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Autore: fiddle    02/12/2010    1 recensioni
L'Impero di Sunonzenit, un impero fondato sul terrore e sulla bramosia di potere. Ma "Due dal Tramonto, due dall'Alba e uno dall'alto del Cielo" distruggeranno la capitale Zenit e salveranno gli innocenti. Si incontreranno a Destroya.
Ma chi sono questi cinque eroi?
Un vecchio scienziato rimbambito, un ragazzo esaltato e dal grilletto facile, un drago alcolizzato, un fanciulla dai modi un po' grezzi e con una grossa lama fedelmente al fianco, un giovane spadaccino misterioso e silenzioso.
Possiamo credere in loro?
Ma, soprattutto, dov'è Destroya?
Sperando di avervi incuriositi, vi auguro una buona lettura.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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DESTROYA
Capitolo uno: Destroya, we’re all waiting for ya


Non conosceva il nome della prigioniera che aveva chiesto di vederlo. Sapeva solo che era nella cella di isolamento, quella al livello più basso di tutti, e sarebbe stata una scocciatura scendere fino a laggiù. Senza contare il fatto che si trattava sicuramente di un individuo pericoloso. Indegno di fare parte del suo popolo, del suo grande impero.
Scortato da tre delle sue guardie del corpo, i numeri 74, 16 e 23, come si poteva capire dal tatuaggio sul cranio rapato a zero, attraversò il lungo corridoio bianco, con le pareti intervallate in una maniera regolare e geometrica da finestre, a destra e a sinistra, che facevano spaziare lo sguardo su un infinito oceano e su un immenso cielo. In quel momento erano l’uno mosso e scuro, l’altro bianco plumbeo. Raggiunsero l’ascensore.
Quel corridoio lungo novantotto metri, quell’ascensore con capienza massima di cinque persone, quella colonna di cemento bianco – il tipo più resistente –, la colonna dell’elevatore, con le pareti spesse quattro metri, alta quarantotto metri sopra il livello del mare e cinquantasette sotto, erano tutto ciò che collegava le prigioni sottomarine al mondo esterno. Per uscire da esse si doveva: attraversare l’intero carcere, pieno di secondini senza scrupoli, raggiungere quindi la torre dell’elevatore, salirla fino alla fine – il che era possibile solo tramite esso, in quanto a quella quota negativa la pressione era insopportabile per il corpo umano – e percorrere il lunghissimo corridoio bianco, che sbucava nell’ala del Palazzo destinata al Governo, pullulante di soldati e sentinelle. Tutto ciò rendeva impossibile ogni tentativo di evasione.
Raggiunsero l’ascensore. Lui vi entrò per primo, seguito dalle guardie. Numero 74 entrò per ultimo. Regolò le valvole per l’aria ed attivò i sensori di pressione e quelli di contatto ad acqua, che servivano per avvisarli quando sarebbe stato il momento di chiudere le valvole e aprire i filtri per l’ossigeno. Le tre guardie rimasero in piedi, ma diede loro l’ordine di sedersi quando sarebbero stati sott’acqua: era inutile sfinirle facendole stare in piedi per tanto tempo (la colonna era alta centocinque metri in totale, circa come un grattacielo di trentacinque piani). Quindi si sedette lui stesso. e decise di usare quel tempo per riflettere, o, meglio, per naufragare dolcemente fra i ricordi e le ambizioni di potere. Ah, non aveva quasi mai tempo per sedersi e pensare, e nient’altro.
