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Autore: SechsUndNeunZig    07/12/2010    0 recensioni
Arianna ha sedici anni e,come una ragazza normale frequenta il liceo,l'unico del suo paese. Studiosa,prende ottimi voti a scuola, dice di essere un'amante dei libri che non sopporta la gente. Ma in realtà è la sua non capacità di relazionarsi che la porta a essere sola. Con una cuginetta sempre in mezzo ai piedi che le farà conoscere non direttamente il mondo che sta oltre i libri,il nuovo arrivato e i segreti della sua scuola,Arianna riuscirà a uscire dal suo mondo di fantasia e imparerà a conoscere la realtà,non tutta rose e fiori.
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2. Non ho voglia di parlare!
Stamattina mi sono svegliata tremendamente tardi,non ho nemmeno messo la matita nera. Ho corso per le scale della scuola come una forsennata quando,a metà scala,ho sentito le simpatiche urla delle mie compagne di classe. Era palese che il professore di latino non era ancora giunto. Rallento il passo e passo una mano tra i miei capelli neri,sistemando un po’ anche la piccola libreria tra le mie braccia. Entro in classe e faccio un sorriso agli occhi che mi osservano e mi siedo nel mio banco,lanciando la borsa verso il muro. Inspiro l’aria fresca che entra silenziosa dalla finestra affianco al mio banco,cercando di neutralizzare le risate isteriche delle gallinelle. Quando finalmente riesco ad isolarmi sento un dito che tocca la mia spalla. Mi giro lenta,chi cazzo rompe le palle ora?
-Scusa,è libero questo posto?- Una voce fastidiosa,leggermente rauca,mi ricorda un motore sempre alla stessa velocità,penetra nelle tue orecchie senza che tu te ne accorga. Non conosco questa voce. Alzo lo sguardo e vedo un volto sconosciuto,annuisco e poi torno a guardare fuori dalla finestra.
Aspetto ancora dieci minuti,possibile che il professore non arrivi? Non sopporto questa classe,è fin troppo movimentata e il nuovo arrivato,non più nuovo ormai,attira i maschi della classe. Sento che parlano di alcuni videogiochi,di musica e di uscite. Non nominano alcuna ragazza,per fortuna niente perversione!
Qualcuno bussa alla porta e d’un tratto tutti son seduti ai loro posti,silenziosi e con un sorrisino ipocrita sul viso. La porta si apre con uno scricchio degno di una casa horror,quando intravedo il viso dolce della bidella. Cammina lenta fino alla cattedra e poggia il registro,qualche compagno tossisce. Poi torna indietro e ci guarda,mi sorride.
-Ragazzi,non fate casino dai,hanno chiamato il preside e ha detto che se arriva un nuovo richiamo sale direttamente a farmi lezione!-  Sussurra quasi,con la sua voce stanca e da donna adulta.
-Ma non è giusto! Io sono sempre stata seduta!- Obbietta Charlie con la sua vocina squillante,mentre continua a mettersi il suo smalto bluastro,intossicandoci con quell’odore. Le amiche ai fianchi portano una mano davanti alla loro bocca rossa e ridono,mentre dalle mie parti qualche ragazza manda maledizioni verso l’americana. La bidella richiude la porta e tutti si alzano,mentre io mi chiudo di nuovo nel mio mondo,prendendo il libro di filosofia.
-Protagora,è un mito- Sento di nuovo quella voce fastidiosa. Mi giro verso il mio compagno,sorride.
-Come?- Dico,guardando i suoi insignificanti occhi dietro i fondi di bottiglia che porta. Lui fa segno con la testa verso il libro,mi giro e leggo il titolo.
-Ho detto che Protagora è un mito. Cioè,alla fine anche chi ha torto ha ragione- Dice di nuovo,accennando un sorrisino.
-Ah sì,certo.- Torno sul mio libro. Che voce fastidiosa,cavolo! Tossisce e prende un quadernino dalla sua borsa,inizia a scrivere. Lo guardo con la coda dell’occhio. Scrive qualcosa,qualcosa che non c’entra niente con la realtà,saranno le sue seghe mentali. Sospiro e ritorno sul mio libro,mi estraneo dal mondo.
