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Autore: Emy_n_Joz    30/11/2010    3 recensioni
Assassini. Templari. Sappiamo già cosa fecero in passato. Ma cosa direste se ci aiutassero a reinterpretare uno dei più grandi eventi della storia?
Francia, 1789. L’inverno è particolarmente rigido, soprattutto per chi adesso non ha più una casa. Il popolo ha fame; la carestia e il gelo hanno divorato ogni cosa. Le tasse non fanno che aumentare di giorno in giorno, rendendo la situazione insostenibile. E strani individui, coperti da un mantello bianco e con il viso nascosto da un cappuccio, si muovono per i vicoli, come ombre, tra questa desolazione. Al contrario, alla corte del re, il fasto e l’opulenza dominano con una totale indifferenza su tutto quello che succede al di fuori delle mura di Versailles, sugli intrighi, sulle feste e su nobili abbigliati riccamente, e sfoggianti anelli dorati, intarsiati di pietre preziose con la forma di una strana croce scarlatta. Dalla cima della Tour du Temple di Parigi, un mantello bianco è sospinto dal vento a tempo con la bandiera strappata recante il fleur de lis dei Borboni. Sotto il cappuccio, le labbra piene e rosse accennano un sorriso. Un attimo e, con un sussulto dell’aria e il grido stridente di un falco o di un’aquila, la figura è sparita, lasciando soltanto come segno del suo passaggio lo sbattere fremente e spaventato delle ali di alcuni colombi.
E ciò che verrà dopo sarà l’inferno, o la sua fine.
Genere: Avventura, Azione, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Assassin's Creed: Revolution'
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         Francia, 1789

15 Gennaio

Damien si era appena svegliato. Saranno state le otto del mattino.

Dall’esterno, attraverso una finestra, entravano nella stanza degli accesi spicchi di luce, che finivano dritti sul viso del ragazzo. Questo gli fece pensare che probabilmente quella sarebbe stata una bella giornata di sole, dopo tanta pioggia e freddo.

Damien poteva vedere i rami spogli di un albero che si trovava nel giardino di Christophe, proprio davanti alla sua finestra; restò in silenzio ad ascoltare i primi suoni del mattino, e si rilassava. Poteva udire chiaramente il cinguettio degli uccelli che rallegravano un pò l’aria invernale, le voci delle persone più mattiniere che già erano scese dai propri letti per andare a fare delle compere al mercato, le urla di un venditore che sicuramente si era visto derubare della merce da uno dei soliti sporchi ladruncoli…

Sussultò appena quando sentì bussare alla porta della stanza.

“Avanti.” fece.

Una ragazza molto giovane e carina varcò la soglia. Avrà avuto appena diciotto anni, era magra e aveva dei lunghi capelli castano chiaro sciolti lungo la schiena. In mano teneva varie cose; oggetti per medicare.

“Buongiorno Damien... Scusami, non volevo svegliarti.” si giustificò subito la ragazza.

L’Assassino assunse subito un’espressione di gradimento. “Non preoccuparti Cécile, ero già sveglio…” rispose “Ma non sarebbe stato un problema comunque.” aggiunse in fretta.

“In realtà, speravo che tu ti fossi già destato.” gli disse Cécile.

“E io invece speravo che tu arrivassi presto.” rispose lui con un gran sorriso “Dai, ti faccio posto, così puoi iniziare a controllarmi la ferita.” aggiunse.

“Grazie.” fece la ragazza, e si mise a sedere sulla parte del letto che Damien aveva lasciato libera spostandosi “Allora? Ti fa ancora male?” gli chiese, mentre disponeva gli oggetti per la medicazione.

“No… Adesso no, penso che il peggio sia passato. Ovviamente mi sento ancora un po’ la pelle in tirare però…” rispose lui.

