Nick: DREEM
Titolo: HEARTbreaker
cause
everybody loves me!
Pairing
scelto: Kiba/Ino
Genere: Song fiction
Contesto: Generale/Vago
Rating: Giallo
Avvertimenti: AU, One shot
Betareader: No
Introduzione: “E’
stato un piacere
averti conosciuto raggio di sole”
“Anche per me messicano”
Gli occhi azzurri di Ino
osservavano il ragazzo accomodarsi tra i sedili deserti del veicolo.
Abbassò uno dei tanti
finestrini sporchi di unto.
“Sicura di non voler
salire?”
Note dell’autore: Fanfiction
basata sulla canzone Heart
breaker di Pink e che io trovo molto azzeccata per questa coppia. Credo
di non
essere andata OOC anche perché non sarebbe ammesso. Da
sempre trovo che Kiba
sia adatto nei ruoli da messicano e ovviamente Ino
un’americana!Il loro
rapporto all’inizio può sembrare quasi
superficiale ma leggendo la storia
capirete il vero motivo per cui entrambi hanno così paura di
amare l’altro.
Adoro lasciare alcune cose in sospeso perciò non
arrabbiatevi xD Piuttosto vi
informo che le parti scritte in corsivo sono dei flashback e sono
narrati in
terza persona mentre i pezzi scritti normali sono narrati in prima.
Ovviamente
i pezzi in grassetto scritti a destra sono tratti dal testo della
canzone ma
non sempre combaciano con lo svolgimento dei fatti. Non mi resta altro
che augurarvi
una buona e lunga lettura!
•HEARTbreaker
Cause
everybody loves me
oggigiorno
la ragione e l’amore vanno di rado assieme.
All’epoca
pensavo veramente di potermene andare
via, partire con solo uno zaino in spalla, viaggiare in autostop.
Invece il destino aveva voluto che io mi sposassi
e che vivessi in questa città.
Nessuno aveva alcun dubbio riguardo alla mia
felicità: avevo un marito perfetto, una casa perfetta, un
lavoro altrettanto
perfetto… ma non era di certo la mia vita quella!
Avevo sprecato gli ultimi cinque anni ad
assecondare i vari capricci dei vicini di casa, a sopportare le
risatine
stridule delle signore per strada, invidiose della mia vita, ad
apparire la "Ino
Yamanaka" che di certo non potevo essere io.
Ed era per questo motivo che riempivo la valigia,
rigettando ogni vestito quasi come se fosse un modo per sfogare la mia
rabbia,
ammassando le stoffe, comprimendole, stracciandole, rinchiudendo in
quella
valigia tutti i ricordi del mio passato.
Erano così tanti che straripavano dalla piccola
valigia color lime che agognava il respiro che io non le avrai mai dato.
La osservai per un minuto in preda a un senso di
rimorso.
Ma poi con incredibile euforia mi fiondai su di
essa, posta sul letto, e con tutta la forza che avevo in corpo, mi ci
sedetti,
premendo bene il fondoschiena e dondolandomi un po’
finché non udii il suono
familiare della sua chiusura a scatto.
Era fatta! Rimasi per qualche minuto in quella
posizione contemplando il silenzio che si era diffuso in tutta la casa
che da
quel preciso istante non era più mia.
Il senso di piacere che m’invase fu dolce come
zucchero dopo aver ingerito una grande quantità
d’arsenico: sarei morta, sarei
comunque morta ma la dolcezza di quell’attimo mi
mandò in estasi più del
lecito.
Scesi giù dal mio trono e lasciando sul letto la
valigia, mi avviai verso la cucina.
Il grande frigo era tappezzato di post-it e foto,
frammenti di un puzzle che non s’incastravano con i miei.
Incominciai a toglierli
pezzo dopo pezzo, tassello dopo tassello.
Continuai finché Il frigo non ritornò bianco come
doveva essere.
Presi uno dei tanti pennarelli indelebili posati
sopra il ripiano e con il tappo in bocca, scarabocchiai un post-it che
avrei
unicamente attaccato alla parete dell’elettrodomestico come
mia ultima traccia.
Tastai la tasca dei jeans trovandovi il vecchio
pacchetto di profumate Lucky Strike.
Ne accesi subito una: il solo odore inebriava i
miei sensi facendomi pregustare la libertà; aspiravo pezzi
di cielo e li
trasformavo in soffici nuvole che si disperdevano leggere
nell’aria.
Il tempo di fumare quell’ultima sigaretta e mi
sarei messa in viaggio: non sapevo né dove né
come sarei riuscita ad arrivare
alla mia meta, ma l’ignoto mi eccitava da impazzire.
Così, come una ragazzina di diciassette anni in
preda a una crisi ormonale mi misi lo zaino in spalla, la sigaretta
ancora
fumante nella mano sinistra, e i capelli biondi raccolti in una coda
com’ero
solita fare da giovane.
