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Autore: thewhitelady    03/12/2010    1 recensioni
- Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti gli incubi - Liam Keeran.
- Questo è solo la Genesi, dobbiamoa ncroa passare per il Levitico,l'esodo e il Deuteronomio prima d'arrivare a qualcosa - Eneas Clayton
Storia di una caccia al tesoro che si trasforma tra inseguimenti e una rapina in un museo in pericoloso gioco mortale. Storia di come un uomo scopre di essere ciò ch ha sempre combatutto, e della redenzione di un altro. Storia di due amici. Il tutto girando il mondo tra Inghilterra, europa dell'Est e estremo Oriente.
La mia prima storia, recensite ma soprattutto buon divertimento! :D
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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INFO & CO: ho dovuto dividere questa parte di storia in 3 capitoli per via della lunghezza -.-'' comuqnue spero di postare al più presto. Keeran e Fang dovranno vedersela prima contro madre natura e poi contro "i man in black", senza dimenticarsi di portare a casa il nuovo indizio per arrivare al tesoro: insomma non avranno vita facile! xD
Grazie a chi segue la storia :D TO BE CONTINUED
The White Lady

La mattinata seguente si alzarono ad un’ora che secondo Fang era perversa, le quattro e un quarto. Effettivamente era ancora buio e solo ad oriente una lama di luce iniziava a farsi largo lentamente ed un po’ a tentoni nell’oscurità.
Ian ed Keeran che invece erano abituati a svegliarsi presto si misero in moto subito: cominciarono con il portare fuori il bimotore, fargli il pieno ed approntarlo per il viaggio. Così che quando tutti gli altri si furono preparati, poterono salire, avviare lo scoppiettante motore diesel e decollare.
Durante il viaggio che sarebbe durato meno di due ore, Keeran si fece descrivere meglio da Cindy il tipo di costa, e nelle sue parole non trovò nulla di rassicurante. – Le falesie sono alte anche una quarantina di metri, nere come la pece e frastagliate. In alcuni punti taglienti come rasoi, a Saint Martin, per posizionare le corde e gli attacchi per raggiungere la grotta, una squadra di scalatori esperti ci ha messo quasi una settimana – fece una pausa e guardò Keeran: quell’uomo doveva essere pazzo, lui diceva che entro un giorno sarebbero entrati ed usciti da quella grotta con in mano quello che serviva loro, non le aveva raccontato nulla di più, comunque riprese – E’ per via della salsedine che si accumulava tra le fratture delle rocce, con l’umidità e l’acqua diventa una pappetta viscosa e terribilmente viscida. Rallenta ed impedisce molte manovre, senza contare che le pareti della costa sono fatte di una roccia semicalcarea che si frantuma relativamente con una certa facilità. I chiodi fan fatica a penetrare e a restare poi ancorati – concluse in un sol fiato. Keeran non si pronunciò a riguardo di quel fatto o inconveniente, aspettava solo di vedere di persona quel pezzo di costa e la grotta, naturalmente ammesso che riuscissero ad individuarla. Poi avrebbero potuto disperarsi quanto volevano, infondo era inutile fasciarsi la testa prima di essersela rotta.
Onde evitare un ulteriore coinvolgimento di Cindy, appena furono in vista delle Isole Scilly, la portarono a Saint Martin’s un’isoletta adiacente alla più grande Saint  Mary’s. Lei saltò giù dal velivolo con un balzo – In bocca al lupo – gridò per farsi udire al di sopra del rombo del motore ancora accesso, tutti risposero all’unisono: - Crepi! -. Mentre Keeran, che era nel retro della fusoliera a cercare tra le mille casse di legno che vi erano alloggiate il binocolo di Ian, - E speriamo che almeno ’sta volta ci rimanga secca quella maledetta bestiaccia – mormorò in uno speranzoso scongiuro.
Meno di tre minuti dopo stavano sorvolando la magnifica isola di Saint Agnes, perfino vista dall’alto appariva come un micro-cosmo perfetto in ogni sua componente: una vegetazione rigogliosa e dall’aspetto tropicaleggiante che mai ci si sarebbe aspettati ai confini della Manica e del Mar Celtico. La temperatura mite e del tutto priva d’umidità, anche se pure lì soffiava un vento che in certi momenti superava i quaranta nodi orari.
Non ci volle molto ad individuare la zona che interessava loro, era un lembo di terra formata da ispide rocce che si protendevano dall’estremo sud dell’isola. Se di questo si poteva parlare, dato che era poco di più che uno scoglio con una spruzzatina di sabbia ed una bella aiuola al centro.
