Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Segui la storia  |       
Autore: _Pulse_    04/12/2010    3 recensioni
{Sequel de "Il sogno di un sogno" e "Il sogno di un sogno: Behind the scenes"!!!}
«Bill, io non vedevo l’ora di dare ad Ary ciò che non ha mai avuto veramente. Hai visto come guardava Stefan e Alex? Sarà una mamma e una moglie perfetta, come mi ha promesso.»
Mi girai sulla sua gamba e strinsi tra i pugni il bordo della sua maglietta per fargli vedere il mio sorriso felice e realizzato.
Genere: Generale, Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Sogno che è Realtà'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

I hear the ticking of the clock
I’m lying here the room’s pitch dark
I wonder where you are tonight
No answer on the telephone
And the night goes by so very slow
Oh, I hope that it won’t end though
Alone

(Alone – Celine Dion)

 


Capitolo 21
Alone

 

Sharon arrivò a casa e, inaspettatamente, fra quelle mura a cui non era ancora abituata, si sentì piena di energie. Andò in cucina per mangiare qualcosa, seguita con lo sguardo da suo padre, e si mise al tavolo con suo zio a fare colazione.

Tom la guardò per qualche secondo, poi sorrise e si lasciò andare ad una fragorosa risata, che stordì Sharon. Andava bene che era piene di energie, ma certe cose di prima mattina non le capiva proprio, come le risate insensate di suo zio.

«Perché ridi, zio?», chiese.

«Hai scritto in faccia: Sono innamoratissima e questa notte ho fatto sesso con Nicolas!»

Sharon arrossì e lasciò sul tavolo la propria tazza di latte, presa in contropiede.

«Si nota così tanto?», sussurrò imbarazzata.

«Abbastanza», annuì sorridendo.

«Sharon…» Tom si guardò intorno e dopo essersi accertato che Bill non fosse nei paraggi, si sporse sul tavolo e le indicò di avvicinarsi. Un po’ titubante, Sharon si avvicinò a lui e parlarono a bassa voce, occhi negli occhi, anche se lui la metteva un po’ in soggezione, visto che aveva gli occhi identici a quelli di suo padre. «Tu e Nicolas… usate tutte le precauzioni, vero?»

«Sì… Ma-ma… perché me lo chiedi?»

«Con Bill non ne hai mai parlato seriamente, no? Sono cose che devi sapere, anche per il tuo stesso bene.»

«O-ok.»

«Non essere imbarazzata, è una cosa normale.»

«Ma mi imbarazzo lo stesso», si portò le mani sulle guance rosse, sorridendo leggermente.

«Sai che se ci dovessero essere dei problemi, di qualsiasi tipo, potrai benissimo venire da noi a parlarne, vero?»

«Sì, mamma me l’ha detto.»

«Bene!», le fece un ampio sorriso e le scompigliò i capelli sulla testa affettuosamente, per poi tornare al suo caffè.

Alex entrò canticchiando in cucina, una maglietta arancione e un paio di jeans stretti a vita bassa, scarpe a collo alto tipo giocatore di basket ma con più stile.

«Buon giorno», salutò pimpante, dando un bacio sulla guancia a sua cugina.

«Ah!», disse Tom, facendo spaventare entrambi, che si girarono verso di lui. «Anche tu, Alex, vedi di usare la testa che non voglio ritrovarmi già nonno.»

«Stai tranquillo papà!»

«Bravo figliolo.»

«Figliolo a nessuno!», disse quasi scandalizzato. «Questi termini arcaici li puoi usare solo con mamma e io non ci devo essere.»

«Come preferisci, figliolo

Si guardarono e scoppiarono a ridere, proprio mentre Stefan e Sarah, lei in una tenerissima salopette e maglietta blu, facevano capolino in cucina con me dietro, i capelli tenuti raccolti sulla nuca da un mollettone.

«Ciao papà!», salutò lei, pretendendo di salire sulle sue gambe, arrampicandosi sulla sedia come una scimmia.