E così Yamanaka Ino all’età di ventotto
anni
fuggì da quella che da troppo tempo era la sua vita.
Continuo
a pensare a quella piccola scintilla nei
tuoi occhi
è la luce degli angeli o il diavolo che hai nel tuo profondo?
e riguardo il modo in cui mi dicevi sempre che mi amavi
mi stai portando su in paradiso per poi buttarmi giù?
Minigonna,
top lilla a spalline sottili, tacchi a spillo: una delle tante serate
passate
con le amiche nella metropolitana di Los Angeles.
La ragazza
bionda barcollava, in mano un bicchiere di Martini e
nell’altro una sigaretta
accesa da chissà quanto tempo. Sembrava felice e
spensierata, non gliene
fregava di niente e di nessuno, avrebbe potuto avere l’intero
mondo se solo lo
avesse voluto.
Insieme
alle altre due amiche intonava canzoni storpiate per via
dell’alcool mentre le
macchine sfrecciavano veloci sulla carreggiata.
Ino era di certo
la ragazza più fortunata della terra: era bionda, bella e
ricca e sapeva come
ammaliare gli uomini. Quest’ultimo dono in particolare la
rendeva così
tremendamente pericolosa che pochi erano riusciti ad allontanarsi dalle
sue
grinfie.
Inciampò
rovesciando a terra il contenuto del bicchiere ma lei continuava a
ridere,
incurante della chiazza scura che le macchiava il vestito.
Le ore
passavano come le auto in strada. Il sole sarebbe sorto da un momento
all’altro
e lei doveva essere a casa prima di quel momento.
Non aveva
voglia di sottostare alle regole di quelli che si ostinava a chiamare
genitori.
Mancavano
ancora tre o forse quattro minuti all’alba e il bus per
riportarla a casa non
sarebbe passato se non tra due ore.
Si sedette
sulla panchina umida tentando di fumare quella sigaretta ormai spenta.
C’era
troppo freddo e l’accendino non ne voleva proprio sapere di
funzionare.
“Oh merda!”
esclamò in preda ad una crisi di nervi lanciando lontano il
piccolo oggetto.
Era tentata
di estrarre il cellulare dalla tasca e comporre il numero di suo padre
che
sarebbe di certo venuta a prenderla ma non se la sentiva di rovinare il
suo bel
viso con l’ennesimo schiaffo.
Prese la
cicca e la fece dondolare tra l’indice e il medio: iniziava a
fare davvero
freddo.
“Ehy rayo
de sol?” una voce la destò dai suoi pensieri.
Un ragazzo
bruno dalla carnagione olivastra stava ritto dinanzi a lei con un
borsone in
spalla.
“Come?” Ino
batté due volte le palpebre sporche di mascara.
“Ho detto:
hey raggio di sole?” tentò di spiegare il ragazzo
sedendosi accanto a lei.
“E in che
lingua l’avresti detto? Arabo?” Ino non era proprio
in vena di scherzare né
sedurre quel ragazzo tanto carino: il suo comportamento le dava
semplicemente
fastidio.
“Abiti a
soli 150 km dal Messico e non sai che lingua è?”
Il ragazzo stava diventando
sempre più strafottente e questo a Ino non piaceva per
niente: non doveva
essere forse lei a dirigere il gioco?
“Ehi
Messicano allenta i toni” disse la bionda
“Sarà forse perche non sono mai
andata oltre questi 150 kilometri?”
Stavolta
era il ragazzo a essere rimasto basito per il tono con cui lei aveva
ribattuto.
“Mi scusi
signorina non parlo più”
“Bene ”
Il silenzio
si stava facendo troppo pesante, l’aria densa del mattino non
permetteva a
nessuno di muoversi, la città all’orizzonte
dormiva ancora.
La bionda
non poté più trattenersi: “Come mai
qui?” disse rivolgendosi al ragazzo con una
finta non curanza.
“Aspetto
l’autobus diretto per Durango”
“Oh”
Gli occhi
di Ino si rivolsero al ragazzo: aveva dei buffi tatuaggi rossi sulle
guance e
uno sguardo ammaliatore quasi della stessa intensità di
quelli di un lupo.
Era diverso
rispetto gli altri uomini che aveva conosciuto, non era di certo uno di
quei
damerini ricchi sfondati: questa volta doveva stare attenta a come
giocava
perché lui era un abile giocatore quanto lei.
Il fruscio
di qualcosa dentro il borsone del ragazzo le fece spalancare gli occhi.
“P-Perché
quello zaino si muove?”
Il ragazzo guardò
il borsone che aveva in spalla.
“Oh giusto
me l’ero dimenticato: lui è Akamaru”.
Dallo zaino
uscì un batuffolo di pelo accompagnato da un muso e due
occhietti neri.
La ragazza
fissò il cagnolino spaurito con gli enormi occhi azzurri.
