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Autore: LaMicheCoria    03/12/2010    3 recensioni
[Star Trek: The Original Series/ Star Trek XI: Il Futuro Ha Inizio]
Anno:2261 - Una missione, la lotta personale di James Tiberius Kirk con il proprio futuro, che è per lui passato e presente, e la minaccia costante dell'Impero Romulano. Spock Prime, assunto il ruolo di Ambasciatore col nome Selek, vuole la pace coi Romulani. Vulcano e Romulus la guerra. Riuscirà o troverà la morte?
Anno: 2387 - La Supernova raggiunge Romulus, distruggendolo. Il destino di Spock è quello di finire trascinato nel baratro di un paradosso temporale causato dal Buco Nero creato dalla Materia Rossa, ma che ne sarà di coloro che hanno perso con lui anche il proprio popolo? La rabbia e il dolore. Un'azione disperata..

-Capitano?-
-Sì? Cosa c’è, signor Spock?-
-C’è un Vulcaniano tra i prigionieri- (tratto dal Capitolo 3)
La tanto promessa Long Fiction di Nemeryal è finalmente arrivata alla Base Stellare di EFP!
Genere: Avventura, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: James T. Kirk, Leonard H. Bones McCoy, Nuovo Personaggio, Spock | Coppie: Kirk/Spock
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2387 (4)

Capitolo 8
Un Freddo ed Infranto Hallelujah

Anno: 2387

(Hallelujah – Jeff Buckley)