“E’ normale. Questa non deve essere stata una bella settimana per te, immagino. Hai rischiato molto, sei stato ferito e portato qui da mio padre, in più hai dovuto stare a letto per sette giorni, con il taglio che ti faceva male, ed essendo un tipo molto attivo, immagino che a te queste giornate siano sembrate un’eternità.” gli disse Cécile.

“Vedo che sei molto informata su di me.” disse allegramente Damien “Bhè, bisogna sempre guardare il lato positivo delle cose… Diciamo che questa lunga vacanza mi ha dato modo di passare più tempo con te, e i tuoi.” terminò.

Cécile gli sorrise. Iniziò ad abbassargli gli abiti per scoprirgli la ferita.

Damien assunse un’espressione maliziosa e con un tono dello stesso tipo le disse: “Puoi anche scendere un po’ più giù, tesoro…”

Cécile lo guardò. Le sue guance si erano colorate di un rossastro che la rendeva ancora più graziosa. “Smettila Damien… Non tentarmi.”

Il ragazzo era chiaramente divertito.

“Bhé, la ferita ha fatto grandi progressi, sai? Non c’è più bisogno di controllarla. Credo che tu possa tornare alla tua vita movimentata già da domani.” lo informò lei.

“Oh no!” esclamò Damien “Procurami un’altra ferita, ti prego Cécile!” la implorò scherzando.

Lei rise. “Vado giù ad avvertire mio padre che stai benone. Se vuoi puoi alzarti, ma sarebbe meglio che qualcuno ti accompagni dato che è la prima volta che provi a camminare dopo la cura…”

“Vengo con te.” disse Damien.

“Ti pareva…” rispose lei, allegra.

Il pranzo quel giorno fu più bello che mai: tutta la famiglia di Christophe era felice che il loro amico Damien fosse tornato in forma come prima, e nel salone regnava l’allegria.

Non c’era granché, a dire il vero, sulla tavola, come da parecchio tempo a quella parte. Ma era uno di quei rari giorni in cui non importava a nessuno.

Durante il pranzo, il ragazzo non aveva fatto altro che pensare alla sua prossima missione, e a quello che avrebbe dovuto fare.

Così, quando tutti i piatti furono vuoti e la giovane governante di casa si alzò per sparecchiare – Christophe non era quel tipo di borghese che voleva somigliare alla nobiltà, Damien prese fiato e disse:

“Parto domani.”

Gli sguardi di tutti si concentrarono su di lui. Christophe rimase con la pipa a metà tra la bocca e lo stoppino, sua moglie Élodie e Cécile smisero di chiacchierare e Jules, l’altro figlio tredicenne della famiglia, finì di spilluzzicare l’ultima fetta di pane.

Christophe si fece serio. “Cosa vuol dire che parti domani?”

“Il prossimo sulla mia lista si trova a Séverac… Sai che non so aspettare troppo a lungo quando voglio fare qualcosa, e in più non posso permettermi di perdere dell’altro tempo; ho un limite da rispettare. E visto che mi avete detto che adesso sono guarito non ho più ragione di rimandare.”

Sul volto di Christophe si disegnò un’espressione preoccupata. “Capisco… Però hai già rischiato tanto l’ultima volta e…”

Damien l’interruppe. Aveva paura che, se avesse continuato a parlare, l’avrebbe convinto a rimandare ancora la partenza.

“Mica ti aspettavi che rimanessi qui per sempre, vero?” fece brusco “E’ il mio lavoro. E’ la mia vita, Christophe.”

 

Séverac, Francia, 1789

19 Gennaio

Damien storse le labbra e si portò una mano al fianco. Dannata ferita. Quand’è che avrebbe smesso di fargli male?

Cercò in tutti i modi di non pensarci, e proseguì per la sua strada. Era in mezzo alla gente. Non aveva paura di farsi vedere, non ancora. Non lo conoscevano, in quel paesino sperduto in mezzo alla campagna.