Nel quarto d’ora successivo non fecero altro che sorvolare a bassa quota la zona per una dozzina di volte, finché ad Keeran non parve di vedere un pezzo di scogliera del tutto identico a quello del disegno, se non fosse stato per la roccia a forma di castello che era scomparsa nel nulla lasciando solo quello che un tempo doveva essere stato il suo basamento.
Quindi visto che il bimotore era fornito oltre che del carrello d’atterraggio anche di pattini galleggianti retrattili che opportunamente azionati lo trasformavano in un idrovolante a tutti gli effetti, decisero di planare sul pelo dell’acqua  come un cigno, anche se con meno grazia. Non per niente all’esterno sulla carlinga bianca era stato arografato in blu e argento Swan’s Wings .
Quando l’aereo si fu fermato misero tutti la testa fuori dai finestrini, le falesie erano mostruosamente imponenti: come aveva predetto Cindy si sarebbero trovati davanti a delle mura ciclopiche. Pareti che ascendevano per più di quaranta metri sulla superficie del mare e nonostante loro si trovassero ad una buona distanza, il solo guardarle faceva venire le vertigini. Keeran squadrò l’intero pezzo di costa e solo dopo un paio di minuti riuscì ad individuare una breccia nella roccia che poteva essere l’imboccatura di una grotta, sembrava un minuscolo foro nell’insieme della falesia ma in realtà probabilmente doveva essere alta cinque, sei metri e larga meno d’una decina. Dopo anni di scalate avrebbe scommesso la sua barca-appartamento che dietro quell’antro buio si nascondeva una piccola grande caverna. Ora dovevano soltanto  riuscire a raggiungerla.
Tornò all’interno del velivolo e facendo un cenno a nord, disse – Si fa un salto a Saint Mary’s -.
Il comodo di essersi recati in un arcipelago così minuscolo era che gli spostamenti avvenivano in batter di ciglia, ci voleva più tempo per l’atterraggio che non per il volo stesso, perciò molto prima delle otto del mattino erano già seduti al bar della capitale per il terzo caffè. La giornata al contrario della precedente si prospettava tersa e senza una nuvola.
- Che si fa? – domandò impaziente Lyn rigirandosi la tazza tra le mani
– Non vorremo restare qui tutta la mattina –
- Tranquilla, mi sta venendo un’idea – rispose Keeran che scrutava l’orizzonte, avrebbero dovuto internarlo in un manicomio, pensò.
– E quale sarebbe la tua idea? –.
Lui si girò a guardarli – Ho visto un negozio che noleggia kitesurf e tu Ian invece hai nella coda dello Swan l’equipaggiamento per il paracadutismo. Provare a scalare la parete è impossibile, tanto più che adesso inizia a tirare un vento che ci sballotterebbe e basta; io pensavo di sfruttarlo a nostro favore -. Ian strabuzzò gli occhi ed esclamò: - Tu sei fuori! Vorresti infilarti con un kitesurf e un paracadute in quel buco?! E’ come cercare di far passare un pallone da calcio per la cruna d’un ago –
- Siate furbi: aspettate qualche giorno e provate a scalare la falesia – cercò di convincerli Lyn, consapevole però che non sarebbe servito a un bel niente, per gli occhi plumbei di Keeran vide passare una scintilla, e quella scintilla che gli illuminava lo sguardo la conosceva fin troppo bene.
- Da quando in qua siamo diventati così intelligenti da fare la cosa più plausibile? – chiese Keeran rivolto a Fang
- Secondo me non me non lo siamo mai stati – fece l’altro per poi affermare con vigore – Dobbiamo solo scegliere chi di noi prede il kite e chi invece usa il paracadute. Quindi per operare una scelta ben ponderata e dall’esito inoppugnabile, c’è un solo metodo: carta, sasso, forbice -.
- ‘Sta bene. Uno, due, tre! – esclamò Keeran che dopo aver aperto il pugno poté constatare di aver vinto. Carta avvolge sasso. – Mi dispiace, penso proprio che dovrò andare a noleggiare il mio kite, tu invece faresti meglio a preparare l’equipaggiamento – fece mentre pagava il conto e lasciando pure una cospicua mancia per il cameriere.
Lyn lo osservò allontanarsi con Fang al fianco. Poi si volse verso Ian
– Credi che cambieranno mai quei due? – domandò appoggiando la testa al palmo della mano; Ian rise, una risata profonda – La speranza è l’ultima a morire, ma pur sempre la prima ad agonizzare, ricordalo – detto questo si alzò a sua volta e camminò fino a raggiungere l’aereo.