Erano già otto anni che era Imperatore del Sole, Grande Sovrano dell’Impero di Sunonzenit, Duca di Zenit e dintorni. Prima era il figlio maggiore del Re di Arret, con capitale To-Oven. Ricordava ancora con intenso piacere quel giorno in cui lui e il fratellino avevano fatto irruzione nella sala del Consiglio e, assieme a un gruppo scelto di soldati, giovani come loro, avevano fatto fuori tutti, senza pietà. Ciascuno di quegli uomini era corrotto ed operava solo per il proprio interesse. Nessuno di loro meritava di vivere! Anche se la verità era che negava a sé stesso di essere stato spinto a fare quella terribile azione solo dalla sua cupidigia di potere. Poi ricordò di quando aveva ucciso suo fratello. Gli aveva proposto di dividersi il potere in parti eguali, loro due, insieme. E lui l’aveva ammazzato: come poteva chiedergli una cosa del genere! Lui aveva organizzato tutto, lui aveva proposto di usurpare il trono, lui era l’unico che aveva il diritto di governare. E così, aveva ucciso il suo fratellino. E dopo, ah, il potere! Era il Padrone – l’unico padrone – di tutto quello che vedeva attorno a sé.
Una voce metallica avvisò gli utenti dell’ascensore che erano penetrati in acqua. Numero 74 procedette velocemente con valvole e filtri. Nel frattempo, il Grande Sovrano restava immerso nei suoi dolci ricordi.
Dopo aver ottenuto il potere, aveva dato in sposa sua sorella a un monarca di uno dei tanti piccoli regni circostanti, dandole l’ordine di ucciderlo senza farsi scoprire. Quella fu la prima conquista. Diede poi in spose la vedova di suo fratello e le sue due figlie ad altri re, con lo stesso ordine che aveva dato alla sorella, conquistando così altri regni. Il resto lo conquistò sposando e poi uccidendo parenti di altri sovrani. Chiamò il grande impero così formatosi “Impero di Sunonzenit”, modificando anche il nome della capitale da “To-Oven” in “Zenit”, la città sulla quale il sole di mezzogiorno fa scomparire le ombre. Poco discosto dalla città vera e propria – una moderna metropoli –, proprio sulla spiaggia rocciosa che dava sull’Oceano (infatti il corridoio che aveva percorso poco fa era costruito sul mare, su modello di antichi monumentali acquedotti), fece costruire un grande palazzo. Sotto, come struttura indipendente, vi fece edificare le prigioni sottomarine.
Le tre guardie si alzarono, segno che erano arrivati. Anche lui si alzò, ed uscì per primo. Fu subito accolto da un secondino che lo condusse alla cella di isolamento.
Nell’aria c’era odore di sangue; dalle pareti, dalle fredde porte di metallo, salivano a lui i gemiti e i lamenti di chi era indegno di far parte del suo Impero. Non provava pietà per nessuno di loro, erano loro che avevano deciso di ribellarsi al suo volere, invece di essere docili e degni di vivere sotto il suo segno. Ora si lamentavano e gemevano, soffrivano. Ed erano appena al primo livello. Alla fine di quel corridoio ce ne erano altri due che conducevano ad altre aree del primo livello; poi, proprio di fronte a loro, le scale che conducevano al secondo. Percorsero tutti i cinque livelli. Mentre scendevano le scale che conducevano al quinto livello, chiese: «Dove era rinchiusa prima di venire messa in isolamento?» Non occorreva dire di chi parlasse. Il motivo per cui era laggiù era uno solo. Il Sovrano non faceva visite di cortesia.
«Livello uno, Signore», rispose il secondino.
«Livello uno… il meno grave. E cos’ha fatto per finire in isolamento?»
«Si è messa a farneticare che l’Impero sarebbe fallito, a incitare tutti gli altri prigionieri ad aiutarla a farlo cadere.», rispose l’uomo. «Gli altri detenuti la ascoltavano. Se non l’avessimo rinchiusa, saremmo andati incontro ad una ribellione.»
