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Autore: thewhitelady    08/12/2010    1 recensioni
- Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti gli incubi - Liam Keeran.
- Questo è solo la Genesi, dobbiamoa ncroa passare per il Levitico,l'esodo e il Deuteronomio prima d'arrivare a qualcosa - Eneas Clayton
Storia di una caccia al tesoro che si trasforma tra inseguimenti e una rapina in un museo in pericoloso gioco mortale. Storia di come un uomo scopre di essere ciò ch ha sempre combatutto, e della redenzione di un altro. Storia di due amici. Il tutto girando il mondo tra Inghilterra, europa dell'Est e estremo Oriente.
La mia prima storia, recensite ma soprattutto buon divertimento! :D
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nei giorni successivi, tutti passati nella Repubblica Slovacca, Keeran tornò in sé, riprese a lavorare senza sosta sulle piccole pergamene che avevano trovato a Vienna e riuscì persino ad escogitare un piano per riavvicinarsi a Lyn a missione conclusa. Aveva capito che prima finivano e prima sarebbe potuto tornare da lei. Tornare da lei, sì, quello era il pensiero morboso che lo attanagliava, ormai scandiva la sua vita.
Certo non sarebbe stato facile dopo tutte le carognate che le aveva detto, però Keeran era riuscito a ritrovare il suo equilibrio ora che si era fatto meglio il quadro della situazione.
E proprio per trovare celermente una risposta all’indizio aveva stabilito che per minimo quattro ore al giorno tutti si sarebbero dovuti riunire insieme per trovare presto delle idee. Fu così che dopo due giorni di carcere, almeno così le definiva Fang le sedute, trovarono uno sbocco dopo innumerevoli vicoli chiusi.
Cominciò tutto come al solito, verso le tre del pomeriggio si riunirono in circolo con al centro un tavolino, le pergamene tenute dentro una busta erano posizionate al centro di esso a mo’ di reliquia. – Ciao, mi chiamo Daniel, ho trent’anni e sono sei mesi che non tocco una goccia d’alcol – esordì Fang ironicamente, Keeran rise – Ciao Daniel, benvenuto all’AAA… Dicci cosa ti frulla in testa? -.
Fang prese in mano la busta e si sforzò di pensare a qualcosa che non fosse la libertà al di fuori di quelle quattro mura o alle belle ragazze locali. Quelli che metteva a fuoco erano puntini e linee messi  in modo del tutto casuale, uno scarabocchio fatto durante una telefonata; negli ultimi giorni avevano pensato a tutto e di più, ormai gli sembrava d’aver partorito ogni ipotesi possibile ed immaginabile, poi però gli scattò una molla, il suo cervello fece qualche strana sinapsi e parve tutto chiaro, si sentiva un po’ come Tom Hanks nel Codice da Vinci. – Sono stelle – asserì tranquillo sventolando davanti al naso di Keeran la busta.
- Sì certo… Chi è il tuo pusher? – domandò sarcastico. 
Fang non si scomodò neppure a rispondere, prese un block notes e con una matita ricopiò i puntini centrali che c’erano sulla pergamena,  poi li unì e abbastanza pomposamente sbatté l’immagine in faccia ad Austin che infine lo prese a sua volta – Ok, non ho neppure idea da che lato bisogni guardarlo però se sei sicuro. E come si chiamerebbe codesta costellazione? – chiese ancora abbastanza incerto. Fang mise la sedia su due gambe e tenendola come suo solito in bilico cominciò a giocare con una sigaretta: - Il cinquanta per cento del mio cervello è occupato da testi di canzoni anni Settanta, non c’è più spazio per altra roba. Però sono certo che esista, non chiedermi il nome, ma c’è -.
Adam che fino a quell’istante era rimasto zitto prese il disegno sul foglio ed aggiunse – Lo scannerizzo per vedere cosa salta fuori da Internet -. Fang insieme a Keeran uscì dalla camera d’albergo in cui alloggiavano, - L’hai inventato solo per poter uscire? – chiese il secondo ad un certo punto, Fang gli diede un’occhiata di sbieco – Forse sì, forse no. So solo che ho una pazza voglia di qualcosa di ghiacciato; probabilmente se fossi stato ancora mezz’ora in quella stanza avrei rischiato d’ucciderti per una birra o un cono gelato -.
