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Autore: CosmopolitanGirl    07/12/2010    15 recensioni
Il racconto si colloca immediatamente dopo la mitica scena della "camicia strappata", descrivendone sentimenti e pensieri, dell'uno e dell'altra. Leggendolo vi accorgerete che in alcuni punti ripercorre l'episodio del cartone "Una nuova vita". Espediente che ho utilizzato per mantenermi,almeno al momento, il più vicina possibile alla trama originale.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Questa è la prima volta che scrivo qualcosa (i temi a liceo non valgono, vero??) quindi cercate di comprendermi.
Dopo aver letto con voracità tutte le storie qui pubblicate su Lady Oscar, qualcosa è scattato dentro di me ed ho deciso di mettere su carta alcuni pensieri che già da tempo mi frullavano in testa. Non so ancora se ci saranno altri capitoli, dipende, in parte, anche dal vostro gradimento. Bè...vi auguro una piacevole lettura.
Ps. Mi scuso anticipatamente se, per caso, non ho caricato nel giusto formato il racconto.
Un ringraziamento particolare va a Macchia Argentata, che mi ha seguito e sostenuta in questa piccola impresa.

 

Indispensabile


L’occhio faticava ad abituarsi alla flebile luce del corridoio, dopo l’incidente; lo sbalzo tra luce e ombra gli procurava dolore, e si sforzava sempre un po’ per ambientarsi.  Pochi attimi di esitazione, e riacquistò la vista, dirigendosi velocemente verso il giardino.
Gli mancava l’aria.
“Che ho fatto? Che ho fatto? Che Iddio mi perdoni”, era l’unica cosa che riusciva a dirsi.
Sarebbe andato a Parigi e avrebbe bevuto fino allo stordimento, così avrebbe dimenticato, ma una volta a cavallo si sentì come svuotato. In realtà non aveva voglia di bere, e forse nemmeno di dimenticare. Voleva essere inondato dal senso di colpa e crogiolarsi in esso. Si sentiva straziato da una forte dicotomia: da un lato, avrebbe sacrificato la sua stessa vita per autopunirsi dell’atto di forza perpetrato ai danni della sua adorata Oscar, dall’altro un senso di liberazione, di rilassatezza che rasentava la serenità, si diffondeva in lui  con sempre maggiore insistenza. Quante volte nei lunghi anni passati con Oscar, gli aveva fatto notare con pacatezza, che lei, non era un uomo, e che non era certo la divisa militare o l’atteggiamento severo e sprezzante che si ostinava ad assumere, che la rendevano diversa da quella che la natura le aveva destinato di essere. Ma lei niente…”Cocciuta ed ostinata la mia Oscar”!
 Ci sono state volte in cui di fronte a certi suoi atteggiamenti, avrebbe voluto urlarle contro tutta la sua rabbia ma…”Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire” e già, e lei lo era. Ed oltre ad essere sorda come una campana, era pure cieca…Pettinava i lunghi capelli color del grano, davanti al quel suo grande specchio, totalmente inconsapevole di quanto fosse bella. Ad Andrè era capitato nel corso degli anni, soprattutto da ragazzi, di guardarla pettinarsi, unico vezzo femminile che si concedeva, e si era gustato quel momento… la vertigine allo bocca stomaco, le ginocchia tremolanti… Dio quanto era bella, tanto bella da fare male agli occhi. Amava Oscar da talmente tanto tempo, che non sapeva neanche lui di preciso da quanto. Probabilmente l’amava da sempre, e da sempre aveva tenuto dentro se questo segreto, dissimulando l’amore che provava. Viveva di quei piccoli contatti che distrattamente si scambiavano, un leggero sfioramento era per lui motivo di gioia. Aveva allenato negli anni  i suoi occhi affinché la guardassero di traverso*, appoggiava delicatamente il suo sguardo su di lei quando non guardava, per poi spostarlo altrove. Alle volte però i loro sguardi si incrociavano, dando vita ad un invisibile comunicazione, in cui Andrè si sentiva suo complice, intimo come nessun’altro lo è mai stato per lei. Si, alla fine non era pentito di quello che aveva fatto, aveva sbagliato il modo, e lei non l’avrebbe mai perdonato, ma… non si vergognava più dei suoi sentimenti, del suo immenso amore.
 Si rese conto che alla fine l’aria fredda della notte gli stava facendo bene, e che la passeggiata a cavallo lo stava calmando. Gli era sempre piaciuto cavalcare, l’aiutava a pensare e a rilassarsi. A forza di riflettere si stava dando una giustificazione a quanto aveva fatto. Stava perdendo la vista, non avrebbe più potuto vedere la luce del sole, e sopratutto non avrebbe più potuto vedere la sua luce, lei, la sua Oscar. E come se questo non bastasse, lei gli aveva detto “non ho più bisogno di te”. Come aveva potuto pensare una cosa del genere?? Per anni, senza nemmeno accorgersene, si era appoggiata a lui nelle occasioni più disparate.
Assorto tra i  rovelli, non si rese conto di essere rincasato , adesso era già nel proprio letto a girarsi e rigirarsi in compagnia dei suoi pensieri. Le parole di Oscar gli rimbombavano nelle orecchie, quella separazione da lei così agognata, lo angosciava…Oscar era l’aria che respirava, senza di lei, lui non esisteva.
Alla fine tutta la frustrazione e la rabbia covate negli anni per quell’amore non corrisposto erano esplose dentro di lui, come un barile di polvere da sparo, e senza rendersene conto le aveva dimostrato che non era fisicamente più forte di lui, era bastata una presa decisa per farle male, e una lieve spinta per farla cadere sul letto. Aveva sbagliato, ne era più che consapevole, ma forse… si potevano trovare delle attenuanti al suo comportamento… Dalla scura tenda entrava una flebile luce…era già giorno.

