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Autore: thewhitelady    03/12/2010    1 recensioni
- Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti gli incubi - Liam Keeran.
- Questo è solo la Genesi, dobbiamoa ncroa passare per il Levitico,l'esodo e il Deuteronomio prima d'arrivare a qualcosa - Eneas Clayton
Storia di una caccia al tesoro che si trasforma tra inseguimenti e una rapina in un museo in pericoloso gioco mortale. Storia di come un uomo scopre di essere ciò ch ha sempre combatutto, e della redenzione di un altro. Storia di due amici. Il tutto girando il mondo tra Inghilterra, europa dell'Est e estremo Oriente.
La mia prima storia, recensite ma soprattutto buon divertimento! :D
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un’ora dopo a circa centosettanta chilometri di distanza, nel Devonshire, più precisamente nella città costiera di Plymouth, una Ford blu era parcheggiata in uno spiazzo. Al suo interno cinque uomini stavano accingendosi a cominciare una focosa conversazione.

- Ci dici perché siamo qui? – domandò Lucas, sempre con quell’aria ottusa e gli occhi acquosi da bassetthound, non ricevette risposta. – Allora sei forse diventato sordo? – proseguì più baldanzoso ed arrogante, Mitch che gli stava vicino gli diede una gomitata.

Bill nel frattempo seduto al posto di guida si stava trattenendo dal rispondere a tono a quel piccolo idiota e certamente se lo avesse fatto sarebbe stato ben più che con semplici parole. Si chiedeva perché quegli uomini senza core in petto e senza virtù nell’anima o nel cervello pensassero anche d’esser dei furbi.

Avevano non solo trasgredito agli ordini durante la sua assenza, bensì facendolo avevano pure commesso un errore madornale. In quattro non erano arrivati a quello per cui normalmente bastava uno.  

- Avete fatto scoppiare una carica sulle Isole Scilly mentre ero in Scozia? – domandò ferreo, senza neppure voltarsi a guardare quegli animali. – Cosa te lo fa pensare Bill? – sghignazzò imperterrito Lucas, gli altri gli fecero coro. Al che lo scozzese capì che quegli uomini rischiavano di sfuggirgli di mano, se prima gli bastava un cenno per farli scattare ai suoi ordini, ora sembrava che dopo aver fallito in metropolitana loro credessero d’esser sul suo stesso piano. Doveva far capire che si sbagliavano di grosso.

Scese dall’auto e con passo fulmineo arrivò dall’altra ad aprire la portiera posteriore, si mosse con tale agilità che quasi sembrò fluttuare sull’asfalto anziché camminare. Scaraventò fuori dall’abitacolo Lucas facendolo rotolare a terra. Dove gli tirò un primo calcio.

Dalla posizione in cui erano messi, gli altri non potevano vedere cosa stesse succedendo fuori dall’auto perché la loro visuale era bloccata dal cofano di questa. Comunque certo non tenevano a vedere o ad intervenire per soccorrere Lucas, sapevano solo dal fatto che Bill fosse in piedi e l’altro no che quello se la stesse passando davvero male.

Lucas aveva preso l’iniziativa di far saltare le cariche e per poco era stato lui a comandarli; però ora Bill era tornato e nessuno di loro aveva la minima voglia d’andar a cercar rogne per quel che era stato un capo fantoccio. Riuscirono invece a cogliere parte del discorso praticamente solitario che il loro capo stava facendo a Lucas, - So che sei stato tu. Solo un miserabile idiota come te poteva pensare di far crollare una grotta. Hai idea che probabilmente non riusciremo a recuperare l’indizio che quei due avranno rinvenuto? Hai idea di cosa voglia dire questo?-. Non ci fu risposta al di fuori d’alcuni soffocati lamenti.

- Sai che se non portiamo gli indizi il committente non ci pagherà? Lavoro di mesi e mesi andrà a farsi fottere solo perché tu sei un coglione bramoso di potere che non sai neppure gestire! – esclamò appoggiandosi con una mano al cofano. Mitch intravide soltanto una parte del volto di Bill: non sembrava lui, uno sconosciuto, l’aveva già visto così crudele in altre occasioni però era sempre stato imperturbabile. Ora invece era un disperato, il sudore dalle tempie gli colava fin sul collo teso e soprattutto per un secondo gli parve quasi di veder ch’aveva gli occhi umidi. Persino le labbra tremavano come scosse da conati.

- Vuoi fare il capo? – latrò Bill con la voce che era tuono. – Rispondi figlio d’un cane! – proseguì accanendosi sul corpo ormai esanime. A quel punto neppure quei vili dei suoi subordinati riuscirono a trattenere il ribrezzo, il primo a scendere dalla vettura ed a vincere la codardia fu il titanico Juan che esclamò.

- Ne ha prese abbastanza! Se continui così non riuscirà neppure più a camminare, a cosa ti servirebbe? -.

