L’Avana, Cuba, 1977
Agosto
Isabella aveva ottenuto dalla madre
il permesso di fare un giro da sola per il quartiere, nonostante la poca
conoscenza della lingua da parte della ragazza e l’eccessiva apprensione di
Katie nei confronti della figlia. In più di un’occasione, Isabella si era
mostrata entusiasta di Cuba, e aveva sostenuto la zia nel definire L’Avana una
città meravigliosa, quasi magica. C’era qualcosa, nel clima, nell’aria, nella
gente, che la faceva sentire bene, quasi a casa. Da quando era a Cuba, Isabella
aveva avuto sempre più difficoltà nell’immaginarsi rinchiusa in un freddo
college del Nord, infagottata in una stupida e grigia divisa, attenta alle
noiose lezioni di qualche vecchio e barboso docente. Da quando era a Cuba,
Isabella aveva iniziato a pensare che forse, andare all’università poteva non
essere la cosa più giusta per lei.
Si era fermata ad osservare un
gruppetto di musicisti di strada, rapita dalla loro musica. Lucy le aveva detto
che quella era un’altra tradizione che non si era persa nel tempo, anche se
fino a vent’anni prima la maggior parte delle canzoni trattava di politica, e
si poteva finire in carcere già solo per essersi fermati ad ascoltare. Improvvisamente,
si ritrovò a dondolarsi al ritmo dell’esigua orchestra, mentre una voce a lei
familiare attirava la sua attenzione. “Ti piace questa musica, americana?”
Isabella si voltò, sorridente. “Se
solo capissi quello che dice la canzone…”
Ricardo Suarez si avvicinò alla
ringhiera in ferro alla quale lei si era appoggiata, e si sistemò accanto a
lei. “E’ molto semplice: un uomo molto innamorato di sua moglie le dice tutti i
motivi per cui stanno ancora insieme dopo tanti anni.”
“Sembra bella.”
“Lo è. Non conosci lo spagnolo?”
Isabella scosse la testa. “Non bene
come zia Lucy.”
“Siete a Cuba in vacanza?”
“Sì.
Abbiamo ancora due settimane. A settembre inizierò il college.”
“Sembra interessante.”
Isabella non rispose subito,
cercando di aggirare la domanda. “Come fai a conoscere così bene l’inglese?”
“Me lo ha insegnato zio Javier.”
“Gli vuoi molto bene, vero? Si vede
che siete molto legati.”
“Mi ha cresciuto lui, da solo.”
“E i tuoi genitori?”
“Mia madre è morta quando ero molto
piccolo. Mio padre non l’ho mai conosciuto. Beh, in realtà Javier non è nemmeno
mio zio.”
“Non… non credo di capire.”
“Mia madre fece credere a Carlos, il
fratello maggiore di Javier, di essere mio padre. Così andammo a vivere con la
sua famiglia. Quando Carlos morì, mia madre disse la verità a Javier. Non era
Carlos Suarez mio padre. Ma nonostante questo, Javier disse che si era
affezionato a me, e quindi decise di adottarmi quando rimasi solo.”
“Sembra un uomo buono.”
“Lo è. Ma ha sofferto tanto. Suo padre
fu ucciso perché lo sospettavano di essere un castrista. In realtà il ribelle
era Carlos, ma la polizia di Batista non poteva saperlo.”
“E poi, che è successo?”
“A vent’anni, incontrò la donna
della sua vita, e tutto sembrava andare per il verso giusto. Erano entrambi
molto giovani, ma sapevano di amarsi. Ma la famiglia di lei non voleva che si
frequentassero. Loro non si fecero… come si dice? Mettere le lance…”
“Mettere i bastoni tra le ruote?”
“Esatto. Non si fecero mettere i
bastoni tra le ruote, e continuarono a frequentarsi. Ma poi scoppiò la
rivoluzione, Castro salì al potere e cacciò tutti gli americani dall’isola.”
“Lei era americana?”
Ricardo annuì. “Non l’ha più
rivista, da allora.”
“Non l’ha più rivista?”
Ricardo scosse la testa. “E non si è
più innamorato.”
“Non è possibile.”
“Lo giuro sul mio onore. Quasi ogni
sera va alla Rosa Negra e balla. Balla per dimenticare, o forse per ricordare. Non
lo so. Balla con tutte le donne del locale, ma non si innamora mai.” Il ragazzo
fece una pausa, mentre l’orchestra cambiava ritmo. “Ma non parliamo più di cose
tristi, va bene?”
Isabella annuì, senza riuscire a
staccare gli occhi dal profilo del ragazzo.
“Ti è piaciuta la Rosa Negra?”
domandò lui, voltandosi improvvisamente verso di lei.
“Molto” rispose in fretta lei, distogliendo
lo sguardo. “E non riesco a credere che ci andasse anche mia madre.”
Il ragazzo rise, immediatamente
imitato da lei.
“Io ci vado spesso, con Javier. È uno
dei posti più belli del mondo. Stasera sarò lì. Ti vedrò?”
“Non lo so. È un invito?” domandò
Isabella, tornando a guardarlo.
Ricardo fece spallucce.
“Beh, io… ci proverò.”
“Ti aspetterò” ribatté lui,
staccandosi dalla ringhiera. “Adesso devo andare. A stasera” concluse,
posandole un bacio leggero su una guancia.
Isabella si sentì avvampare, ma per
fortuna lui si stava già allontanando. Sorrise, pensando che sarebbe stato
semplice convincere Lucy.