I lastroni di ghiaccio, accasciati l’uno sopra l’altro, si tendevano con sforzo verso il cielo, come le rovine di un tempio antico. Bianchi, contro il cielo terso, parevano frammenti di vetro, aguzzi, freddi, sospinti in alto dal vento; erano le dita gelate della Speranza, nel suo ultimo, agonizzante tentativo di raggiungere la lontana Utopia, la cupola di cristallo che svaniva, perduta, nella nebbia.1
T’Lenna si era chiesta più volte per quale motivo Spock le avesse regalato un quadro del genere e in quel momento il freddo intenso che irretiva i colori del quadro le appesantiva il cuore e lo alleggeriva al tempo stesso. Era come se il dolore che provava non fosse solo suo, ma qualcosa di condiviso..era come sentirsi meno soli. O almeno, essere soli in un insieme senza volto e senza voce, dove ci si poteva confortare a vicenda senza una parola, con la propria tristezza ed il proprio tormento.
La Vulcaniana chiuse gli occhi e piegò il capo, posandosi sulla fronte il bicchiere di Brandy Sauriano, l’ennesimo della serata.
Forse era ubriaca, forse no, non le interessava. Si sentiva accaldata, ma aveva freddo, voleva piangere, ma non aveva lacrime per farlo, la realtà fuori dalla grande finestra picchiava forte per entrare, ma lei non voleva darle ascolto.
Raccolse le ginocchia al petto e prese il bicchiere con entrambe le mani, facendone oscillare il contenuto e deglutendo a vuoto, sperando di sciogliere quel maledetto nodo che le serrava la gola.
C’erano tante cose che voleva fare in quel momento: urlare, piangere, ubriacarsi, gridare fino a sentire la voce rompersi, ringhiare, spaccare un vetro, rompere i piatti contro il muro, prendere il muro a pugni fino a quando il suo candore non fosse stato violato dal verde acido del sangue, strapparsi i capelli, cantare fino a farsi male, cantare fino a quando non avesse potuto percepire l’anima di Spock accanto a sé e guidarlo verso la sua vita futura.
Voleva fare molte cose, ma avrebbe significato alzarsi dal divano e distogliere lo sguardo dal quadro, immergersi in quel mare di dolore da cui stava fuggendo da troppe ore.
Che il silenzio e l’apatia la inghiottissero pure, in quel momento non se la sentiva di affrontare niente e nessuno.
-Lasciatemi in pace- sussurrò, ma la sua preghiera non venne esaudita.
Nella stanza saettò il ronzio che annunciava l’immissione del codice di accesso e tempo qualche istante le porte si stavano già aprendo, scorrendo sui propri cardini.
T’Lenna non alzò neppure il viso.
-In questa casi le persone nelle mie condizioni vengono lasciate sole- gracchiò, storcendo le labbra in un ghigno derisorio.
-Si da il caso che non ne abbia intenzione-
-Sei un idiota, Berz’uk-
Uno sbuffo e finalmente la Vulcaniana si girò a guardare l’altro.
-Ne vuoi parlare?- le chiese il mezzo Klingon, osservando con occhio critico la bottiglia oramai di finita di Brandy Sauriano posta sul tavolino in fronte al divano e quella ancora chiusa di Birra Romulana.
-Sai che quella roba è illegale, vero?-
-Credi me ne importi qualcosa?- lo sbeffeggiò la donna, bevendo d’un fiato quel poco di liquore che le era rimasto nel bicchiere.
Il mezzo Klingon non disse niente e si alzò da accanto a T’Lenna, che lo fissò portare via sia il Brandy che la Birra.
-Ehi, quelle mi servono!- piagnucolò tendendo le braccia verso di lui -Ridammele-
-Non credo proprio- commentò secco Berz’uk, tornando a sedersi e cercando di portar via il bicchiere alla Vulcaniana.
-Lasciami!- soffiò lei, allontanandosi con uno scatto felino e socchiudendo gli occhi scuri –Vattene-
L’altro si alzò e la raggiunse con passi lenti; come una belva messa all’angolo, la donna incassò la testa nelle spalle e mostrò i denti affilati, le dita talmente strette attorno al vetro del bicchiere da avere le nocche bianche.
-Vattene via!- ringhiò –Vattene via!-
Ma il mezzo Klingon non fece altro che fermarsi in mezzo alla stanza, gli occhi stanchi colpiti dalle luci pallide della città, lo sguardo intenso e malinconico.
-T’Lenna..- provò, ma quella emise un grido e gli lanciò contro il bicchiere; l’atmosfera irreale che li circondava si infranse con esso contro il muro, lasciando solo un rivolo di sangue rosa e pastoso colare dallo zigomo di Berz’uk.
-Non mi hai sentito?!- strillò T’Lenna, gli occhi che lampeggiavano, folli –Vattene!- e senza attendere una risposta, si gettò sul mezzo Klingon, cercando di graffiarlo, di morderlo..
Le braccia dell’altro la strinsero con forza e più lei cercava di divincolarsi, più si abbandonava nel suo calore, unendo dolore a dolore, lacrime non versate a lacrime non versate. Lo graffiava e lo accarezzava, lo respingeva e lo stringeva a sé, gli gridava di andarsene e gli sussurrava di rimanere, lo mordeva e lo baciava, si divincolava e poi ricadeva esausta contro il suo petto.
-T’nash-veh kaf-spol..- mormorava, mentre entrambi, lentamente, scivolavano, uno nelle braccia dell’altro, in ginocchio –T’nash-veh katra..T’nash-veh ashaya..-            [Mio cuore..mia anima..mio amore..]
T’Lenna carezzò con le dita il viso di Berz’uk e lui le sfiorò le labbra con le proprie e le baciò una lacrima caduta dagli occhi opachi e poi la fronte e le palpebre e il collo, mentre lei lo stringeva sempre più forte, sospirando e singhiozzando, le dita affondate fra i suoi capelli neri, le labbra macchiate di verde laddove aveva morso fino a far uscire il sangue.
Il mezzo Klingon le prese il volto fra le mani e la baciò ancora e lei gli sfiorò le tempie con le dita e si lasciò posare sul pavimento come fosse una goccia di cristallo, con lui che le faceva scivolare l’abito dalle spalle, scoprendole il petto, il ventre, le gambe,
E mentre i baci di lui erano come le carezze del vento, le dita di lei premevano e affondavano eterei nelle tempie e nella mente ed ogni traccia di pensiero era un sussulto del corpo di entrambi, uniti, abbracciati, esausti, insieme, lì, mente e carne, pensiero e passione, coi sospiri che si intrecciavano ai singhiozzi e i gemiti che si disperdevano nelle lacrime e nel silenzio.