Lì, le conseguenze della carestia e della povertà si stavano facendo sentire con più forza che nelle cittadine più grandi. In un paese di contadini, si sopporta meno il peso delle tasse. E la cosa era evidente nell’aspetto emaciato e malmesso degli abitanti, che si trascinavano per le strade con aria mesta.

Damien pensò che, se qualcuno avesse spiegato loro come stavano i fatti, e che cosa stava nascendo in Francia in quel momento, non avrebbero esitato un secondo a usare i forconi per qualcosa di diverso che rastrellare il grano, e reagire. Ma non stava a lui decidere. I grandi capi dicevano che dovevano mantenere il segreto, e così lui avrebbe fatto. Anche se gli pesava.

D’altra parte, aveva più di un modo per tenersi impegnato.

Non riusciva a credere che i Templari avessero un affiliato anche in quel misero paese, erano ovunque. La sua futura vittima era un omuncolo di poco conto, in fondo, nel grande disegno, ma come i precedenti obiettivi di Damien, era qualcuno che avrebbe potuto, per motivi che il ragazzo non conosceva, scoprire e ostacolare il movimento che forse avrebbe finalmente potuto cambiare le cose.

Si chiamava Amedé Rogatien, e svolgeva il suo ruolo di pesce piccolo come corriere per alcune grandi famiglie aristocratiche, famiglie che invece avrebbero potuto essere piuttosto pericolose, se informate. Per i numerosi favori elargiti a tali famiglie si era guadagnato una piccola fortuna ma, evidentemente avaro o paranoico, continuava a vivere in due stanze nel paese natio, senza nessuno con cui dividere il denaro o la vita.

Entrambe le cose, Damien lo sapeva, gli sarebbero state strappate via molto presto.

In quel momento, il ragazzo si stava muovendo all’interno della cittadina per raccogliere più informazioni possibili. Tutto quello che sapeva veniva dai pettegolezzi della gente ma, anche se non sarebbe stato difficile uccidere Rogatien, preferiva assicurarsi che tutto andasse per il meglio. Infatti, non era da scartare l’idea che quelle famiglie aristocratiche, sapendo dell’inconsapevole importanza di Amedé, gli avessero affibbiato qualcuno per proteggerlo.

Damien improvvisamente si bloccò.

Attaccato al muro, a due palmi dal suo viso c’era un grosso manifesto che recitava delle scritte  d’inchiostro nero. E nel mezzo, dentro a un rettangolo, si trovava l’immagine di qualcuno, ma non era possibile capire chi fosse perché il suo volto era quasi completamente coperto da un cappuccio.

Inizialmente Damien pensò che si trattasse di lui, ma non poteva essere così; era arrivato lì soltanto la sera prima, e ancora non aveva fatto niente per meritarsi quella cattiva fama. Si chiese se gli abitanti a Séverac fossero dei veggenti, ma poi gli venne in mente quella sera di due settimane prima, sul ponte in Provence.

C’era qualcun altro come lui. Ed evidentemente, l’aveva preceduto laggiù.

Si domandò che diavolo ci facesse lì: lo stava seguendo, forse? E che cosa voleva da lui?

Damien non aveva smesso di pensare al misterioso Assassino neanche un secondo dalla notte in cui lo aveva visto. Non riusciva a smettere di chiedersi chi fosse e che cosa volesse da lui, o perché lo avesse salvato, o perché, per l’appunto, si trovasse nel posto giusto al momento giusto.

Era convinto di essere l’unico Assassino in circolazione oltre al suo Maestro, e non poteva trattarsi di lui, lo avrebbe riconosciuto… Anche se, a dire il vero, le movenze erano molto simili.

Aveva domandato a Christophe di informarsi dai grandi capi se gli avessero accostato un compagno, oppure avessero chiesto l’aiuto di un altro Assassino, ma la risposta era stata un categorico no, e Damien non ci capiva più niente.

La logica gli diceva che se non stava con loro, era un loro nemico. Ma non funzionava granché visto che gli aveva salvato la vita. O forse gli aveva salvato la vita perché lui pensasse che non fosse loro nemico, mentre in realtà…

D’accordo Damien. Basta.

