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Autore: thewhitelady    06/12/2010    1 recensioni
- Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti gli incubi - Liam Keeran.
- Questo è solo la Genesi, dobbiamoa ncroa passare per il Levitico,l'esodo e il Deuteronomio prima d'arrivare a qualcosa - Eneas Clayton
Storia di una caccia al tesoro che si trasforma tra inseguimenti e una rapina in un museo in pericoloso gioco mortale. Storia di come un uomo scopre di essere ciò ch ha sempre combatutto, e della redenzione di un altro. Storia di due amici. Il tutto girando il mondo tra Inghilterra, europa dell'Est e estremo Oriente.
La mia prima storia, recensite ma soprattutto buon divertimento! :D
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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INFO & CO: continuo di " A trip at the Museum" + sorpresa infondo. Buona lettura!!! :D

E William MacFarlane sarebbe anche finito all’indietro, nel vuoto per una caduta libera di ben cinque metri se non fosse stato per Keeran che lo afferrò all’ultimo istante per la cintura. Non sapeva come aveva fatto, la mano aveva agito senza che il cervello avesse dato alcun ordine, il pensiero che la vita di quell’uomo valesse qualcosa non aveva sfiorato la sua mente nemmeno per un istante, eppure si ritrovò lì che teneva Bill e lo stava persino aiutando a rimettere i piedi per terra. Quando però il mercenario era ancora a mezz’aria vi fu un istante in cui le sue labbra delinearono una silenziosa domanda, la stessa che in quel preciso istante stava attraversando la mente di Keeran: perchè .
Quasi con la stessa inconsapevolezza rispose a Bill, - Perché ho visto in lei qualcosa di me stesso e perché ho ragion di credere che lei infondo possa essere un uomo d’onore, tenente MacFarlane, quinto battaglione aereo della RAF  -. L’uomo guardò Keeran con espressione sconsolata e quasi di rammarico, era come se dovesse essere compito su spiegare ad un bambino che a volte il lieto fine non esiste, - Mi dispiace farglielo sapere Mr. Keeran ma lei si sbaglia, lei allude ad una categoria d’essere umano che si è praticamente estinta su questa Terra. Io sono un mercenario al soldo del miglior offerente, non mi chieda di più di quanto io sia – parlò con voce un po’ afflitta e negli occhi di ghiaccio Keeran riuscì a scorgere molto più d’un’anima, erano i suoi dolori. Quella scena, quegli sguardi se li sarebbe portati nella tomba e per quanto le parole di Bill furono ciniche, riuscì a trovare un senso di sincerità e bontà che di rado avrebbe incontrato in seguito.  
Non avrebbe mai saputo se Bill, che teneva ancora in mano il suo coltello, avrebbe trovato il coraggio d’usarlo e togliergli la vita perché ad un certo punto sentì uno, poi due tonfi come un sacco di patate. – Eh, eh. Capitano Achab molla il coltello o t’impallino come un fagiano – ghignò Fang che puntava un’altra Beretta, probabilmente appartenuta ad uno degli uomini che ora erano sdraiati per terra, in uno Keeran riconobbe l’australiano e nell’altro l’armadio a quattro ante che l’aveva attaccato all’aeroporto, Juan. Ma Bill non si mosse di un millimetro, Keeran indietreggiò. Vide che lo sguardo dello scozzese cadeva per terra, su di una pistola, che prima nella penombra non era visibile, ma che ora nei primi palpiti della nuova giornata era ben visibile.
- Non ci provare! – Fang tentò di intimidirlo sparando un colpo vicino al suo obiettivo, ma quando il dito premette il grilletto, il cane scattò a vuoto. Avevano finito i proiettili. E Bill chissà come in qualche modo lo sapeva perché non aspettò e subito raccolse la pistola dal pavimento. Ancora una volta Keeran trovò il tempo di stupirsi di quell’uomo, per sapere che l’arma era scarica doveva aver tenuto conto del numero di spari la cui frequenza sonora tra una pistola e l’altra variava anche se di poco. Una cosa impensabile da fare durante il trambusto generale.
