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Autore: thewhitelady    30/11/2010    1 recensioni
- Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti gli incubi - Liam Keeran.
- Questo è solo la Genesi, dobbiamoa ncroa passare per il Levitico,l'esodo e il Deuteronomio prima d'arrivare a qualcosa - Eneas Clayton
Storia di una caccia al tesoro che si trasforma tra inseguimenti e una rapina in un museo in pericoloso gioco mortale. Storia di come un uomo scopre di essere ciò ch ha sempre combatutto, e della redenzione di un altro. Storia di due amici. Il tutto girando il mondo tra Inghilterra, europa dell'Est e estremo Oriente.
La mia prima storia, recensite ma soprattutto buon divertimento! :D
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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INFO: in questo capitolo vi presento i personaggi, più che altro questa è una caratterizzazione, di loro si scoprirà più avanti. Nel prossimo capitolo finalmente un po’ d’azione muaaahuha
PS: ho l'abitudine d'inserire canzoni che spesso dicono dei pg molto più che le stesse descrizioni, non so serve qualche disclaimer o che, comunque: il testo della bellissima Fade to Black è dei Metallica...  
 
La brezza spirava trai rami degli alberi e ne piegava le fronde al suo passaggio, increspava l’acqua del lago che s’infrangeva nelle insenature e sulla grigia banchina. L’aria estiva era secca ma non troppo pesante per gli abitanti del luogo, il cielo limpido e completamente privo di nubi diventava tutt’uno riflettendosi nei vertiginosi grattacieli vetrati. Specchi che ogni giorno riproponevano la stessa formicolante città in preda alla quotidiana frenesia.
Ma il porto era un’altra cosa, per quanto vi fossero in giro sempre dei lavori in corso, quello rimaneva un piccolo Eden quasi completamente distaccato dalla down-town di Chicago A mattinata già inoltrata la giornata trascorreva placida e sonnecchiosa. In lontananza si udivano appena gli schiamazzi dei bambini che giocavano nei parchi e sui marciapiedi, sotto il vigile sguardo delle madri. Al molo, un vecchio con gilè e canna da pesca in mano si guardava intorno sconcertato e rammaricato, quella mattina non si prendeva niente.
Lì accanto, una barca si faceva cullare docilmente dalle onde, su e giù, con un ritmo perfetto. Il vecchio la vedeva da anni, era una bella imbarcazione, di legno, non certo moderna o una degli ultimi modelli, però aveva quella classe innata e per quanto non fosse stata creata per solcare i mari dava l’idea d’essere pronta in qualsiasi momento per salpare.
All’improvviso però la quiete del molo fu interrotta dal cominciare di una musica dapprima attutita ma che poi esplose in un rombo di tuono, tanto forte da far volare via i fringuelli che si erano posati sul tetto della barca.
I have lost the will to live
Simply nothing more to give
There is nothing more for me
Need the end to set me free

Things not what they used to be
Missing one inside of me
Deathly lost, this can't be real
Cannot stand this hell I feel

Emptiness is filling me
To the point of agony
Growing darkness taking dawn
I was me, but now he's gone