Il ragazzo decise di tornare a concentrarsi sulla missione. Così, girò l’angolo e continuò a camminare.

“Dicono che sia più veloce di un colpo di moschetto! Mio marito giura di averlo visto, e dice che sembra un fantasma; è vestito tutto di bianco, e ha delle macchie rosso intenso addosso…”

Damien a quelle parole si fermò di colpo e trattenne il respiro. Si nascose dietro a un carro, e rimase ad ascoltare.

Mon Dieu! Deve davvero incutere timore! Dovremmo tenere i nostri bambini in casa più spesso!”

“Sono d’accordo. Hai sentito che ha ucciso tutte le guardie che hanno cercato di acchiapparlo? Ed erano in dieci!

“Chissà cosa ha in mente quel pazzo! Non sappiamo neanche il motivo per cui si trovi qui!”

“Ah io non lo so. L’importante è che se ne vada presto. Ho sentito anche che…”

Damien si avvicinò di più, senza farsi vedere. Non riusciva a sentire niente. C’era qualcuno che urlava ininterrottamente da almeno dieci minuti. Era veramente fasti…

“GUARDIE! GUARDIE!!”

…dioso. Oh cazzo.

A forza di perdersi nei suoi pensieri, si era perso tutto il resto. Sicuramente il fatto che lui se ne andasse in giro vestito proprio come il tizio del manifesto non era passato inosservato. Si disse che avrebbe dovuto prestare più attenzione, e magari, smettere di pensare. Keras diceva sempre che era la base per una buona riuscita della missione, ma sembrava che tutte le volte che Damien lo faceva, mandasse tutto a puttane.

Proprio come sta succedendo adesso!, pensò, accorgendosi che un gruppo di guardie si stava avvicinando pericolosamente al punto in cui si trovava lui.

A malincuore si staccò dal suo nascondiglio e corse via. Si disse che, se voleva continuare a girare per quella cittadina, avrebbe dovuto trovare un abbigliamento più sobrio.

Non si trovava per niente comodo dentro quei vestiti borghesi. Damien dette un ultimo sguardo imbarazzato ai pantaloni stretti al ginocchio e alle calze bianche infilate dentro a quelle orrende scarpette.

Ho visto donne con scarpe più virili.

L’unica cosa che non gli dispiaceva era la camicia: larga, bianca e sbottonata sul petto.

Quei vestiti non gli piacevano anche perché gli ricordavano un po’ troppo la sua vecchia vita, anche se erano passati tanti anni. Scosse la testa per scacciare quei pensieri, e continuò a muoversi tra la folla nel modo più disinvolto possibile.

Non era più abituato ad essere così scoperto e al fatto che la gente gli vedesse addirittura il viso.

E il fatto di avere il volto scoperto non gli stava facilitando il compito di passare inosservato: molte donne lo guardavano con tanta insistenza che Damien, pur non essendo il tipo, non poteva fare a meno di sentirsi in imbarazzo. Non ricordava che la gente, un tempo, lo avesse trovato piacevole alla vista, perfino bello. Si era così assuefatto a tenere il cappuccio che aveva dimenticato come ci si sentisse ad essere guardati.

Provò a non pensarci, e tornò al suo lavoro. Adesso che, paradossalmente, era meno riconoscibile rispetto a quando indossava l’abito che avrebbe dovuto renderlo irriconoscibile, avrebbe potuto rivolgersi direttamente a chi ne sapeva di più in città. Ovvero le guardie.

Si avvicinò a loro, e fu strano farlo senza estrarre la lama celata. Automaticamente strinse il pugno.

“Bonjour.” iniziò.

“Bonjour.” risposero le due guardie, quasi all’unisono.

Damien prese un respiro profondo. Si sentiva dannatamente scoperto e indifeso, ormai l’abito era diventata una protezione per lui.