 

***

-E questa cos’è, Leonard?- il dottor Cooper storse il naso, alzando la bottiglia e scuotendola in direzione del compagno.
-Dicesi birra, Sheldon- rispose afflitto quello, passando altre due bottiglie a Wolowitz e Koothrapali.
-Birra?!- esclamò schifato il fisico –Vuoi forse farmi ubriacare?-
-Ehi, amico- Koothrapali inarcò le sopracciglia, sovrastando le proteste di Sheldon –Perché la mia è analcolica?-
-Perché se non fosse così- spiegò paziente Leonard, sedendosi accanto ad un imbronciato dottor Cooper –Dovremmo spiegare a Berz’uk e a suo fratello perché ti sia messo a molestare qualche ragazza del dipartimento, Rajesh. E non ci tengo a finire come Howard- e indicò Wolowitz, che allargò le braccia
-Ehi, ma adesso io che centro?- protestò, sorseggiando la birra.
Leonard ghignò e si indicò la mascella.
-Provaci tu a prenderti un pugno da un mezzo Klingon, poi vediamo..- ringhiò, scoccandogli un’occhiata di fuoco.
Il dottor Hofstader fece per protestare, ma il sussurro di Rajesh li fece gelare entrambi.
-E’ stata colpa nostra, vero?-
Il silenzio piombò loro addosso.
Howard prese un altro sorso di birra, per poi massaggiarsi inconsciamente nel punto dove Berz’uk lo aveva colpito; Leonard si morse il labbro e abbandonò la bottiglia a terra; Koothrapali strinse forte la sua, con entrambe le mani. Fu Sheldon a parlare.
-In vero- cominciò, quasi stesse tenendo una conferenza a dei novelli cadetti –E’ stata colpa della Supernova. Noi potevamo prevedere solo fino ad un certo punto quando sarebbe cominciata la fusione del nocciolo, ma calcolarla con esattezza andava oltre i limiti della nostra scienza. Persino gli esimi colleghi dell’Accademia della Scienza Vulcaniana non hanno potuto fare qualcosa a riguardo. A conti fatti- concluse, ma nessun sorriso soddisfatto gli si delineò sul viso –Non siamo noi i responsabili-
Hofstader alzò il viso e fissò allibito il proprio compagno.
-Grazie..- mormorò incredulo.
-E di cosa?- domandò confuso il fisico, aggrottando la fronte –Ho solo detto la verità-
-Razionalmente idiota, come sempre!- rise Howard e fu subito seguito da Rajesh e Leonard, mentre Sheldon fissava tutti con lo sguardo di chi non ha capito nulla della complessità e duttilità emotiva dell’essere umano.
Le risate si spensero poco a poco, simili alle luci di una strada quando il mattino sorge lento oltre l’orizzonte, e il silenzio si fece spazio piano piano, com’era giusto che fosse. Non si impose,ma nacque da quelle stesse risate che prima lo avevano cancellato.
-Voglio fare un brindisi!- gridò d’un tratto Howard, alzandosi e mettendosi in piedi sulla sedia –A Romulus! E a Spock! Che vivano per sempre, morte o non morte!-
Gli altri tre lo guardarono, poi si fissarono tra loro.
-A Romulus! A Spock!-

 

***

-Come vi sentite, madre?-
Saavik carezzò il volto del figlio, sorridendo con amarezza.
-Questo dovrei chiederlo io a te, figlio mio-
Il Vulcaniano le prese la mano e la strinse forte.
-Madre, voi avete perso la vostra casa-
-Romulus era solo metà del mio cuore..tu hai perso tuo padre, Tveshu2-
Tveshu abbassò gli occhi e la stretta si fece più salda e ferma, nonostante il tremito della mano.
-No, madre- il Vulcaniano scosse il capo, con un sospiro –E’ come mi avete sempre detto. Mio padre è morto molti anni fa-
-Ma, figlio mio- sussurrò Saavik, lasciando le dita del figlio e prendendogli il volto fra le mani –Il tuo sangue..-
-Non mi importa!- esclamò Tveshu, liberandosi dalle mani della madre e alzandosi in piedi –Il sangue che scorre nelle mie vene è quello di Spock, ma dentro di me..-
-Agli altri Vulcaniani non interessa nulla di quello che fu il mio T’hy’la!- Saavik gettò le gambe oltre la sponda del letto e prese il figlio per le spalle –Adesso, per loro l’importante è che tu sia un discendente diretto di Spock, il primo discendente. Interamente Vulcaniano-
Tveshu girò lo sguardo, per non incontrare lo sguardo della madre.
-Non posso fare questo. Non a mio fratello!-
-Ma non dipende da te!- Saavik lo costrinse a girarsi –Per me sei figlio di David, ma questo!-  con uno scatto improvviso gli prese il polso, lo girò e vi affondò le unghie. Il Vulcaniano emise un ringhio di dolore e fece per ritrarre la mano, ma la madre la tenne ben stretta.
-Questo..- sibilò, mostrando il rivolo di sangue smeraldo –Questo è il sangue di Spock! Gli anziani lo sanno e quello che tu potrai dir loro non servirà! Per loro sei figlio di David a livello affettivo ed emotivo, non biologico! Tu sarai riconosciuto come legittimo erede di Spock, non tuo fratello!- Saavik liberò il polso del figlio e si strinse nelle spalle –Lui non sarà altro che una macchia da cancellare..non ci sarà posto per uno come tuo fratello nella storia di Spock di Vulcano. Non quella che gli Anziani intendono scrivere..-