Bill preso dalla foga si accorse solo in quell’istante dello spagnolo, quell’intervento dall’esterno sembrò placare la sua ira. Infondo Lucas era come un cane che sa camminare su due zampe, ci si stupisce soltanto perché lo sa fare, non certo per la sua bravura. Perciò si fermò e con l’aiuto di Juan lo rimisero in macchina.

- Ora che si fa? – domandò Mitch quasi intimidito, non riusciva a distogliere lo sguardo dal compagno svenuto, aveva suggerito lui quell’idea a Lucas e probabilmente sarebbe dovuto essere lui in quella situazione.

Meglio a lui che a me…

- Andiamo alle Scilly e cerchiamo di rimediare all’errore di Lucas – disse accendendo il motore della Ford, poi aggiunse anticipando la domanda che sapeva gli avrebbero fatto – Se ho inquadrato bene quei due dell’aeroporto, potrebbero anche esser riusciti a scampare alla frana. Se li intercettiamo abbiamo buone possibilità di portare a termine la missione -. Davanti a loro la strada era libera, con un gran sollevamento di polvere Bill accelerò fino ad inserirsi nell’autostrada che portava verso sud-ovest.

 

 

L’acqua continuava a salire, lo sciacquio rimbombava sommessamente nella grotta buia come l’incedere d’un passo silenzioso, di cui quasi non ti accorgi, ma lo sai, è sempre più vicino; ed il gorgogliare dell’acqua è una cantilena monotona a cui l’udito si abitua. Keeran, i cui occhi ormai si erano assuefatti alla mancanza di luce, intravide la propria sagoma riflessa in quello che era un piccolo lago, l’acqua ghiacciata ormai gli lambiva il ginocchio. Calciò l’acqua facendo scomparire l’immagine di sé che turbinò via, i suoi sensi si erano abituati allo stare in quel luogo, ma lui non era avvezzo all’idea di fare la fine del topo.

Alzò lo sguardo sulla volta e mettendosi in punta di piedi batté con la mano sulla roccia. Quella che un’ora prima era stata un’idiozia messa in pratica da Fang, adesso gli aveva fatto venire in mente che più volte quando era passato per le gallerie a tentoni, si era accorto che alcune zone delle pareti suonavano a vuoto. Probabilmente dietro quella roccia così friabile si erano formati degli spazi vuoti.

E un po’ di spazio in più non avrebbe certo fatto male loro, poi se per miracolo avessero trovato un’altra galleria, allora tanto meglio. Fino a quel momento però non avevano trovato niente.

- Sai che sembriamo due mongoli, vero? – disse Fang, fermandosi un attimo e passandosi una mano ad asciugarsi la fronte

- Lo so, ma se ci serve per prendere una mezz’ora… -

- Aspettando cosa? Che qualcuno ci salvi?... Aspetta, aspetta, vieni un po’ qui! Credo d’averlo trovato! – esclamò continuando a battere sullo stesso punto. Keeran gli si precipitò vicino – Ora lo scopriamo – mormorò estraendo dal fodero che aveva alla caviglia il coltello. Lo conficcò nella roccia con quanta più forza aveva ancora nelle braccia stremate, subito seppe che qualcosa di bello lo avrebbe aspettato al di là di quei fatidici dieci centimetri. – Qui la mano, amico! E’ vuoto! – esultò e poi con un po’ di fatica ritirò indietro la lama che disincastrandosi mandò in frantumi un pezzo della volta, abbastanza grande da poter vedere, con l’ausilio della torcia, che la grotta soprastante era completamente vuota.

Per dieci buoni minuti continuarono a scavare a forza di coltello fino a che si creò un’apertura abbastanza larga. – Salgo prima io – dichiarò prontamente Fang, Keeran sovrappose le mani e dopo avergli fatto segno disse: - Vai -.

- E no, se non è abbastanza alta picchio la testa e di questo sono davvero stufo, mi sa già che ho una commozione celebrale –

- Mi sa tanto di schiavismo ‘sta cosa – ribatté Keeran, ma senza dir nient’altro si piegò e lasciò che l’amico gli salisse sulle spalle. Si alzò con un po’ di sforzo. – E’ forse scricchiolio quello che ho sentito? – domandò malignamente Fang, Keeran lo guardò in cagnesco – Sbrigati! Quanto accidenti pesi?! -.