Fang provò ancora per vedere se l’automatica si fosse solo inceppata, ma niente l’unica cosa che si sentì oltre alla Beretta che scattava a salve fu – Oh, merda. Scappa! –
Corsero a perdifiato, senza sapere dove andare, anche senza voltarsi sentivano i colpi tremendamente vicini. Attraversarono parecchie sale prima di fermarsi, si trovavano all’ultimo piano e le scale era inaccessibili. Entrarono in una sala, e chiusero la porta ma con loro sommo dispiacere queste erano dotate solo di due maniglioni. Niente serratura. Keeran bloccava la porta con le braccia, visto che Bill stava già tentando di sfondarla.
- Prendi! – disse lanciando a Fang l’ultimo tubetto d’acido e soggiunse – Trova qualcosa che possa andare bene per bloccarla -. Fang tornò abbastanza presto imbracciando come una lancia un enorme corno di narvalo – Cosa vuoi fare? Infilzarlo come uno spiedino?! – esclamò stringendo ancora le maniglie della porta – Prendi quel piatto là! – cercò di indicare una teca alla sua destra. Fang avrebbe sbuffato, ma date le circostanze si affaccendò per recuperare lo strano piatto, era di una pietra dalle mille striature marroni e particolari incisioni sulla superficie. E quando lo prese in mano scoprì che era molto più pesante di quanto avrebbe potuto immaginarsi. – Che diavoleria è? – domandò ad Keeran prima di infilarlo tra le due maniglie – Agata, è più resistente dell’acciaio… mi pare, be’ adesso lo scopriremo. Comunque quello si credeva fosse il Santo Graal – spiegò aprendo una finestra e sporgendosi per guardare sotto, erano al di sopra di quelli che probabilmente erano degli uffici dei servizi pubblici, sopra ad un gran portone capeggiavano la bandiera nazionale e quella con il simbolo della città, che erano sospinte mollemente dalla brezza mattutina. Da lì era un bel salto, circa cinque metri. – Speriamo che non sia così, se no qualcuno ai piani alti s’arrabbierà – constatò l’altro osservando la porta scossa da terribili fremiti ed il piatto che stoicamente resisteva ad ogni attaccò. Keeran scrutava ancora oltre il parapetto, quando intravide le fronde di un cespuglio che ondeggiavano al vento e farfugliò – Credo si arrabbierebbero di più quelli del museo… Te la senti di saltare? – chiese sapendo che l’amico soffriva di vertigini, ma la risposta sarebbe potuta essere solo una. – Te lo dico quando l’ho fatto, ok? Intanto vai tu! –Keeran non se lo fece ripetere due volte, s’arrampicò sopra il parapetto, diede un ultimo sguardo al cespuglio e si augurò che le aiuole viennesi fossero abbastanza morbide. Si gettò oltre, nel vuoto per un secondo gli sembrò di essere sospeso nel nulla poi cominciò a precipitare, l’aria gli sferzava il volto, ma a breve quella sensazione quasi piacevole fu sostituita dal frustare dei rami del cespuglio che cedevano sotto il suo peso, infine il durissimo contatto con il suolo, anche se doveva ammettere che aveva sperimentato di peggio in vita sua.
S’alzò appena possibile, solo un po’ frastornato dalla caduta ma ben consapevole di come ogni minuto potesse essere fatale. Quando alzò lo sguardo sapeva già a quale scena avrebbe assistito, Fang non aveva nemmeno messo un piede oltre la ringhiera di sicurezza. – Dai, salta! Non abbiamo molto tempo! – lo spronò. L’altro fece capolino dalla finestra, Keeran anche se la visibilità era scarsa avrebbe messo la mano sul fuoco riguardo il pallore dell’amico. Era bianco come un cencio.