 
 
- Dimmi come mai se soffri di vertigini, vuoi buttarti a tutti i costi da mille metri d’altezza con un paracadute? Non hai paura? – domandò perplessa Lyn mentre osservava Fang infilarsi la tuta e controllare più e più volte ogni singolo moschettone o fune. Lui si strinse nelle spalle – Sinceramente, ho così tanta fifa che se non fossi dotato d’un minimo senso del pudore, me la farei sotto -. lei non poté non sollevare un sopracciglio, per quanto si stesse abituando alle stranezze di quei due, non le sarebbe mai sembrata una cosa plausibile. Se soffri di claustrofobia mica vai a dormire in una bara!
- Lo so pure io che sembra strano. Ma solo quando sono dovuto entrare al GST mi hanno fatto fare più di trenta salti in un solo pomeriggio, aspettando che la smettessi di urlare ogni volta che lo facevo: credevano che prima o poi mi sarebbe passata, invece no, detti di stomaco così tante volte che alla fine della giornata persi cinque chili. Quello che ho imparato però è che patisco come un cane e mi viene un infarto, però non muoio – le spiegò indaffarato con una cinghia che non stringeva abbastanza. Lyn sospirò: - Sarà… Certo che comunque devono essere dei pazzi quelli lì, intendo il GST, è una cosa disumana quella che ti hanno fatto! Tu sei un meccanico mica devi sapere come salvare il Presidente! -. Fang rifletté un momento – In teoria sì, ma sono sicuro che se la caverebbe molto meglio Liam come Jack Ryan. Comunque guarda che ho capito dove vuoi arrivare, vuoi sapere cosa combiniamo io e Chris di mestiere, lui non te lo ha detto vero? – chiese conscio di aver toccato il tasto giusto, Lyn che era seduta su una cassa, accavallò le gambe – Forse – mormorò mentre la carnagione nivea si colorava un poco
- Be’ che dire. Io che sono vicedirettore del mio reparto, progetto e sviluppo quanto mi viene commissionato da Clayton, i cui ordini vengo da ancora più in alto. Invece Keeran è a capo della No Name Section, il nome è già un programma! Probabilmente una delle più importanti, se non si è direttori di qualcun’altra delle grandi arterie che compongono l’agenzia, non si può nemmeno sapere cosa succede da quelle parti. Io ad esempio vengo fatto partecipe soltanto di tutto ciò che è strettamente essenziale, nulla di più - 
- Liam mi ha detto che avete una sorta di pena da scontare, che cosa intendeva? – Lyn era sempre più incuriosita da quella faccenda e sapeva comunque che Fang non avrebbe oltrepassato il segno, per quanto fosse stato loquace fino a quel  momento stava centellinando le dosi d’informazioni a cui lei avrebbe potuto accedere
- L’agenzia funziona così, è un piano a livello nazionale: tutti coloro che hanno commesso reati minori o che comunque avrebbero da scontare una pena inferiore a cinque, sei anni, ma che hanno dimostrato qualche dote non da scartare, vengono messi alla prova. Chi passa viene solamente preso in considerazione dal GST, e se poi decidono che in qualche modo potresti essere utile allora e solo allora ti propongono l’affare: tu lavori per loro al minimo della spesa per il numero di anni che avresti dovuto scontare in carcere e loro in cambio non ti fanno finire in gattabuia nemmeno per un giorno ed in più ti ripuliscono la fedina penale – fece una piccola pausa – Niente male vero? Io grazie a loro mi sono perso un anno e mezzo di vacanze a spese dello Stato –
- E non c’è il rischio che prendano qualche non-pentito? Nel mucchio potrebbe scapparne qualcuno -  commentò Lyn
- Impossibile, fanno così tanti test e poi uno su diecimila, ventimila passa, se non di più. Alla fine ti fanno fare un colloquio pure con Clayton – disse convinto, stava dando un’occhiata fuori dal finestrino: per fortuna non tirava più il vento del giorno prima
- Cos’è che ti ha chiesto? – domandò ancora Lyn, avevano ancora un dieci minuti buoni prima che Ian trovasse la posizione perfetta per effettuare il lancio
- Mi ha chiesto molte cose, ma credo che quella che l’ha convinto ad assumermi è stata la mia risposta alla domanda: ‘ Qual è l’uomo che hai più ammirato da ragazzino? ’. Io gli dissi che era Hugh Hefner, il proprietario di PlayBoy. E lui mi rispose che ero il primo tra gli ingegneri ed i fisici che gli rispondeva una cosa del genere, al posto di Albert Einstein o chissà chi. Gli entrai subito in simpatia, ora però inizia a pentirsi – rise sommessamente – Ho solo una cosa da dire su di lui: è un becero bastardo razzista e sadico…però sa fare il suo lavoro, e credo che in fondo tenga un po’ anche a noi. Molto, molto in fondo – proseguì in tono un po’ più serio, poi scherzando aggiunse – Hai finito con l’interrogatorio? Perché guarda che tra un paio di minuti io mi butto –
- In verità no. Che fine hanno fatto i genitori di Liam, la sua famiglia. Ho conosciuto soltanto una volta la madre e mi ha parlato un paio di volte dei fratelli più piccoli –
- Il padre, Sean, è morto circa cinque anni fa di cancro ai polmoni. La madre ha ripreso a fare la fotografa e va’ in giro per il mondo per varie riviste di natura. Hai mai letto un articolo alla cui fine c’era il nome Anieka Alujevic? Be’ è lei, è davvero brava -.