“Mi fanno
schifo i cani” Si ritrasse Ino tappandosi il naso per non
sentire la puzza.
“Che razza
è? Chihuaua?” scherzò Ino con tono
cantilenante.
“Oh ma che
spiritosa!” ribatté il ragazzo.
L’attesa
non sembrava più così lunga ora che Ino aveva
trovato un efficace passatempo;
quel ragazzo la incuriosiva più di quanto avesse mai
sospettato.
L’odore
forte di Black Devil le fece distogliere per un attimo gli occhi dal
bruno.
“E dimmi com’è
il Messico? Solo tequila… e…tortillas? ”
“E chi
l’avrebbe detta questa cazzata?! Oh no è
sicuramente molto meglio!”
Riusciva
quasi a percepire da quel rosso fuoco delle sue guancie la
libertà e il calore
del Messico.
Ino chiuse
gli occhi in preda a un violento capogiro e appoggiò la
testa sulla spalla del
ragazzo sconosciuto.
Trascorsero
pochi minuti all’arrivo dell’atteso autobus.
“Ehi bionda
è arrivato il mio autobus”
Ino alzò la
testa ancora un po’ stordita: che avesse dormito in
così poco tempo?
Il ragazzo
si sistemò il borsone in spalla e si fermò poco
prima di entrare nell’autobus.
“Bene le
nostre strade si dividono qui”
Si voltò
con un sorriso obliquo che mostrava i canini aguzzi.
“E’ stato
un piacere averti conosciuto raggio di sole”
“Anche per
me messicano”
Gli occhi
azzurri di Ino osservavano il ragazzo accomodarsi tra i sedili deserti
del
veicolo.
Abbassò uno
dei tanti finestrini sporchi di unto.
“Sicura di
non voler salire?”
Il rombo
del motore dell’autobus vecchio e arrugginito era
così forte che non permetteva
alla povera Ino di pensare alle parole dette da quel ragazzo incontrato
solo
due ore prima.
Aveva una
tremenda voglia di andarsene, di mandare a quel paese tutto e tutti e
ricominciare una nuova vita.
Sarebbe
stato come nascere una seconda volta ricordando però
ciò che era stata in
precedenza.
Le porte si
chiusero e l’autobus partì.
Un momento:
Ino non poteva di certo permettere che l’autobus partisse
senza di lei!
Agilmente
corse sui tacchi battendo violentemente la mano sul finestrino per far
fermare
l’autista.
Non avrebbe
retto ancora per molto.
“Andale
Andale” la incitava il ragazzo godendosi la scena con il suo
fedele cucciolo
sulla testa.
Le porte
finalmente si aprirono e frenando bruscamente il bus fece entrare la
ragazza.
“Non ti
facevo così svelta”
Ino aveva
il fiatone ma non poté non sorridere.
“Credo che
sia ora delle presentazioni ufficiali”.
“Piacere
sono Ino Yamanaka” la bionda gli offrì la mano.
“Kiba
Inuzuka, el perro mas caliente del Mexico” con sua grande
sorpresa le prese il
dorso della mano e lo portò alle labbra.
E Ino si
sentì divampare dentro più dell’asfalto
rovente che scoppiettava sotto le ruote
in pieno mezzogiorno.
C'è
un anello intorno al mio dito o cambierai
idea?
e mi dici che sono bella, ma potrebbe essere una bugia
Era
decisamente la ragazza mas bonita di tutta l’America.
Kiba non
aveva mai pensato di ritornare in Messico dopo essersi trasferito a
Long Beach ma
questa fuga era diventata quasi una necessità.
Osservava
la ragazza dai capelli biondi guardare fuori dal finestrino con occhi
curiosi e
attenti.
Era appena
percepibile il suo riflesso sul vetro sporco di terra ma anche se non
riusciva
a vederla frontalmente riusciva a scorgere un sorriso angelico.
Se non
l’avesse vista, sarebbe di certo rimasto in città
e invece adesso si trovava su
un autobus diretto per Durango con il suo fedele amico e quella tipa.
Chissà cosa
avrebbe detto sua sorella vedendolo tornare con una ragazza? Ma questo
poco
importava. Si era cacciato proprio in un bel guaio: non riusciva
più a
liberarsi di una ragazza con cui si era divertito tre o forse quattro
volte!
L’aveva combinata grossa e non poteva di certo assumersi tutte le responsabilità, gli
rimaneva un’unica cosa da fare:
scappare.
Era questo
il motivo per cui aveva deciso di andare in quella fermata degli
autobus prima
dell’alba. Fuggiva da una donna … ed ecco che ne
aveva ritrovato un’altra.
Ma lei era
diversa dalle ragazze che di solito frequentava: doveva di certo
provenire da
quartieri alti, doveva essere viziata e addirittura ricca
sfondata… ma allora
perché quell’angelo stava fuggendo?
Il riflesso
degli occhi nel vetro lurido incrociò per un attimo quelli
del ragazzo.