«Ciao piccola!»

«Oggi vieni all’asilo con me, vero?», gli chiese con gli occhi luccicanti.

«Perché dovrei?» Bastò un’occhiataccia da parte mia per fargli tornare la memoria. «Oh, sì! Oggi devo venire all’asilo con te perché il papà di ogni bambino deve presentare il proprio lavoro!»

«Sicuro di voler andare?», gli chiesi, prima di bere dalla mia tazza.

«Sì, sì, perché no?»

«Allora ricordati la chitarra.»

«Devo dare pure la dimostrazione di saper fare il mio lavoro?»

«Sì papà, ti prego! Dai, dai! Suona!», saltellò Sarah sulle sue gambe, già tutta emozionata.

«Ok, ok, frena l’entusiasmo!», le disse sorridendo, baciandola ancora sulla sua guancia, stringendola al petto.

«Ragazzi, set fotografico nel pomeriggio!», gridò Bill dal salotto, il telefono ancora in mano dopo una chiamata di Gustav.

«Oh, no…», mugugnò Stefan con una delle sue facce da finto depresso, lasciandosi cadere su una sedia. «Perché?»

«Ci dev’essere un perché?», chiese Bill.
La sua frase epica per spiegare che alcune cose, anche se non avevano voglia di farle, dovevano essere fatte per forza, senza lamentarsi né discutere.

Stefan sospirò, coprendosi il viso con le mani, rifiutando pure l’avanzo di colazione di Alex, il che era molto strano.

«Da quant’è che non senti Michelle?», gli chiesi.

«Non mi ricordo.»

«Dovrai parlarci prima o poi.»

«Più tardi è, meglio è.»

«Come vuoi tu, ma non potrai fuggire per sempre. Prenditi le tue responsabilità: se è il sesso che ti manca, diglielo, credo che capirà.»

«Non capisce e non capirà mai», sentenziò nervoso, guardandomi con la coda dell’occhio.

«Aspettate un secondo!», disse Tom, alzando la mano ed ottenendo la nostra attenzione. «Tu e Michelle vi siete lasciati?»

«No, solo che… sono andato a letto con un’altra.»

«Pure tu?», chiese ironicamente Tom, nascondendo un po’ di delusione.

«Dimmelo pure che sono stupido.»

«Sei stupido, Stefan. Ma che vi prende a voi due?! Va bene che state crescendo e tutto, ma tutti e due avete tradito la vostra ragazza! Cos’è, un virus? Adesso pure Sharon tradirà Nicolas?»

«Oh!», gridò Sharon, unendo le braccia al petto.

«Non volevo dire nulla di offensivo, Sharon. Solo che… non capisco! Non vi ho mai insegnato di fare così!»

«Sono cose che succedono, Tom», dissi.

«Non li difendere, Ary, sono grandi ormai. E poi anche tu la pensi come me.»

«Sì, ma ormai è inutile rimproverarli. Hai visto anche tu che Alex ha capito il suo errore, adesso spero solo che anche Stefan…»

«Gli errori non sono solo miei», disse lui a sua difesa.

«Tu hai tradito Michelle, fino a prova contraria», continuò duro Tom, con uno sguardo talmente severo da spaventare Sarah, che si rifugiò fra le mie braccia.

«Sì, ma Michelle…»

«Michelle ha solo un’idea diversa dalla tua. E se tu non sei in grado di accettare una sua scelta è un problema tuo, solamente tuo.»

«Hai ragione, è vero.»

«Io non voglio dire che sei una persona cattiva e che ha dei problemi nell’accettare le idee altrui, però questa volta… hai sbagliato.»

«Sì, è vero.»

«Non per questo devi sminuire il tuo valore come persona, perché vali davvero, io so che vali e che hai una testa per ragionare e per fare le scelte giuste.»

«Grazie», mormorò prima di alzarsi e andare di sopra.

«A che ora è il set fotografico?», chiese a suo zio quando fu di nuovo giù, con lo zaino su una spalla.

«Alle quattro.»