***

Avvertì il pavimento di marmo come una lastra di ghiaccio, quando, sfiorandolo con la punta del piede, fece per alzarsi. Si ritrasse immediatamente raggomitolandosi di nuovo nel suo letto, le braccia intorno alle gambe, le ginocchia quasi a toccare la fronte. Il calore delle coperte era decisamente più piacevole…chiuse gli occhi dolenti e brucianti dal pianto ininterrotto della notte. Restò così qualche minuto, godendosi quell’attimo di pace inaspettato, ma avrebbe voluto trattenersi in quel modo, per un tempo indeterminato…già...tutta la notte aveva sperato che il suo folle desiderio di addormentarsi e risvegliarsi tra dieci anni, si potesse realizzare. Avrebbe voluto dormire quella notte e svegliarsi il giorno dopo, non ricordando più nulla, nulla di quello che era accaduto la sera prima. Aveva passato, invece, tutto il tempo a piangere e a pensare. Pianse tutte le lacrime che non aveva versato in trent’anni. Gocce salate percorrevano il suo volto e lei non aveva fatto nulla per impedirlo, più piangeva più avvertiva la necessità di sentirle scorrere sul viso. Da piccoli lei e Andrè si divertivano a giocare tra i cavalloni del mare agitato della Normandia, e così, come succedeva quando non prendeva in tempo l’onda, si sentì travolta. Ma questa volta non era un cavallone a sommergerla e farle perdere il respiro, ma un caos di ricordi, che senza un ordine cronologico si affollavano nella sua mente, senza che lei stessa ne potesse avere il controllo.
Come fossero dotati di un autonomia propria, passeggiavano da un tempo vicinissimo ad uno più lontano e così via. A quella che sembrava una vera e propria danza faceva da sottofondo il suono della voce di Andrè:” Una rosa non potrà mai essere un lillà...Ti amo Oscar credo di averti sempre amato.” 
Aveva danzato tra le proprie reminiscenze fino a quando i raggi del sole non fecero capolino attraverso la tenda. Un riverbero colpì il cristallo prismatico del grande lampadario posto sul soffitto, un piccolo arcobaleno si disegnò in un angolo della stanza…Quand’erano piccoli si divertivano a far “nascere” l’arcobaleno nelle camere della grande casa di Arras. A quel ricordo abbracciò ancora con più forza le sue gambe…Quand’è che le cose tra loro erano cambiate? Quando avevano preso una strada di non ritorno?
Si fece violenza per riuscire ad alzarsi, “Devo tenere la mente occupata e devo fare in modo di non rimanere neanche un solo secondo inattiva, non devo pensare a …” un groppo in gola, le lacrime di nuovo a lambire i suoi occhi, “ No!! Non devo” . Le ricacciò indietro, non senza fatica, e si diresse al catino, l’acqua gelida sul viso l’avrebbe sicuramente aiutata. Stabilì mentalmente tutte le sue azioni, anche le più insignificanti, contò perfino i passi che fece pur di concentrarsi su qualcosa, qualcosa che non le ricordasse l’accaduto. Decise che sarebbe andata a cavalcare, aveva bisogno di aria, di distarsi e soprattutto di stare lontana da quella casa. Si vestì, si pettinò, stando attenta a non incrociare il proprio sguardo riflesso nello specchio. Uno sgomento inconscio si era impadronito di lei, aveva paura di guardarsi e di “riconoscersi”. Terrorizzata dal fatto che guardandosi, il suo riflesso avrebbe confermato quanto lui le avesse detto la sera prima “Una rosa non potrà mai essere un lillà” a quel pensiero istintivamente si morse le labbra, e come per incanto avvertì le labbra di lui, morbide ed ardenti sulle sue…un sospiro...un soffio, che faceva intendere quale peso si portasse dentro. E come svegliata dal suo stesso respiro, si ritrovò davanti alla porta della propria stanza, una mano sulla fredda maniglia di ottone. Le sembrò che il freddo metallo l’avesse resa una statua di ghiaccio, si sentì immobilizzata e pesante. Inspirò tutta l’aria che poté, la trattenne un istante, il tempo di contare fino a tre, ed uscì. La distanza, che separava la sua stanza dall’ingresso, non le era mai sembrata così lunga, le gambe molli, ed il cuore pulsava ad ogni passo sempre di più “Dio ti prego fa che non lo incontri” fu la litania che cantilenò mentalmente per tutto il percorso.

