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Autore: psychoKath    08/12/2010    0 recensioni
La vita può cambiarti in un secondo. Una scelta sbagliata, una decisione non giusta e tutto si può stravolgere. Ogni certezza che avevi in un attimo sparisce. Svanisce tutto in quella piccola frazione di secondo che ti lascia senza fiato. Come quando da piccoli si giocava a chi riusciva a stare più sott’acqua in apnea, che cercavi a più non posso di vincere e ti portavi allo stremo. I polmoni si inaridivano e il cuore batteva all’impazzata. L’ossigeno arrivava molto lentamente al cervello e ti faceva contorcere. Poi tornavi a galla e avevi la vittoria in mano, ma stavolta no. Non è una sfida, non è un giochetto.
Questa pallottola non mi cambia la vita, la distrugge.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Camminavo lenta per i corridoi del college. Passo dopo passo mi trascinavo alla ricerca dell’aula di spagnolo. Classica routine, niente di diverso. Ma quel mattino nessuno avrebbe pensato di partecipare a una sparatoria.
La campanella era suonata da un pezzo, ma mi stavo affrettando per andare dall’altra parte del campus. Volevo fare una sorpresa al mio ragazzo Wren. Stranamente l’edificio era deserto e mi metteva i brividi. Era come se fosse tutto più scuro e tenebroso. Non volava una mosca. Le aule sembravano vuote. Come se tutto d’un tratto gli studenti e i professori fossero scomparsi.
Mi fermai davanti all’aula 66, era chiusa.
“Wren! Wren, sono Lexie.” Esclamai, bussando alla porta. Era davvero vuota.
Presi il cellulare dalla borsa e provai a chiamarlo.
Beep. Beep. Beep.
Niente da fare, non risponde. Porca vacca, non è possibile! È un incubo?  Pensai.
“C’è qualcuno???” urlai. “Non è un bel giochetto. Mi avete fatto innervosire”.
Mi guardai attorno. Non si muoveva niente, sembra come se fosse immobilizzato. Non c’era un filo d’aria.
Corsi fuori dalla porta principale e mi trovai faccia a faccia con un signore di mezza età.
La sua faccia era contorta dall’angoscia e dalla rabbia. I suoi capelli erano spettinati come se li fosse tirati di forza, strappandone qualche ciocca. Il parcheggio era come il centro commerciale dopo i saldi, svuotato.
“Mi scusi signore sa, per caso, dove sono andati tutti?” chiesi cercando di essere il più gentile possibile.
Mandai un sms a Wren, ma appena alzai lo sguardo la vidi.
Era una pistola, dritta puntata alla mia testa.
Non era un sogno. Era tutto reale.
“Me lo stavo chiedendo anche io. Dove sono i professori, eh? Dove sono? Li devo uccidere tutti. Li devo uccidere.” Farfugliò l’uomo.
Cercai qualcuno nel parcheggio, ma non vidi nessuno. C’erano tante macchine vuote.
Con la fortuna che ho, avranno dato l’allarme di chiudersi nelle aule senza fiatare. Che c’era un uomo armato e pazzo. Che non bisognava uscire per niente al mondo. Grazie tante. Davvero.
“Io.. io.. io non lo so signore. Stavo andando a casa perché mia madre non sta bene. E’ incinta e ho paura per mio fratello. E.. e.. poi ho incontrato lei eh..”
Il cervello immetteva impulsi ogni secondo. Di questo. Fai quello. Scappa. Corri veloce. No stai ferma o ti ucciderà.
I minuti passavano lenti e la mano del signore era stanca e tremava. Quella pistola non stava ferma e ogni volta sembrava sempre più vicino a me e alla mia fine.
Non mi accorsi nemmeno di piangere. Candide gocce di lacrime mi solcavano il viso. Lacrime di paura e rassegnazione.
Quelle lacrime che ti preannunciano che ormai è la fine.
Nei film quando la gente muore, solitamente ha come dei flash su tutta la loro vita. I momenti belli. Quelli che ti fanno piangere. Le cose per cui rimpiangi di essere lì in punto di morte.
Eppure io, in quel momento, non vidi nulla se non quella dannatissima pistola.
Tutto era fermo. Quell’uomo era come in preda al panico.
Poi all’improvviso misi a fuoco una macchina. Il mio migliore amico Spencer si stava sbracciando per farsi notare. Le lacrime incominciarono a cadere sempre più forte.
 
Il 911 mandò istantaneamente più pattuglie possibili, ma non fecero in tempo ad arrivare.
“Hai chiamato la polizia puttanella?! Muori!” mi strillò contro il signore.
Mi si gelò il sangue nelle vene, quando premette il grilletto. Tutta la mia vita fu distrutta da un solo momento. Una frazione di secondo in cui quel pazzo sparò.
Volai a terra, a peso morto. Il proiettile era conficcato vicino allo stomaco. Faceva male. Faceva malissimo. Era tutto un insieme di dolore lacerante e odio.
Il corpo doleva e pizzicava. Tutto era confuso, niente aveva più forma o colore. Si stava tutto trasformando in una massa informe di colore nero. Quello che succedeva all’esterno non riuscivo a recepirlo.
 
 
“LEXIE!!!LEXIE SVEGLIATI. RESTA CON ME, LEXIE.”
Una voce ululava distorta. La testa girava e non avevo le forze per aprire gli occhi, ma quelle mani che mi premevano lo stomaco mi facevano male. Volevo dirgli di smetterla, ma non riuscivo.
Spence stava piangendo. Le sue lacrime mi bagnavano il viso.
“Spencer! Piangi.. perché sto morendo?” gli chiesi schietta, raccogliendo tutte le forze per aprir bocca.
“Piccola Lex, devi resistere. L’ambulanza sta arrivando. Ti prego Lex, non lasciarmi. Non lasciarci così. Non pensi a Wren? Vuoi lasciarlo solo?? LEXIE DEVI VIVERE.”
Ormai il mio migliore amico stava dando i numeri, era preoccupato. Anzi era spaventato.
“Spence.. fammi un ultimo favore.”
“Dimmi tutto Lexie”
“Devi.. cerca Wren. Digli che lo amo. Digli che è stata la cosa più bella della mia vita, che nulla mi ha mai emozionato così. Digli che lo proteggerò anche dopo la morte. Lui non sarà mai solo. Puoi dirgli questo? Spencer, parola per parola. E saluta tutti. E grazie Spencer. Grazie per tutto. Ti adoro, sei stato il miglior amico..”
Una scarica di vomito e tosse bloccò le mie parole. Le lacrime tornarono a scorrere lente sulle mie guance fredde. La vita pian piano mi stava lasciando. Se ne stava andando per sempre.
“Lexie ti prego, non lasciarmi.” Sussurrò.
“miglior amico di sempre.. ricordalo. Addio. Addio a tutti”.
Poi le palpebre si chiusero. Il respiro si fermò e con un soffio la mia vita sparì, annientata da un infame pezzo di merda.

 
 
   
 
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