Prisoner
Le prime luci dell’alba cominciavano
a filtrare tra la rete delle sbarre che sprangavano le finestre, chiuse da
doppi vetri antiproiettile, eternamente a specchio.
Nessuno
mi poteva vedere, nessuno poteva percepire la mia presenza
Me ne stavo in piedi, in silenzio,
le mani intrecciate tra i quadratini di ferro formati dalle sbarre della mia
prigione, a guardare il sole nascente e la vita della città che si svegliava.
Ero
solo, nessuno sapeva della mia esistenza.
Urlare non mi sarebbe servito,
nessuno poteva sentirmi. Da tempo, poi, la mia rabbia era stata sostituita
dalla rassegnazione e da una calma glaciale.
Non
avevo più motivo di gridare, di dibattermi, di colpire le pareti perché avrei
ottenuto solo di ferire me stesso.
Tanto nessuno sarebbe arrivato a
liberarmi, ero condannato a restare prigioniero per l’eternità. Soprattutto perché la Prigione
vera non era quella in cui era chiuso il mio corpo, ma quella che richiudeva, e
rinchiude tuttora, la mia anima, il mio essere, la mia essenza.
Sono
solo, non ho amici, non ho parenti, nessuno può volermi perché nessuno può
capirmi.
Sono prigioniero di me stesso, la
mia Prigione non è solo di cemento e vetro, le sbarre non sono solo di ferro.
Lei, la mia Prigionia, non è materiale, non è finita, è eterna, avvolge il mio
spirito. Nessuno poteva soccorrermi e nessuno lo voleva perché nessuno mi
conosceva. Solo io conosco la mia natura, anche se non so quanto a fondo. Per
questo sono solo. Nessuno mi ama, nessuno potrebbe farlo, solo e diverso,
straniero nella mia stessa casa, rinnegato dalle mie stesse origini,
prigioniero del mio stesso essere.
Non posso provare sentimenti
positivi perché nessuno me l’ha mai insegnato. Non posso ridere perché nessuno
mi ha mai mostrato come si fa. Posso solo sorridere amaramente alla mia triste
Sorte perché è stata proprio Lei a insegnarmelo. So anche piegare le mie labbra
esangui e mostrare i miei denti, tutti più appuntiti del nomale, per fare
ghigni cattivi, divertiti o assassini come Lei, la mia Prigionia, mi ha
insegnato. Conosco inoltre l‘odio, la rabbia, il rancore, la tristezza, il terrore, l‘angoscia, l‘ansia,
il dolore perché Lei me li ha mostrati. Sono anche capace di piangere. Sono
diventato ossessivo, egocentrico, insensibile, cattivo.
Nessuno mi può cambiare, è passato troppo tempo
ormai.
Come filtrava la luce, filtravano
anche i suoni esterni, ma erano ovattati, come sotto una coltre di neve. Di
notte nella mia prigione regnava il silenzio. Io stesso non osavo muovermi per
paura di turbarlo con qualche azione distratta e rumorosa. Cercavo anche di
respirare nel modo più leggero possibile.
Nessuno
ci avrebbe fatto caso perché io ero invisibile e incorporeo.
Quanto alla Prigione che c’è dentro
di me, in quella è sempre notte, vi regna un buio che non si può rischiarare e
un silenzio che non si può rompere. In alcun modo. Lei non lascia che la mia
mente riposi, né quando dormivo sul freddo pavimento di pietra, né quando ero
in viaggio e nemmeno ora che dormo in un letto vero. Ho solo diciannove anni ma
è come se fossi al mondo da secoli.
Sono umano, almeno credo, ma mi
sento straniero su questa Terra. Ora sono l’essere più libero del mondo, ma
allo stesso tempo, sono perennemente prigioniero. I miei occhi, i miei capelli
i miei vestiti sono più neri di un baratro senza fondo, mentre la mia pelle ha
il colore candido e lucente della Luna. A guardarmi, sembro ancora un bambino
ingenuo e innocente, ma la mia anima è nera come una notte senza stelle e senza
Luna. Sono un insieme di contraddizioni che, in teoria, non potrebbero
convivere in un unico essere. Sono l’eccezione che conferma ogni regola.
Una volta speravo che qualcuno mi
trovasse, ora non voglio più essere liberato, non voglio più che qualcuno
faccia breccia nella mura della mia Prigione interna, non voglio più che
qualcuno ne distrugga le mura, perché da troppo tempo vivo nel buio e la luce
mi ucciderebbe. E poi, se la mia Prigione venisse aperta quando è buio, allora
io ucciderei chi l’ha aperta perché ormai non sono più quello che ero, sono un’anima
nera, un mostro.
Dato che sono perennemente
rinchiuso, io nel mondo non esisto. Ma, allo stesso tempo, se non fossi
prigioniero di me stesso non sarei io, quindi non esisterei. Ciò che vedono gli
altri dal fuori, mentre io vivo la mia non-esistenza, sono ologrammi, copie
fasulle di me stesso, tutte completamente diverse tra loro e completamente
diverse dal vero me. Quindi nessuno può conoscermi e, di conseguenza, capirmi.
Sono
destinato a essere solo.
Sono condannato a vivere una
non-esistenza in tanti diversi non-me.
Devo vivere nel buio e nel silenzio.
Devo rimanere prigioniero di me
stesso per l’eternità.
Io non posso essere capito o aiutato
o amato.
Io sono solo.
Io sono prigioniero.
Io
non esisto.