Le prime tre ore passano velocemente,i professori che il giorno prima non c’erano chiedono al nuovo arrivato il riassunto della sua vita. Avrà ripetuto circa dieci volte il suo nome. La professoressa d’inglese sta ancora spiegando,quando la campana suona e tutti si catapultano fuori. Come sempre lei ci è rimasta male,dovrebbe farsi più forza e imporre alcune regole nella classe,non può andare avanti così. Siamo rimasti io,Giacomo (il mio vicino) e altri tre. Lei tossisce,prende le sue cose e riempie la sua borsa,per poi andarsene con un “bye bye” sussurrato.
 -Come avrai ben compreso mi chiamo Giacomo- Dice con la sua voce fastidiosa e monotona. Prendo i libri dal banco e li poggio nello scomparto sotto. Accenno un sorriso e poi mi giro verso di lui.
-Io sono Arianna. – Dico fredda,poi mi alzo e mi affaccio alla finestra. Si alza anche lui e mi raggiunge.
-Ti disturbo? Sai,sei l’unica persona che…con cui… a cui ho rivolto la parola- Continua. Faccio segno con la mano di stare zitto e annuisco.
-Stà pure. – Borbotto. È leggermente imbarazzato,ma segue le mie mosse e si mette a guardare in un punto non ben definito del cielo.
Ha dei lineamenti non proprio spigolosi,sulla mascella,vicino al collo,è presente un piccolo accenno di barba,sulla mandibola invece,appena sopra le orecchie nascono due basette pronunciate. La sua faccia e contornata da acne giovanile e gli occhiali a fondo di bottiglia non riescono ad aiutarmi nella mia classificazione di bellezza. Sembra un ragazzo normale,è insignificante,niente che possa attirare l’attenzione delle ragazze di questa scuola. I suoi capelli castani hanno il tipico taglio corto da ragazzo,non posso dire se son ricci o solo mossi,da quel che si può vedere. È leggermente più alto di me ma anche molto più magro. Ho notato che tende a tenere lo sguardo in basso,così come la testa. La sua espressione è sempre uguale,sempre stanco. O,semplicemente il suo tagli degli occhi è fisso. Sono innaturali,strettissimi e lunghi,quasi da cinese,ma completamente diversi.  Non saprei descriverli,forse,nel complesso,sono l’unica cosa da considerare. Distolgo lo sguardo,non vorrei che si accorgesse della mia radiografia,non sarebbe molto piacevole.
Torno a casa con il pullman di linea e,guarda caso mi ritrovo di nuovo con lui,ma non ho voglia di starci di nuovo,così mi faccio spazio tra alcuni muratori e mi siedo alla fine del pullman. Sono quasi sicura che anche oggi mi ritroverò tra i piedi Alice.
 
Come avevo previsto Alice mi aspetta seduta sul divano,mentre guarda,di nuovo,quei stupidi cartoni. Mia madre mi aspetta alla porta e le regalo uno dei miei sorrisi che conservo apposta per lei.
-Come è andata oggi?- Mi chiede,mentre si asciuga le mani nel grembiule.
-Oh bene,sempre la solita giornata di scuola,niente di più,niente di meno- Dico,poggiando la borsa in terra e pregustando il buon odore che giunge dalla cucina.
-Cugina!- Alice si alza dal divano e cammina lenta a braccia aperte verso di me. La sua voce mi ricorda pericolosamente quella di qualche strozzino che viene a richiedere i debiti.
-Alice!- Le rispondo con lo stesso tono,dandole un colpo in testa. Mia mamma ride e ci fa segno di raggiungerla in cucina.
-Se hai compiti falli in fretta,perché ti ricordo che dobbiamo andare dal mio compagno!- Mi da un colpetto sul fianco con il suo gomito. Sbuffo e poi la prendo per la spalla,trascinandola fino alla cucina tra le sue risate e i miei sbuffi.
Questo pomeriggio è stato il peggiore di tutta la mia vita. Mi ripeteva ogni dieci minuti che ora era,non permettendomi di fare al meglio i compiti. Alle tre ho chiuso tutto e sono salita in camera mia,portandomela,purtroppo dietro.
-Così almeno non mi dirai ogni dieci minuti che ora è! Vedi? C’è scritto anche nel computer!- Le ho urlato,indicando lo schermo acceso. Lei ha scosso la testa e prima di uscire dalla camera ha sentenziato,come una madre
-Alle tre e dieci vai a datti una rinfrescata,metti su quelle occhiaie anche un po’ di trucco-
Ho sollevato gli occhi al cielo e ho supplicato Dio affinché crescesse in fretta e si levasse dalla mia vita.
  
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