“Posso chiedervi qualche informazione?” proseguì “Sono un mercante e dovrei parlare con un certo Amedé Rogatien. Lo conoscete?”

“Un mercante, eh? E come ti chiami?” si insospettì uno di loro.

“Mi chiamo Jules Lefevre.” rispose prontamente Damien.

Sapeva che usare il nome di Christophe, legato all’ambito mercantile, gli avrebbe assicurato la fiducia e la piena collaborazione di chiunque. E infatti, l’espressione dei due uomini cambiò, diventando più amichevole.

“Ah sì, fai parte di una famiglia di mercanti molto rinomata. Cos’è che vuoi sapere precisamente riguardo a quell’ometto da quattro soldi?” chiese uno di loro.

Damien si disse che da come lo avevano appellato non dovesse essere un tipo che stava simpatico alla gente.

“Bhè, non c’è qualcosa in particolare che voglia sapere, ma devo incontrarlo e, essendo appena arrivato qui a Séverac, vorrei sapere dove abita di preciso.” rispose Damien, cercando di essere il più disinvolto possibile.

“Rogatien abita quasi nella zona più isolata del paese, in una piccola… ehm ‘casina’ se può essere chiamata così…” disse con disprezzo una guardia.

Casina la chiami? Sembra più una capannina! Avrebbe anche le possibilità di cambiare aria ma, a quanto pare, quel verme schifoso preferisce morire in quel buco soppresso dal suo stesso denaro che tra poco non gli entrerà neanche più nelle tasche!” scoppiò l’altra guardia.

“Non ti agitare troppo, Gustave! E non interrompermi più per favore! Quando inizio un discorso vorrei anche riuscire a finirlo se non ti dispiace.”

Damien stava lottando contro se stesso per non ridere: il comportamento delle guardie era sempre lo stesso, in ogni città. Non avrebbe saputo misurare il loro livello di stupidità.

“Dicevo, prima che qualcuno mi interrompesse… L’abitazione di Rogatien non dista molto da qui, è da quella parte.” e col dito indicò alla sua destra.

“D’accordo… Grazie, siete stati molto gentili.” disse Damien, anche se non voleva esagerare con la gentilezza, ma aveva bisogno di più informazioni, e forse mostrandosi garbato nei loro confronti, le avrebbe ottenute “Posso ripagarvi in qualche modo?” tentò, anche se non era molto sicuro di quello che stava facendo.

Una delle guardie allungò una mano per prendere le monete che Damien stava porgendo, ma il secondo soldato gli fermò il braccio.

“No. E’ nostro compito anche dare informazioni a chi non conosce bene il posto… Comunque mi sento in dovere di informarti che c’è un cattivo viavai di gente in quella casa. Non fanno altro che uscire e entrare brutti ceffi a intervalli regolari dalla mattina alla sera. Perciò, occhio!” rispose la guardia.

Damien se lo aspettava.

Non aveva dubbi che quei brutti ceffi non frequentassero Rogatien per buona compagnia. Erano di sicuro i mercenari che i Templari avevano messo a proteggerlo. Le sue supposizioni erano fondate.

“Vi ringrazio molto. Starò attento.”

Mosse qualche passo verso la direzione indicata dalla guardia. “Fareste bene a farlo anche voi.” aggiunse poi, voltandosi con un sorrisetto.

Le guardie si guardarono l’un l’altra con espressione interrogativa, e quando tornarono con gli occhi sulla strada, Jules Lefevre non c’era più.

 

21 Gennaio

Tutto era pronto per portare a termine il lavoro. Damien si trovava davanti al piano su cui viveva Amedé Rogatien, appostato sul tetto di una casa di fronte.

Era appena arrivato, ma non aveva intenzione di aspettare a lungo. Si sentiva di nuovo a suo agio nei suoi vestiti da Assassino, e aveva tutte le informazioni che gli servivano per fare quello che doveva fare, compresi i turni degli scagnozzi di guardia.