- Vieni! Sbrigati, c’è persino un cespuglio qui sotto! L’hai già fatto in Germania, e da un’altezza maggiore, non puoi mollare adesso! – gridò Keeran cercando di vedere meglio cosa stesse succedendo. Poi vide che Fang stava scavalcando, anche se lentamente il parapetto in ferro battuto – Giuro che se ne vengo fuori smetto di fumare! E questa volta per davvero… - poi si lasciò cadere, ma qualcosa arrestò subito e bruscamente la sua caduta, l’orlo dei jeans era rimasto impigliato in uno dei riccioli dell’inferriata ed il contraccolpo l’aveva fatto capovolgere a testa in giù
– Ma porca di una troia imbagascita, è mai possibile!? – imprecò cercando di divincolarsi, Keeran accorse e se non fossero stati in pericolo, la situazione sarebbe potuta anche essere comica. – Smettila! Se cadi male ti ammazzi, non voglio un morto sulla coscienza! – esclamò, facendo segno a Fang di stare immobile, che però avendo la maglia rovesciata in faccia non vedeva niente, e biascicò: - Ah, grazie! -. Keeran lasciò perdere  e gli disse come poter scendere. Essendo Fang molto alto, con le braccia distese, Keeran poteva afferrarlo, e così fecero – Allora adesso preparati che tiro -. Lo prese, con le dita riusciva appena a tenerlo, strattonò fino a quando il tessuto cedette, l’amico sgusciò via e si rovesciò per terra malamente. Si rialzò toccandosi più parti del corpo
– Azzo che male! – fece per scuotersi via terriccio di dosso, ma quando arrivò pantaloni questi mancavano, glieli stava porgendo Keeran che spazientito disse – La prossima volta metti la cintura, ah e belle quelle. Satisfaction Guaranteed. Ma per favore -  indicò i boxer dell’altro, erano gialli e con sul retro una grossa scritta verde, Brass si guardò e rispose – Ehi viviamo in un paese libero!... Comunque sarà meglio andare, s’è fatta l’alba –.
 
Si avviarono correndo lungo il viale alberato del Ring, dovettero fare poca strada prima di ritrovare al ciglio di una strada la loro scintillante auto rosa.
Ma il loro sguardo si perse in lontananza oltre essa. Da dietro il complesso imperiale stava sorgendo il sole che accarezzava con tenui sfumature di color malva e amaranto i tetti e le cupole degli edifici, ancora illuminati da mille luci accecanti che si fondevano con quella della stella ascendente. Facevano sembrare il tutto un meraviglioso dipinto impressionista.
Fang con una mano si appoggiò a Keeran – Sai, la domanda di prima? Quella che mi hai fatto all’Hofburg. E’ per questo che io lo faccio. Per poter provare queste sensazioni, perché ti accorgi di essere veramente vivo solo quando succedono cose importanti che ti sbattono davanti alla realtà. Sta sera abbiamo rischiato la vita. Forse per niente. Ma questi momenti riescono a non  farmi dimenticare quanto siano speciali anche solo singoli istanti, anche i più banali, come questa vista. A quanta gente capita nella vita? Ringrazio Dio, perché fa sì che io mi accorga di tutto questo. Le vite sono tutte uguali, sono le varie azioni che le differenziano, nient’altro. Non posso dirti se quel facciamo noi sia giusto – si fermò un attimo, per fare una pausa e prendere le chiavi dell’auto, poi riprese - Be’, io sarò pure matto e qualcuno potrebbe anche non capirmi, ma a me questa sembra una buona ragione. E poi se ti chiedono che hai fatto il weekend hai sempre una buona storia da raccontare: ‘Ma sai ho fatto una puntatina a Vienna e mi sono introdotto illegalmente nell’Hofburg – gli batté sulla spalla, e poi saltò in macchina, si stiracchiò e aggiunse – Dai, vieni. Conosco un bar che apre prestissimo e fa una sacher… Altro che quella del Demel. Non stare lì a pensare troppo che ti si fondono i neuroni -.