 

***

Se fino a quel momento il Capitano Carons aveva avuto dei dubbi sulla parentela esistente fra Romulani e Vulcaniani, vennero spazzati via, tutti, dal primo all’ultimo.
Era andati a cozzare contro le iridi spente del Tenente Romulano, si erano spezzati, piegati da quegli occhi fissi e vuoti, privi di lacrime, di dolore, di rabbia, di qualsiasi emozione esistente.
Il Capitano aveva cercato di dargli la notizia nel modo più calmo possibile, senza girarci troppo intorno, ma senza nemmeno sembrare un perfetto idiota dal cuore di ghiaccio.
Si era aspettato di tutto, dal crollo di nervi al suo computer che dalla scrivania veniva scaraventato fra urla e gemiti contro il muro, ma mai e poi mai avrebbe immaginato..il freddo.
Era questo che aveva sentito fissando il Tenente negli occhi.
Gelo.
-Po..potete andare, siete congedato e siete esentato dai vostri compiti, almeno fino a quando non raggiungeremo la Terra per..- tossì, schiarendosi la gola –Per la Funzione-
Il Romulano non mutò l’espressione del viso e chinò il capo senza un parola; si voltò e uscì dalla stanza. Fu allora che il Capitano notò un guizzo azzurro fuori dal proprio alloggio.
-Tenente Shral!- tuonò e l’Andoriano fece capolino dalle porte –Dovreste essere sul Ponte!-
Shral entrò nella stanza con passo incerto, gettando uno sguardo veloce nella direzione in cui era sparito il Romulano, e cercò di spiegarsi
-Sì, ecco, io stavo andando a..come dire..-
Carons alzò la mano, intimandogli il silenzio.
-Niente scuse con me, Tenente. Ora tornate sul Ponte. Subito- chiarì, vedendo come, ancora una volta, gli occhi dell’altro fossero corsi verso gi alloggi del Romulano –Sappiate che questo vostro comportamento non verrà tralasciato nel mio rapporto..-
L’Andoriano annuì
-Non mi aspettavo il contrario- ammise con un’alzata di spalle –Col vostro permesso, Capitano, tornerei sul Ponte-
-Permesso accordato Tenente. E..- l’uomo si alzò da dietro la scrivania, raggiungendo Shral; gli mise una mano sulla spalla e lo fissò, cupo –Lo lasci un po’ da solo. Non può fare nulla per lui, ora come ora-

 

