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Autore: Losth    29/11/2005    2 recensioni
Muto e debole il bianco fiore, tra le dita che lo sfiorano, attende, nell'aria scura di una notte immatura...
Genere: Fantasy, Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lentamente, si scioglie l'aria. Dall'orizzonte, così lontano, s'avvicina... la Notte, scura, arriva, camminando con quel passo cullante, da regina. Un balcone, così lontano dall'orizzonte, e un paio di occhi cupi, rivolti senza altra espressione, che quella vagamente trasognata, al cielo che dimentica quel viola tanto magnetico, che lascia il posto al buio.
Buio che contrasta con la rosa bianca e debole con cui le sue dita giocano, ignorando che le spine possono ferire. Alla fine, cosa importa? -è un rischio che si può correre per accarezzare quei petali che paiono esser stati creati dallo stesso colore della linfa degli infanti. Della stessa delicatezza, difesa da ciò che fa sgorgare il sangue.
...sangue che non serve più.
A che serve aver le labbra rosse e le gote deliziosamente fiorite, sul volto di fanciulla, se non si può attribuire quello splendore all'amore? Cosa ne resterebbe di quella vanità? Qualcosa che non sarebbe riuscita a vedere. Qualcosa di nero, che si confondeva con il buio della notte... cosa potevano sperare di vederne nell'anima, quegli occhi senza rugiada? Neppure la rosa, così cangiante nell'aria già notturna, era più di un alone soffice. Rimaneva solo il suo tocco, il tocco delle dita, le foglie che sfioravano il palmo, il fusto quasi svenevole che pareva fatto della seta più molle. Solo questo.
Solo questo... di tutta la felicità del mondo. Sparita.

Cosa poteva mai essere una lacrima, ora?

La rosa era debole, come un fanciullo svenuto, ma era ancora intatta, in quella bellezza così fragile che si sarebbe detta già sfiorita. Lei era così, e così il suo cuore... non si era spezzato nulla, al tocco degli eventi. Solo una bara sottile come un petalo aveva cristallizzato la sua essenza, rendendola opaca, nascosta, e assolutamente debole e incorruttibile. Neppure la sua stella, neppure un suo raggio, sarebbe riuscito più a rompere quel velo, ad attraversalo, e a rimirare l'essenza racchiusa -anche perché vi avrebbe scovato solamente il suo stesso riflesso, imprigionato da rovi, rovi di rosa quasi avvizziti e fatali.

Cos'era una lacrima adesso... due lacrime... milioni di frammenti di dolore scivolati via dagli occhi...

Niente. Facevano parte dell'aria, come il suo respiro, si perdevano nella notte come se fossero stati sogni. Cominciò a piangere, con delicatezza che neppure il suono dell'arpa di un serafino avrebbe potuto eguagliare in dolcezza, abbassando lo sguardo, osservando la sua rosa, immobile tra le mani pallide.

Pallide come la sensazione di gelo -come contrastavano con il candore niveo della rosa.

Era una rosa che aveva rubato dall’acqua pura del fiume –e l’acqua, derubata di uno di quei mille frammenti di cui era stata addobbata per piangere la fine di tutto, si era vendicata, donando a quella stessa mano il suo gelo. Delicato, limpido, tagliente.

Erano mille frammenti, quelli che il Re volle che fossero abbandonati in balie delle acque, tutti quelli su cui lei avrebbe camminato se tutto non fosse successo; avrebbe camminato a piedi nudi sui petali di mille rose, bianche come la sua purezza, verso di lui. Lui era lì, anche ora, che l’aspettava; appoggiata la bella nuca al guanciale, foderato da quello che sarebbe stato il velo della sua sposa, attendeva, dormendo il sonno di tutti i sogni, attendeva l’eternità. E attendeva anche lei. Lei che guarda l’orizzonte, finendo di sussurrare il suo dolore al vento che non c’era, accarezzando la rosa.

La rosa bianca che sfioriva; l’appoggiò al suo petto, con un gesto patetico, come una madre che porta sul suo seno il figliolo troppo malato, per l’ultima volta.

Un petalo volò via da quell’abbracciò, allontanandosi, lentamente, come se non volesse veramente seguire il vento. E forse non lo seguiva: un’altra voce, più dolce, più bassa e serena, lo chiamava verso quel nero, che non era tempesta. Forse… forse sì, era solo sonno; il sonno che anche lei attendeva.

Alzò lo sguardo, sopra il nero, ancora più su: una piccola stella brillava ancora, verso di lei; un ultimo barlume di veglia. Una carezza di brezza l’accarezzò allora, spostando appena i capelli lungo le gote, sollevando i bei nastri del suo abito, e chiamando la rosa ormai addormentata e debole a sé. Ma lei guardava la stella, e il suo bagliore che sembrò indebolirsi per un attimo, prima di tornare a splendere. Allora sorride, con gli occhi, e lasciò la sua rosa libera di volare, lanciandola su, verso la stella, verso il suo vento che l’avrebbe condotta al sogno che aspettava per lasciar andare il suo splendore, che ancora stringeva a sé debolmente. La stella sorrise ancora, e lei capì che ora il riposo sarebbe arrivato anche da lei.

E lo attese, mentre la stella scompariva nel buio, serena, chiudendo gli occhi e vedendo solo il suo sogno.

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