«Ok, ci sarò.»

Salutò distrattamente, per poi chiudersi la porta alle spalle e scendere le scale in silenzio, evitando apposta l’ascensore: doveva scaricarsi perché aveva davvero sbagliato di grosso e non poteva più tornare indietro.

 

***

 

Tom e Sarah cantavano Wir sterben niemals aus in macchina, mentre facevano la strada per raggiungere Bill e i ragazzi al set fotografico.

Sua figlia era un portento, una bambina che oltre ad essere bellissima era anche molto intelligente ed acuta per la sua età: tutta uguale a sua madre.

Tom sorrise e scosse la testa al suo pensiero, poi venne travolto ancora dalla sua voce che cantava: «Wir bleiben immer, schreiben uns in die Ewigkeit. Ich weiß das immer, irgendwo was bleibt.»

Quella mattina con Stefan era stato duro, ma sapeva di aver fatto la cosa giusta: a volte qualche litigata costruttiva ci voleva; anche coi suoi figli che comunque avevano la testa sulle spalle, molto di più rispetto a quella che aveva lui alla loro età.

Era molto soddisfatto del nostro lavoro di genitori e si era reso conto, durante quella giornata, che avevamo fatto davvero un bel lavoro a crescere ed educare i nostri figli, anche se a volte sbagliavano.

Aveva visto genitori, dei papà soprattutto, all’asilo di Sarah, che erano degli incapaci e che appena vedevano il loro bambino piangere si lasciavano prendere dal panico.

A lui era successo solo una volta, quando ancora non aveva escogitato la sua tecnica segreta, cioè il gioco di chi riusciva a non distogliere lo sguardo dagli occhi dell’altro. E funzionava sempre, perché sia Stefan che Alex (con Sarah non era nemmeno servito fino ad allora) smettevano subito di piangere. Senza contare che lui aveva quella dote che io non avevo mai avuto, cioè quella di renderli docili, prevalentemente da piccoli, con l’uso della voce.

Guardò Sarah nello specchietto retrovisore e sorrise incrociando il suo sguardo, sveglio ed attento a tutto quello che le succedeva attorno.

«A cosa stai pensando, papà?», gli chiese allegra. «Non canti più.»

«Stavo pensando… Sono bravo come papà?»

«Sì, sei il papà migliore del mondo!»

«E quanto mi vuoi bene?»

«Tanto così!», allargò le braccia più che poteva, per indicare la quantità enorme del bene che gli voleva.

«Anche io te ne voglio tanto, piccola mia.»

«Sei stato bravissimo a suonare!»

«Grazie. Però tu potevi anche evitare di vantarti in quel modo, mi sono trovato contro tutti gli altri papà!»

«Io posso vantarmi! Non tutti hanno un papà speciale come te!»

«Grazie, amore!» Tutte quelle lusinghe lo mandavano fuori di testa.

«Ma perché oggi ti sei arrabbiato con Stefan?», gli chiese cambiando discorso.

«Perché non si è comportato bene con Michelle.»

«E cosa ha fatto?»

«Eh… bella domanda. Diciamo che si è visto con un’altra ragazza, cosa che non doveva fare.»

«Oh… Ma poi fate la pace, vero?»

«Chi, io e lui? Ma certo!»

«Ah, menomale. Non mi piace quando litigate.»

«Lo so, ma a volte serve. Bene, siamo arrivati.»

«Posso fare anche io le foto?»

«Vedremo», ridacchiò.

Scese dalla macchina e la prese il braccio, coccolandosela tutta: quegli erano gli ultimi momenti in cui stavano insieme, dopo sarebbe stata sicuramente rapita da qualcuno, se non da sua cugina o dai suoi fratelli, da Bill, quindi era meglio tenersela stretta finché l’aveva.

Appena entrarono nella villa ottocentesca in cui i Devilish stavano facendo le foto per l’album che sarebbe uscito a breve, videro Krista in forma smagliante, vestita in modo impeccabile, ma mai come Sharon che aveva un vestito stile principessina del rock, nero e rosso con orli di pizzo e lacci dietro la schiena, e degli anfibi di pelle con le borchie argentate.