- Buon per me allora – replicò Keeran, in effetti una siesta ci voleva proprio a quell’ora del pomeriggio, - Emh, mi stavo scordando: quando l’altra sera ho parlato con Clayton mi ha detto di riferirti che sei stato promosso a capo della sezione – informò gioviale, a Fang aveva raccontato celermente di Matthews ma si era completamente scordato del fatto che l’amico fosse avanzato di grado.
Fang non sembrò farsi prendere dalla cosa, poi però dopo un paio di secondi esclamò – Finalmente! Non vedo l’ora di stringere… -
Keeran però lo precedette – La mano del presidente? Non è poi così gran cosa sai – asserì non curante.
Fang corrugò la fronte – Ma che vuoi che me ne freghi del presidente! Io non vedo l’ora di stringere tra le mani il volante della McLaren Slr, 334 km/h e fa i cento in meno di quattro secondi, questa è roba da pazzi! – esclamò su di giri.  
- Io in quattro anni l’avrò guidata si e no tre volte… - constatò Keeran, gli piacevano i bolidi ma guidarli in strada per lui era uno spreco.
– Be’, solo quell’auto ripaga di anni di soprusi da parte di Clayton – ammise Fang, lui era uno che andava letteralmente matto per l’alta velocità.
Scesero in strada e si diressero verso l’unico bar di quel paesino sperduto che avevano scelto come meta, il cui impronunciabile nome era Chvojnikkva, infondo però con un’ estate così torrida ogni locale faceva buono. Soprattutto se…- Offri tu Liam questa volta – disse Fang varcando la soglia del pub, Keeran alzò gli occhi al cielo e replicò – Sai che novità -.
 
Non passò nemmeno mezz’ora che pure Adam li raggiunse al bar, ma con tutt’altra intenzione che il bere qualcosa. S’appoggiò ad uno sgabello stringendo in mano un foglio fresco ancora di stampa, - Den, den, den, abbiamo un vincitore! – esclamò schiaffandolo sul bancone – Avevi ragione Daniel, quella sulla pergamena era una bella costellazione, e non il frutto della tua pazzia – disse sorridendo, si vedeva lontano un miglio che era molto soddisfatto, conteneva a malapena la gioia.
Fang diede un’occhiata molto eloquente a Keeran
Come volevasi dimostrare
- Davvero un buon lavoro – convenne Keeran anche lui compiaciuto dall’ottimo e celere risvolto di quell’indizio, quindi volle sapere un po’ cosa avrebbero dovuto affrontare quella volta – Su che aspetti, dicci un po’! – proseguì, intanto ordinò dell’acqua tonica per Adam che era rigorosamente astemio.
- Allora – esordì il ragazzo, una punta d’orgoglio gli fremeva nella voce; Keeran lo osservò divertito: Adam manteneva sempre quell’aria un po’ da bambino al primo giorno di scuola, leggermente timoroso e teso, però sempre eccitato da un successo.
Sono ragazzi… 
- Dan sul foglio ha individuato una sola costellazione, Cefeo, io ne ho trovate altre cinque. Noi avevamo un solo disegno che era Cefeo e tanti puntini, ora: la costellazione di Cefeo è stata disegnata con un altro inchiostro, diverso da quello dei puntini, è stata fatta dopo! – esclamò Adam, ma subito si accorse che gli altri due non avevano ben capito, quindi cercò di spiegarsi meglio – E’ come quel gioco d’enigmistica in cui si devono unire i puntini, né più né meno. Qualcuno dopo aver avuto la pergamena ha tracciato Cefeo, io mi sono accorto dopo che anche gli altri puntini si potevano unire a far formare nuove costellazioni: Dragone, Cassiopea, Lucertola, parte di Cigno e dell’Orsa minore – disse concitato. A Keeran parve strano che non si fossero accorti prima di tutti quei puntini, lui li aveva pure contati e non sarebbero mai stati abbastanza per formare così tante costellazioni, - Come mai tutto a un tratto saltano fuori così tanti puntini? – domandò alquanto perplesso.