***

Non era solito poltrire a letto, non l’aveva mai fatto, di certo non avrebbe iniziato ora. Uscendo dalla sua stanza sentì un tonfo al cuore, pensò che da lì  a poco l’avrebbe rivista.
Una morsa allo stomaco che  sembrava non volerlo abbandonare, gli impedì di fare colazione “Cosa le potrò mai dire?”, tutti quei bei discorsi fatti la notte prima, quelle giustificazioni, svanirono in un istante. Lui era colpevole, ed Oscar non l’avrebbe mai perdonato. “Con che coraggio potrò guardare di nuovo nell’azzurro mare dei suoi occhi?”
Notò, dalla finestra, il volo di alcune colombe, così prese un tozzo di pane e si diresse in giardino, almeno loro avrebbero mandato giù qualcosa…

***

La nonna l’accolse con il suo solito sorriso amorevole, non aveva fame ed a nulla valsero i suoi rimproveri, si diresse nel suo studio per depistarla, ma appena fu possibile andò dritta verso le scuderie. Uscendo in giardino intento a dar da mangiare a delle colombe trovò Andrè.

***

Non appena la prima colomba si poggio’ delicatamente sulla sua mano, Oscar fece capolino in groppa a Cesar, il suo cuore smise di battere per una frazione di secondo, resto così…paralizzato. Riuscì solo ad emettere un suono che somigliava ad un saluto: “Buongiorno Oscar” disse lui, con voce atona. Il riverbero del sole gli impedì di posare i suoi due smeraldi su di lei**, e così non si accorse che non lo guardò neanche. Al saluto di lui, il suo cuore aveva ripreso a battere all’impazzata, le mani le tremavano “Vado a fare una cavalcata, da SOLA, e non so quando tornerò” disse secca, e partì al galoppo senza dargli il tempo di replicare.

***

“SOLA”, la sua Oscar aveva precisato questo particolare alzando di poco il tono della voce, come a ribadire quanto già gli aveva detto la sera prima. Non era ancora sparita che il generale Jarjayes:  “Andrè devi dirmi dov’è Oscar”
“Ecco… ha detto che avrebbe fatto una lunga cavalcata da sola”
 “Una lunga cavalcata?”
 “Già!” Le colombe svolazzarono intorno a lui.
” Andrè??!!”
 “SI”
 “ Io sono più che convinto che tu sappia cosa passa per la mente di Oscar, perché ha chiesto a Sua Maestà la Regina Maria Antonietta di non voler più far parte della Guardia Reale, ed essere destinato ad altro incarico? Dimmi quello che sai!”
 “ Mi spiace Signor Generale…” Fino a quel momento era rimasto nella medesima posizione, accovacciato attorniato dalle colombe, ma a questo punto si alzò in piedi, i bianchi ed innocenti volatili si librarono in volo, “… Ma con me non ha fatto parola a riguardo… a me ha detto che non dovrò più occuparmi di lei quando lascerà la guardia reale…”