Il sorriso
dapprima timido si ampliò in uno sghembo.
Le labbra
si aprirono e la bocca alitò piano sul vetro, appannandolo.
Lievemente
con il dito indice incise un messaggio.
“Do you love me Baby?”
La bionda
si girò guardandolo con gli occhi azzurri carichi di sfida.
Kiba le
sorrise strafottente senza comunque darle una risposta esatta.
“Devo
risponderti? Però non metterti a piangere se poi ci rimani
male!”
“Io non ho
mai pianto!” ribatté con fare orgoglioso.
“Oh
davvero?”
“E non lo
farò mai per di più se la ragione è un
uomo!”
“Sei
incredibilmente perfida” riuscì a dire il ragazzo
provocando l’ira della bionda
che si girò bruscamente.
“Come mai
sei venuta con me?” le chiese ritornando serio.
“Per lo
stesso motivo per cui tu stai fuggendo” rispose lei voltata
di spalle,
picchiettando lievemente l’indice smaltato sul vetro.
Akamaru
guaiva piano da sotto il sedile.
“Non credo
sia lo stesso” l’aria si stava facendo
più pesante del previsto e non era per
il caldo.
Ino smise
di picchiettare l’indice serrando la mano in un pugno.
Si girò
facendo oscillare piano i suoi capelli dorati.
“Peccato ci
speravo” ammise facendo penetrare i suoi occhi nella mente
del ragazzo.
Piegò le
labbra in un sorriso e giratasi nuovamente continuò a
guardare il paesaggio
scorrere.
Kiba
sospirò un “Anch’io, credimi”.
Mai furono
parole più sincere di quelle.
Sei
un rubacuori? forse vuoi divertirti
cosa succede se m'innamoro di un rubacuori
e tutto può essere una bugia
non uscirò viva da qui
“Que Chicha hermosa! No
serà como las otras chicas espero!”
“No te preocupas hermana”
“I
Messicani sono proprio strani” pensava Ino mentre
addentava una tortilla: avrebbe preferito notevolmente un hot dog.
Il suo arrivo in Messico aveva sconvolto la vita della
sorella di Kiba e del quartiere in cui abitava.
Non erano passate neanche ventiquattro ore che già era
entrata a far parte di quella famiglia di cui non conosceva nessuno
tranne Hana
e il fratello.
L’odore agrodolce di piatti sconosciuti le rivoltava lo
stomaco e le confondeva il cervello così come quella lingua
alquanto bizzarra
che loro parlavano.
Ino si diresse fuori dal recinto in cui stava avvenendo un
gran falò per accasciarsi ai piedi di un muretto.
Com’era giunta fin lì? Era strano che un ragazzo
avesse
potuto manipolare la sua psiche così facilmente, lei che fin
da bambina non
aveva mai rispettato le regole.
Ma c’erano regole in amore?
Ino si guardò le scarpe e si strinse ancora di
più al
maglione bianco, ritirando le mani nelle larghe maniche.
“Ehi sai che quello è il mio maglione?”
Kiba seduto sopra il muretto la osservava con sguardo
divertito.
“Me l’ha dato tua sorella”
tentò di spiegare Ino con un nodo
alla gola: come mai si stava agitando?
Calò il silenzio interrotto solo dal lento masticare del
ragazzo e di Akamaru.
La bionda tentò di farsi sempre più piccola per
perdersi
nell’immensità di quel maglione che sprigionava un
fragrante odore di pino
silvestre mischiato a essenza canina.
Kiba scese giù e con un balzo raggiunse Ino rannicchiata su
se stessa.
La ragazza aprì gli occhi che poco prima aveva socchiuso.
Rivolse lo sguardo al ragazzo e alle due strisce rosse che
gli marcavano le guance, si soffermò su come accendeva
quella sigaretta e come
l’odore di tabacco penetrasse in lei fino in fondo
all’anima.
“Mi querida
non ti starai innamorando di me?” sorrise di sbieco Kiba
accarezzando la testa
del cucciolo.
La scia di
fumo aveva distratto la ragazza e le ci volle tempo prima che
formulasse una
risposta.
“O forse
sei tu che ti stai innamorando di me” rispose con un tono
più alto di voce.
Kiba aspirò
piano per poi passarle la sigaretta.
“Perché
dovrei?” sputò insieme a una nuvola di fumo.
Ino si
stese sul morbido terreno ricoperto d’erba.
“Tutti mi
amano” Le si illuminò il viso e gli occhi
rifletterono l’opaca luce della luna,
i capelli di paglia si mescolavano ai fili d’erba.
“E chi ti
dice che anch’io mi sia innamorato di te?” rispose
Kiba imitandola.
Ino sembrò
pensarci un momento: corrucciò la fronte bianca
mordicchiandosi il labbro
inferiore.
“Nessuno ma
lo sento e ne sono…felice”
La cenere
della sigaretta cadde inerme al suolo.