***

James Kirk, dalla cornice d’argento, sorrideva.
Le tempie spruzzate di grigio, qualche ruga attorno gli occhi e il braccio sulle spalle di una donna di venticinque anni, circondata dal sempre inflessibile Spock, da un ghignante McCoy ed una sorridente Janice Rand.
Miri, lasciò cadere il pennino sul PADD e prese la cornice fra le mani, togliendo un leggero velo di polvere che aveva ingrigito gli angoli della foto.
Era stata scattata molti anni prima, all’epoca della minaccia della Sonda3 che aveva quasi distrutto il pianeta, quando Kirk era ancora vivo e lei era appena diventata un membro della Sezione di Ricerca di Starfleet.
La donna poggiò la cornice e si accomodò meglio sulla sedia, mugolando soddisfatta mentre si scioglieva i muscoli indolenziti delle braccia e della schiena.
Era passato così tanto tempo..con la cura, il suo metabolismo era accelerato e l’aspetto da eterna bambina si era modificato, fino a scomparire del tutto. Dopo quasi cento anni, la vecchia Miri non dimostrava più di quarant’anni sebbene ne avesse quattrocento sulle spalle.
Qualche volta si chiedeva per quanto ancora sarebbe potuta vivere, quanti cambiamenti avrebbe visto, di quanti sarebbe stata partecipe, ma poi pensava al suo lavoro attuale e a come, se si fosse stancata del freddo e solitario Universo, non le sarebbe bastato altro che saltare e non tornare più indietro.
Non sarebbe stato poi così difficile, aveva così tante mete tra cui scegliere. E non sarebbe stata neanche la prima a sparire, lì alla Stazione di Ricerca.
Per ora, si limitava a rivivere dieci, cento volte la stessa scena quando ne aveva l’occasione e, non vista, a osservare di nuovo quegli occhi grandi e profondi, il sorriso impertinente e ascoltare quella voce calma e rassicurante che l’aveva chiamata con una tale dolcezza..
Miri scosse il capo e si diede mentalmente della sciocca.
Per quanto ancora avrebbe continuato a pensare a quella sua infatuazione di bambina, a quel prode ed eroico Capitano che le aveva preso la mano e le aveva detto che era bella, che aveva un bel nome, che l’aveva abbracciata, protetta..No, ecco, lo stava facendo di nuovo!
Rise e si chiese cosa avrebbe pensato il suo fidanzato se l’avesse scoperta ad abbandonarsi a simili fantasie.
-Su, Miri, smettila di far male a quel povero ragazzo che ti sopporta!- si disse, tornando a lavorare sul PADD –Jim non avrebbe certamente apprezzato!-
-Miri!-
La donna alzò la testa di scatto e corrugò la fronte.
-Aleksandr..?- chiese, vedendo l’uomo col il fiatone e una mano all’altezza del cuore –Che succede?-
-Un..un comunicato..da Starfleet- boccheggiò –L’Ambasciatore Spock..morto..Romulus..distrutto..-
Il pennino cadde, frantumando ripetutamente il silenzio.

 

***

 

 

Bianco, tutto bianco.
Il pavimento gli sfuggiva, non aveva presa sul mondo e sui muri, la realtà si disfaceva come fili su una tela millenaria. Sapeva di dover provare qualcosa, qualsiasi cosa, ma sentiva solo il bianco.
Un bianco infinito, una voragine cieca che dava su una luce pallida e spettrale, che non illuminava, ma rendeva le tenebre più buie.
Si sentiva inghiottire da quella marea vischiosa, da quel vuoto che gli si attaccava ai vestiti come il sangue rappreso, come braccia scheletriche che lo trascinavano con gemiti e pianti muti verso l’Abisso.
Se stava camminando o fosse fermo non avrebbe saputo dirlo.
Forse stava strisciando in quella melma candida, allungando le braccia per non essere sommerso, alla ricerca di un appiglio che non riusciva a trovare; il bianco gli impastava gli occhi, si incollava alle ciglia e alle palpebre, un velo lattiginoso e sporco che gli impediva la vista.
Scuotere il capo non serviva, sbattere le palpebre nemmeno, forse, forse cavandosi gli occhi, sì, forse allora, solo allora, il bianco se ne sarebbe andato. Avrebbe strappato via la cornea e il candore opaco che la ricopriva, avrebbe avanzato a tentoni nel buio, ma almeno il buio lo riconosceva, sapeva cosa fosse e non ne aveva paura, ma quel bianco, quel bianco pastoso e informe lo temeva più e peggio della morte, perché nella morte c’era solo il disfacimento, nel Nulla neanche quello.
Nel Nulla solo bianco, bianco infinito, bianco che preme, bianco che cancella..
In quel fiume di estremo candore, si avvicinò le mani al viso, si sfiorò la pelle accaldata, disegnò il contorno degli occhi, una, due, tre volte, dalle sopracciglia agli zigomi, dagli zigomi alle sopracciglia, poi sempre più vicino, sempre più vicino all’orbita, dove il bianco veniva risucchiato ed esplodeva con un gemito senza voce e si stendeva, si spandeva, ricopriva ogni cosa.
Sentì le unghie affondare nella carne e il sangue colare caldo dai tagli, ma non ne vide il colore. Doveva essere verde, sì, verde, intenso, scuro, brillante, ma no, no, anche il verde svaniva nel bianco, assorbito, inghiottito, scomposto in tante particelle, misere particelle di verde che scoppiavano come bolle, deboli nel candido, nel bianco, nel Nulla.