 
 
- Santo cielo! State bene? – Lyn trafelata corse loro incontro, abbracciò velocemente prima Fang e poi saltò al collo di Keeran, ma subito si ritrasse rossa in volto. Si passò una mano tra i capelli scomposti e mitigò il tutto con un – Sì, a quanto vedo state bene. A parte qualche graffio… - dopo un secondo di statica incertezza, indicò la porta dell’appartamento e riprese – Dan la tua mano non mi piace proprio, è conciata male… vado a prendere delle garze – subito scomparve oltre il pianerottolo.
Fang guardò di sfuggita Keeran, quello a sua volta lo fissò, l’amico aveva stampata in faccia un espressione allusiva e allo stesso tempo un po’ ebete. – Che c’è?! – sbottò apparentemente stizzito, Fang lo scrutò ancora più a fondo ed annuì. – Niente! – rispose però con un malcelato sorrisino. Poi cominciò a salire le scale a due a due. Qualsiasi cosa stesse pensando, si disse Keeran, era troppo contento perché gliene potesse anche solo importare un po’. Mise la mano in tasca, a sentire la fredda plastica in cui erano rinchiuse le due minuscole pergamene. Cominciò a salire le scale, non poteva ancora immaginare quale sarebbe stato l’ultimo passo di quel lungo cammino, ma lui il suo tesoro in fondo l’aveva già trovato e gli bastava.
 
Chiuse il libro e lo ripose su di uno scaffale, non aveva finito di leggere solo perché non aveva mai cominciato. Poole guardò fuori dalla finestra, era ancora chiaro d’altronde erano solo le otto, non aveva ancora cenato ma sapeva che quella sera non l’avrebbe fatto, come d’altro canto il romanzo: l’aveva preso sapendo che non avrebbe letto nemmeno una lettera. Era troppo impegnato a pensare, a decidere il da farsi; ormai aveva capito d’aver rimuginato abbastanza. Fino a quel momento aveva agito da solo, anche se facendosi aiutare da Keeran che però era troppo giovane, buono e forse persino troppo ingenuo, gli serviva una mano da qualcuno che puntasse alla sua stessa meta e che non si facesse scrupoli.
Quello stesso pomeriggio Ribot, un amico di vecchia data, se così si poteva definire il proprio informatore di fiducia, era venuto a fargli visita portandogli al posto dei più inflazionati pasticcini, l’indirizzo dell’uomo che gli serviva. A Ribot era servito un mese abbondante per trovarlo, ma alla fine c’era riuscito.
Uscì di casa e fu subito investito dalla fresca aria di campagna, ossigeno puro che quasi frizzava quando veniva inspirato dai polmoni e di cui se ne avvertiva la mancanza quando invece si espirava. Prese la macchina, l’unica vettura che avesse mai comprato in vita sua: la Jaguar C-Type, un auto che possedeva ormai da più di quarant’anni, una di quelle per intenditori d’alto lignaggio e proprio per questo gli era molto dispiaciuto doverne modificare i comandi dopo l’incidente; ma d’altronde se non l’avesse fatto non sarebbe stata altro che una scatoletta per sardine molto costosa con attaccato quattro cerchioni da diciannove.
Ancora una volta salì sui morbidi e avvolgenti sedili di pelle, ancora una volta maledisse i bastoni che si portava addietro e che si ostinavano ad incastrarsi nella portiera, nel volante o in qualsiasi altro oggetto. Li sbatté in malo modo sul sedile posteriore, era rosso in faccia: in parte per la reale fatica che gli costava il minimo e più comune movimento, in parte per la vergogna. Vergogna di sentirsi sempre più un povero vecchio, che un qualsiasi borghese odiosamente perbenista avrebbe accoratamente definito diversamente abile. 
Un handicappato! Ecco cosa sono!... Ma sta sera le tiro fuori io le palle!
Girò le chiavi con tale caparbietà che fu un miracolo se non si spezzarono nel quadro, inserì subito la retro e fece manovra nel vialetto creando un gran polverone e lasciando i solchi degli pneumatici nel ghiaietto.