Lyn rimase abbastanza stupita, aveva letto quel nome quante volte bastavano per ricordarselo, ma non le era mai venuto in mente che potesse essere lei. Non aveva la minima idea di quale fosse il suo nome da nubile.
Fang continuò frettolosamente mentre intanto controllava la lancetta del barometro
– E ora se mi vuoi scusare, devo proprio lasciarti: devo sorpassare quella nuvola strana a sinistra per poi prendere la terza falesia a destra. Sperando di non spiaccicarmi, naturalmente – gridò un secondo prima di saltare nel vuoto, un’infinita distesa blu sotto di lui e nient’altro.
Lyn lo osservò finché poté seguirlo, poi vide che si gonfiava un paracadute nero, con una scritta bianca a caratteri cubitali: ‘Don’t believe what people say. I am innocent’. Calzava a pennello.
 
L’acqua era fantastica, gelida, ma davvero fantastica. Era più d’un quarto d’ora che solcava leggero la zona di costa vicino alla grotta, si trovava a circa mezzo chilometro dalle falesie e tra gli spruzzi, le onde ed i salti quasi si era dimenticato di quale fosse il suo vero scopo. Aveva pure scordato di quanto fosse bello fare kitesurf, era più di un anno che non tirava fuori il suo dalla rimessa vicino alla barca e che si lasciava trasportare dal vento del Lago Michigan, aveva scordato quanto fosse meraviglioso starsene nella solitudine più assoluta, con il sole che batte forte ed i pensieri nella testa ancor di più. Ma erano pensieri spensierati, che non davano né fastidio né noie.
Fu riportato alla realtà dalla voce di Ian che risuonava forte e chiara nell’orecchio, per mezzo dell’auricolare – Dan è pronto. Se vuoi puoi partire -. Non se lo fece ripetere due volte, si mise sotto vento, se prima aveva cercato di contrastare il Libeccio che lo portava verso la costa, ora lo assecondava lasciandosi condurre placidamente verso le aguzze falesie, solamente strattonato di tanto in tanto dalle libecciate, fortissime raffiche che  interrompevano quella mite corrente marina. Ben presto poté scorgere la fenditura che doveva essere l’entrata della grotta, era a circa dieci metri sul livello del mare.
Neanche troppo in alto…
Lui avrebbe dovuto infilarsi in quel gigantesco pertugio, che però gli sembrava sempre un po’ troppo piccolo, con una precisione millimetrica visto che con un paio di conti mentali aveva calcolato che sarebbe arrivato ad una velocità di trentacinque nodi, pari quasi a settanta chilometri l’ora. E scontrarsi con le rocce non sarebbe stata certo una bella esperienza, perciò aveva scelto di affittare un kytesurf con i cavi più corti possibili, il negoziante gli aveva detto che se voleva divertirsi un po’ quello era il modo peggiore per farlo: diciotto metri di cavi erano troppo pochi per acquistare una buona velocità. Ma a Keeran importava solo la precisione, quanta più era possibile, proprio per quello si era legato alla vita una cintura di pesi per far resistenza al vento.
Ora gli mancava soltanto una cosa, la stava aspettando ed era certo che non avrebbe dovuto pazientare ancora molto. Si mise nella posizione migliore per cavalcare le onde come con un normale surf e fece un paio di prove, ma ogni volta, anche per colpa dei quindici chili che portava alla cintola, non riusciva a spiccare salti più alti di quattro, cinque metri.
Poi la vide nascere in lontananza, piccola, solo una collinetta in quella distesa senza confini che è l’oceano, ma subito cominciò a gonfiarsi più si avvicinava e più ingrossava, aumentando in massa ed altezza. Keeran fece un gran respiro, trattenne l’aria come se pure il peso di quella l’avesse potuto aiutare ad acquisire un poco di peso. Si mise davanti all’onda non ancora del tutto fermata, entrò nella sua corsa facendosi trasportare da quel muro d’acqua alto quasi tre metri e mezzo che aveva dietro alla schiena, e dal vento. Si mise a canticchiare un motivetto senza senso per far passare il tempo d’attesa prima d’entrare in azione, quattro secondi circa, ma che per chiunque abbia mai aspettato con impazienza un certo momento, sa che anche quegli istanti rappresentano un’infinità di ore.