Tenente!
La voce di donna emerse longilinea come la sua figura, un bianco meno bianco, non nero, non un’ombra, solo un bagliore meno luminoso, non una sfumatura, non un colore, un semplice ripiegamento, un’ansa nel bianco curvo che lo sovrastava e lo schiacciava.
Tenente, stia fermo. Venga, venga la accompagno nei suoi alloggi.
Si mosse lento nel bianco, con una mano che gli teneva il polso.
Non sapeva dove stava andando. Nei suoi alloggi? Sì. No. Forse. Che importanza aveva? Nel bianco non c’erano contorni, non c’erano figure, non c’erano persone, non c’erano alloggi.
Lui era solo, solo nel candido bianco, e nessuno lo avrebbe salvato.
Anche il suo dolore era bianco.

 

***

Perrin strappò la gonna alle dita rinsecchite dei rami e poco mancò che cadesse; riuscì a mantenere l’equilibrio per pura fortuna, poi cadde in ginocchio, stremata dal caldo e dalla fatica.
L’Ambasciatrice sembrava sparita nel nulla: l’aveva lasciata per un momento e quando era rientrata nella stanza aveva trovato la finestra spalancata, il letto disfatto e il necessario per il viaggio verso la Terra gettato di malagrazia sul pavimento.
Dimentica dell’età e dei pericoli del deserto, Perrin era corsa dietro la Romulana, ma l’aveva persa di vista già da molto tempo.
Deglutì, la gola riarsa, e si rialzò a fatica, ondeggiando per la debolezza.
Camminò ancora e ancora e ancora, fino a quando il paesaggio non prese a rotearle davanti al viso e lei non cadde nel buio, priva di sensi.
Quando riaprì gli occhi, si accorse di essere in una delle rare e piccole oasi che punteggiavano la regione; si sedette sui ciuffi d’erba rossastra e il suo sguardo fu subito catturato dalla figura in piedi a pochi passi da lei, accanto ad una misera pozza d’acqua.
-Ambasciatrice!- ansimò Perrin, riconoscendola –Ma cosa..?-
La Romulana non diede segno di averla sentita; fece scivolare la mano sul fianco e scostò un lembo della veste, rivelando l’elsa lucente di un pugnale.
La donna sentì il respiro schiantarsi dolorosamente contro le costole e il cuore battere furioso contro il petto.
-Ambasciatrice!-
Quella non si voltò nemmeno, ma tese il braccio destro sopra lo specchio d’acqua e senza una parola, senza un gemito, conficcò il pugnale poco sopra il polso e lo trascinò fin quasi al gomito.
Il sangue smeraldo sbocciò dalla ferita e cominciò a gocciolare come pioggia nella pozza.
-Romulus non dimentica- sibilò la Romulana –Le lacrime dei Romulani non sono piante invano. Ora, la nostra morte contaminerà la vostra vita- strinse il pugno e il sangue colò più velocemente –Ciò che mio marito desiderava, io l’ho realizzato. Ora il sangue Romulano scorre nelle vene di Vulcano. Ma la sua speranza è divenuta maledizione-

 