Fang non ci fece caso, scrutò tutt’intorno, infondo non sembrava così piccolo: la volta sarà stata sul metro d’altezza. Stava per salire quando però udì un rumore familiare che dapprima era poco più d’un bisbiglio, ma che poi ascese in un vero e proprio frastuono. Qualcosa gli vibrava in tasca, era il suo cellulare…

- ‘Sta fermo Liam, per la miseria!... Si sono Dan. No non siamo feriti, è tutto ok, più o meno… - bofonchiò Fang, Keeran riuscì a sentire solo vagamente una voce femminile che diceva: definisci più o meno

- L’esplosione l’avete sentita no? Ecco, ha creato una falla in una falda acquifera o qualcosa del genere… la volta è crollata e siamo intrappolati con l’acqua letteralmente alla gola… Vuoi Liam? Va bene te lo passo – disse molto tranquillamente mettendo il telefono nell’altra mano e porgendolo all’amico, che ancora lo teneva sulle spalle – E’ Lyn, è per te – aggiunse infine. Keeran prese in tutta fretta il cellulare, sarebbe stato un attimo ed avrebbero magari perso la linea, - Dove siamo? Di preciso non lo so, ma ad occhio e croce ci dovremmo trovare al centro dell’isola, trenta o quaranta metri sotto il suolo. Credo che sia un torrente sotterraneo quello che abbiamo sopra le nostre teste. L’acqua ormai ci arriva quasi alla vita, sale circa di un paio di spanne ogni mezz’ora – le spiegò concitato

- Senti, noi siamo a Saint Martin’s insieme a Cindy e alla sua squadra. Qui c’è uno che dice che proprio nell’isola di Saint Agnes scorre un fiume sotterraneo che è collegato all’impianto fognario locale… Forse possiamo raggiungervi in tempo, ma ci dobbiamo muovere in fretta – asserì con vigore cercando di mantenere intatta la calma e di non far trasparire dalla propria voce l’angoscia che le attanagliava lo stomaco

- Ok, va bene. Fate presto, noi di certo non ci muoviamo… E Lyn… -. Vi fu una strana pausa di silenzio in cui Fang sillabò le parole che le labbra di Keeran avrebbero dovuto formulare, cosa che però non fecero: - Non ti preoccupare, sono sicuro che arriverete in tempo -. Fine delle trasmissioni, chiuse il telefono e lo riconsegnò ad un Fang quanto meno costernato – Perché non glielo hai detto? –. Keeran si sforzò di sembrare naturale e persino innocente: - Cosa -.

- Ma non so… di portarci dei panini e un paio di lattine di birra? O forse qualcos’altro. Dimmi tu! – lo sfidò Fang.

- Guarda che sono io a tenerti su, non ti conviene darmi un pretesto per farti cadere – disse brusco dando una spinta all’amico perché riuscisse ad arrampicarsi nella grotta.

Fang si sedette, un po’ stremato, in quella specie di buco ma non mollò l’osso e proseguì. Infondo bisogna battere il ferro quando è ancora caldo.. Se Lyn fosse stata una come le altre, Keeran gli avrebbe già spiattellato tutto, però non era così e quindi Fang avrebbe dovuto affinare la tecnica. Che nel suo caso non era neppure così sottile, anzi.

- Perché non glielo dici? Non è mica difficile. E se sostieni di non amarla è solo una menzogna che rischia d’ucciderti – disse mentre aiutava Keeran ad issarsi nella grotta

- Perché  le nostre vite sono incompatibili, starmi accanto non è facile: lei vorrebbe il tipo che resta a casa la domenica ed io non sono semplicemente il genere. Non posso darle la vita che si merita. E’ inutile combattere guerre, e soprattutto contro se stessi. Lei ne soffrirebbe e basta… - sospirò greve e persino un po’ amareggiato, intanto prese a sua volta posto nella grotta

- E tu, invece? – chiese Fang a bruciapelo

- Come grillo parlante fai davvero schifo! E poi preferisco credere che lei non mi ami, e poi ne avrebbe di pretesti per farlo. Io non sto cercando una storia con lei e lei farebbe meglio a fare lo stesso – dichiarò schiettamente Keeran e aggiunse – L’amore è complicato, Dan, non è come la pensi che vivi nel tuo pacifico mondo di frutta candita… -

- Inizio a domandarmi perché la gente creda che io sia un idiota – mormorò fintamente offeso. Poi però riprese serio  – Penso che dopo anni di approfondite ricerche nella vita femminile - Austin sogghignò al pensiero del tipo di grandi ricerche avesse mai potuto condurre Brass – io abbia capito qualcosa di donne e amore, e la più importante è una sola: tu pensi che il loro sia un mondo fatto solo d’ombretto e mascara, ma poi ti salta fuori l’eyeliner. Se ci fosse un’altra vita giuro che mi metto a studiare la psiche femminile e non ingegneria. Sai quanti problemi in meno? E’ la chiave di tutto! –.

Keeran si era sdraiato sul pavimento e parlavano nell’oscurità, tanto perché avrebbero dovuto accendere la torcia? Per vedere pareti ancor più fuligginose?