Il momento però era giunto, carpe diem sarebbe stata l’espressione esatta, un battere di ciglia in più e si sarebbe ritrovato in collisione con le rocce. Fece resistenza con il proprio peso aiutandosi con le braccia per tirare a sé la barra oltre che con il trapezio, una sorta d’imbracatura, e come per magia il vento lo sollevò senza sforzo dalla cima del cavallone che ormai, come poté constatare abbassando lo sguardo, si era infranto sulla costa scomparendo nella risacca.
Era a sette, otto metri d’altezza sollevando la testa poteva vedere sopra di sé l’apertura nella roccia, ma era troppo pesante, quel paio di metri che gli mancavano non sarebbe mai riuscito a farli. Non ci rimuginò su, prese in mano la fibbia della cintura e la scollegò. Incastrata, non si apriva. Con la coda dell’occhio vedeva la falesia orribilmente vicina, cinquanta centimetri, stava perdendo in velocità e sarebbe ben presto precipitato nel rigurgito d’acque e spuma che gli vorticavano sotto, e che solo poteva immaginare con l’occhio della mente
Non bene, proprio non va bene…
 
Poi gli venne in mente, estrasse dal fodero che aveva alla caviglia il coltello, fulmineo tagliò il tessuto. Subito venne strattonato in avanti, l’effetto era abbastanza simile a quello delle montagne russe durante il giro della morte, terribile nodo allo stomaco come se una mano invisibile avesse deciso i prelevarglielo contro la sua sacrosanta volontà.
Ma non durò molto e una bella spinta era giusto quello che gli serviva, un istante dopo stava toccando ancora terra, anzi roccia, di un tetro color pece. Slacciò subito il trapezio, appena in tempo prima che la vela che era rimasta incastrata nella falesia, lo strattonasse indietro.
Funereo, quella era la parola adatta per descrivere la grotta, funereo e desolato, la definizione perfetta. Pareva di starsene sulla cima di un vulcano, tutto intorno sembrava tufo, persino lo strano odore che aleggiava nell’antro ricordava quello acre delle emissioni sulfuree
Stalattiti pendevano dalla volta della grotta, aveva forma ogivale come nelle cattedrali gotiche, quasi da poter sembrare opera umana tanto era levigata e liscia. Da specchiarsi dentro.
Era decisamente molto alta, ma non troppo larga. Stava per addentrarsi, quando sentì gridare, era Fang nell’auricolare, tanto urlava forte che se lo dovette togliere per scansare una futura sordità.
Si voltò verso l’imboccatura della grotta, vide un puntino con sopra un paracadute, ben presto non ebbe bisogno della radio per sentire le grida in lontananza accompagnate da sboccate imprecazioni. Keeran poteva vederlo in faccia senza difficoltà, decise che la cosa più saggia da fare per aiutare l’amico era appiattirsi contro una parete e sperare che potesse farcela.
Ed era esattamente la stessa cosa che passò per la testa di Fang quando vide la scogliera nera come la pece ed irta di asperità venirgli incontro, sempre più vicina ad una velocità spropositata. D’istinto chiuse gli occhi e quindi non poté mai sapere cosa succedette in seguito, sapeva benissimo cosa doveva fare però non voleva vedere, così quando sentì un forte strattone, il paracadute si era impigliato nelle rocce frastagliate come poco prima aveva fatto pure la vela del kitesurf, osò solo aprire un occhio dare uno sguardo fugace: era sospeso nel vuoto a pochi centimetri dall’imboccatura dalla grotta, allungò una gamba fino a toccare il suolo. – Hai forse bisogno d’aiuto? – osservò Keeran avvicinandosi
- Muovi il culo, mezzo croato –
- Ehi, dillo a mia madre e poi vediamo come torni a casa – disse protendendo una mano all’amico, l’altro la prese e dopo aver ringraziato si slacciò l’imbracatura che rimase a penzoloni sospinta dalla brezza.
- Con lei non ne avrei il coraggio… Mhm, bel posto qui. Magari un paio di tende a fiorellini lo farebbero meno lugubre, però non male. Molto dark – commentò sarcastico guardando le pareti di catrame. In quello spazio così spaventosamente buio ogni possibile chimera poteva prendere forma e comparire da dietro una roccia e per quanto fossero uomini fatti un pizzicore sulla nuca prendeva entrambi. Nessuno dei due l’avrebbe mai ammesso ma quel timore quasi reverenziale che avvertivano rimaneva. Quel luogo in cui aleggiava un silenzio quasi sacrale, si nutriva delle paure primordiali che assalivano l’uomo fin dall’albore dei tempi e che per quanto fosse una cosa consistente quanto l’esistenza dello yeti, questa era la sua forza.