Adam si storse le mani nervoso – Ecco io quando ho ingrandito la pergamena al computer, be’ non avevo zoomato abbastanza perché non avevo voglia di andare a scaricare un programma che non avevo e così alcuni puntini mancavano all’appello. Oggi invece l’ho fatto, li ho uniti come ha fatto Dan con Cefeo ed ho capito che quella è una mappa stellare, certo non fatta da un astrologo e molto primitiva, però una mappa stellare -, parlava sommessamente e ogni particella del suo essere sembrava stesse chiedendo scusa per la propria negligenza.
Keeran non ci fece caso, era abituato a lavorare con Adam e quella era la prima volta in due anni che non aveva dato il cento per cento; lui sapeva già cosa avrebbero potuto fare con quella mappa però lo chiese comunque, tanto per rifondere un po’ d’orgoglio al ragazzo. – Quindi a noi cosa serve una mappa stellare? -.
- Be’ è utilissima, probabilmente è stata tracciata dal posto in cui dobbiamo andare, io posso calcolare l’esatta ubicazione. Però – fece una pausa, quello era stato un vero colpo di genio – bisogna calcolare che negli ultimi dodici secoli i corpi celesti si sono spostati. Se non lo facessi rischieremmo di sbagliare anche di un migliaio di chilometri -, finalmente si sedette sullo sgabello e soggiunse concludendo – Preparate i bagagli, domani a quest’ora il computer avrà finito di calcolare e noi saremo in viaggio! -.
 
 
Ad Ürümqi la notte era del colore della pece e allo stesso tempo luminosissima: guardare il cielo era come sporgersi su d’un pozzo chilometrico sul cui fondo era incastonati migliaia di migliaia di stelle fulgide come diamanti, da perderne il conto. La notte in mezzo al deserto era qualcosa di straordinario, da far sfigurare le nostre tenebre di città che non sono nemmeno degne, al confronto, d’esser chiamate notte; perché là si guarda il cielo a naso in su e ci si sente piccoli davanti ad una tale vastità, perché l’occhio cerca di spingersi dove non può andare e allora interviene la mente a fare domande di come mai ci sia tanta magnificenza nel lontano cielo ed invece così tanta la miseria nella vicina e più battuta Terra. Oppure magari nel sorriso enigmatico della Luna si poteva celare ben più d’una domanda, anzi magari si poteva cercare una risposta di qualcosa che manca e che comunque si sente vicino. Nel cielo del deserto ardente di fiaccole, da millenni sempre si riversavano i pensieri e le speranze migliori o peggiori dell’uomo.
Jabbar invece non ci vedeva nulla nel nero vellutato della notte, lui che era cresciuto nel deserto trovava che quelli fossero pensieri inutili a cui anelavano solo gli stolti ed i sognatori. Lui con la testa stava al presente e della silenziosa Luna non gli importava niente, tanto più che quella come i suoi stolidi osservatori, non combinava mai niente che non fosse l’alzarsi mentre si facevano più insistenti le tenebre per poi scomparire effimera al primo albore.
Che fai lì perdigiorno se non servi a nulla?
Questa volta un pensiero, anche se nefasto, l’incolpevole e casta Luna glielo era riuscito a strappare. Si concentrò di nuovo. Con gesto fluido da dietro le reni estrasse una nove millimetri, alla canna vi appoggiò un silenziatore per poi farlo scorrere ed infine fissarlo; proseguì con passò felpato lungo il corridoio, sapeva a memoria la strada che doveva fare. Si muoveva come se non fosse stato corporeo, un’ombra tra le tante, negli anni aveva acquisito una caratteristica che avevano molti nel ramo del suo mestiere; una persona avrebbe potuto passargli accanto senza neppure accorgersi della sua presenza.