“E se ti
dicessi che non ho mai amato?”
Il ragazzo
le tolse la cicca dalle dita sottili per prendere un’altra
boccata.
Ino si alzò
mettendosi a sedere e incrociando le gambe.
“Nessuno
ama… soddisfiamo solo i nostri desideri carnali e fuggiamo
via”
La
profondità dei suoi occhi fece perdere per un attimo
lucidità al ragazzo.
“Fuggirai
via anche tu?” le chiese in un sussurro.
“Probabile”
intonò Ino facendo affiorare un sorriso.
“Penso
proprio che staremo bene insieme”
Kiba
avvicinò il viso a quello della ragazza.
E fu uno
scontro di labbra così potente da percuotere la terra
addormentata; il fuoco
che si sprigionò quella sera era pari solo alle fiamme
dell’Infermo dove
insieme sarebbero arse le loro anime per
l’eternità.
C'è
sempre una domanda che mi tiene sveglia la
notte
tu sei il più grande amore o la delusione della mia vita?
Candida, la pelle della
sua schiena irradiava il piccolo garage dove entrambi giacevano sul
letto a una
sola piazza.
Kiba con la mano
sfiorava lieve la pelle di lei
disegnando immaginari cerchi concentrici.
Il contrasto tra il
colore della sua pelle e quella di Ino era accentuato dalla presenza di
quei
fili dorati che ricadevano a cascata sul cuscino.
Aveva proprio trovato un
angelo e questo per Kiba non era giusto: lei non doveva assolutamente
innamorarsi di uno come lui, presto o tardi l’avrebbe dovuta
lasciare libera di
andarsene.
Dopotutto glielo aveva
promesso.
Lei stessa aveva detto
che sarebbe fuggita prima o poi e lui credeva nelle sue parole, ma non
in se
stesso. Lui giocava con i sentimenti altrui perché non ne
aveva mai avuti e si
divertiva a complicare la vita delle ragazze ma adesso come avrebbe
fatto a
uscire incolume da questa situazione?
Lei lo sapeva, lo aveva
sempre saputo: il suo cuore già le apparteneva dal primo
sguardo e glielo aveva
distrutto, sbriciolato al solo tocco.
Non avrebbe potuto semplicemente
scappare, l’istinto glielo impediva.
Poteva solo passare le
giornate sotto le coperte del suo garage, a fare l’amore
quando ne sentiva la
necessità, ma doveva pur trovare una soluzione al suo
problema.
Smise per un attimo di osservare
la pelle chiara di Ino per afferrare il cellulare posto sulla sedia
accanto al
letto.
Fece scorrere velocemente
i numeri della rubrica inviando messaggi a ragazze di cui aveva solo i
numeri.
Si udì solo il suono che
informava l’invio del messaggio.
Kiba sospirò: lui l’amava
cazzo! Eppure doveva lasciarla andare.
La bambola inanimata
prese vita schiudendo gli occhi azzurri. “Mhm”
“Ehi ben svegliata”
La bionda rotolò tra le braccia di Kiba
premendo il naso freddo contro il suo torace.
“Preparati stasera si va
ad una festa”
Ino non emise alcun
suono: era già rientrata tra le braccia di Morfeo.
Il ragazzo non poté far
altro che ricambiare l’abbraccio con un sorriso triste in
volto.
Non era giusto: il
diavolo doveva per forza dannarsi per l’eternità?
Sei
un rubacuori? forse
vuoi divertirti
cosa succede se m'innamoro di un rubacuori
e tutto può essere una bugia
non uscirò viva da qui
Ino
stava seduta sul bancone di quel locale mentre osservava le braccia di
quella
ragazza avvinghiarsi, come tentacoli, al collo di Kiba.
La
bile in stomaco le risaliva in bocca mischiandosi all’alcol
appena ingerito.
La musica le rimbombava in testa e si mischiava ai miliardi di colori
che le rimbalzavano in viso.
Ecco si era mossa di nuovo quella piovra e
adesso accarezzava i capelli del ragazzo che
fino a quella mattina era stato a letto con lei.
Avrebbe dovuto stare attenta a come giocava ma alla fine era stata
sconfitta.
L’avrebbe dovuto capire già dal momento in cui
aveva messo piede in
quell’autobus.
Lui le aveva divorato il cuore, fatto a pezzi e adesso la usava come
una bambola vecchia perché era questo che sempre era stata:
una bambola.
Ma allora cos’era che pulsava nel suo petto?
Qualunque cosa fosse adesso non c’era più
perché lui l’aveva ridotto in
briciole.
Non poteva ammettere che si era innamorata, non voleva e non doveva
perché sarebbe dovuta fuggire ancora una volta.
Lei era forte, non poteva rischiare di farsi travolgere dai sentimenti
ma lui l’aveva resa fragile.
Scese dal bancone e si avviò verso il moro che ricambiava
l’abbraccio
della rossa.