L’ignoto alle volte può essere un’arma ben più affilata di qualsiasi coltello, e Austin lo sapeva fin troppo bene. Doveva ammettere che i cinesi si erano scelti proprio bene il posto dove occultare i loro indizi. C’erano le più vicine e facilmente raggiungibili coste eburnee di Dover, ma non sarebbe stato lo stesso l’effetto ottenuto su di una persona dell’epoca che avrebbe dovuto affrontare quei cunicoli con in mano nient’altro che la tenue luce d’una fiaccola e le ben più forti superstizioni del proprio millennio.
- Su andiamo a vedere che ci aspetta – dichiarò fermamente Keeran torcia elettrica in mano. Procedettero per quanto più era possibile, cioè sei metri circa. Si trovarono di fronte ad un ammasso informe di pietre che occludevano completamente il assaggio, quella era opera umana
- Vogliono proprio farcela sudare – disse Fang prima di iniziare a spostare le prime rocce, meno restavano lì dentro e meglio era, ma Keeran lo bloccò. – Che c’è?! – domandò Fang, l’altro levò la torcia il raggio illuminò qualcosa che scintillò per una frazione di secondo, poi soggiunse – Abbiamo una corda? –
- Sì, è nello zaino. L’ho dimenticato all’entrata… Ma cos’era? – chiese un po’ spaesato. – Adesso vedrai –
Keeran tornò sui suoi passi e in un attimo fu di ritorno, in mano una fune che legò con estrema cura al masso che poco prima Fang stava per spostare. Non avrebbe adoperato tanta delicatezza nemmeno se avesse dovuto maneggiare un neonato, i movimenti erano lenti e la forza moderata. Cosa abbastanza difficile con i badili che si trovava al posto delle mani.
Quando ebbe finito, indietreggiò e si appiattì contro la parete dietro un masso. Fang fece lo stesso, in quindici anni Liam non l’aveva mai tradito una sola volta ed era pronto a scommettere che non avrebbe iniziato proprio quel giorno. Quello tirò con forza la corda che si era portato appresso. Una volta e non successe niente, due nada.
- Mi sa che hai steccato amico – osservò Fang, Keeran non ci fece caso strattonò con forza la fune e nello stesso istante in cui il masso si spostò rotolando un nugolo di frecce sibilanti passarono sopra le loro teste oppure cozzarono contro le rocce che spuntavano da suolo e pareti.
Keeran prese in mano una delle frecce che aveva terminato la propria corsa spezzandosi sul masso dietro cui lui si era nascosto. Fatta con cura, la punta in ossidiana probabilmente per renderla ancor meno visibile tra l’accatastamento informe dei macigni. Tutt’intorno erano sparpagliate un’altra ventina di frecce, senza contare quelle che erano state scagliate fuori dalla grotta.
- Giuro che non ho mai dubitato – disse Fang raccogliendone una a sua volta, osservò la punta affilata come un rasoio, gli bastò premerla un attimo sul polpastrello per fargli salire gelidi brividi lungo tutta la schiena. Quando erano partite le frecce stava fissando il punto dove si trovava prima, se vi fosse rimasto in quel momento avrebbe avuto l’aspetto d’un puntaspilli umano
– Vediamo cosa c’è dietro? – riprese guardando dal basso in alto la vera e propria montagna di lavoro che li spettava.
– Direi di sì -.
Iniziarono a spostare i massi, tutti con la grandezza minima d’un pallone da calcio, sicché per aprirsi un pertugio che sarebbe bastato al massimo per far passare un uomo con una certa difficoltà, ci misero all’incirca un’ora e mezza. Nelle ultime ore la temperatura era salita di molto e l’umidità all’interno della grotta era quasi insopportabile. Sembrava di stare in un forno a legna, ma nonostante la fatica quando finalmente entrambi riuscirono ad infilarsi nello spazio adiacente alla grotta, non poterono non fissarsi sbigottiti: le rocce, come avevano potuto notare anche prima, erano collegate da catenelle, questo aveva reso ancor più complicato l’accatastarle in un’altra posizione. Tutte condotte ad un solo marchingegno che faceva scattare un intero plotone di balestre, solo spostando i massi ne avevano contate più di cinquanta.
- Quanto credi che ci abbiano messo? Settimane? – chiese Fang, aveva raccolto una balestra, dopo tutto quel tempo era ancora in perfette condizioni. – Forse anche un mese o più. Hai notato la temperatura come cambia, qua fa fin freddo, l’ambiente è secco e ben arieggiato – osservò l’altro passando le dita su di una parete: si sentivano gli spifferi gelati che con ogni probabilità avevano contribuito ad un mantenimento ottimale delle armi.