 
Poi come era iniziata la musica se ne andò proprio mentre aveva raggiunto il suo apogeo, fu attimo di silenzio e poi un trambusto impressionante come se sotto coperta si stesse svolgendo una lotta. Nemmeno mezzo minuto dopo un uomo sbucò sul ponte, non aveva per nulla l’aria del pescatore ma si capiva che qualcosa, diverso dalle tempeste marine ma non meno potente l’aveva consumato. Si guardò attorno con sguardo saettante, poi con un balzo raggiunse il molo facendo vacillare appena la barca. Si muoveva con passo svelto ed impaziente che esaltava il fisico da nuotatore, le spalle quasi gli stavano strette nella giacca di pelle che aveva visto tempi assai migliori
Questa volta lo perdo… mannaggia alla sveglia!
In mano teneva un borsone di cuoio logoro e in alcuni punti sdrucito, sembrava stesse per scoppiare talmente era pieno. Mentre si avviava verso W. Churchill road, si sistemò un cappello militare in testa, lo pigiò con una mano più in fondo cercando di imbrigliare la massa di ribelli capelli corvini che sgusciavano da tutte le parti. Si diresse verso un taxi parcheggiato nelle vicinanze di un bar - il Sgt. Pepper and Lonely Hearts Club - ad aspettarlo con la portiera aperta c’era un uomo. Era basso e di origini messicane, a giudicare dai lineamenti. Fece un sorriso a trentadue denti, anche se nel suo caso ne mancavano alcuni all’appello – Mister, se mi da il bagaglio lo sistemo nel vano posteriore – disse esibendosi in un mezzo inchino
- Ma fammi il piacere! –
Sbatté il borsone sul sedile posteriore e si sedette a sua volta. Il messicano fece lo stesso al posto di guida, accese il motore e partì. – Fammi indovinare, se in ritardo? – chiese con la faccia di chi la sa lunga – Sì e non mi chiamare mister, mi fa venire i nervi. Meglio Liam – gli rispose una voce da dietro.
– Lo sai che ti prendo in giro. A parte che Mr. Keeran suona male. Sembreresti un impiegato delle pompe funebri! -.
Attraversavano la città zigzagando tra le macchine e gli incroci, rispettando raramente i limiti di velocità o gli stop. Keeran non se ne curava, aveva ben altro per la testa e non smetteva mai di controllare l’orologio.
Se non prendo la coincidenza per New York... sono fottuto...
- Non puoi prendere una scorciatoia? Una di quelle che sai tu. Devo prendere per forza il volo delle 11.30 –
 -Seguro mi señorita
Se c’era una persona al mondo che conosceva così bene Chicago, quello era sicuramente Pablito. Keeran al contrario chissà perché non aveva mai avuto la voglia di conoscere la città al di fuori del centro, quel luogo non era casa sua, lo era solo la sua barca.
D’altro canto non si sarebbe fatto problemi a guidare per le strade di Tel Aviv, Tokyo, Barcellona, Mosca e molte altre senza neanche la cartina, ma dentro Chicago si sarebbe perso dopo due minuti.  E tutto questo per colpa di suo padre che lavorava nella Marina. Progettava e studiava con un gruppo i piani d’azione ed in pratica organizzava missioni. Con gli anni era pure diventato abbastanza famoso tra quelli del settore, ma una promozione voleva dire un nuovo dislocamento e così cambiavano spesso casa. Molto spesso.
Keeran per questo motivo era divenuto un ragazzino davvero brillante. Aveva viaggiato più di molti adulti e crescendo nelle basi militari o a bordo di portaerei per salvarsi dalla noia s’era rifugiato nella sua vorace voglia di scoperta e conoscenza; questa era la ragione per cui parlava più di cinque lingue, il secondo era che gli bastava mezz’ora al tavolo con uno straniero per cominciare a masticare l’arabo come il cinese…
E comunque in generale fin da bambino era sempre stato il miglior amante del rischio, un vera peste prima e a diciassett’anni uno sciagurato che non aveva neppure finito l’High School per iscriversi, falsificando la firma di suo padre, nella Marina Militare. Questo giusto un paio d’anni prima di prendere il ‘tridente’ dei SEAL e mantenerlo per un po’.
Soltanto da qualche tempo lavorava vicino all’università, al Governament Society of  Technologies, o GST. Si faceva di tutto in quel palazzo. Infatti praticamente dall’uomo delle pulizie al più alto dirigente, erano tutti delle persone particolari, e tutti avevano una cosa in comune: avevano fatto storcere il naso allo zio Sam. E questo però intravedendo in loro un  potenziale aveva deciso di proporre loro un chance, lavorare al GST, evitando la galera. Proprio per questo, dalle altre agenzie governative, veniva chiamata ‘ la casa degli esuli ’. Ma il reparto che gestiva lui era ancora più diverso e speciale degli altri…
Il taxi fece una brusca frenata, ed Keeran che non si era allacciato la cintura sbatté la testa contro il sedile anteriore.
- Cosa diamine è successo? – disse strofinandosi la fronte, dove già si stava allargando un livido violaceo.
- Siamo arrivati - rispose Pablito.
Keeran non replicò, dopo avergli lanciato i soldi per la corsa sul poggia-gomito e aver detto – Ci vediamo Pablo! Salutami tua moglie ed i piccoli – era sparito correndo nella fiumana di gente che affollava l’entrata dell’aeroporto.
Questi americani sono sempre in ritardo e di fretta, pensò il piccolo messicano girando le chiavi nel quadro.