Gli sembrava strano sentire Fang che diceva delle cose del genere, e un po’ per reale ignoranza in materia e un po’ per scherzo domandò a Fang:

- E che sarebbe l’eyeliner? –

- Non capisci un accidenti! Era una metafora, e poi cosa vuoi che ne sappia io! –. Il silenzio si insinuò ancora una volta tra loro, ma ogni volta che la malinconia sembrava farsi avanti e prendere il sopravvento, uno dei due prendeva la parola. Quella volta fu Keeran. Si alzò puntellandosi sui gomiti e all’improvviso domandò seriamente: - Credi di esserti mai innamorato?–

- Ho appena finito di dire che l’amore è complicato e che non l’ho ben capito, e tu mi fai una domanda del genere? Insomma ci sono tante forme d’amore: a te sono, come dire… affezionato, però ad esempio amo lo slap di Flea – Keeran avrebbe continuato a divagare, ma Keeran lo interruppe: - Intendo sul serio, non parlo di musica -.

Fang ci pensò un attimo, e proprio quando l’altro cominciò a pensare che non avrebbe mai ottenuto una vera risposta, quello sbottò di colpo – Sì, una volta - 

- Come andò a finire? –

- Mi fece le corna con un ballerino ecuadoregno di nome Esteban. Capita –.

- Mi dispiace – asserì Keeran, che in effetti era veramente dispiaciuto per l’amico: era un miracolo che fosse uscito con la stessa persona per più di due volte.

- Non quanto ad Esteban che cinque mesi dopo si è preso la gonorrea -, fu l’ultimo sogghigno.

Contemporaneamente si chiese perché avesse dovuto mentire: non c’era nessun ballerino sudamericano, neppure una donna da rubare o un amore spezzato. La verità era che non aveva mai amato, non sapeva minimamente di cosa parlassero sempre tutti, e ne era perfettamente cosciente. Non aveva mai avuto una madre da amare, e voleva davvero bene solo ad un paio di persone; una delle due era con lui in quella grotta. Ormai, alla soglia dei trent’anni, era sicuro che non avrebbe mai sentito nulla, questa cosa lo faceva sentire profondamente a disagio, ma si disse, che forse l’amare era un dono che non gli era stato concesso.

 Continuarono a tacere, fino a quando il blackberry di Fang cominciò di nuovo a vibrare, quello lo estrasse dalla tasca e disse divertito – Certo che questo coso è bestiale: due tacche a cinquanta metri di profondità! -.

- E’ Lyn? – domandò Keeran, non gli sarebbe affatto dispiaciuto sapere che era lei visto che l’acqua dopo l’ultima misurazione, consistente nel calare una gamba dal foro per capire realmente a che punto fosse arrivata, superava il metro e ottanta. Caspita sono già passate due ore e mezza!, pensò a metà tra il preoccupato e lo stupito.

- No è Tess, mi chiede come sto e se il prossimo autunno può venirmi a trovare. Non poteva capitare momento migliore! – esclamò con ironia, però Keeran riuscì a percepire un’incrinatura nella voce dell’amico. Tess era la sorella minore di Fang la persona a cui lui tenesse di più in assoluto, l’unica vera famiglia che avesse mai avuto. A Keeran riusciva un po’ difficile immaginarsela: l’ultima volta che l’aveva vista lei aveva quattordici anni ed ora stava finendo l’università…    

- Salutamela… – disse Keeran con un filo di voce. All’improvviso si rese conto molto bruscamente, come se quel messaggio l’avesse riportato alla realtà che anche lui avrebbe lasciato qualcuno. Solo in quell’istante si rese conto di tutto il tempo che aveva sprecato, si rese conto che non conosceva per nulla i suoi fratelli: Aleksandar e Aine, i due gemelli che ormai erano sedicenni. C’era poi Sean, che era la sua miniatura, e a quattro anni dimostrava già d’essere un Keeran a pieno titolo.  

Non avrebbe potuto ringraziare sua madre per tutti i ceffoni che gli aveva dato quando era bambino e ogni singolo abbraccio. Persino la faccia stizzosa di Clayton gli sarebbe in un qual modo potuta mancare… Quelli erano pensieri dal retrogusto amaro, li respinse costringendoli ad indietreggiare nel buio da dove erano comparsi. Nella grotta erano quelle le vere chimere da cui difendersi che potevano aggredirti e in un certo senso rapirti la mente. In quel caso non c’era torcia o luce che potesse proteggere però.

Qualche minuto dopo, quando ormai si era quasi completamente estraniato dalla realtà, avvolto dai ricordi, la bella voce profonda e un po’ tenebrosa di Fang si levò nella grotta e per quanto avesse un timbro molto forte, il suo canto era delicato e sommesso. – I was her, she was me. We were one, we were free. And if there’s somebody calling me on, she’s the one, and if there’s somebody calling me on, she’s the one. Were were young, we were wrong, we were fine all along. And if there’s somebody calling me on, she’s the one…-.

Keeran non avrebbe mai saputo se Fang, il cui codice genetico era sicuramente formato da scale pentatoniche, avesse scelto quella canzone apposta, oppure se era frutto del caso. Però quella lo fece pensare e forse lo stesso Fang aveva ragione quando diceva che la musica era speciale perché con una nota comunicava qualcosa di diverso ad ogni persona, ed era l’ascoltatore a darle un’aura magica.