***

Il vento freddo di fine febbraio le frizzava sul viso, e le scompigliava i lunghi capelli, non sapeva dove avesse trovato la forza di rispondergli, “Buongiorno??? Ma come fa a dirmi Buongiorno, dopo la notte orribile che mi ha fatto passare???” Un altro profondo sospiro “Io ti amo Oscar credo di averti  sempre amato” ecco… di nuovo, la voce di lui che sembrava perseguitarla, quelle parole, quella verità buttata lì quasi con naturalezza, con un tono che sapeva di liberazione. Un sollievo che solo lo svelamento di un segreto taciuto per anni può infonderti, “Ed io che non mi sono mai accorta di nulla in questi anni..come ho fatto?? Eppure di segni ce ne saranno pur stati…”
 Spinse Cesar ancora più veloce, come a scappare da quei pensieri che la stavano inseguendo. Aveva deciso di cavalcare per distrarsi ma a quanto pareva non riusciva a liberarsi da quella situazione. Non aveva voglia di pensarci anche perché rimuginava sempre sulle stesse cose: “Lei era una donna ma voleva vivere come un uomo, e il suo migliore amico, colui che considerava quasi un fratello, l’amava di quell’amore che solo un uomo può dare ad una donna”, tutto ciò, però, non implicava uno svisceramento, un’analisi della questione, no, i suoi pensieri si fermavano li e poi ricominciavano, sembrava un circolo vizioso, senza fine, e non riusciva a darsi una risposta, salvo quella comune che la vita da a tutte le complicate ed insolubili questioni: l’oblio, vivere, cioè, alla giornata, senza cercare risposte che tanto non avrebbero trovato una conferma.
Forse se fosse andata via, lontano, per qualche tempo, forse allora… di una cosa era certa…non lo voleva più vedere.
La lunga cavalcata non aveva sortito l’effetto desiderato, tutt’altro, si sentiva ancora più confusa, aveva l’impressione di essere come in apnea. Pranzò, si fa per dire, in camera sua e si preparò per recarsi a Versailles , quel pomeriggio, infatti, avrebbe ricevuto il nuovo incarico. Ma aveva fatto male i suoi conti…

***

La freddezza con la quale l’aveva accolto uscendo dalle scuderia, non lo ferì, anzi, sapeva di meritarsela, anche se in cuor suo desiderava ardentemente che un giorno lei non lo disprezzasse più, che potesse perdonarlo.
 “Oggi l’accompagnerò a Versailles, infondo non ha ancora ricevuto il nuovo incarico, e fino a quel momento Io sarò ancora il suo attendente, che le piaccia o meno!” Si fece trovare così, già pronto con Cesar sellato.

***

L’avrebbe  scortarla a palazzo, come aveva fatto negli ultimi vent’anni. Questo lei lo capì appena lo vide. Avrebbe voluto dirgli che ci poteva andare da sola, che non aveva più bisogno di lui, ma  le parole le morirono sulle labbra. Lui le puntava l’unica iride verde smeraldo dritta negli occhi, era come se le leggesse dentro, non riuscì a sostenere quello sguardo e in quel momento si sentì mancare.

***

Andrè sapeva di non meritare più la sua compagnia, ma non ne poteva fare a meno, anche se lei non lo voleva vedere, a lui bastava guardarla da lontano, così come aveva fatto da sempre. Cavalcava qualche passo avanti a lui e per tutto il tragitto non proferirono parola. Lei faceva finta che lui non ci fosse, mentre lui avrebbe voluto parlarle e dirle ancora ed ancora quanto fosse mortificato, ma l’atteggiamento di lei non gli permetteva d’ intavolare nessun tipo di conversazione, e sconsolato si domandò se mai un giorno lei avrebbe ripreso a parlargli, non gli bastava altro, ma quel silenzio era straziante. Sentiva che lo stava punendo.