Mentalmente contò le porte che stava sorpassando, la quarta era quella giusta. Purtroppo quell’antiquato albergo non era dotato di serratura elettronica bensì la porta era ancora dotata di chiave e toppa, ovviamente arrugginita ed impossibile d’aprire senza fare un gran baccano. Ma nemmeno quello era un problema per Jabbar, gli sarebbe piaciuto svegliare e magari scorgere il terrore negli occhi della sua vittima, in quegli occhi che quasi sicuramente non ne avevano mai provato; decise comunque che per una certa professionalità non avrebbe acceso la luce.
Inserì la chiave e con un veloce movimento del polso fece scattare la serratura, nello stesso istante spalancò la porta che inesorabilmente cigolò. Come si era aspettato l’inquilino della camera si svegliò subitaneamente e di soprassalto, ma non abbastanza veloce, sicuramente più lento dell’indice di Jabbar che premette il grilletto più volte, tutti i colpi andarono a segno e la vittima non poté far altro che sussultare nel letto negli ultimi spasmi di vita. Jabbar ripose l’arma nella custodia di cuoio, l’uomo appena freddato l’aveva ammaliato con i suoi modi di fare, si era però concesso troppe libertà e poi quella sua maledetta lingua tagliente più d’un rasoio… Adesso avrebbe avuto lui l’ultima parola, quella definitiva, quindi  disse al morto – Mai fidarsi d’un armeno Mr. Poole -.
 
Keeran scendendo dal pullman fu accecato dalla luce del sole, per tutto il viaggio aveva dormito malgrado la fastidiosa presenza di pollame e di una capra sulla corriera che li aveva portati all’ultimo decente baluardo di civiltà presente a margini del deserto del Taklamakan, circa duecento settanta chilometri quadrati di sabbia, sassi e poco altro. Taklamakan tradotto voleva dire letteralmente: se ci vai, non torni più. L’inizio non era certo dei migliori. 
Ora l’intensità della luce era quasi insopportabile, il riverbero che creava sul suolo peggio d’una torcia puntata negli occhi. Aveva ben altri problemi, e certamente c’era chi stava peggio di lui, cioè Fang. L’amico come gli dettava la natura del suo carattere, era riuscito a fare conoscenza persino durante il viaggio, dove due donne gli avevano gentilmente offerto una strana pietanza; Fang era stato l’unico ad accettare ed ora era più di un’ora che dava di stomaco con la regolarità d’un bulimico. Keeran gli si avvicinò – Come va? – domandò dandogli una pacca sulla spalla, Fang che era piegato in due alzò il pollice e mormorò – Fidati – poi soggiunse – Vuoi i mie occhiali da sole, vero? –
- Esatto – ammise Keeran sfilando dai pantaloni di Fang i Rayban che lui portava sempre con sé, poi gli disse – Mamma non t’ha mai detto di non accettare il cibo dagli sconosciuti? -.
- Sai è un frase un po’ infelice da dire a un orfano – mormorò Fang raddrizzandosi, mani dietro la schiena, il volto che aveva preso una striatura leggermente verdognola.
– Sì, in effetti – convenne Austin guardando all’orizzonte, la corriera li aveva proprio lasciati alle porte Mazartag una minuscola oasi nel cuore, poco pulsante, del deserto.
- Credi di riuscire a muoverti? – domandò Keeran a Fang che corrugò per un istante la fronte e gli fece segno con la mano d’aspettare, poi fu preso nuovamente dai conati. Appena si fu ripreso Fang proseguì chiedendo – Dicevi? -.
- Dio mio, ormai avresti dovuto sputar fuori persino l’anima! – esclamò Keeran tutt’altro che turbato.
- Boh quella non so. Però sono sicuro d’aver perso un rene o qualcosa del genere…Dov’è finito Adam? -. Fang si stava guardando intorno, ma del ragazzo non c’era traccia; ci mancava solo che si fosse perso.