«Capisco…», disse l’Imperatore. «Ben fatto. Ora com’è il morale dei prigionieri?»
Il secondino sorrise malignamente. «Basso, Signore»
Terminate le scale del quinto livello, si ritrovarono di fronte ad un macabro spettacolo: un soldato stava letteralmente trascinando via dalla sua cella l’ombra di un uomo, o meglio, quello che sembrava essere il suo scheletro urlante; costui stava venendo portato nella stanza delle torture, dalla quale ritornava un altro soldato, il quale strascicava a sua volta dietro di sé ciò che probabilmente era un uomo. Il secondino che guidava l’Imperatore si affrettò a scendere anche le ultime scale e così giunsero nel livello più basso, dove la pressione dell’acqua si percepiva nonostante tutte le tecnologie che impedivano alla struttura di accartocciarsi come un foglio di carta: ecco l’isolamento.
Il soldato li guidò fino alla penultima porta sulla sinistra. L’aprì e fece segno all’Imperatore di entrare. Questi si ritrovò in una stanza bianca e perfettamente pulita, illuminata per l’occasione da lampade bianche che facevano una luce intensissima. Anche questa era una tortura per i detenuti. «Questa», spiegò la guardia. «E’ la stanza bianca» L’Imperatore lo fulminò con gli occhi: l’aveva progettata lui quella stanza, così come le intere prigioni sottomarine e tutto il Palazzo. Quella guardia non doveva essere insolente e spiegargli certe cose come se fosse stato uno scolaro in gita. Il secondino tacque. «Perdonate, Sommo Imperatore» Si inchinò. Il Sovrano lo ignorò compiaciuto e guardò nella cella bianca.
La donna che lo aveva chiamato giaceva appesa per le mani nel centro della stanza, con i capelli infilati nelle corde, affinché tirassero; era coperta di sangue e ferite, i suoi occhi erano chiusi, ma le palpebre tremavano: era sveglia, e soffriva. Parlò: «Sommo Imperatore, eh?... Sei solo pieno di merda»
Il secondino scattò verso la prigioniera, estrasse una frusta dalla cintura e la fustigò sull’addome. La prigioniera non emise un gemito.
«Via, via…», disse il sovrano con preoccupazione fasulla. «Vuoi lasciarci soli, guardia. Vorrei con me solo numero, vediamo…», si voltò verso i tre bodyguard. «Numero 16. Tu resta davanti alla porta. Gli altri escano, grazie.»
Tutti gli obbedirono. Rimasero soli, l’uno di fronte all’altra, l’Imperatore e la donna senza nome, mentre numero 16 guardava e ascoltava senza sentire.
«Perché mi hai chiamato?», disse calmo lui.
«Beh, uno dei due motivi te l’ho già detto,», rispose lei sarcastica, dando del tu al Supremo Monarca con un tono talmente ironico che questi quasi si arrabbiò. «ci tenevo a farti sapere l’alta considerazione che ho di te, Sommo Stronzo. L’altro te lo dico ora», concluse con un sorriso, continuando a tenere gli occhi chiusi.
La donna ebbe una trasformazione: le corde che la stringevano si allentarono, i capelli ricaddero sulla sua schiena, lei iniziò a fluttuare nell’aria; aprì gli occhi: erano grigi, totalmente, persino le pupille, ed erano impassibili come gli occhi di un cieco. Non appena spalancò le palpebre, un potente colpo di vento fece volare all’indietro il sovrano, prontamente preso al volo dalla guerdia. Poi, la donna aprì la bocca e parlò.
La sua voce non era più quella affannata che aveva prima, era rinnovata, anche se un po’ roca; soprattutto, era forte e acuta. Ogni tanto faceva qualche pausa per riprendere il verso seguente con più enfasi.