C’erano momenti come quello, in cui non capiva il senso della sua vita: non aveva famiglia, veri amici pochi, e gli sembrava pure d’aver perso pure ogni residuo di dignità. C’erano stati giorni soli in cui aveva preso la pistola che fra tutte quelle della sua collezione amava di più, l’aveva più volte puntata alla tempia ma mai era riuscito a premere il grilletto.
Mai era riuscito a sparare il colpo che avrebbe messo fine a tutto. La vergogna era più forte della paura che aveva per la morte, che in fin dei conti non era neppure tanta, però l’orgoglio prevaricava su tutti gli altri sentimenti. L’immaginarsi le proprie esequie, che sarebbero state sicuramente celebrate dal  pastore del paese. Quello che odiava semplicemente perché trai due era aperto un contenzioso al cui centro c’era il Santo Graal. Quelle serpi di parenti che non si sarebbero certo presentati al funerale, e che però sarebbero accorsi subito dal notaio per cercare d’accalappiare anche solo una parte del suo cospicuo patrimonio. Non avrebbe certo dato perle ai porci, non il suo Rembrant! Non la sua Jaguar!
Ancor più la cosa che sempre gli aveva fatto posare l’arma era stato il pensiero delle malelingue che si sarebbero fatte sul suo conto, lui non sarebbe potuto esser lì a difendersi e a rispondere a tono. Com’era ingiusta la morte sotto quel punto di vista!
Impiegò una buona misura di tempo per raggiungere la City, sapeva perfettamente dove andare. Lasciò l’auto in un parcheggio sorvegliato lontano circa un miglio dalla sua meta, che dovette raggiungere a piedi dato che non si fidava dei mezzi pubblici e ancor meno dei tassisti.
Il Four Seasons Hotel London sorgeva non troppo lontano da Piccadilly Circus, era una costruzione maestosa e curata soprattutto nelle rifiniture, sfarzosa esteriormente ma non quanto all’interno. Sebbene la consierge e l’atrio fossero arredati in modo ancora contenuto e pacato, Poole che aveva pernottato in più d’un occasione nelle suite del Seasons, aveva sempre pensato che fossero esageratamente adornate: trovava che somigliassero fin troppo all’atelier d’un sarto in cui fosse appena scoppiata una bomba. I canadesi si erano profusi nell’utilizzo di stoffe e tendaggi dimostrando poco senso del buon gusto. Avevano creato la mal riuscita parodia di Buckingham Palace. 
D’altronde cosa ti puoi aspettare da dei mezzi francesi… 
Si avvicinò alla receptionist che non si accorse della smorfia ben celata sotto i curatissimi baffi – Sto cercando un uomo. E’ alloggiato nella Queen Ann Suite. La prenotazione è a nome Jabbar – asserì con vigore, la voce dal tono pacato e piacevole che lo faceva passare per un vero gentleman, avrebbe fatto sfigurare qualsiasi membro della casata reale facendolo assomigliare ad uno sguattero.
– Sì, esattamente. Vuole che lo avvisi della sua visita? – domandò gentile la bella ragazza che era stata strategicamente posizionata alla reception per accogliere magnati della finanza e sceicchi. Poole assentì con un cenno del capo ben misurato e la ragazza sorrise con reverenza, questa volta però per davvero. Quell’uomo racchiudeva in sé il naturale potere d’affermarsi in una stanza senza neppure parlare; bastava la sua sola presenza per assoggettare ed ammaliare tutti i presenti. Cosa del resto non troppo comune perché Poole non era neppure dotato d’una certa spiccata prestanza, anzi era decisamente minuto. Niente riusciva a farlo sembrare una persona fragile o gracile, neppure i bastoni che gli avevano imposto molteplici restrizioni erano riusciti a fare tanto.
La ragazza avvisò colui che aveva affittato la camera, e che dopo aver sentito pronunciare il nome di Poole aveva prontamente invitato l’ospite a salire.