«Ciao Krista!», la salutarono assieme. Krista sorrise e baciò la piccola su una guancia.

«Ciao! Scappo perché non ne posso più, ho bisogno di una pausa!»

Lei aveva fatto abbastanza, ora stavano fotografando Sharon, la diva del gruppo, bella quanto i suoi cugini con il fascino degli angeli. Lei era lo sfondo, scuro e misterioso. Ma le piaceva così, era proprio una batterista nata lei, non si perdeva per quelle cose.

Si diresse verso l’uscita ed incontrò Michelle che si guardava intorno titubante. Sentiva che sarebbe successo qualcosa, aveva come un presentimento negativo.

«Ciao Michelle», la salutò.

«Oh, ciao Krista.»

«Che ci fai da queste parti?»

«Ehm… devo parlare con Stefan…», abbassò lo sguardo triste.

«Problemi?»

Michelle non rispose, ma a quel punto non serviva nemmeno: la risposta era così chiara che non c’erano bisogno di parole.

«Senti, ma tu e Alex…», disse invece, un po’ imbarazzata, unendo le mani sulla gonna abbinata al dolcevita marrone che portava. «Cioè… avete già…»

«Oh, quello! Sì, ovviamente», sorrise.

Krista si volle tirare un ceffone in fronte: cosa voleva dire ovviamente? Non era ovvio che una ragazza della sua età facesse già sesso. E soprattutto non doveva dire così ad una che credeva fortemente nel sesso dopo il matrimonio.

«Intendevo dire che noi ci amiamo, penso, e quindi… perché no?»

«Ma come fai a sapere che vi amate davvero?»

«Michelle, non c’è bisogno di un matrimonio per sapere se si ama una persona e per farci l’amore.» Si morse la lingua. Ma sarebbe riuscita a dire una cosa giusta e in un certo modo giusto? «Io non voglio offenderti, so quello che pensi e non sto dicendo che è sbagliato credere in una cosa, però forse… è un po’ troppo esagerato per dei ragazzi della nostra età», tentò di salvare, ma sapeva che non sarebbe servito a nulla.

Era già un miracolo che fossero lì a parlare, di solito non lo facevano mai. Per forza, erano l’una l’opposto dell’altra: la scura e la chiara, ma non per forza la sbagliata e la giusta.

«Va bene, io allora… andrei. Ciao Krista.»

«Ciao Michelle.»

Ed ognuna andò per la sua strada. Michelle continuò a camminare per il grande corridoio fino ad arrivare alla sala in cui stavano facendo il set fotografico.

Vide subito Stefan, bellissimo come sempre, mentre faceva una posa da irraggiungibile e meraviglioso condannato, con un’espressione malinconica e persa su un punto non ben definito alla sua destra, i capelli biondi che gli sfioravano la fronte perché non li aveva alzati quella mattina.

«Stefan, sei perfetto!», disse il fotografo complimentandosi, e lui ritornò in se stesso, ma un po’ di quella tristezza negli occhi gli rimase.

«Stefan», lo chiamò avvicinandosi.

«Michelle, che ci fai tu qui?», chiese sorpreso, abbandonando anche quella minima traccia di sorriso dal viso. Quel momento era arrivato, ed era troppo presto, ma se proprio doveva andare così, l’avrebbe accettato.

«Dovresti saperlo, però.»

«È probabile che io lo sappia», annuì sconsolato. «Dai, andiamo di là.»

La condusse nella sala accanto, si misero seduti sugli scalini ricoperti da moquette rossa di una grandissima scalinata di marmo con tanto di corrimano dorato, e rimasero per un attimo in silenzio, poi lei tirò fuori dalla borsa un giornalino che Stefan associò ad uno che leggeva spesso la sorella della sua ragazza. Michelle cercò una pagina precisa e poi glielo sbattè sulle gambe.