«Due dal Tramonto, due dall’Alba e uno dall’alto del Cielo
Piomberanno su Zenit.
Si incontreranno e troveranno Destroya,
E di lì il sole illuminando Sunonzenit
Vedrà solo il suo riflesso.

A nulla serviranno le tue ricerche, stupido vecchio
A nulla le tue guerre
A nulla la tua oppressione.
Se entro il tempo stabilito dal tempo
Non ti sarai redento

Due dal Tramonto, due dall’alba e uno dall’alto del Cielo
Piomberanno su Zenit.
Di tutto rimarrà uno specchio
D’argento, metallo, ferro, acciaio e ruggine.
Da Destroya verranno!
»

La donna chiuse gli occhi. Ci fu un'altra potente folata, ma numero 16 tenne stretto il suo Sovrano. Quando ebbero recuperato il coraggio di guardare, videro la donna tornata normale, accasciata a terra, che li fissava con gli occhi socchiusi. Sorrideva, felice.
Il Sommo Imperatore si alzò e andò da lei. Quella prese a ridere, rauca. Una volta di fronte a lei, l’uomo la schiaffeggiò, talmente tanto forte da mozzarle il fiato. «Stupida, cosa credi di fare, spaventarmi!?», urlò.
Per risposta, la donna rise ancora. «E ci sono riuscita. Uh, uh…»
«Parla, cretina!», ordinò l’Imperatore, tirandole un altro ceffone.
«Vuole che le dia una mano, Signore?», chiese trepidante numero 16.
«No, stai indietro», disse secco lui. Prese la detenuta per il collo e le alzò il busto, portando la sua testa il più vicino possibile al proprio viso. «Parla, stupida. Spiegami cos’hai detto.», disse freddamente con il tono e lo sguardo più terribili che riuscì a recuperare.
La prigioniera rise ancora. «Lo stupido sei tu, uh uh uh. Io sono una veggente, scemo di un imperatore. Mi hai arrestata perché andavo in giro per Zenit screditando il tuo Impero fondato sulla tua sola brama di potere. Quest’Impero esiste solo per te, stupido Imperatore. Cough», la donna tossì. «Io ho avuto questa visione, e ci tenevo a fartela conoscere. L’Impero crollerà, idiota!» La detenuta sputò in faccia al Sommo Imperatore e continuò a ridere – «Uh, uh,uh…».
L’uomo si alzò, con lo sguardo ancora sulla prigioniera. Increspò le labbra e sul suo volto balenò un’espressione terribile di puro odio, quindi sferrò un fortissimo calcio alla povera donna, che tossì sangue. Numero 16 fremette: voleva contribuire. Il Grande Sovrano aspettò che la prigioniera finisse di vomitare, poi le chiese: «Cos’è Destroya?»
Ancora una volta, la donna lo guardò e sorrise alla paura dell’Imperatore.
Tuttavia, quest’ultimo aveva ancora un asso nella manica: «Se non parli faccio fuori tutta la tua famiglia.»
La donna spalancò gli occhi e la bocca, impallidì e sul suo volto si fece largo un espressione di angoscia e terrore. «No, no, ti prego no!», mormorò spaventata. Cercò di strisciare verso i piedi del Grande Sovrano, ma questi si tirò indietro schifato. La donna si fermò un momento. «E’ un bluff», disse poi con quel sorriso pazzo. «Voi non sapete nemmeno come mi chiamo! Come potete sapere che ho una famiglia! Come potete sapere dov’è?»
Il monarca si rivolse a numero 16: «Fai sentire a questa detenuta se è un bluff»
La guardia sorrise stupidamente e si avvicinò alla prigioniera. L’Imperatore si scansò per fargli largo. L’uomo sferrò un calcio alla donna talmente potente da spostarla indietro di qualche metro.
«Basta, grazie, 16», disse frettolosamente l’Imperatore. «Non deve morire» Poi si rivolse alla prigioniera. «Abbiamo tutte le tue informazioni negli archivi, stolta donna. Non sarà difficile risalire alla tua famiglia. Poi manderò tre guardie a massacrarli tutti» Fece finta di girarsi e uscire. Numero 16 lo seguì.
«Ci… à…», mormorò lei.
L’Imperatore si fermò e alzò la testa. Quindi, si volse verso di lei. Fece quei pochi passi che li separavano e la guardò dall’alto al basso. «Ripeti», ordinò, lentamente.
La donna tossì e sputò sangue. «Non so… cosa sia Destro… ya… Credo una cit… tà… Ma non la… co… nos… co» Quello fu l’ultimo sforzo che riuscì a sopportare: svenne.
Il monarca rimase fermo a guardarla qualche istante. Numero 16 restò in attesa di ordini. Poi l’uomo alzò la testa e chiuse gli occhi, assaporando l’aria di sangue, le labbra dritte, il volto inespressivo.
Uscì dalla stanza, seguito da numero 16, che chiuse la porta dietro di sé. Le altre due guardie e il secondino avevano atteso per tutto il tempo in piedi là fuori, davanti alla porta, aspettando che si aprisse. Non domandarono nulla, ma le loro facce erano preoccupate e ansiose. L’Imperatore ordinò: «Date una sistemata a quella donna. La voglio perfettamente pulita e splendente per la sua esecuzione»
Tutti ghignarono malignamente.