Continuarono a camminare per svariato tempo, guidati solo dal raggio della torcia che si stagliava a ventaglio sulle rocce e le asperità del suolo. La volta pur seguendo sempre una forma ogivale continuava a cambiare altezza, prima poteva ospitare un elefante e pochi metri dopo a malapena si riusciva a passare accovacciati proseguendo con il passo del giaguaro. Ad un certo punto avevano deciso di spegnere ed accendere ad un determinato numero d’intervalli la torcia, visto che l’avevano trovata nella coda dello Swan e chissà da quanti anni era stata dimenticata lì e non erano del tutto sicuri che non si scaricasse prima del ritorno. Anche per questo le craniate contro le stalattiti aumentarono di numero ed era soprattutto Fang prenderle, malgrado fosse Keeran ad andare in avanscoperta.
Camminarono per più di due ore, la maggior parte del tempo chiacchierando e battibeccando su che cosa dovessero fare o no. Ma dopo un po’ si stufarono, la grotta era piatta e monotona come poche altre, senza fine si contorceva nelle viscere del sottosuolo. Ormai si erano allontanati parecchio e contando che l’isola era lunga circa due chilometri, probabilmente avevano continuato a scendere e a fare improbabili inversioni di marcia, se no a quell’ora si sarebbero potuti trovare in un pub irlandese, tanto avevano camminato. Si trovavano in un dedalo intricatissimo che però per loro fortuna però era formato da una sola galleria. Ed era anche abbastanza strano se non improbabile che nessuno si fosse mai avventurato o almeno per caso si fosse accorto dell’esistenza delle grotte.
Keeran stava riflettendo proprio su questi fatti quando sentì qualcosa, il suo piede aveva urtato contro… contro che cosa? Aveva emesso un acuto scricchiolio.
- Dan sei stato tu? Era il tuo piede? – domandò Keeran, solo lui poteva fare uno scherzo tanto idiota
- No di certo – la risposta arrivò da un punto lontano una decina di metri – Mi dispiace ma non sono ancora onnipresente, ho fatto domanda ma… - asserì avvicinandosi
- Be’, allora vediamo un po’ che cos’è – riprese l’altro che stava per accendere la torcia elettrica e far letteralmente luce sul mistero. Ma Fang gli mise una mano sulla spalla – Hai in mente i thriller come Ore dieci: calma piatta, Profondo rosso, Trappola infondo al mare, ed eccetera eccetera? –
- Sì, ebbene?… - fece Keeran sempre più perplesso
- Ecco, questo è giusto il momento in cui il solito idiota scompare all’improvviso oppure si fa ammazzare. Ora, tu sei l’idiota – spiegò l’altro con un filo di voce
- E tu chi saresti, di grazia –
- Semplice, io sono quello che si salva insieme alla Nicole Kidman o Jessica Alba di turno. Detto questo io mi allontano –
- Detto questo, io guardo cos’è – asserì Keeran prima di premere il bottone e così accendere la torcia.
Non si sarebbe mai aspettato di vedere una cosa del genere in una grotta nel pieno del Mar Celtico. – Puoi venire, cuor di leone – lo assicurò, prima di accovacciarsi per poter meglio esaminare il resto che si trovava di fronte. Un cadavere perfettamente conservato, una mummia la cui pelle incartapecorita era tirata sugli zigomi, le orbite vuote ed il mento su cui ancora si poteva vedere la barba lunga e nerissima. Come d’altronde i ciuffi di capelli sulla calotta cranica, lunghi e anch’essi portati in un elegante codino ripiegato su se stesso. Le vesti per quanto lacere e smangiate dal tempo, si potevano quasi considerare appena filate. Avevano fini ricami colorati, greche sugli orli dorati e quello che doveva essere un sole al centro, sul petto, che con i suoi raggi inesistenti riscaldava un’intera vallata, un po’ sbiadita. Ma d’altronde dopo la bellezza di dodici secoli.
Keeran lo sapeva con certezza, l’uomo era d’etnia mongola, piccolo, gli occhi a mandorla ed il naso schiacciato.
- Di cosa è morto? – domandò Fang appena si fu avvicinato, di certo non di vecchiaia, avrà avuto alla sua epoca circa la loro stessa età. Trent’anni o forse qualcosa di più. Keeran toccò un punto, lo stomaco, al centro del sole era stato trafitto da una freccia che conseguentemente era stata spezzata, magari dallo stesso morto che aveva tentato disperatamente di fermare l’emorragia.