Sapeva che, di lì a un minuto, uno di loro se ne sarebbe andato, come faceva tutte le sere, a bere, lasciando da solo il compagno, e allora avrebbe agito.

Il ragazzo aspettò per l’intero minuto, ma quando questo terminò, non accadde nulla. L’Assassino attese un altro po’, ma nessuno uscì dalla soglia. Sembrava che con il suo arrivo fosse terminato anche il viavai.

Si disse che probabilmente lo scagnozzo non aveva sete, quella sera, oppure era andato via prima.

Ma non poteva fare a meno di sentire una certa inquietudine, che non riusciva a spiegarsi. L’ignorò e decise di agire, tanto in ogni caso uccidere una o entrambe le guardie non avrebbe fatto molta differenza.

Il ragazzo si disse che la manovra dei Templari di affibbiare sorveglianti alle personalità potenzialmente utili non funzionava granché.

E questo fu il suo ultimo pensiero prima che di alzarsi e attraversare il vuoto sottostante sul filo che si tendeva dal tetto della casa su cui stava a quella di Rogatien.

La camera del prezioso corriere aveva una finestra; Damien all’inizio aveva pensato di sfruttarla. Ma, come si era detto, sarebbe stato troppo facile. Infatti la finestra non si apriva se non dall’interno, e l’unico modo per passarci sarebbe stato forzarla. Ma il rumore avrebbe certamente svegliato tutti gli inquilini dell’edificio, comprese le guardie.

Perciò il ragazzo si era rassegnato a passare dalla porta.

Quindi, con molta cautela, per non farsi sentire ma anche per non farsi del male, iniziò a scendere lungo le pareti della palazzina, fino ad arrivare a terra.

Adesso però doveva pensare a un modo per entrare dalla porta senza fare troppo rumore: sicuramente anch’essa sarebbe stata ben serrata, ma gli avrebbe procurato meno seccature. Gli venne in mente che forse la lama celata si sarebbe rivelata utile anche in quella circostanza, che non richiedeva uccisioni, almeno per il momento.

Così si diresse verso la porta, ma all’improvviso sentì qualcosa di solido sotto i suoi piedi, e non più la soffice erbetta del piccolo giardino circostante. Abbassò lo sguardo, e notò che aveva pestato una mano.

Guardò meglio, e riconobbe il corpo privo di vita di uno dei due sorveglianti, forse quello che avrebbe dovuto lasciare l’abitazione qualche minuto prima. Damien si allarmò: non riusciva a capire cosa potesse essergli successo. Con una strana sensazione, si avvicinò alla porta, e si accorse che era già aperta. Questo non fece altro che alimentare le sue preoccupazioni. La spinse, e iniziò a percorrere lo stretto corridoio che portava ad una porta sulla destra e a una rampa di scale sulla sinistra.

Rogatien si trovava al piano di sopra, quindi svoltò a sinistra, e proseguì per la scalinata.

Arrivato in cima, vide a terra un cappello sporco di polvere. Poco più in là, si trovava colui che molto probabilmente ne era il proprietario: l’altro sorvegliante. Ma anche lui, era morto.

Dette uno sguardo molto veloce alla porta che collegava il corridoio alle stanze di Rogatien, quasi senza guardarla sul serio, e si accorse che anche quella era già aperta.

Ma che cazzo sta succedendo qui?!

L’Assassino aveva un brutto presentimento.

Si catapultò all’interno della stanza, appena in tempo per riuscire a vedere un lembo di quello che sembrava un lungo mantello nero intenso che velocemente scompariva dalla finestra che si trovava sulla parete di fronte a lui, ormai aperta.

La leggera luce della luna che filtrava nella stanza attraverso di essa gli fece notare anche una piuma che volteggiava nell’aria per via della brezza che proveniva da fuori.

Rapidamente, Damien raggiunse la finestra sperando che non fosse troppo tardi per riuscire a cogliere qualcosa in più del tizio che era fuggito da lì, ma ormai non c’era ombra di niente in movimento là fuori.