“Ehi messicano perché non andiamo
fuori?” disse con voce acuta per
sovrastare la musica.
“Non ho voglia” Ino tentò di avvicinare
la mano sulla spalla del
ragazzo ma questo la scosse via continuando ad abbracciare
l’altra.
“Ma vaffanculo” La bionda non poté
più resistere e colpì con uno
schiaffo lo zigomo del ragazzo.
La rossa prima seduta sulle ginocchia di lui cadde
a terra procurando l’ilarità delle
persone che stavano attorno.
Kiba la guardò massaggiandosi ancora la guancia dolorante ma
si lasciò
scappare un mezzo sorriso: era riuscito nel suo intento.
Di rimando
“Mi hai fatto male” proferì il ragazzo
non vedendola reagire.
“Non mi interessa…”
I due non si erano quasi accorti che avevano riacceso le luci, che la
musica era diventata un ronzio di sottofondo e che tutti gli occhi
erano
puntati su di loro.
“C’è qualcos’altro che devi
dirmi?” A Kiba gli si stringeva il cuore ma
sapeva che quello era il momento decisivo.
“Si ti amavo, stronzo” Ino non riuscì
più a reprimere le lacrime mentre
afferrava la borsetta dirigendosi verso l’uscita.
Gli occorsero un paio di secondi per riordinare le parole dette poco
prima dalla ragazza.
Imprecò mentalmente maledicendosi di aver messo in atto
quella messa in
scena per farla andare via: la verità? Aveva paura di non
poter più essere
libero ma adesso c’erano ben altre cose più
importanti oltre la libertà.
La trovò seduta sul marciapiede con i capelli biondi che le
ricadevano
su una spalla, con il trucco sbavato e una sigaretta appena accesa:
bella come
la prima volta!
Scoprendosi osservata, Ino si alzò subito e con il dorso
della mano
tentò di asciugarsi le guance.
“Che vuoi cane?” disse portando la sigaretta
tremante in bocca.
“E’ vero che mi amavi?”
“Si, ti amavo”
sottolineò mettendo in evidenza il tempo al
passato.
“Non mi ami più?” le disse inclinando la
testa di lato per vederla
meglio.
“Ehi principessa?” tentò una seconda
volta.
Ino si voltò facendo oscillare la morbida coda.
I suoi occhi azzurri furono a contatto con l’onice del
ragazzo.
Per un attimo Kiba si spaventò vedendo storpiarsi il sorriso
della
ragazza in un ghigno malefico.
Sorrise facendo perdere la risposta in una nuvola di fumo.
Sto
tenendo duro con
entrambe le mani e piedi
promettimi che non trascinerai le
coperte giù di sotto
Il
foulard verde mi
stava stretto intorno al collo mentre sfrecciavo
sull’autostrada rovente.
In meno di tre ore
sarei arrivata a Durango, la città dove era cambiata
radicalmente la mia vita.
Strinsi il volante e
spinsi ancora di più sull’acceleratore. Quasi come
una saponetta, la mia
macchina scivolava veloce lasciando scie di ricordi da voler
dimenticare.
Non mi accorsi di
stare canticchiando allegramente mentre davo una rapida occhiata allo
specchietto.
Il mio stato era
passabile anche se avevo bisogno di qualche ritocchino giusto per
aggiustare un
po’ il trucco.
Infilai la mano nel
cassetto portaoggetti prelevando un rossetto di riserva che lasciavo
sempre lì.
Portai gli occhiali da
sole sopra la testa e mi avvicinai di più allo specchietto.
Premetti le labbra
fra di loro per far si che il rossetto si disponesse bene. Diedi
un’altra
rapida occhiata allo specchietto. Ma che cosa stavo facendo? Erano
passati più
di otto anni, io mi ero anche sposata e adesso stavo cercando
l’amore della mia
vita perso in chissà quale bar messicano.
Eppure non riuscivo
ad immaginarlo da adulto: Kiba per me sarebbe rimasto sempre el chicho mas
guapo del
Messico.
Aggrappata a questa convinzione, mi mordicchiavo il labbro tinto di
rosa
pensando alle parole che avrei dovuto dire.
Ci fu uno scoppio e
un’ondata di fumo investì il parabrezza. Frenai
bruscamente e una volta strappata
la cintura di sicurezza mi
catapultai fuori dall’auto. Tossì violentemente
presa dall’odore acre di
benzina ma anche per lo spavento. Tra me e i motori non intercorreva
una grande
amicizia, ci odiavamo come cani e gatti perciò non tentai
neanche di vedere
quale fosse il problema. Ero in un’autostrada deserta, a
mille miglia lontana
da casa mia, in un paese che parlava una lingua assurda e non
c’era alcun
segnale che mi permettesse di chiamare soccorso tramite il cellulare:
poteva
andare peggio di così? Un cartello indicava chiaramente che
la prima stazione
di servizio si trovava a pochi kilometri da li. Secondo la mia logica o
intuito
femminile ero più che sicura che dove c’erano
pompe di benzina c’era
sicuramente un meccanico. Riponevo tutte le mie speranza su questa
sciocca
convinzione. Mi avviai sotto il sole tentando di velocizzare il passo
quanto
meglio potevo. Arrivata alla stazione di servizio con la fronte
imperlata di
sudore domandai subito se da quelle parti ci fosse un meccanico.