Keeran si asciugò la fronte grondante di sudore – Credo che sia dietro ad una di quelle rocce a vomitare pure lui -, notò il punto interrogativo che si formò sulla faccia di Fang, quindi soggiunse – Non sopporta la vista di quella robaccia -.
- Emh, meno male che prima di diventare hacker si era iscritto a medicina! Certo che è dotato d’una tempra quel ragazzo! – esclamò ironicamente Fang, poi proseguì cambiando discorso – Dovremmo raggiungere l’oasi, affittiamo un mezzo prima che faccia buio e poi domani mattina iniziamo subito a lavorare. Su andiamo -, prese il suo zaino e cominciò ad avviarsi insieme a Keeran verso Mazartag.  
- Diamo un urlo ad Adam? – domandò maliziosamente Keeran
- Naaah, voglio vedere quanto tempo ci mette ad accorgersi che ce ne siamo andati e a che velocità riesce a correre quel piccoletto… A proposito, gli hai detto che vicino alle rocce all’ombra stanno i serpenti? -
- Credo di essermene dimenticato. Peccato. Sarà per la prossima volta! –
– Siamo un tantino maligni. Mi piace – commentò Fang, lo sguardo rivolto all’oasi che mano a mano si avvicinavano cominciava a prender forma.
Quando superarono le labili mura composte da fango e sacchi di sabbia, furono letteralmente sommersi dall’atmosfera che regnava in quel luogo: tutto in quel mezzo chilometro quadrato traspirava vita, suoni, colori dalle tinte sgargianti e l’aria era completamente pervasa da mille profumi ed essenze, più o meno gradite all’olfatto.
Keeran era già stato in un’oasi, in quella di Kerzas in Algeria, e come allora gli sembrò davvero molto strano passare da un’area totalmente disabitata ad una che sprizzasse energia in tale maniera; superate le mura pareva di essere sulla soglia di due universi essenzialmente diversi e distanti anni luce, eppure così vicini tra loro. L’amico che quella volta gli aveva fatto da guida nel Sahara gli aveva detto che era proprio quella la magia del deserto: due mondi paralleli che si contrastano ma che alla fine sono uniti da uno stesso destino.  
Keeran smise di vaneggiare col pensiero e cominciò con gli occhi, in ogni buona oasi che si potesse chiamare con tale nome c’era per forza qualcuno pronto ad affittare un mezzo di trasporto, scadente, ma pur sempre con quattro ruote.
- Vedi qualcosa di buono? – domandò a Fang, ormai si stavano spingendo al di fuori del centro dell’oasi. – Sì, laggiù – disse facendo segno con la testa verso destra, poi aggiunse chiedendo – Che lingua parleranno? -
- Ma quella universale, quella con su stampato il bel faccione di George Washington -. Si avvicinarono ad un gruppetto, seduti sotto ad una specie di sgangherato gazebo per ripararsi dal sole. Keeran notò la loro età, il più grande non arrivava ai venti, ma soprattutto lo colpirono le loro espressioni: tutte uguali, tutte con su stampate un finto sorriso, pronti ad accogliere il solito turista.
Keeran indicò subito il pick-up Toyota su cui era poggiato uno, voleva quello perché sapeva che genere di mezzo fosse, uno di quelli indistruttibile e che non si fermano mai. Fatti ancora di solida lamiera e non una versione ingigantita delle macchinine Hotwheels che ormai si producevano. Il più piccolo dei ragazzini si alzò svelto e corse nella casupola di mattoni che stava dietro al gazebo, da lì a poco rispuntò seguito da un uomo sulla cinquantina, un tipo ben pasciuto che al contrario dei ragazzetti aveva imparato bene l’arte del falso sorriso. Stranamente parlava pure qualche parola d’inglese, arrugginito ed inceppato ma abbastanza buono – Toyota… Per quanti giorni lo volete? -. Keeran fece subito segno con le dita: l’avrebbero affittato per tre giorni, un tempo che gli pareva più che ragionevole per trovare il tesoro. Poi chiese – Quanto vuoi? -, stava già tirando fuori una mazzetta di dollari quando però l’uomo intervenne – No dollari, non posso cambiare. Orologio e occhiali -. Keeran però prima di sfilarsi l’Omega che teneva al polso ed i Rayban, disse a Fang – Fammi un favore: controlla le sospensioni e un po’ tutto il resto -.