Si voltò, e si diresse verso il letto di Amedé Rogatien: si accorse subito che era morto. Il suo petto era immobile, non si sollevava per respirare, e i vestiti e i lenzuoli erano ricoperti di sangue. Osservò meglio, concentrandosi su ciò che era stato usato per togliere la vita a quell’ometto: riconobbe chiaramente il segno che la lama celata lasciava sul corpo delle persone una volta affondata ed estratta da esso.

Si disse che non c’era motivo di rimanere lì dell’altro tempo. Andò verso la finestra, e si ricordò della piuma di prima: la raccolse e la sistemò bene tra la vita e la cintura. Poi si accovacciò sul davanzale della finestra, si preparò, e balzò fuori nell’ombra.

Percorse il piccolo giardinetto fino alla strada principale, poi svoltò in uno stretto vicolo laterale e si diresse verso la casetta abbandonata che gli faceva da rifugio durante quei giorni.

Una volta varcata la soglia, si calò il cappuccio, si tolse mantello e stivali e si lasciò cadere su una sedia.

Non sapeva neanche lui come si sentisse. Era un misto tra frustrazione e rabbia, era come se qualcuno gli avesse rubato il suo ruolo di Assassino, il suo lavoro, e con una facilità esagerata.

Si perse profondamente nei suoi pensieri, come succedeva spesso d’altronde.

Era da tanti anni ormai che andava in giro per le città della Francia alla ricerca di persone da uccidere o semplicemente da rintracciare per ottenere qualcosa: inizialmente si trattava soltanto di piccoli uomini che sostanzialmente avevano compiuto atti di poca importanza, come ad esempio rubare un qualcosa di valore a qualcuno, oppure importunare le povere ragazze che si aggiravano per i mercati del paese per fare le loro compere giornaliere.

Ma quegli anni erano stati un po’ come un addestramento per lui: infatti, col passare del tempo, la cosa si era fatta molto più complicata e rischiosa. Aveva dovuto abituarsi al fatto che tutto intorno a lui esistessero delle persone molto pericolose che avrebbero potuto ostacolare la sicurezza e la libertà dell’intero paese.

Proprio come stava succedendo adesso con i Templari, e lui doveva concentrarsi su queste persone per ucciderle.

Era sempre riuscito a portare a termine i suoi obiettivi, cavandosela anche nelle situazioni più difficili, era sempre stato agile e prudente, aveva sempre saputo mettere in pratica gli insegnamenti che il suo Maestro gli aveva trasmesso.

E poi era arrivato quell’Assassino sconosciuto.

Da quando aveva visto quella maledetta ombra bianca in Provence, sembrava che le cose fossero peggiorate. Sembrava che lui non fosse più capace di essere un Assassino.

No, non è colpa mia.

Non era lui che era cambiato, lui aveva fatto tutto quello che doveva fare, tutto quello che aveva sempre fatto prima di compiere un omicidio, dannazione!

Era quello sconosciuto che gli mandava all’aria tutti i piani, svolgendo l’ultima parte al posto suo. A lui toccava il ruolo che, in questo modo, diventava il  più noioso, ovvero quello di raccogliere informazioni a vuoto. Era tutto tempo perso, ore, giorni.

Ma la cosa che non riusciva davvero a capire era perché l’avesse preso di mira.

Che cosa diavolo ci faceva quella sera sul ponte in Provence? E come aveva fatto ad arrivare al momento giusto? E perché quando l’aveva chiamato, se n’era andato senza dire niente e senza neanche farsi ringraziare? E ancora, perché lo seguiva? Come faceva a sapere che lui quella notte sarebbe stato a Séverac per uccidere Amedé Rogatien? E la precisione del tempo con il quale lo aveva preceduto…

E poi si ricordò della piuma.

La prese, e tenendola stretta in fondo con due dita, iniziò a farla roteare davanti ai suoi occhi, osservandola.