***

“Fare finta che non ci fosse” questo cercava di dirsi, ma lui c’era. Non voleva dargli l’impressione che si sentisse in qualche modo a disagio, anzi il suo obiettivo era di punirlo. Uno strano sentimento di vendetta s’impossessò di lei, doveva pagare per l’umiliazione che le aveva inferto, lui il suo migliore amico, in un batter d’occhio le aveva dimostrato in maniera violenta, quanto lei fosse donna, e per di più le aveva confessato di amarla. Anche di quello gliene faceva una colpa perché quest’amore la rendeva ancora più quello che lei non voleva essere… una donna. L’indifferenza era la giusta punizione e poi a dirla tutta si sentiva paralizzata, quindi anche solo pensare di fare conversazione con lui, era un’ipotesi assurda.

***

Sapeva di meritare quel trattamento “Lei non perdonerà e non può perdonare. E quello che c’è di più terribile è che la colpa di tutto sono Io, la colpa sono Io”. Lui aveva pure reagito per rabbia e frustrazione, ma quella che ci aveva fatto le spese era lei, lei, che presa com’era dalla sua personalissima guerra, non si era resa conto dell’amore che lui provava, e che aveva cercato, di tenere nascosto, non senza fatica, per tutti quegli anni. La fronte poggiata a quella di Cesar, gli occhi verde cupo chiusi, le mani a giocare col morso del cavallo “Chissà che incarico le hanno assegnato, dov’è destinata e soprattutto… Io che farò senza di lei?”
TA-TA-TA “Eccola” stava tornado, i suoi passi, inconfondibili all’orecchio di lui, rimbombavano sotto l’arcata.

***

BUM-BUM-BUM,  il cuore batteva così forte che credeva si potesse udire all’esterno, le sembrava che il colonnato che stava attraversando amplificasse il suono dei battiti del cuore, confuso tra l’eco dei suoi passi marziali. Dietro il colonnato ad attenderla con Cesar, Andrè. Il ricordo di quanto accaduto la sera prima riaffiorò prepotentemente in lei…il bacio di lui, il peso del suo corpo su di lei… Cercò dentro se stessa l’espressione più algida che potesse fare, se i suoi occhi avessero potuto sparare proiettili, lui sarebbe morto in quell’istante. Montò a cavallo e solo quando fu di spalle, riuscì a pronunciare la frase che durante il tragitto aveva ripetuto più e più volte:”Andrè?…”
“Si…”
“In attesa di assumere il nuovo incarico vado nella villa di famiglia in Normandia, d’ora in avanti non dovrai più occuparti di me, e per quello che è successo l’altra sera…non ce l’ho con te, comunque preferisco dimenticare”.

***                                                          

Quanta rabbia aveva percepito dal suo sguardo e quanta in quelle parole che gli rivolse. La morsa del senso di colpa lo strinse impietosamente.
“Oscar scappi? Come sempre, quando una cosa non la sai gestire, così facevi da piccola, così hai fatto con Fersen, e così stai facendo con me. I problemi non si risolvano scappando Oscar, i problemi ti seguono dovunque tu vada”. Non c’entrava Fersen, lui, o il Generale suo padre, no, Andrè lo sapeva, scappava da se stessa, ma prima o poi avrebbe dovuto fare i conti proprio con colei da cui scappava. La vita le avrebbe chiesto questa prova, l’avrebbe messa nelle condizioni di guardarsi dentro e a quel punto non sarebbe più potuta fuggire e non le sarebbe rimasto altro che pagare il conto.  Andrè si augurò che quel conto non fosse così salato e guardando il cielo del tramonto, che i raggi del sole sfumavano di rosa, supplicò: “Dio ti prego, fammi essere vicino a lei quando accadrà!”.
 Oscar ancora non si era resa conto di cosa significasse non averlo accanto e lui questo l’aveva intuito, “Senti la mancanza di qualcosa che hai sempre avuto lì, solo quando non l’hai più” Andrè questo lo sapeva, ah se lo sapeva. Senza pensarci si sfiorò l’occhio ormai vacuo.
 Lei se ne sarebbe accorta, avrebbe sentito la sua mancanza, anche se lui certo, non aveva intenzione di lasciarla, avrebbe escogitato qualcosa, in qualche modo avrebbe fatto.
 Non poteva non godere più della sua luce, non poteva non essere di nuovo l’Ombra della sua Luce.


 
 
*Liberamente tratto da una frase  di non so più quale libro di Fabio Volo, mi è rimasta impressa all’istante e adesso non so più da dove provenga.
**Ne converrete con me che dire “posò il suo unico occhio” era qualcosa di orribile, quindi mi sono concessa una licenza poetica.

   
 
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