 
Keeran fece il pieno al Toyota, sarebbe stato un incredibile smacco il rimanere senza benzina nel pieno del deserto e per di più a poche miglia dal raggiungere la conclusione di quell’incredibile epopea. Sul retro del pick-up avevano messo un po’ di tutto: rifornimento d’acqua per tre giorni, mute e bombole da sub, Keeran da Adam si era fatto persino portare imbracature e strumenti per scalata; questa volta sarebbe stato improbabile trovarsi impreparati a qualsiasi evenienza.
Pagata la benzina e prese di riserva un paio di taniche, salì sul Toyota e lo portò fino ai margini dell’oasi, non erano ancora le sei del mattino eppure Mazartag brulicava di vita: i negozietti e le botteghe avevano alzato la saracinesca già da un pezzo, il vociare dei mercanti da attento e brusio qual’era stato si stava trasformando lentamente nella consueta baraonda.   
Come al solito appena uscì dalle mura gli sembrò d’esser stato inghiottito in una dimensione parallela, una palla di fuoco appena visibile stava facendo la sua comparsa ad oriente dando l’impressione d’incendiare le dune di sabbia fine e parte delle abitazioni. Nel cielo limpido in cui si stagliavano quasi trasparenti lembi di nuvole e cirri d’oro ancora qualche sella solitaria si attardava prima di scomparire.
A Keeran sembrava il principio d’una giornata perfetta, l’aria per il momento non era né pesante né umida, e se avessero ben sfruttato le prime ore di luce forse avrebbero anche potuto evitare il gran caldo, il vero e proprio mezzo giorno di fuoco. Stava riflettendo su questi fattori atmosferici quando s’accorse che mancava qualcosa d’essenziale, anzi qualcuno. Al suo fianco stava soltanto Adam, a cui chiese – Dov’è  andato Dan? -. Il ragazzo si strinse nelle spalle – Mi aveva detto che doveva fare una cosa. Non so che gli sia saltato in mente -.
Non dovettero aspettare molto per avere una risposta più recisa, quando Keeran si girò verso l’oasi distante non più di duecento metri cominciò ad intravedere un gran sollevamento di polvere creato certamente da un mezzo, all’inizio non ci fece caso, poi però quando vide apparire un puntolino impazzito che continuava a zigzagare ad una velocità folle per un terreno così accidentato, capì chi doveva esserne lo svitato conducente. La motocicletta sotto forma di confusa macchia bianca passò loro di fianco come una saetta, poi Fang la fece rallentare e compì un inversione ad U. Quando si fermò era ancora avvolto da un fitto polverone di cui era completamente ricoperto, sollevò gli occhiali protettivi e li mise sul casco, - Bella vero? – chiese mettendo il cavalletto. Adam tossicchiando disse – E’ una motocicletta, allora? -.  
Keeran sapeva che quella per Fang non era soltanto una semplice motocicletta, - E’ la Yamaha XT 250, non è così? – chiese un po’ sorpreso di vederne ancora in circolazione, quella era un modello abbastanza vecchio, aveva come minimo più di vent’anni.