Keeran correva veloce, scansando le persone per non colpirle e serpeggiando tra le code ed i corridoi. Alla fine raggiunse il check-in, dove un’inserviente molto carina gli indicò il gate a cui dirigersi e lasciandogli in mano il biglietto, Keeran dopo averle riservato uno dei suoi sorrisi migliori se ne andò frettolosamente
23…24…25… Eccolo! Gate 25!
Aveva individuato la sua meta, lo steward stava già chiudendo l’entrata, allungò il passo – Aspetti, aspetti. Mi dica che il volo non è partito – disse ansimando profondamente – Mi faccia vedere il biglietto e si sbrighi – l’uomo era irritato, ma lo fece passare comunque.
Dopo aver percorso il tunnel che portava alla pancia del velivolo, e aver tirato un attimo il fiato, arrivò al suo posto e mise sopra il sedile il bagaglio a mano. Però quando abbassò lo sguardo c’era qualcosa che non andava. Seduto accanto alla sua poltroncina c’era un uomo, dall’aria fin troppo familiare…
- Cosa ci fai qui? – domandò sbalordito, l’altro non sembrava neanche essersi accorto della presenza di Keeran, portava degli occhiali da sole a goccia, Rayban, troppo scuri per far vedere un qualsiasi movimento degli occhi verde smeraldo, che già da soli facevano un personaggio
– Sei in ritardo. E comunque lo sai…- rispose togliendosi gli occhiali.
- No, illuminami tu Dan –
Quello che si era trovato davanti era Daniel Fang, suo amico da anni, non che collega ed ombra. Keeran lo conosceva come le sue tasche ed in un certo senso erano come fratelli. Anzi era suo fratello.
Fang era più alto di lui di un pezzo - intorno al metro e novantacinque - e un po’ meno piazzato, le ginocchia per poco non gli finivano nel sedile davanti. Aveva capelli cortissimi e un sorriso accattivante che con gli occhi verdi veleno gli  donavano un’aria da ladro gentiluomo. Politicamente scorretto, anticonformista, anti-tutto dichiarato nonché genio non dichiarato.
Quando Keeran aveva terminato bruscamente la sua vita di giramondo che era poco più che un ragazzetto dal forte accento dell’est, e s’era trasferito a Pittsburgh, si era anche trovato una sorpresa il primo giorno di liceo: Brass, e così furono sempre vicini di banco.
Erano fusi in un’amicizia indissolubile, ma non per questo contraddittoria. All’ultimo anno, poi, Brass si era trasferito a casa sua dopo una grave lite con i genitori adottivi. Infatti lui era orfano dalla nascita ed anzi come lui stesso si definiva era un bastardo dall’ignobile ed indistinta progenie. All’università si erano divisi, però senza mai perdersi di vista. Brass aveva scelto ingegneria meccanica applicata e Keeran che i libri non facevano per lui. Avevano condiviso tutto: casa, famiglia, scuola e persino una ragazza.
Da tre anni lavoravano nello stesso edificio, al GST, anche se in reparti completamente differenti.
- Ho saputo da Adam, che ha saputo da Bessie, la nuova segretaria, che ha saputo da Clayton che ti ha concesso una “vacanza”, in seguito alla nostra piccola avventura… Le ferie le ha date pure a me così… – si spiegò un po’ articolatamente.
Eneas Clayton era il loro capo, il grande capo, quello che gestiva tutto il GST. Era un uomo dalla disciplina ferrea, ma che si esprimeva con maniere inconsueta – fondamentalmente un gran bastardo - , temprata negli anni passati come generale dell’esercito Britannico. Era un fanatico del suo Paese cui era morbosamente attaccato e fedele, per questo rimaneva un mistero il motivo per cui si era trasferito in America.
L’unica cosa che pareva importargli era il bene del GST, non del singolo. L’avevano visto prendere decisioni controverse che penalizzavano alcuni dipendenti, il tutto mantenendo una fredda indifferenza. Infondo però a Keeran piaceva credere che qualcosa restasse a Clayton, che non riuscisse a non far scalfire la sua armatura d’acciaio.  
- E con ciò? Non mi hai risposto – esclamò Keeran, che non era irritato tanto per la comparsa dell’amico, anzi, ma per il fatto che questo non l’avesse avvisato.
- Sapevo che andavi a Londra. E se ci vai, ci può essere un solo motivo… -
- …Poole – concluse Keeran, che intanto aveva preso posto sul sedile. – Lo sai che sei insopportabile? Ti odio – fece scherzosamente.
 - Non è colpa mia; dote di natura -.
Ma sul viso di Keeran si dipinse un ghigno – Lo sai che il volo dura nove ore, vero? Come farai? –
Brass amava quattro cose: le donne, il dormire, la buona birra e le donne. In più era un fumatore incallito, un vero cultore. Non certo uno di quelli che fanno un tiro per sigaretta lasciandola bruciare per vezzo, era un cliente tanto fedele delle sue Benson & Hedges che di sicuro prima o poi l’azienda gli avrebbe regalato un orologio d’oro come premio fedeltà. Keeran sapeva che l’amico non poteva resistere per più d’un paio d’ore.
- Ti preoccupi per me? Comunque per zelo mi sono fumato un pacchetto e mezzo in aeroporto. Dovrei avere un’autonomia sufficiente – era noncurante della cosa.
– E poi? –
- Dirotterò l’aereo! – esclamò semplicemente, si rigirò e prese a dormire come un sasso.
- Davvero niente male come piano – commentò Keeran, il velivolo intanto aveva già finito di rollare sulla pista e dopo essersi librato nell’aria, cominciò la sua lunga traversata verso l’Inghilterra sopra l’estivo paesaggio dell’Illinois. Fin dove l’occhio si perdeva si potevano ammirare solo campi di grano dalle spighe ricamate d’oro, alternati a prati d’erbe come in un’immensa scacchiera.
 
