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Autore: Strega_Mogana    30/11/2005    2 recensioni
Un'unione tra magia e Sailor Moon...
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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Silenzio… attorno a lui solo silenzio e buio, non sapeva dove fosse e non vedeva niente.

Solo buio.

Si guardò attorno, disorientato, vagamente intimorito... attorno al lui: il nulla.

- Dove sono? – pensò l’uomo guardando il nero che l’avvolgeva – Sono forse morto?

Un brillio lontano catturò la sua attenzione, una piccola stella argentata brillava in lontananza perforando le tenebre in cui era precipitato.

Non aveva altra scelta... doveva capire dov’era.

Iniziò a camminare verso quella stella.

E, più camminava, più quella luce gli dava una speranza nel cuore, lo scaldava, lo liberava dal dolore delle sue membra ferite e sanguinanti.

- Indicami la strada...- mormorò con un sorriso – stella che brilli così lontano... indicami la strada.

Ma, improvvisamente, la luce iniziò ad affievolirsi... come se si stesse allontanando.

- No... – mormorò l’uomo iniziando a tremare e sudare freddo – no...- camminò più veloce cercando di non farsela scappare, di raggiungerla. Ma, più correva, più la stella si allontanava e quasi poteva sentirla ridere di lui, della sua ingenuità.

I piedi divennero pesanti da sollevare, come se fossero di piombo... più correva più faceva fatica, e più faceva fatica più voleva raggiungere quella stella, la sua unica fonte di salvezza da quel buio totale.

Le gambe gli cedettero facendolo cadere in ginocchio mentre la luca si spegneva del tutto lasciandolo, nuovamente, solo e al buio.

Chiuse gli occhi e cercò di riprendere fiato... quella corsa l’aveva stremato... si sentiva così dannatamente debole...

All'improvviso qualcosa l’afferrò alle gambe, l’uomo cercò di alzarsi ma quella morsa bollente non voleva lasciarlo andare, guardò a terra e vide delle lingue di fuoco uscire dal terreno e avvolgerlo intrappolandolo. Iniziò a dimenarsi nel tentativo di liberasi ma, più si muoveva, più quelle catene di fuoco lo immobilizzavano al terreno bruciandogli la pelle.

Urlò mentre vedeva una fiamma più alta delle altre avvicinarsi a lui quasi come se fosse viva ed entrare nel suo corpo tramite la bocca.

Un calore insopportabile gli esplose dentro, si sentiva morire... gli sembrava che i suoi organi si fossero sciolti e trasformati in lava incandescente.

Avrebbe preferito morire piuttosto che continuare quella tortura.

 

***

 

La porta della camera da letto si spalancò, l’uomo disteso tra le coperte di cotone si agitava nel sonno.

Urlava e si dimenava come se lo stessero torturando.

Gli posò una mano sulla fronte ma la ritrasse immediatamente... scottava, aveva la febbre molto alta.

Velocemente prese un catino con dell’acqua gelata e delle pezze pulite.

Iniziò a bagnargli lentamente il viso, era molto caldo, delirava, a tratti urlava addirittura... probabilmente stava facendo un orribile incubo.

Mentre passava la pezza bagnata sul suo viso si fermò a contemplare i lineamenti duri che aveva il volto di quel ragazzo.

Non doveva avere molti anni in più di lei, eppure era così malridotto... gli aveva curato le varie ferite ma, nel togliergli i vestiti zuppi, aveva notato altre vecchie cicatrici, sulla schiena, sulle braccia, senza contare gli ematomi sparsi per il corpo. Fortunatamente lei sapeva come curarlo, lo aveva lavato alla bene e meglio, aveva fatto degli impacchi sulle ferite, le aveva bendate e ora aspettava il suo risveglio.

Gli passò la pezza sugli occhi serrati... li aveva appena intravisti quando l’aveva incontrato nel vicolo. Erano neri, penetranti, erano stati proprio quegl’occhi a convincerla che, portare in casa uno sconosciuto ferito da chissà quale rissa, non fosse una cosa sbagliata.

Inzuppò la pezza di nuovo e tornò ad osservarlo, era un bel ragazzo, alto almeno venti centimetri più di lei, moro, sembrava un uomo forte, molto combattivo eppure in quel frangete anche molto debole e fragile.

Chissà cosa gli era successo?