Lei è l’unica…

 

Ian non ce la fece davvero più, erano parecchi minuti che stava aspettando ritto davanti al portellone aperto del furgone, in attesa che quell’uomo gli desse tre mute da sub.

Ero andati sull’isola di Saint Martin’s, certi che Cindy o qualcuno del suo gruppo avrebbe saputo come raggiungere la grotta franata, e così era stato: Lyn aveva riferito che vicino ad Keeran e Fang scorreva un fiume sotterraneo ed un certo Micheal, speleologo, era sicuro che si trattasse del torrentello in cui si riversano le acque della rete fognaria dopo essere state depurate. Ora servivano loro soltanto le mute e le bombole. Uno dell’accampamento si era proposto di prestarle loro, ma a quanto pare se ne doveva esser subito pentito.

Ian sbatté irritato la mano contro la fiancata del furgone facendo un baccano assurdo, mezzo campo si voltò incuriosito per capire quale fosse la fonte di tanto frastuono. Ian se ne infischiò del fatto che avrebbe dato spettacolo, - Allora! – latrò iroso – Ci sono in ballo delle vite! -. Un omone di mezza età, la fronte spazzata dalla calvizie, la barba sfatta e uno spiccato accento ispanico si ritrasse dal cassonato e facendo spallucce disse: - Mi dispiace, pensavo di averle. Mi sono sbagliato -. A quel punto Ian se ne sarebbe pure andato, magari inveendo, ma avrebbe alzato i tacchi. Non aveva mica tempo da perdere. Però quello che lo frenò fu uno strano riverbero della luce che per un secondo l’accecò, era stata una maschera da sub a creare quel riflesso, fino ad allora non l’aveva notata perché l’enorme stazza dell’uomo gli aveva impedito la visuale. Senza fare troppi complimenti passò avanti allo spagnolo e salì sul retro del furgone dove scovò sotto una coperta tre mute e tre belle paia di bombole. Cacciò il tutto in una cassa vuota e scese dal mezzo, il presunto proprietario non era molto d’accordo però, - Ehi, fermo! Quelle lì le ho affittate ad una famiglia di Birmingham cinquanta sterline l’una -

protestò vivacemente l’uomo che agguantò Ian per un braccio, quello con molta flemma posò la cassa, estrasse il portafoglio dalla tasca posteriore e da lì trasse delle banconote che gettò per terra, erano centocinquanta sterline e finirono nel bel mezzo d’una pozzanghera. Fatto questo Ian, prima di voltarsi, squadrò l’uomo di sotto in sopra  e dopo aver fatto una smorfia di disprezzo disse: - Eccoti i soldi. Mi fai davvero pena! -. Se ne andò raggiungendo Lyn e Cindy.

Intanto però alle sue spalle, l’ispanico si stava chinando un po’ goffamente per via della propria imponente mole a recuperare le sterline e a prodigarsi cercando di asciugarle tra l’ilarità generale di quanti avevano assistito alla scena.

 

 

Keeran continuava a riflettere, a calcolare quanto tempo rimanesse loro prima che anche la minuscola grotta dove si trovavano, si allagasse completamente a sua volta. All’ultima misurazione non aveva più dovuto calare una gamba, era bastato loro allungare una mano oltre l’apertura da cui erano passati per sapere che l’inesorabile avanzare dell’acqua era troppo vicino all’invadere il loro rifugio. Fang aveva finito ormai da tempo di inviarsi messaggi con la sorella, senza però trovare la forza di telefonarle o di riferirle in che situazione si era cacciato. Insieme avevano deciso che se le cose si fossero messe davvero male per lasciare un ultimo messaggio ai rispettivi amici e familiari, o lettera, come dir si voglia, avrebbero potuto scrivere nella sezione bozze del cellulare. Ma questo non sarebbe avvenuto fino all’ultimo istante, un po’ per scaramanzia e un po’ perché sarebbe stato ammettere la sconfitta e darsi per vinti; come aveva ammesso Fang fare una cosa del genere prima del tempo era come mettersi a scegliere il vestito da morto.

Erano giorni che non riusciva a rilassarsi per bene e paradossalmente in quella situazione così ostica, per la prima volta, si sentì in pace. L’aria era buona e fresca, la migliore che avesse mai respirato, certo, fino a quando Fang non riuscì a scovare un pacchetto di sigarette infondo allo zaino ed iniziò a fumare come un turco. E un po’ gli dispiacque di non poter più assaporare quell’ossigeno così puro

Dovevo proprio arrivare a questo punto per cominciare ad apprezzare l’aria che respiro…

Keeran si fece cullare, prendere da quella sensazione, magari non l’avrebbe più potuta provare, magari si sarebbe salvato, magari no. Tanti, troppi magari, per avere una sola certezza a parte quella di essere in vita in quel preciso istante, il presente, che però è ad un palpito di distanza dal passato con cui rischia pericolosamente di confondersi.