 
Il taxi sfrecciava veloce nella campagna inglese. Era già un’ora, dopo essere usciti da Londra, che viaggiavano per le tortuose stradine inglesi dello Yorkshire. Non c’era nessun’altra auto a parte la loro, erano immersi nel silenzio più totale, tant’è che le immagini fuori del finestrino potevano essere benissimo i fotogrammi d’una sequenza filmica oppure il preludio d’un pallosissimo documentario bielorusso.
- Quand’è che ti ha chiamato? – esordì Fang.
- All’incirca un mese fa – bofonchiò Keeran che scrutava con sguardo assente i campi di girasole.
- E vai da lui solo adesso? –
- Mi aveva detto di aspettare un po’ di tempo prima di volare in Inghilterra – Keeran ora era più attento, quasi interessato alla questione – Perché doveva far calmare le acque. Non mi ha detto di che si tratta. Ma sai da dopo l’incidente mi sembra più paranoico… - si raddrizzò e si girò verso Fang come per sapere cosa ne pensava.
- Se ti finisse addosso un tir saresti anche tu un poco paranoico! - ghignò Fang – Seriamente… -, anche se non sembrava capace di restare serio, - Da quando è diventato zoppo, è sembrato un po’ strano anche a me. Però sai per un tipo come lui deve essere stata una batosta incredibile; comunque io mi fiderei, se voleva far così è perché c’è qualcosa sotto. Non è stupido, anzi, è una delle menti più sfolgoranti che abbia mai conosciuto –, poi facendo spallucce aggiunse – Ehi, è il tuo padrino, mica il mio. Se non lo sai tu –
Intanto stava accendendo una B&H, la teneva tra le dita passandola da una mano all’altra, mentre fumava. Era teso, non era sicuro nemmeno lui di quel che aveva appena detto, proprio perché Poole era furbo faceva più fatica a fidarsi.
Vedremo cosa ne verrà fuori
 

 
 
Traduzione Fade to Black (Metallica):

ho perso la voglia di vivere
semplicemente,non ho più niente da dare
non c'è più niente per me
ho bisogno della fine per liberarmi

le cose non sono più come prima
manca qualcosa dentro di me
terribilmente perso,non può essere vero
non riesco a sopportare il male che sento
 
il vuoto mi riempie
fino all'angoscia
crese il buoio che porta l'alba
ero io,ma ora se ne è andato
 
   
 
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