“Si Senorita pero haga attencion a el
perro!” mi
rispose il signore appoggiato ad una delle pompe.
Non badai al resto
della frase ciò che mi colpì e che mi fece
esultare dalla gioia fu la risposta
affermativa alla mia domanda: c’era un meccanico! Dopotutto
la città
incominciava a intravedersi all’orizzonte perciò
ero doppiamente fortunata: tra
non molto avrei rivisto Kiba.
Mi avvicinai alla
casupola in legno da dove proveniva un forte odore di nafta e gomma
bruciata
che mi fece subito arricciare il naso.
“Erm mi scusi…”
L’uomo non sembrava
aver sentito e continuava a riparare la moto prendendo gli arnesi
appoggiati lì
per terra.
Provai ad aumentare
il volume della voce “Mi scusi!”
Questa volta però
richiamò la mia attenzione i versi di un cane di grossa
taglia che scodinzolava
alle mie spalle: sembrava felice di vedermi.
“Akamaru basta
correre!” un bambino dai capelli neri raggiunse il cane e si
piegò sulle
ginocchia per riprendere fiato dopo la corsa. Sbaglio o aveva detto
Akamaru?
“Signorina le serve
aiuto? Si è persa?” Il bambino domandò
con aria innocente mentre fissavo il
cane e tentavo di far assomigliare quella figura con quella del
batuffolo di
pelo nei miei ricordi.
All’improvviso mi
pentii di essere giunta in quella stazione di servizio: quel cane era
di certo
Akamaru ma…chi era quel bambino?
D’un tratto mi sentii
vacillare, mi mancò il fiato e dalla faccia preoccupata del
bambino di sicuro
ero sul punto di svenire. Che sciocca! Come potevo pensare che KIba
fosse
rimasto lo spirito libero che era sempre stato, eravamo cresciuti
entrambi e
non potevo pretendere che saremmo stati felici se adesso mi compariva
di fronte
l’immagine del bambino che di certo era suo figlio.
Lo dimostravano i
lievi segni rossi sulle guance simili a quelli di Kiba.
“Warf!” mi sembrò
sentire Akamaru sbuffare, palesemente in disaccordo con i miei
pensieri. Con
una zampata mi fece perdere il mio precario equilibrio. Andai a
sbattere la
testa sulle spalle del presunto Kiba e di conseguenza lo feci cadere
addosso
alla moto che finì anche essa a terra.
Imprecai mentalmente
desiderando vivamente che quel cane andasse a nascondersi
perché quando mi
sarei rialzata lo avrei conciato per le feste. Mi grattai la testa
dolorante
costatando che avevo rotto il tacco destro della mia costosissima
scarpa:
gliel’avrei fatta pagare questo era certo!
“Ma porca…la moto no
a terra!...Oh mi scusi signorina avevo le cuffie e non
sentivo…tutto bene?”
Mi tese una mano
aiutandomi a rimettermi in piedi.
“Cos…raggio di sole?”
la sua faccia mi fece perdere un battito: era proprio lui, con gli
occhi neri,
i capelli ispidi e le guance rigate di rosso, era lui solo con un volto
più
grande.
Schioccai la lingua e
dopo aver preso controllo di me stessa rivolsi lo sguardo
all’uomo che mi stava
di fronte “Ah bene vedo che non ti ricordi neanche come mi
chiamo!” dissi
fingendomi offesa.
Rivolse gli occhi al
cielo “Scusa Ino”
disse mentre
raddrizzava la moto da terra.
“Che aspetti! Vai
fuori che devo parlare con la signorina!” si rivolse dopo al
bambino che facendo
una smorfia se ne andò lasciandoci soli.
“Tipetto suscettibile
a quanto vedo” dissi con un amaro sorriso in volto sapendo
già quale fosse
stata la risposta.
“Già…”
“Somiglia a te” la
mia voce stridula lo fece sobbalzare.
“Lo hai capito vero?”
disse abbassando lo sguardo.
“La…madre?” azzardai
a chiedere.
“Lunga storia”
rispose con un tono aspro il che mi fece intendere che non
c’era più una madre.
Scoppiai a ridere,
trattenendomi la pancia con le braccia e piegandomi sulle ginocchia.
“Ehi che hai da ridere
adesso?” disse irritato.
“No niente solo
che…tu…padre…” mi asciugai
gli occhi e mi ricomposi sostenendo il suo sguardo.