***

Shral digitò talmente in fretta il codice di accesso, che le dita si intrecciarono tra loro e sbagliarono la combinazione; imprecò fra i denti, ma prima che potesse fare un altro tentativo, le porte si aprirono rivelando la figura del Primo Ufficiale.
-Comandante!- scattò Shral, con un salto all’indietro.
La donna lo squadrò con gli occhi color miele e disse solo
-Prenditi cura di lui. Stava per cavarsi gli occhi- e se ne andò.
L’Andoriano rimase agghiacciato per qualche secondo, poi entrò, titubante, nell’alloggio che divideva col Romulano; lui era lì, seduto sulla branda, lo sguardo perso nel vuoto, le labbra schiuse e le mani intrecciate, abbandonate sulle ginocchia.
-Vedo che ti hanno dimesso dall’Infermeria!- tentò Shral con un largo sorriso, ma l’altro non fece un movimento. Forse, nemmeno l’aveva sentito.
-D’accordo- mormorò l’Andoriano, sfregandosi la nuca e sedendosi accanto al compagno –Ne vuoi parlare?-
Il Romulano scosse la testa, ma almeno aveva dato un segno di vita.
-Hai pianto?-
Altro cenno di diniego.
-Hai urlato?-
Silenzio.
-Hai rotto qualcosa?-
Non un movimento.
-Ascolta..- Shral prese un respiro profondo e cominciò a strofinare le dita fra loro –Io non sono un Vulcaniano, non posso cancellare il tuo dolore, ma..posso aiutarti a..farlo uscire fuori- e senza aspettare una risposta, gli appoggiò la mano sulla spalla.
Il dolore lo investì come un pugno alla bocca dello stomaco e si piegò in due, gemendo, urlando, rantolando; il cuore schizzò contro il petto, si ruppe in mille pezzi, gli graffiò l’anima, si aggrappò alla gola, stridette, strappò le corde vocali, si tramutò in fuoco, in ghiaccio, in tuono, straripò, squarciò le vene, gonfiò i polmoni, li restrinse, tuonò, rombò, crollò nella mente, si schiantò contro le palpebre, caldo, bollente, intollerabile, e le lacrime, le lacrime morsero le palpebre, strapparono le ciglia, acide, acide e incandescenti, scavarono un solco sul viso, dagli occhi resi azzurri dai capillari esplosi, e alle lacrime si mischiò al sangue, sangue cobalto misto a lacrime pallide, solchi neri di dolore, un dolore a pezzi, muto, rabbioso.
Ma l’Andoriano non cedette, rimase lì, a piangere le lacrime del compagno, consapevole di non poter sopportare nemmeno la metà del dolore che l’altro provava, ma con la determinazione e il desiderio di cancellarne anche solo un frammento.
Gridò, gridò e urlò.
Un unico, folle gemito.
Freddo.
Infranto.

 

 

 

 

 

 

1Si tratta de Il naufragio della Speranza di Friedrich. Ringrazio la mia grandiosa prof di Arte che spiega da Dio e su questo pittore ci ha fatto una lezione fantastica!
2”Genesi” in Vulcaniano. Devo dire altro? XD
3 La Sonda è quella del quarto film, “The Voyage Home" 

 

 

Diario di Nemeryal, Data Astrale: 64424.2
Ecco a voi un altro capitolo! Nulla da dire a riguardo, tranne che il titolo è preso da un verso della canzone di sottofondo ^^ Cui richiamano anche le due parole finali.
Altamente inutile a prima vista, ma so cosa ho nascosto dentro *ghigna*

 

Risposta alle Recensioni!

 
Thiliol:
In effetti, eri da secoli che non aggiornavo! Chiedo venia XD Oh, poter dare del “bischero” a Spock è un’esperienza impagabile! Poi lui non l’avrà apprezzata, ma questi son dettagli su cui possiamo sorvolare!
Grazie mille! ^W^

 

Persefone Fuxia: Povero piccolo Sarek, lo manderemo da..Freud! Oui! Lo mandiamo dal padre della piSSicanalisi, poi vediamo come reagisce XD Sì, nu!Kirk è leggermente, ma solo leggermente, bada! Sbarellato..e così ci sarà mai stato/c’è ancora tra il nostro Spocky-pooh e il toscanaccio? Bah..muahahahaha!
Sono contenta che ti sia piaciuta!
Grazie!

 
Ringrazio Thiliol, BitterSweetSymphony, SpockMc, Persefone Fuxia e Lady Amber per aver commentato “Da Molto Tempo” e BitterSweetSymphony per averla inserita fra le preferite!

 

Alla Prossima!
Tai Nasha No Karosha!

   
 
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