Somigliava moltissimo alla sua: era lunga quasi metà braccio, di un bellissimo colore nero… Era stupenda.

Si chiese come mai anche quello sconosciuto portasse una piuma con sé. Sapeva che le aquile avevano un significato particolare per tutti gli Assassini, era stato così fin dai tempi più antichi, ma raramente le loro piume venivano indossate.

Lui credeva di essere addirittura l’unico a farlo, perché era stato Keras, il suo Maestro, a dirgli di portarla sempre con sé, anche perché lui era degno di essere un vero Assassino.

Quindi quello sconosciuto se ne andava anche in giro proprio come lui. Chissà se lo faceva perché era a conoscenza del significato o semplicemente tanto per essere alla moda.

Decise che non voleva più pensarci per quella notte, altrimenti sarebbe diventato matto.

Così si alzò, con una certa rabbia che ancora gli premeva contro il petto, e andò a dormire.

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…scusate! Scusateci davvero se questo capitolo è così noioso! Lo abbiamo scritto quando eravamo ancora all’inizio, e rileggendolo ci siamo rese conto che scrivevamo da schifo nel vero senso della parola! Per fortuna, avremo questo problema soltanto con un altro po’ di capitoli, poi noterete che la cosa si farà molto più interessante e, soprattutto, più piacevole da leggere.

Damien, Damien! Ma cosa faiiiii! Lascia stare quella povera ragazza che è Cécile! A quanto pare, ogni occasione è buona per provarci, eh? xD

Mmmmmh… Ma nel lavoro il nostro ragazzotto ha un po’ di problemi. Il mistero continua! Cosa sta succedendo? Povero Damien: si impegna tanto nel suo lavoro, e poi si vede rovinare tutto da uno sconosciuto antipatico vestito praticamente come lui. Il nostro Assassino dovrà scoprire di chi si tratta e quali sono le sue intenzioni ma, come ormai avrete capito, la prossima volta toccherà alla storia di Arnielle (lo sappiamo: forse anche questa cosa è odiosa, ma vi assicuriamo che tra un po’ i capitoli saranno lineari e non più alternati =D).

Non c’è da dire altro, a parte ringraziare i nostri recensitori ^.^

Yojimbo: Ovviamente tu non manchi mai nella lista dei nostri recensitori! Siamo contente che l’addestramento ti sia piaciuto, e la cosa ci rende ancora più soddisfatte perché ti assicuriamo che non è stato per niente facile scriverlo. Avevamo tutte le idee nella testa ma metterle per iscritto è stato un po’ problematico, anche perché dovevamo trovare un modo che riuscisse a non annoiare il lettore in una fase che comunque può non piacere a tutti, come l’addestramento. Con questo capitolo, iniziamo a conoscere un po’ meglio Risha, per quanto riguarda il carattere, almeno. Ovviamente, ci sarebbe molto da dire di lui ma… ogni cosa a suo tempo! Intanto però, ci fa piacere che tu stia iniziando a fare delle supposizioni sul personaggio, che è senz’altro uno dei nostri preferiti.  In quanto ai dialoghi epici… diciamo soltanto che potrai sbizzarrirti parecchio man mano che si va avanti (soprattutto con Damien ^.^).

Gufo_Tave: Grazie anche a te per aver recensito ^.^ Ti assicuriamo che i tuoi complimenti non sono per niente misera cosa, in quanto ci aiutano a credere sempre di più in noi stesse e a portare avanti questa storia impegnativa e piena di difficoltà (ogni tanto purtroppo ci scoraggiamo perché non sappiamo come spiegarci o come far tornare bene i fatti T.T). Tutti voi siete la nostra via di salvezza. Per quanto riguarda il personaggio di Arnielle, siamo contente che sia piaciuto anche a te. Ovviamente siamo ancora all’inizio, è probabile che col tempo ti diventerà più simpatica (o antipatica, chissà!) =D

  
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