L’esecuzione venne annunciata in tutta Zenit, da banditori e con volantini appesi nelle varie piazze. Tutti, il giorno prestabilito, si radunarono sulla spiaggia dove sorgeva il Palazzo. Per l’esecuzione era stato preparato un trampolino di legno sulla cima della torre dell’ascensore. La figura della donna, pulita e in forma, in un semplice vestito bianco, si stagliava proprio lassù contro il cielo azzurro e terso, mentre il mare sotto l’attendeva calmo, scosso da poche onde formate da una tiepida corrente. Non si poteva che essere felici di morire in un giorno così bello. Sul bagnasciuga tutti mormoravano. In prima fila, con i piedi nell’acqua, i familiari della condannata la fissavano impassibili.
Un banditore da un podio sulla spiaggia lesse le accuse alla condannata, Betty Smith: tradimento, infamia, evasione fiscale e altre menzogne. Concluse con la frase di rito: «E’ pertanto condannata a morte!»
La folla trattenne il respiro.
Betty prese fiato e si lanciò dal trampolino, fiera come era sempre stata. Cadde guardando il cielo. «DESTROYA!», urlò all’improvviso a mezz’aria con tutta la sua voce. «DESTROYA! TI ASPETTIAMO! STIAMO TUTTI ASPETTANDO TE! DESTROYA! DESTROYA!»
Al quarto “Destroya” si unirono alla sua voce i familiari della condannata. Al quinto tutta la folla urlava. Al sesto, Betty sprofondò in acqua. “Destroya…”, continuava a pensare, con gli occhi ancora aperti rivolti verso l’azzurro nascosto dalle onde. Era felice, perché moriva consapevole che là fuori il mondo sarebbe cambiato, sarebbe migliorato.
All’improvviso, braccia forti la presero alla vita. “Che succede?”, pensò spaventata. Si voltò a guardare chi l’aveva afferrata e vide due uomini in tuta da sub. Sulla fronte, visibile sopra le maschere, vedeva il simbolo dell’Impero, un sole bianco con il raggio che indicava il basso più lungo degli altri. Spalancò le palpebre terrorizzata e si divincolò per sfuggire alla loro presa, invano. I due la portarono poco più in basso, dove un altro uomo li attendeva fuori da una capsula-sottomarino con le stesse tecnologie anti-pressione dell’ascensore e delle prigioni. Betty continuava ad agitarsi, finché uno dei due uomini non le diede un ceffone sulla nuca. E mentre sveniva, la donna ebbe un’intuizione: sarebbe vissuta abbastanza da dimenticare il proprio nome. Di certo, mai quello di Destroya.