- Incidente con il posizionamento delle balestre? – ipotizzò sempre Fang, abbastanza impressionato dal cadavere. Cosa che invece non sembrava toccare invece minimamente Keeran, che in quel momento stava esaminando la faretra del morto
- No, era un traditore o qualcosa del genere – affermò fermamente quello riponendo l’oggetto. Fang accennò a chiedere una spiegazione, ma l’altro lo precedette: - E’ troppo lontano, non sarebbe riuscito a trascinarsi fino a qui. Non è stato sepolto perché indegno. E comunque la ferita non vedrei come avrebbe potuto farsela -.
- Allora direi di continuare, vorrei tornare per cena – riprese Fang, sempre meno convinto della spedizione, quel luogo gli faceva un po’ soffrire la claustrofobia. – Procediamo – confermò Keeran dopo essersi alzato, non prima però di aver dato un ultimo sguardo alla mummia, poi soggiunse – Vedrai che saremo fuori di qui per il tè all’inglese -.
E forse non sarebbe stata nemmeno troppo una bugia. Poteva anche avverarsi, con un po’ di fortuna. Strisciarono al di sotto di una frana che aveva parzialmente interrotto la strada, e quando dopo un paio di minuti Austin accese di nuovo la torcia, si accorse di trovarsi sull’orlo di un piccolo precipizio: il suolo scendeva a strapiombo per tre metri, seguito dalla volta. Un semplice dislivello che superarono senza farsi troppi problemi, ma dopo essere discesi si ritrovarono in un nuovo ambiente delle gallerie.
Una grotta quasi squadrata e claustrofobica, la volta bassissima e le pareti erano tutte asperità e scabrosità a parte l’ultima infondo che era liscia e levigata, di fattura quasi certamente umana. Da questa nasceva un aggetto simile ad un altarino su cui era posato una cosa abbastanza voluminosa. Si avvicinarono, Fang che per scherzare batteva sulle pareti in attesa di trovare un doppio fondo o che una lama spuntasse dal pavimento stile Indiana Jones. Anche se il suo sogno era quello che da un momento all’altro la stanza cominciasse a riempirsi di scorpioni, ma si accontentava pure della più banale cascata di sabbia.
Keeran che ormai era ai piedi dell’aggetto prese quello che vi era posato sopra: un tappeto. – Bene, ci hanno lasciato uno zerbino – disse un po’ deluso prendendolo in mano poi lo passò a Fang per vedere veramente se c’era qualcosa d’altro da scoprire. Quello guardandolo con aria un po’ schifata commentò: - E’troppo kitsch! E lo dice uno che adora i tappeti pelosi, i materassi ad acqua e le lampade con il magma che fluttua –
Keeran si poggiò alla parete, spalle al muro. – Ci vedi qualcosa? – domandò un po’ fiacco
- Oltre al fatto che è muffo e decisamente infeltrito? No, niente – insisté Fang arrotolando di nuovo e riponendolo con cura nello zaino. – Si torna a casa! – sentenziò e poi soggiunse un po’ preoccupato – Hai pensato come uscire di qui, vero? –
- Certo che sì!... Un momento che cosa è stato? – sul volto di Keeran si dipinse un espressione alquanto allarmata, aveva udito un rumore sordo provenire dalle pareti, dalle venature della roccia. Lo sentì distintamente una seconda volta poi una terza, gli rimbombava nelle orecchie, era così chiaro che sembrava quasi essere il suo cuore a provocare quel frastuono. – Io non ho sentito niente – replicò Fang interdetto, ma l’altro sembrava proprio convinto ed era fin un po’ sbiancato,
- Dinamite, dannazione hanno fatto brillare una carica di dinamite! – sbraitò con forza, il viso che aveva preso colore violentemente dal collo si ramificò una sfumatura quasi violacea. Era sicuro di quel che aveva sentito e persino del perché Fang invece non l’avesse udito: lui era poggiato alla parete di fondo e probabilmente una delle venature aveva trasportato le vibrazioni ed il suono provocato dall’esplosione. Ma subito ne ebbe la conferma, un fragore potente e sordo rimbalzò tra le pareti facendone l’eco, subitaneamente dalla crepa da cui erano passati si levò una coltre nebulosa che oscurò loro per un po’ la vista.
Quando la polvere si fu diradata e posata sulle superfici poterono finalmente vedere al raggio della torcia, seppur interrotto dal pulviscolo più leggero che volteggiava nell’aria  quello che era successo in quei due minuti. Provarono a tornare nel punto in cui c’era l’apertura ma ancora prima di arrivarci si accorsero che tutto sarebbe stato vano, il dislivello da cui erano discesi era ormai inesistente o almeno era sepolto sotto decine, se non centinaia di quintali di detriti formati dalla volta che aveva ceduto durante l’esplosione facendo accatastare blocchi di dimensioni titaniche. Erano in trappola.
   
 
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