Ci vollero altre due ore prima che la febbre calasse, due ore dove aveva pazientemente vegliato al suo capezzale, doveva aveva cercato di curarlo, dove si era preoccupata per quel ragazzo di cui non sapeva neppure il nome.

Quando smise di delirare e di muoversi tra le lenzuola, tirò un sospiro di sollievo: il peggio era passato.

 

***

Pace.

Era questo quello che sentiva: una gran pace.

Non si sentiva così tranquillo da parecchio tempo, il suo corpo non gli doleva più, un tessuto fresco e profumato lo avvolgeva, un giaciglio confortevole sosteneva il suo peso.

Tutt’attorno silenzio e calma... una calma quasi irreale...

Una brezza calda gli sfiorò il viso, sentiva i cinguettii degli uccellini da qualche parte e un vago profumo di spezie ed oli.

Forse era morto...

Aprì lentamente le pesanti palpebre, gli ci volle qualche secondo per mettere a fuoco il posto dove si trovava.

Era in una camera da letto, piuttosto spoglia, c’era un grande armadio a dieci ante che copriva l’intera parete alla sua destra, il letto era matrimoniale, a baldacchino, attorno a lui c’erano tende bianche, talmente leggere da sembrare fatte d’aria, la finestra era sulla parere davanti, le gelosie di legno chiuse lasciando entrare solo qualche spiraglio di luce avvolgendo la stanza in una piacevole penombra, proprio lì accanto c’era uno scrittoio in legno di mogano scuro e due mensole.

Tutta la mobilia aveva l’aria si esser molto antica e preziosa.

Cercò di alzarsi, la pezza che aveva sulla fronte gli cadde sulle gambe, era ancora umida.

L’uomo la prese in mano e la guardò... qualcuno lo stava curando.

Osservò il suo corpo, le ferite erano state pulite e bendate, indossava un pigiama nero di seta che non era suo, sul comodino accanto c’era un mortaio di pietra bianco e qualche sacchetto di velluto dai vari colori.

Spostò le lenzuola di cotone blu e mise un piede a terra quando la porta della stanza si aprì.

Rimase a bocca aperta.

Una bella ragazza stava entrando... era molto giovane, probabilmente sui venticinque anni, indossava un grazioso vestito estivo turchese che le fasciava il corpo perfetto, era a piedi nudi ma non faceva nessun rumore sul pavimento, quasi come se volteggiasse a qualche millimetro dal parquet di legno chiaro. Aveva lunghi capelli biondi che le arrivavano fino in fondo alla schiena, sembravano una nuvola leggera d’oro in un cielo turchese.

La ragazza si voltò e poté vedere i due grandi occhi blu che lo fissavano.

Allora la riconobbe: la ragazza della strada.

Lei sorrise e poggiò le piccole boccette che aveva in mano sul comodino.

- Finalmente ti sei svegliato. – la sua voce era dolce, melodica, quasi come il canto ammaliatore di una sirena – Iniziavo a preoccuparmi seriamente.

Spostò lo sguardo sulla gamba che aveva posato a terra e scosse lievemente il capo.

- Il fatto che ti sia svegliato non vuol dire che sei guarito. – e lo fece sdraiare di nuovo – Sei ancora molto debole. Devi restare a riposo fino a quando te lo dirò io.

Sorrise debolmente... effettivamente si sentiva ancora molto stanco, ma, almeno, era vivo.

La ragazza bionda si mise a sedere sulla sedia posta accanto al letto, probabilmente era da lì che l’aveva accudito per tutto il tempo.

La vide prendere qualche sacchetto di velluto, aprirli e prendere qualche manciata delle erbe che contenevano, metterle nel mortaio e iniziare a triturarle. Seguiva i movimenti del suo polso millimetro dopo millimetro, stregato da tanta grazia e perfezione nei suoi gesti.

- Allora mio giovane straniero, - disse lei mentre prendeva una boccetta contenente un denso liquido color verde bottiglia – posso conoscere il tuo nome o devo tirare ad indovinare?

Fu solo allora che si accorse di non aver mai parlato da quando lei era entrata.

Fece un piccolo sorriso e sprofondò nei cuscini di piuma d’oca che aveva sotto il capo.

- Mamoru...- mormorò con un filo di voce – il mio nome é Mamoru.

La donna sorrise e aprì la boccetta, un penetrante aroma di bosco gli solleticò il naso.

- Bene Mamoru, - rispose lei versando due gocce nelle erbe sminuzzare nel mortaio – io sono Usagi.

   
 
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