“Come mai sei tornata
solo ora?” Prese lo straccio e si pulì le mani con
minuziosa cura.
“Avevo da fare” dissi
sorridendo maliziosamente sperando che stesse al gioco.
“Non dire cazzate
Ino” mi fulminò con lo sguardo il che mi fece
perdere qualsiasi voglia di
scherzare.
“Se proprio lo vuoi
sapere mi sono sposata” ammisi con il capo chino.
Alzai gli occhi e
compresi che l’avevo ferito un’altra volta.
“Auguri allora! Perché
non vai a distruggere il cuore al fortunato? Come vedi anche io sono
stato occupato”
lanciò il panno sporco a
terra.
Al suo fischio giunse
Akamaru ancora in festa per me mentre io non lo degnai di uno sguardo.
“Ecco perché sono
ritornata” mi contrapposi fra lui e il cane: odiavo il fatto
che anche lui
fosse presente.
“Per restare o per
fuggire un’altra volta?” Per un momento ebbi paura
di lui e dei suoi denti
digrignati, come quelli di un cane poco prima di mordere.
Tentai di fermarlo
trattenendolo per la maglietta.
“Aspetta…ascoltami!
Sono fuggita non perché non ti amassi ma
perché…perché…”
non riuscivo a
coordinare le parole.
“Perché dovevi andarti
a sposare non è così?”
“Perché non sapevo
come amarti! Ti avrei fatto soffrire
e tu non meritavi questo!” Mi sentii pungere gli occhi fino a
scoprire che
calde lacrime mi rigavano il viso.
Erano lacrime quelle
ne ero più che certa: mi toccai le guance bagnate per
verificare.
Kiba mi attirò a sé
cingendomi con le sue possenti braccia.
Singhiozzai un paio
di volte cercando di soffocare quel dolore atroce ma non ci
riuscì: gli occhi
non volevano smettere di piangere.
“Ora che hai un cuore
sarà più facile spezzarlo, lo sai
vero?” mi sussurrò dolce all’orecchio.
“Non m’importa” alitai
piano.
“Questa storia non
può andare avanti così te ne rendi conto? Io devo
badare al piccolo…che ne sarà
della tua vita?”
“Non sono così
preoccupata della mia vita”
Rimase in silenzio
per un po’.
“Credevo tu non
piangessi mai” disse prendendomi in giro.
E capì che la
tempesta era finita e che io ero stata sconfitta dalle mie stesse
lacrime.
“Crepa Kiba, ti
odio!” dissi aggrappandomi maggiormente a lui continuando a
sobbalzare a causa
dei singhiozzi.
“lo so,
anche io!” disse e
mi baciò.
Sei
un rubacuori? forse
vuoi divertirti
cosa succede se m'innamoro di un rubacuori
e tutto può essere una bugia
non uscirò viva da qui
non sono così preoccupata della mia vita
NdA:Lo so siete rimasti basiti eh?XD Chiarimenti a fine storia: si quel bambino è il figlio di Kiba ma chi è la madre? Vi ricordate quando è dovuto fuggire da Long Beach per colpa di quella ragazza e perché non voleva assumersi tutte le responsabilità?Ecco il piccolo è quel tutte. Tenevo a chiarire prima di andare in contro a fraintendimenti!
Nick:
DREEM
Titolo: HEARTbreaker cause everybody loves me
Grammatica: 14/15 punti;
Utilizzo dei dialoghi/descrizioni e andamento della trama in generale:
15/15
punti;
Originalità: 15/15 punti
IC: 10/10 punti;
Plausibilità della coppia: 10/10 punti;
Gradimento della giudice: 5/5 punti;
Totale: 69
Giudizio
del Giudice:
Bella, bella, bella! Una shot molto approfondita, ben progettata,
splendidamente narrata! Una Ino presa dalla voglia di liberarsi da una
vita che
non la soddisfaceva e un Kiba che incarnava lo spirito libero che lei
voleva
inseguire. Un amore folgorante nato dal nulla, quasi per gioco. E poi
le
scoperte, il litigio, la seconda fuga e infine il ritorno. Con
sorpresa! Sarai
felice di sapere che avevo intuito da sola da dove venisse il figlio di
Kiba!
^.- In ogni caso, una fic veramente splendida, che ha ottenuto il
punteggio
pieno da tutte le parti a meno della grammatica, dove ho dovuto
sottrarre un
punticinoinoino (Ino! xD) perché alcune volte, tra dialoghi
e descrizioni di
azioni, spariva una virgola che ci sarebbe stata bene... ma non ti
crucciare
perché è proprio una banalità, son
puntigliosa! ^^” In ogni caso, Premio Cupido
e Premio P-IC (IC del partner) non te li leva nessuno, sono
assolutamente
meritati! E ancora complimenti per questa bella storia d'amore,
adattissima per
un film dato che le ambientazioni e le vicende sono così
reali da farle vivere
in prima persona dal lettore! Bella!