- Sì esatto. Non è incredibile? E’ identica a quella che avevo io da ragazzo! Bianca e viola! – esclamò battendo sul serbatoio, poi vedendo lo sguardo interrogativo di Keeran soggiunse – L’ho comprata dallo stesso tipo del Toyota. Non l’ho pagata niente perché non funzionava, poi ci ho messo su io le mani ed ora è come nuova. Mamma mia ti ricordi ne abbiamo fatte con questa? L’avevamo ridotta ad un rottame, e poi il suo funerale! – disse concitato, un ampio sorrisogli apparve sul volto. Adam domandò sempre più confuso da quelle insanie – Avete fatto il funerale ad una Yamaha? -
Keeran che stava osservando per bene la motocicletta gli rispose – Certo! Suo padre un mattino aveva giurato che avrebbe preso la Yamaha e che l’avrebbe portata a far rottamare, così siamo subito partiti: da Pittsburgh a Washington DC in tre ore e mezza, poi l’abbiamo lanciata a tutta velocità nel Potomac. Un funerale con i fiocchi per una grande motocicletta – convenne a sua volta dando una pacca vigorosa sul serbatoio colmo di benzina.
- Voi eravate completamente fumati! – esclamò Adam, quella era la prova che i due erano nati matti e non lo erano diventati.
Fang si mise a ridere – Non quanto quei poliziotti che la trovarono… Devi sapere che circa sei mesi dopo nel Potomac fu ritrovato, proprio accanto alla mia motocicletta, il cadavere irriconoscibile d’un giovane, povero disgraziato – fece una pausa - Ebbene gli sbirri risalirono al proprietario del mezzo grazie alla targa, e quindi si presentarono ai miei genitori facendo loro le debite condoglianze e dicendogli che il loro figlio maggiore era morto in un terribile regolamento di conti – disse tra il riso, quella storia dopo tanti anni riusciva ancora a farlo sorridere. – Sai che smacco i vecchi quando hanno scoperto che non si erano liberati di me per davvero?! -
Adam incredulo scrollò le spalle – Dopo questo aneddoto rettifico: voi siete matti; ed ora faremmo meglio a partire dato che il sole si sta alzando in cielo -.
Effettivamente avevano già perso troppo tempo in chiacchiere; Keeran sul Toyota salì al posto di guida mentre Adam gli avrebbe dettato il percorso che aveva elaborato al computer nei giorni precedenti.
- Dimmi un po’ – fece Keeran curioso – Come mai ci hai messo così poco a calcolare il percorso usando soltanto un portatile? -. Adam non alzò nemmeno lo sguardo dalla cartina che teneva sulle ginocchia, non dovevano sbagliare la strada, cosa abbastanza complicata in un deserto dove non ne esistono, - Una sola sigla: NASA -.
- L’hacker perde il pelo ma non il vizio! – esclamò scompigliando i capelli al ragazzo, poi soggiunse – Ne farai di strada Pulcino, vedrai un giorno sarai meglio di me e Dan messi insieme -.
 
Le rosee speranze di Keeran furono subito stroncate, erano le due del pomeriggio e faceva un caldo d’inferno, era come stare in una fornace industriale ed intanto bere del tè fumante. Il pick-up neanche a dirlo, non era dotato di aria condizionata e la prima tanica d’acqua da cinque litri se n’era andata già da un bel pezzo.
Quel che potevano vedere era solo e soltanto sabbia, gigantesche onde di sabbia che sopra le loro teste erano come montagne irraggiungibili. Da più di mezz’ora Adam stava ripetendo la stessa frase: siamo vicini, alternato ad un speranzoso ci siamo. Stavano perlustrando i cinque chilometri in cui avrebbe dovuto esserci non si sa cosa, ma almeno qualcosa; l’unico che si divertiva come un matto era Fang che nel greto d’un fiume ormai morto continuava a compiere evoluzioni ed impennate sulla Yamaha. Lui però sosteneva con fervore di star adempiendo un compito fondamentale per la riuscita della missione.
- Dovremmo dare uno occhiata dall’alto – propose Keeran, vedendo però che non c’erano volontari e che neppure lo sfruttatissimo Adam aveva la benché minima idea d’abbandonare l’esile riparo fornito dal Toyota, dovette scendere ed arrampicarsi, se così si può dire, su di una gigantesca duna che si ergeva imponente a poche centinaia di metri da loro. Salire non fu affatto facile, si affondava nella sabbia fino al polpaccio e per tirarsi fuori si faceva notevole fatica; però quando finalmente fu in cima alla duna, non poté non pensare che tutto quel sudore fosse il meglio speso di tutta la sua vita. Una volta tanto poi non si fece impressionare dalla vista incredibile: tutta una serie di dune più piccole che scendevano degradando fino in un bassopiano circondato per metà da pareti verticali, un canyon nel pieno del deserto del Taklamakan, che certamente non avrebbero notato se fossero soltanto passati di fianco alle dune per evitare un percorso che sarebbe stato impossibile fare con fuoristrada o motocicletta.