«Oh, perfetto», mormorò Stefan, osservando con attenzione le foto che lo ritraevano con Celeste, sulla soglia del portone del suo palazzo, abbracciati e che si baciavano. Era stato uno stupido a svalutare la potenza dei paparazzi: non voleva che lo scoprisse in quel modo.

«L’ha visto mia sorella», disse Michelle. «Non volevo crederci quando me l’ha detto, ma le foto lo dimostrano, Stefan.»

«Mi dispiace, Michelle.»

«Di cosa ti dispiace?»

«Mi dispiace che tu l’abbia saputo in questo modo.»

«Il bello è che io non so proprio niente, e non so se mi va di saperlo.»

«Ci sono andato a letto», ammise, seppure a testa bassa, le mani unite con i gomiti sulle ginocchia.

«Tu… tu ci sei andato a letto?», sussurrò incredula.

«Proprio così.»

«Quindi, non ti dispiace averlo fatto? Ti dispiace solo che io l’abbia saputo così! Oh, sì, che cavaliere che sei!»

«Michelle, non fare così.»

«E cosa dovrei fare, scusa?! Dirti che sei stato bravo, per caso?!»

«No, però… Insomma, non saremmo qui se ti fossi lasciata andare a quello che sentivi!»

«Non mi sono lasciata andare perché credo in quello che penso, non faccio ciò in cui non credo!»

«Questo significa che non credi in noi, nel nostro amore? Io ci credevo, ora… non lo so.»

«Non è possibile, dovrei essere io quella arrabbiata, invece hai girato la frittata dalla tua parte!»

«Michelle, abbiamo sbagliato tutti e due. Se vuoi chiuderla qui è… ok.»

«Tu non vedevi l’ora di chiuderla con quella che non vuole fare sesso, ti rovina la reputazione! Bello stronzo.»

«Ma che reputazione, Michelle!», si alzò in piedi e si mise di fronte a lei. «Sono cose che ti stai inventando adesso, perché non me ne fotte un cazzo della reputazione! Ma ti rendi conto di quello che… è demoralizzante, soprattutto per me, va bene, però sentirsi dire sempre che non vuoi fare sesso con me è… demoralizzante, perché non credi in noi!»

«Non è che non credo in noi, anzi, ci credevo più di quello che pensi, solo che pure per me è demoralizzante sentirsi sempre dire che la mia è un’idea assurda, vuol dire che non credi a noi in un futuro! E se non sai aspettare, allora… addio Stefan.»

«Addio Michelle, trovati il tuo principe azzurro, spero lo troverai presto. E spero vi sposerete presto.»

«Vaffanculo Stefan!», gridò quasi in lacrime.

Si sentì una vera merda guardandola andare via di corsa, ferita e delusa da quell’amore che credeva potesse durare davvero.

Stefan tornò nell’altra sala per vedere se dovevano fare qualche altro scatto, ma quello che trovò furono solo gli sguardi di tutti addosso.

«Stefan…», disse Sharon, ma lui la fermò al nascere, con un gesto della mano.

«Abbiamo finito qui?», chiese a Gustav, che annuì docilmente. «Ok, io me ne vado a casa.»

Prima di uscire incontrò lo sguardo di suo padre e abbassò la testa, deluso da se stesso più che altro. Non ne faceva mai una giusta: perché lui non riusciva a sentirsi importante per suo padre, tanto da renderlo orgoglioso?

Prese la giacca e se ne andò, né più e né meno, come doveva essere. Lui non aveva bisogno di consolazioni, ma si ritrovò con diverse gocce salate sul viso mentre camminava per la strada per ritornare a casa, da solo.

_________________________________

Buonaseraaa (:
Mi scuso enormemente per il ritardo con tutte le persone che aspettavano con impazienza questo capitolo.
Spero che sia stato di vostro gradimento!
Ringrazio di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo, ossia Tokietta86 xD Grazie mille **
Alla prossima, un bacio!
Vostra,
_Pulse_
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: _Pulse_