 

Keeran aprì gli occhi d’improvviso, li sbarrò nel buio più totale, fissò l’assenza di luce. Non era nella grotta, no questo era impossibile, non sentiva la solida roccia e non udiva pure il gorgogliare dell’acqua che s’avvicinava imperturbabile. Si alzò in piedi e d’istinto gli venne da chiamare Fang, nessuno rispose. Altra cosa che lo incuriosì parecchio ma che allo stesso tempo gli fece ghiacciare il sangue nelle vene, fu che non aveva più freddo, gli indumenti erano asciutti e anzi non era vestito come prima, bensì indossava giacca e cravatta. Dove li aveva presi quelli?

Non era morto, di questo chissà perché ne ebbe subito l’istintiva certezza, malgrado l’atmosfera non facesse pensare bene. Era vivo.

Si mise a camminare, sempre nell’oscurità, fino a quando vide un bagliore, vi si avvicinò. Era una banale lampada accesa messa su di una scrivania ancor più anonima, su cui era poggiato un foglio, ancora era troppo distante per poter leggerne il contenuto eppure poteva, lo stava leggendo in quel momento, un foglio posto a cinque metri da lui

Ma che cosa…

04.02.99

Mr. Keeran,

Se ripassa domani a mezzo giorno avrei una proposta interessante da farle

Non proseguì neppure nella lettura, tanto sapeva già come continuava quella lettera, eppure non avrebbe dovuto esistere perché era andata distrutta, e questo lo sapeva per certo, l’aveva stracciata lui stesso con le sue mani due giorni dopo averla ricevuta.

Però era lì, la stava tenendo in mano, sentiva la carta fredda e ruvida sotto le dita, però quando l’accartocciò di nuovo e la gettò nel camino – non si chiese più da dove questo spuntasse fuori -, bruciò contorcendosi come qualsiasi altro pezzo di cellulosa, con una differenza però: ricomparve subito sulla scrivania. La cosa gli fece un po’ d’impressione, ma quando dopo essersi passato una mano trai capelli, azione che gli impedì la vista per un batter di ciglia, vide una sedia dove prima non stava, si arrese e approfittò della comoda seduta che gli era stata offerta. Con la coda dell’occhio controllò che la lettera fosse ancora posata sul pianale della scrivania: sì, stava lì. Keeran la guardò di sottecchi, l’espressione un po’ torva e con un’intensità che quasi quasi non avrebbe riservato ad una persona.

- L’inizio di tutto, l’inizio dei guai. Non è così? -. Austin trasalì e a momenti non saltò sulla sedia, il cuore che gli mancò un battito o due gli finì poi in gola martellante. Credette sinceramente che se si poteva morire dalla paura, quello sarebbe stato il momento più propizio.

Non si spaventò tanto per la voce inaspettata, bensì per quello che aveva detto: esattamente quello che stava pensando mentre scrutava la lettera. Sapeva di poter essere spiato mentre era a casa, al lavoro o con gli amici, ma non mentre faceva una riflessione tra sé e sé! 

Si ricompose cercando di capire da dove potesse esser uscita quella voce, era come se qualcuno gli avesse parlato da molto vicino; nel raggio luminoso della lampada però non c’era anima viva. Decise che la cosa più saggia era prendere in mano l’abat-jour e proseguire nella speranza di scovare il misterioso telepatico. Ma non fece in tempo ad agguantarla che udì nuovamente la voce: - Ti è sempre piaciuto andare oltre quello che tutti ritengono il ragionevole – disse con una nota di divertimento nel tono.

Questa volta però Keeran era riuscito ad indovinarne la provenienza, veniva da dietro le sue spalle ed ebbe un poco di timore nel voltarsi, timore di non trovare niente. Invece non fu così: c’era un imponente bancone da bar, tirato a lucido e fatto di legno di noce, gli ricordò subito uno di quelli visti nei film western; accanto al bancone su cui erano poggiate svariate bottiglie di liquori, erano posizionati due sgabelli, di quelli alti e che lasciano le gambe a penzoloni. Keeran, senza fare una piega, si accomodò su quello di sinistra dato che l’altro era già occupato. Era un uomo quello che c’era seduto sopra: alto poco meno di Keeran e leggermente più giovane; però completamente la sua antitesi, con capelli d’oro scuro, volto affilato il cui fulcro nella carnagione terrea erano due intensi occhi bruni, il naso seppur dritto era stato rotto di recente. Nella penombra c’era però sempre qualcosa che gli sfuggiva.

Keeran tentò di squadrarlo per bene, ma con discrezione e circospetto, le sue parole l’avevano colpito, chi era quello sconosciuto per poter schedarlo nel giusto, in quella maniera? I tratti gli erano così familiari.

