paura che mi giudichi un idiota, che abbia frainteso totalmente il contenuto della canzone, che non abbia colto nemmeno l'accenno di ciò che voleva trasmettere. La peggior delusione per un artista è che il proprio messaggio venga stravolto.
Racimolo le ceneri del mio coraggio e apro gli occhi, adagiandoli nei suoi. Ha gli occhi scuri, e nonostante siano calmi posso notare lo stesso luccichìo che ho scorto mentre cantava. E' molto più blando, ma sempre presente. Le iridi sono grandi, tonde come biglie, chiuse da due palpebre oblique e sottili, orlate di ciglia nere come il carbone. Sono occhi vivi, che catturano ogni guizzo attorno a loro. Sono occhi di chi vede e ha visto. Sono occhi intelligenti.
Mi guarda tanto intensamente che sembra voglia bucarmi. Poi, cripticamente, sussurra "Dovremo parlare." e subito puntualizza "Non a scuola." sfoderando un sorrisetto apoteosi della sicurezza.
Non mi lascio scappare l'occasione e dico "Magari davanti alla cena." inclinando lievemente il capo di lato, esponendo la gola.
Le labbra gli si piegano in una smorfia, preludio ai sette inferni, poi lo sento sussurrare nuovamente "Prima i miei pettorali poi un invito a cena? E' una sorta di proposta oscena?"
Ribatto con finta innocenza, raddrizzando la postura. "Tu canti mezzo nudo, tu subisci le conseguenze."
"Oh, lo so bene." il ghigno di prima non si scolla dai lineamenti, anzi si accentua in un modo dannatamente erotico. "Ma è la prima volta che la conseguenza in questione è così interessante."
Queste parole mi scivolano addosso nella forma di un lungo, lunghissimo brivido che muore alla base della nuca, diramandosi e stemperando lentamente, lasciando una qualche sensazione di lieve torpore.
Nonostante tutto trovo la faccia tosta di ribattere "Attento che potrei interpretarla male. Molto male."
Mi regala un sorriso intrigato "Fammi un esempio." Un ultimo sussurro scivola nel mio orecchio, prima che torni a posarsi contro lo schienale. Subitaneo il suo calore viene a mancare e un refolo d'aria gelata mi solletica la pelle. Accavalla le gambe e un braccio ciondola nell'aria distrattamente, mentre l'altro si piega puntellandosi al ginocchio. La camicia leggera che porta scivola leggermente sul petto, aprendo i lembi del colletto, che rivelano il candore di una pelle glabra ma che non perde la propria mascolinità. Osservo una mano pigramente adagiata sul bracciolo della sedia, le dita che penzolano nel vuoto, anche loro così dannatamente virili.
Sento quelle stesse falangi passarmi come un brivido lungo la pelle delle braccia, del collo, delle labbra.
Dio mio, devo andarmene.
"E' più interessante la pratica alla teoria." Simulo una scioltezza ben lungi dall'essere mia, non so nemmeno come.
Lui inarca un sopracciglio, mettendoci dentro tanti di quei significati da lasciarmi basito. In quel semplice gesto, tanto semplice quanto irrisorio, leggo un'implicita sfida. Vuoi giocare, Kyo? So che il fuoco non è tiepido, e a volte può bruciare. Ma non mi importa.
"Allora?" Somando lievemente spazientito dal suo silenzio ostinato e loquace.
"Sabato." Risponde lui, pizzicando tranquillamente con due dita la bic mangiucchiata, che stappa prendendo il mio quaderno e appuntandoci sopra alcune cifre. Il suo numero di telefono. "Decidi tu." Aggiunge chiudendo il tappo.
Gli sfilo delicatamente dalle mani la penna, facendo attenzione a scontrare la sua pelle calda. Strappo un lembo di pagina e appunto il nome di un pub con un orario.
Appena glielo metto tra le dita, la campanella suona e tutti i miei compagni si alzano per restituire il compito.
Io, senza una parola, prendo la sedia, il libro e il quaderno e lascio la cattedra con la più intensa erezione che abbia mai avuto.


*24ko Cylinder - Dir en grey, stessa frase che riprende nel secondo capitolo Kyo.

Note.
Saaaalve a tutti. Qui è sempre guren che parla. Non ho molto da dire su questo capitolo, specie perché siamo ancora in una fase di 'transizione' diciamo. Si stanno conoscendo e... bhe iniziano a vedersi i segni dell vicinanza reciproca. O almeno da parte di Ruki.
Il prossimo capitolo segnerà una svolta significativa *trollface* non perdetevelo.

See you next time, babe!
guren&Tora.
   
 
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