Proprio per questo motivo Poole in quell’istante stava salendo con l’ascensore fin all’ultimo piano del palazzo. E quando questo si fermò con una scossa sommessa egli uscì dalle porte che si schiusero come un sarcofago dorato sul corridoio, lunga e stretta galleria dalla moquette purpurea. Poole uscì da quelle porte come un divo del cinema, di quello vero, anni Trenta. In ascensore si era dato la briga di sistemarsi un po’, se doveva incontrare uno degli uomini con più potere illegale sulla terra, voleva che quello si ricordasse della sua scriminatura impeccabile e del suo pessimo carattere. Quello era James Poole.
Dopo aver percorso per tutta la sua lunghezza il corridoio, giunse a fermarsi dirimpetto ad una porta laccata di nero che riportava a caratteri bronzei il nome della miglior suite dell’albergo. Il meglio del lusso nel meglio del lusso. Bussò tre volte ed aspettò che una voce lo esortasse ad entrare; quella in cui si trovò non era una stanza, ma un appartamento. Nel salotto interno non c’era nessuno perciò si diresse subito verso la camera da letto padronale, lì la luce era soffusa ed ai suoi occhi presbiti ci volle un esitante momento perché potessero riuscire a discerne il profilo d’una persona dalle ombre, ma quello rimase comunque poco più d’un indistinto fantasma.
- Sa nemmeno le persone che lavorano con me hanno avuto il privilegio di poter dire d’esser state al mio cospetto – esordì quello con perfetto accento inglese, anche se Poole notò un piccolo difetto nella pronuncia, fece una breve pausa in cui poggiò un paio di dita alla fronte, come per riflettere – Però ho fatto venire lei. La cosa divertente è che non so neppure io il perché l’ho fatto… - rise, un riso piacente e gioviale il suo, – Dalle mie parti lo chiamiamo altıncı his -.
- Lei è turco – non era una domanda quella di Poole, aveva passato troppo tempo in Oriente per non distinguere almeno i suoni appartenenti ad una lingua, stava per proseguire quando però l’altro lo interruppe, - Solo di padre -.
- Dalle mie parti il sesto senso lo chiamavano cattivo consigliere. Mio padre diceva che era meglio fidarsi soltanto degli altri cinque – disse Poole accomodandosi su di una sedia. L’uomo misterioso rise ancora e soggiunse – Sembriamo due vecchi cialtroni al banco d’un pub. Manca solo che iniziamo a parlare di guerra -.
Poole ripose i bastoni sulla mensola accanto alla sedia – Sa io e lei siamo due vecchi. Mi dispiace di doverla informare -
- Parli per lei – intervenne all’improvviso serio e brusco l’altro, stava lasciando troppo spazio a quell’inglese tutto lingua e con una sicurezza di sé ridondante. Questa volta fu il turno di Poole per ridere – Uno degli uomini con più potere sulla Terra che ha paura d’invecchiare. Ora non mi dirà mica che si fa pure di botox! – esclamò divertito, le sue non erano frasi e parole calcolate, o almeno solo in parte, non erano ben pensate e poi dette; bensì gli veniva naturale non fare distinzioni tra uomo e uomo. Probabilmente avrebbe parlato così al suo giardiniere come al Papa in persona.
- Lei osa troppo. Mi meraviglia il fatto che sia arrivato a così veneranda età parlando in tale maniera, eppure ha vissuto in un mondo non facile e dove non tutto viene perdonato – proseguì il mezzo turco, i suoi occhi rapaci però notarono immediatamente come la mano di Poole fosse istintivamente scivolata lungo la gamba, quindi aggiunse – Ah, mi scusi. Non pensavo che le sue gambe fossero parte dello scotto pagato. Comunque non le permetterò neppure io di burlarsi di me, ci sono state persone come lei che ci hanno provato e si possono riassumere in due categorie: quelle furbe che hanno fatto in tempo a frenarsi portando a casa soltanto qualche graffio, e gli idioti; be’ gli idioti non credo nemmeno che ci sia il bisogno di dirglielo, infondo lei è un uomo di mondo, nevvero? –
- Esattamente. Ma se lei avesse voluto a quest’ora, dopo così tanto tempo, io sarei già stato freddo – affermò Poole, era stato ben conscio nella mezz’ora precedente di quanto quella sarebbe stata una partita pericolosa: o la morte, o una piacevole conversazione con l’uomo che forse era la miglior rappresentazione corporea della morte stessa sulla Terra.