Quel che notò Keeran però era la minuscola macchietta verde che stava a ridosso della parete più occidentale. Si voltò e messe le mani a coppa davanti la bocca gridò: - Dan muovi le chiappe e vieni un po’ qui a vedere! E tu Adam comincia a portare qui mute da sub e bombole, ho idea che ci serviranno -. Passati altri dieci minuti impiegati da Fang per l’estenuante salita, Keeran poté domandargli – La vedi pure tu? -.
Fang ansimò un attimo poi guardando verso ovest rispose – Sì c’è un’oasi. Potrebbe essere il posto che cerchiamo, infondo è nella posizione giusta – osservò convinto, poi però soggiunse ammirando strabiliato l’altezza a cui erano e quella distesa immensa che si stendeva infinita sotto i loro piedi, - Aspetta un po’… -. Fang si mise proprio su quello che pensava essere il cucuzzolo più alto ed estremo della duna – Sono il re del mondo! – gridò con quanta più voce aveva e levando le braccia al cielo. 
Keeran alzò un sopracciglio – E’ una battuta troppo inflazionata e non sembri affatto DiCaprio – commentò scettico; intanto Adam li stava piano piano raggiungendo.
- Be’ neppure tu sei Kate Winslet. Mi dispiace dirtelo: non hai le sue stesse curve – replicò Fang con ironia, poi però aggiunse – Questa ti piacerà di più -. Si fece scivolare fino dove era Adam, che ormai un tantino ansante li aveva raggiunti; avvolse il ragazzo da dietro una spalla con un braccio e stendendo solenne la mano libera sul paesaggio disse – Tutto ciò che vedi un giorno sarà tuo! -.
Adam scrollò le spalle un po’ confuso – Ah, bene… mi costerà un occhio nella testa di Ici. Però bene! – esclamò strizzando gli occhi allucinati dall’intensissima luce, poi però proseguì – Se non vogliamo finire cotti come aragoste, direi di raggiungere il prima possibile l’oasi, disterà da qui poco più di due chilometri -.
- Ha ragione dovremmo sbrigarci – convenne Keeran, poi detto questo si lasciò cadere e cominciò a scivolare giù dalla duna, in breve fu con i piedi per terra, trecento metri in venti secondi. Adam lo imitò e persino Fang che era alquanto diffidente del buttarsi da tale altezza si lasciò trasportare un po’ atterrito dalla forza di gravità; appena toccò qualcosa di solido però cominciò a correre a perdifiato e lanciò la sfida – Cinquanta verdoni che arrivo prima io! Due chilometri me li faccio in un secondo -. L’unico ad accettare la scommessa fu Keeran.
Sette chilometri dopo erano entrambi piegati in due dalla stanchezza e dal sole. – Due chilometri? Io giuro che l’ammazzo! – ansimò Fang che si trovava in un bagno di sudore, Keeran aggiunse – Io scavo la fossa -, poi si abbandonò per terra a riprender un po’ di fiato. Solamente dopo un’eternità di tempo giunse molto tranquillamente Adam – Va’ che bei levrieri! Siete davvero in forma ragazzi! – esclamò divertito nel vederli stanchi morti, una volta tanto si era vendicato di anni di sevizie.     
- La carogna… per un innocente scherzo con degli scorpioni! Ti possa venire la pancreatite acuta! – esclamò Fang alzando soltanto la testa per poi rilasciarla cadere con un tonfo sulla sabbia, poi soggiunse rivolto a Keeran – E te fuori il grano che comunque ho vinto io -

   
 
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