- Allora, come stai? – chiese gioviale l’uomo assestandogli un colpo sulla spalla e sorridendogli, la dentatura un poco irregolare e candida, al di fuori d’un paio di capsule rivestite in oro sui molari, particolare che non sfuggì all’occhio di Keeran. Come faceva un uomo più giovane di lui ad avere un innesto così antidiluviano? A momenti neppure un dentista sudamericano in un campo profughi avrebbe utilizzato una tale tecnologia.

Ma non c’era né tempo né voglia per pensare ai denti d’oro, lo sconosciuto l’aveva salutato fraternamente e lui, un po’ per istinto, un po’ per previdenza si scostò aumentando il divario tra sé e l’altro che si accigliò non poco.

I casi sono due: o questo è un pazzo oppure sono io che sto impazzendo…

- Mi dispiace ma la pazzia può attendere, per entrambi – proseguì lo sconosciuto che aveva riacquistato il sorriso ed ora si stava sistemando sullo sgabello. Keeran si calmò un poco, quell’uomo aveva una voce straordinariamente rilassante, sembrava innocuo e comunque sarebbe stato incapace di prendersela con uno così. Keeran lo avrebbe definito complesso di Brass: non si è capaci di litigare con uno che non vuole farlo a tutti i costi e questo, a parer suo, era qualcosa di molto vicino al principio della non violenza di Ghandi anche se in proporzione nettamente più piccola.

- Lo sai d’avere sbagliato, vero? -

 

Stava quasi per rispondere allo sconosciuto quando però ritornò di nuovo completamente buio. Non riuscì più a sentire lo sgabello sotto di sé, bensì fu assalito da brividi per il freddo intenso che avvertiva, era come se un’infinità spilli gli stessero penetrando la pelle delle gambe e prima che potesse ben reagire si sentì trascinare, preso da sotto le ascelle. Qualcuno iniziò a schiaffeggiarlo, - Ehi! Ci sei? – era Fang che lo chiamava. Keeran si riprese subito, gettandosi alle spalle quell’inteso torpore che l’aveva assalito, ed annuì – Sì, ma che cosa?! – si accorse d’essere più fradicio di quanto non lo fosse stato prima ed a momenti non sentiva più i piedi. – L’acqua è salita, ma sei fuori? Come hai fatto ad addormentarti? Non ti riuscivo a svegliare, se non avessi respirato avrei pensato che avevi tirato le cuoia! – esclamò esterrefatto, per poi aggiungere – Parlavi nel sonno. Mio Dio, ma roba tipo “ L’esorcista ”! Sei sicuro che è tutto a posto? -.

- Sì, è tutto ok, dev’essere l’aria un po’ viziata che c’è qua dentro -, Fang aveva acceso la torcia ed Keeran poté fissarlo negli occhi verdi palesemente scettici, per poi ripetere – Sto bene -. In realtà. stava ancora pensando al sogno che aveva appena fatto, era così vivido e minuziosamente particolareggiato che faticò a convincersi che era stato tutto finto, ma probabilmente la mente umana era in grado di creare quello e molto altro. Quasi un po’ gli dispiacque di non esser riuscito a capire chi fosse l’uomo seduto al bancone del bar e più tentava di richiamare a sé le immagine, più queste gli sfuggivano. A questa affermazione Fang spense la torcia, si risedette e replicò - Se lo dici tu -.

Keeran si mise vicino a lui, e domandò – Quanto credi che manchi prima che… -

- All’incirca un’ora, se siamo fortunati un’ora e mezza. Tu credi che arriveranno? –

- Arrivare, arriveranno. Sinceramente prima o poi, però non so se noi saremo qui per accoglierli – disse molto schiettamente, mentire era inutile, non doveva fomentare alcuna speranza. Tanto più che parlava con uno che avrebbe potuto calcolare e prendere le loro possibilità di sopravvivenza, per poi trasformarle in un grafico in meno di cinque minuti.

- Sai tanta gente, dopo che gli avevo raccontato un paio di nostre avventure mi ha chiesto se mi puzzava la salute –

- E che gli hai risposto? – domandò Keeran, in effetti un paio di volte era capitato pure a lui e non aveva saputo dare risposta migliore di: “non so fare nient’altro”.

- Non c’è uomo al mondo che ami la terra ferma più del marinaio. Non siamo noi i pazzi, apprezziamo la vita più della stragrande maggioranza della gente –

Keeran non avrebbe mai finito di stupirsi per la bivalenza di Fang, sapeva passare dall’essere uno scapestrato totale ad un perfetto borghese dall’alta cultura. Era uno di quelli che sapeva come bere lo champagne in jeans e la birra in smoking.

Sorrise nel buio di quella grotta e dei pensieri, però con la sua solita fulmineità si rabbuiò un poco – Hai paura di morire? -.