- Bene, allora dato che è così sicuro di sé, veniamo al dunque. Cosa porta lo stolto agnellino nella tana del lupo - Jabbar riprese il discorso che più gli premeva, doveva ammettere che era particolarmente incuriosito da quell’omuncolo tanto audace che fino a quell’istante gli era parso un ottimo attore: non aveva tradito paura o il minimo timore, davvero un buon commediante. Oppure, forse… non ne provava affatto?  
- Scopriamo le carte in tavola: le non sta cercando un tesoro e non lo sto facendo nemmeno io. Noi vogliamo la medesima cosa, solo in misura diversa; per parlare in metafore, io voglio le briciole che cadono dalla sua mensa. Niente più -
- Si potrebbe fare – convenne l’uomo  misterioso passando un dito sul mento ad attorcigliare quello che doveva essere un pizzetto, poi pensieroso proseguì – Ma io cosa ci guadagno dal suo aiuto? E lei quanto ci guadagna dal mio? Infondo lei ha già degli uomini. Mi spieghi meglio -, gli pareva quanto mai strano che Poole gli chiedesse una mano, tanto più che era palese che lo disprezzava anche se non apertamente e con le parole. In effetti quella conversazione osservata dall’esterno sarebbe potuta apparire colma di garbo e convenevoli, invece essi per il reale pensiero che passava per le due menti dei vecchi erano peggio che insulti ed ingiurie.
- E’ vero io ho degli uomini però sono certo che non si faranno corrompere, sono ancora troppo giovani per capire anche soltanto in minima parte quanto faccia schifo il mondo in cui vivono… -. Jabbar intervenne sempre con quel tono giocondo che tanto strideva con il ruolo che ricopriva nella società – Così dicendo lei mi offende, io sono uno dei più accaniti fautori di questo genere di mondo! -.
- Quindi mi serve l’aiuto di qualcuno che sia abbastanza forte per metterli fuori gioco. E sa cosa ci guadagna da me? Una talpa, un insospettabile che sia al corrente dei loro spostamenti. Tanto sono certo che a quest’ora saranno già arrivati alla risoluzione dell’indovinello contenuto nella corona – fece una pausa calcolata, l’arte del vendere era qualcosa d’impossibile da imparare, ma Poole era dotato pure di questa.
Avrebbe saputo vendere ghiaccio persino agli Inuit, - Ecco cosa ci guadagna da me! – esclamò con tono suadente.
Jabbar stette in silenzio per un paio d’infiniti minuti, doveva riflettere e scegliere, la cosa gli appariva quanto meno sospetta però a sistemare certe faccende avrebbe potuto pensarci in seguito – Ok, lavoreremo insieme ed entrambi avremo ciò che vogliamo – disse infine, poi però soggiunse – Ora che è mio collaboratore, lasci che le dica una cosa, lei probabilmente è persino più spregevole di me: tradisce e vende il suo figlioccio con tanto di amici, senza fare una piega e solo per soddisfazione personale… se ben ho capito -.
Poole sorrise amaramente, si alzò con l’ausilio dei bastoni e si mosse incontro a Jabbar, gli strinse la mano, e facendo questo replicò dicendo: - Lei ha ammazzato suo padre. Un giorno forse sapremo chi è il più meschino dei due -. Poole aveva appena stretto il patto con il diavolo in persona: un mezzo turco dal naso adunco e dai piccoli occhi rapaci.
- Lei ha un ottimo informatore Mr. Poole. Vorrei davvero saperne il nome -.

 
   
 
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