L’Avana, Cuba, 1977
Agosto
“Katie, che succede?” domandò Lucy,
preoccupata, aprendo la porta alla sorella.
“Isabella… Isabella è sparita. Non è
nella sua stanza.”
Sulla spiaggia non faceva freddo, ma
Isabella aveva fatto bene a portare un golfino. Lei e Ricardo stavano
camminando lentamente sulla sabbia, a piedi nudi, raccontandosi a vicenda
episodi delle proprie vite e ridendo come bambini.
“Te lo giuro, mia nonna mi trattava
come un vaso di cristallo!” stava dicendo il ragazzo. “Aveva una paura matta
che mi succedesse qualcosa. Non permetteva a nessuno di toccarmi, guai a
prendermi in braccio. Non voleva che mi si avvicinasse nemmeno Carlos, che era
convinto di essere mio padre!”
Isabella rise. “Magari si comportava
così perché ti voleva bene.”
“Sicuramente, ma poi una volta che
stavo in braccio a lei mi fece cadere. Accidenti, me lo ricordo come se fosse
ieri. Sono caduto battendo la testa. Ha fatto un male cane. Mi è rimasto il
bernoccolo! Javier glielo ricorda ancora, qualche volta…”
“Beh, almeno tua nonna non ti ha mai
vestito da bambola.”
“Perché, la tua sì?”
“Tutte e due. Mi hanno sempre
trattato da bambola da esposizione, con quei vestiti pieni di fiocchetti e
nastrini da tutte le parti…”
“Scommetto che eri molto carina.”
“Ero bellissima, ma poi non mi
lasciavano fare nemmeno due passi. Non ho praticamente mai giocato con gli
altri bambini…”
“Non dev’essere stato tutto
perfetto.”
“No, infatti. Insomma, voglio molto
bene ai miei nonni, ma loro non… non hanno mai pensato molto a quello che
avrebbe potuto rendermi felice.”
Senza accorgersene, si erano
fermati. Isabella guardò il mare, poi una domanda improvvisa di Ricardo la fece
voltare.
“Che cosa ti renderebbe felice, in
questo momento?”
“Io… io non lo so.”
“Andiamo, ci deve essere qualcosa
che vuoi fare. Qualcosa che desideri.”
“Non… non saprei.”
“La prima cosa che ti viene in
mente.”
Isabella distolse gli occhi da
quelli di Ricardo, fissandoli prima sulle proprie mani, poi sul mare, poi sui
propri piedi nudi, e poi di nuovo sulle proprie mani. E solo dopo un’eternità,
di nuovo in quelli del ragazzo. “Beh, ci
sarebbe una cosa. Ma mi sentirei stupida.”
“E perché?”
“Perché… beh, perché è una cosa da
bambini.”
“Non è una cosa da bambini, se la
desideri davvero, e se pensi che potrebbe renderti felice.”
Isabella prese fiato. “Beh, io… io
non sono mai stata baciata da un ragazzo. E non credo ci sia mai stato un
ragazzo che abbia desiderato baciare… fino ad ora.”
“Tu vorresti che io ti baciassi?”
“Solo… solo se lo volessi anche tu.
Ma non…” si interruppe, quando l’indice destro di Ricardo si appoggiò sulla sua
bocca.
Le mani del ragazzo racchiusero
dolcemente le sue guance e l’avvicinarono. Isabella sentì che ogni fibra del
suo corpo era attratta da Ricardo. Sentì il suo respiro leggero sul viso, e poi
le loro labbra incontrarsi, lentamente e con dolcezza. Lasciò cadere le scarpe,
che teneva ancora in mano, e si lasciò abbracciare dal ragazzo, mentre
continuava a baciarlo. Uscire di nascosto non era poi stata una cattiva idea.