Fang stette zitto un paio di secondi prima di rispondere – Parafrasando Woody Allen, devo dire: “ Non è che la morte mi spaventi, solo non vorrei essere trai presenti quando accadrà ”. Credo che sia normale, infondo mi riuscirebbe difficile anche solo per un attimo pensare che magari affogare non è poi così male -, un sorriso malizioso fece subito la sua comparsa, - E tu? -

Keeran non ci aveva mai realmente pensato, eppure – Sì, temo la morte -, tralasciò l’ultima parte del suo pensiero, temeva davvero la morte ma quella degli altri. Aveva la paura di rimanere da solo. Di sé non gli importava molto, più che altro era spirito di conservazione, doveva pure ammettere che rimanere a far compagnia al cinese che avevano incontrato poco prima, non faceva certo parte del suo piano quinquennale.

Fang rise – Noi, quelli che non fanno progetti a lungo termine… -, Keeran gli diede corda – In effetti questa attesa rischia d’ammazzarmi -.

- C’è una cosa che sento dovrei dirti ora, insomma mi sembra il caso – disse Fang un po’ sulla difensiva, Keeran si voltò verso di lui e gli fece segno di proseguire. – Devi sapere che quando mi prestasti la tua Camaro, dieci anni fa, e poi te la riportai indietro con tutta la fiancata frisata e senza uno specchietto, non fu colpa d’un altro, bensì mia. Non vidi un palo della luce e be’, il resto lo sai -.

Keeran al momento quasi non si ricordò del fatto, ma poi gli venne in mente, la sua Camaro del ’72 completamente rovinata. Un po’ di collera repressa c’era, ma era soffocata dall’ilarità per il modo in cui Fang si era scusato: serio e quasi guardingo. – Non ti presterò mai più un auto, però ti perdono. E ora che mi ci fai pensare pure io avrei qualcosa da dirti: quando quella ragazza, come si chiamava? A sì, Ava! Quando Ava ti disse che non potevate più uscire insieme perché c’era un altro, ecco, quell’altro ero io -.

- Un momento, avevi giurato che non eri stato tu! – poi rammentò la situazione attuale, - Ok, non c’è problema…ti assolvo – dichiarò fintamente pomposo Fang.

Ridendo, scherzando, parlando seriamente però l’acqua ormai li aveva raggiunti, arrivava loro alla cintola, ed i primi segni recati dal gelo cominciavano a manifestarsi. Ma era come se tra loro ci fosse stato un tacito accordo, nessuno dei due disse una parola, avrebbero sopportato in silenzio.

Keeran cominciava a non sentire più le gambe, intorpidite dal freddo, l’acqua doveva essere cinque, sei gradi al di sopra dello zero. Non sentiva più il gelo, bensì era come se i muscoli, la pelle, tutto gli stesse andando a fuoco. Era una delle più brutte sensazioni a cui mai fosse stato sottoposto, e dire che ne aveva sperimentate: tre o quattro pallottole, una ferita d’arma da taglio e quasi una dozzina d’ossa rotte. Niente poteva essere paragonabile.

Quando l’acqua ormai gli lambiva il torace gli sembrò quasi di far fatica a respirare, ogni volta che inalava l’aria pareva sempre più difficile, come se avesse due steli di ghiaccio nei polmoni.

Di tanto in tanto dava uno sguardo a Fang che teneva gli occhi semichiusi, qualche volta li apriva di scatto, forse stava cercando pure lui d’arginare quella sonnolenza dissipante che si era insidiata ormai da parecchi minuti. Keeran guardandolo pensò che erano messi proprio male: era di un bianco mortale con una sfumatura verdastra ed il contorno occhi violaceo, era come se fosse stato già cadavere. Era pronto a scommettere che neppure lui aveva una gran bella cera.

Distolse lo sguardo dall’amico per puntarlo al foro che rigurgitava l’acqua, già prima aveva pensato che avrebbero potuto chiuderlo, ma era troppo grande e pure adesso se fosse riuscito a fare qualcosa sarebbero morti assiderati prima di dieci minuti. Era assolto in questi pensieri quando vide balenare qualcosa attraverso il foro, era stato uno scintillio che per un batter di ciglia era riuscito a fendere le acque color pece ed arrivare a lui. Diede una scossa a Fang che si destò aprendo fulmineo gli occhi,

- Vedo una luce – disse Keeran colmo di speranza, l’altro lo guardò stranito, poi le sue labbra livide e tremolanti si aprirono in una risata sommessa e quasi incapace d’esprimersi – Un consiglio, non ti avvicinare –


INFO & CO:
Avrà forse ragione Fang x una volta? be' non mi resta che dire il mio amato TO BE CONTINUED
PS: il titolo del capitolo non c'entra molto con la storia, a parte il surrealismo del sogno di Keeran, è solo ispirato dalla canzone che sto ascoltando al momento I'm Outta Time, Oasis <3 (scusate gli scleri musicali da Madferit)
Continuate a seguire, perchè sta per arrivare la parte migliore.
The White Lady
   
 
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