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Gioooon borno a tutti!! ^^
Come state, cari lettori?
Spero tutto a posto!
Ookay, cercherò di essere breve, visto che sono tante le cose che vorrei scrivere…
Innanzitutto, grazie. :) ^^ Sì, dal prossimo capitolo questo sarà l’angolo in cui ringrazierò voi mitici lettori :)
Sarà anche l’angolo in cui – come già in Stoneguys – spiegherò come mai ho dato certi nomi a certe cose. ^^ Inizio subito, ma da un discorso più generale (sarò breve brevissima,, promesso!)
Come si sarà capito (o almeno, chi conosce – e quindi adora – i My Chemical Romance avrà capito), la “musa ispiratrice” che mi ha soffiato nelle orecchie (?) l’idea di qvesta ff è la mitica canzone numero dodici dell’ultimo album dei MCR, ovvero: Destroya. (coro di tutti coloro che non hanno mai sentito in vita loro i MCR: aaaahhhn!!! Sì? o.O). Il titolo del capitolo è un verso della canzone. Comunque, questa storia, che non centra un’emerita mazza con la canzone!!, mi è venuta in mente precisamente sentendo ciò: Against the sun – we’re the enemy. Ora vi spiego più specificatamente quello che la mia mente bacata ha ideato:
Destroya_ ovvero, il titolo della ff: ve l’ho profusamente spiegato sopra ^^
Destroya, we’re all waiting for ya_ ovvero, il titolo del capitolo: vedi sopra ^^ ah ah…
Impero di Sunonzenit, capitale Zenit_ ecco, qui veniamo al verso cruciale: Against the sun – we’re the enemy. La mia testolina ha ideato un mondo che prendesse come simbolo un inespressivo sole bianco e i nostri protagonisti fossero i nemici di qvesto impero malvagio del sole ^^ La capitale si chiama Zenit, che tutti sappiamo cos’è, cioè il momento il cui il sole batte perpendicolarmente alla terra (spiegata da cani, ma l’abbiamo capito, no?), e l’Impero, di conseguenza, si chiama Sun-On-Zenit :) La spiegazione centra anche con la “profezia”: con Alba e Tramonto si intende Est e Ovest, Oriente e Occidente. ^^ Ho pensato ad un conflitto tra i vari “momenti” del sole, ecco tutto ^^
Lunghezza del corridoi bianco: 98 metri; ispirato da monumentali acquedotti di un’antica civiltà_ il riferimento è alla civiltà romana, che ha costruito monumentali acquedotti… per la lunghezza, avevo fatto un mega calcolo che non ricordo (l’ho fatto a mente e non l’ho segnato da nessuna parte T.T), comunque, è lungo 7 arcate da -tot- metri, e in corrispondenza di ogni pilastro sul corridoi si apre una finestra.
Precedente all’Impero di Sunonzenit: Regno di Arret, capitale To-Oven_ Arret è Terra letto al contrario, To-Oven, oltre ad avere una forte somiglianza sonora a “Due Uova” *sbatte la testa contro il muro: non l’aveva fatto apposta T.T*, con le quali tralaltro non centra un tubo, è l’acrostico di Terra e Oceano – Ogni Vivente E Non. Cioè il Re era a capo di Terra e Oceano – Ogni Vivente E Non ^^
Le prigioni sottomarine_ lo ammetto, sono stata un po’ condizionata da One Piece ^^ però era un’idea che avevo da tanto, finalmente l’ho messa per iscritto u.u Mi pare di essere stata chiara…: sono divise in cinque livelli più celle di isolamento per gli individui più pericolosi, ogni cella con una tortura speciale. Stanno sotto il mare, precisamente sotto il Palazzo dell’Impero, ma sono due edifici indipendenti l’uno dall’altro, collegati solo dal corridoio e dall’ascensore.

Ora, finite le spiegazioni dei nomi di città villaggio piccola isola *sbatte la testa contro il muro*, vorrei spendere due paroline per dirvi qualcosa di breve brevissimo sulla storia.
Lo so, la trama è piuttosto pessima, totalmente banale. Ma, con questa storia, vorrei concentrarmi sui personaggi e sulla loro caratterizzazione, per dare loro una personalità originale, sullo stile, che so essere piuttosto carente (mi sto adoperando per aumentare le dimensioni del mio vocabolario u.u e, per favore, se leggete e notate che qualcosa non va, un errore che mi è sfuggito – e ce ne saranno un’infinità T_T – vi prego di segnalarmelo! Gaccie :)), e sulla ricerca di questa misteriosa città, Destroya, che non si sa se esista davvero o se sia solo un simbolo, se sia in un universo parallelo o semplicemente davanti a te ma non la vedi. ^^ Tutto qui ^^

Ookay, le cose che avevo da dire erano parecchie, ma ho cercato di essere il più celere possibile ^^ non credo di aver omesso niente di importante, dopotutto, non lo legge quasi nessuno il pensiero dell’autore… Beh, non vi do torto, vista la lunghezza!! Ah ah…

Ah, quasi dimenticavo! Piccola info per chiarimenti: si tratta di uno STEAMPUNK! Per questo ci sono grattacieli e metropoli anche se lo “spazio mentale”, cioè le varie ideologie, è diverso dal nostro.

Allora, vi saluto, ci vediamo nel prossimo capitolo. Vi ricordo di adorare sempre i Killjoys e in particolare: Party Poison per i suoi capelli, Kobra Kid per il suo casco, Jet Star per la sua giacca e Fun Ghoul perché quel maledetto nano è morto da eroe! ç_ç Ciao, gente!

Baci,
dory_

P.s.: visto che bel codice html ù.ù ? Ahah ^^
  
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