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Autore: formerly_known_as_A    09/12/2010    2 recensioni
Nevica.
Fuori dalla finestra, Eduard e Raivis sembrano divertirsi, lanciandosi palle di neve ridendo come perfetti idioti, correndo e scivolando, ma ridendo.
Con Russia impegnato, possono permettersi di rilassarsi, di non essere continuamente tesi, in attesa di essere schiacciati o perseguitati dal suo sorriso infantile e crudele.
Si divertono. Io semplicemente non ci riesco.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bielorussia/Natalia Arlovskaya, Lituania/Toris Lorinaitis
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Nevica.

Fuori dalla finestra, Eduard e Raivis sembrano divertirsi, lanciandosi palle di neve ridendo come perfetti idioti, correndo e scivolando, ma ridendo.

Con Russia impegnato, possono permettersi di rilassarsi, di non essere continuamente tesi, in attesa di essere schiacciati o perseguitati dal suo sorriso infantile e crudele.

Si divertono. Io semplicemente non ci riesco.

Buffo, vero? Anche in questo siamo diversi. Siamo fratelli, ma le cose in comune si riducono al minimo, ad una semplice vicinanza territoriale, invece...

Scuoto la testa, tentando di scacciare pensieri che irrimediabilmente appannerebbero il mio sguardo.

Non mi piace questa neve autunnale, una neve innaturale di ottobre. E' rara. Ma coincide con qualcosa che vorrei non ricordare, che invece però la mia mente, la mia situazione attuale e anche il mio 'padrone', mi sbattono in faccia ogni giorno, quasi senza sosta.

Mi esce un sospiro rotto dalle labbra, che forma un velo tra me e l'immagine allegra dietro il vetro della finestra.

Che cosa ci faccio qui? Non è il mio posto, non riesco a starci, a dimenticare. La realtà non mi piace e non ho nessuna possibilità di cambiarla. Continuare a pensare al passato, ai periodi felici, non farà altro che accrescere la mia malinconia.

Ma non posso farne a meno, davanti a questa neve fuori stagione.

“Anche allora nevicava.”

Non mi volto a vedere chi abbia parlato, non mi importa. Dio, lo so a chi appartiene questa voce, non ho bisogno di incontrare di nuovo quegli occhi.

Non mi piace neppure assistere a questi rari momenti di lucidità della mia compagna di sventure. Però è inutile tentare di fermare i ricordi che sfrecciano rapidi davanti ai miei occhi, mentre riconosco quella voce e la associo, proprio perché non la sto guardando, ad un tempo in cui ero al posto dei fratelli Baltici.

Anche io ho giocato nella neve. Era un periodo dell'anno molto duro, in cui era necessario farsi bastare il grano amorevolmente coltivato e raccolto durante l'estate, in cui potevo sentire in fondo al petto il dolore sordo, la consapevolezza continua, che un figlio, un mio abitante, moriva di fame e stenti in ogni istante.

Eppure io ero felice, allora. Potevo dimenticare o, meglio, mettere da parte, per qualche istante, quel peso sul cuore e non pensare ad altro che al freddo pungente e piacevole, a correre nella neve che sembrava così bianca da abbagliare ogni cosa. E scivolare, ogni volta, provocando quella risata particolare, che ormai si sta perdendo e deformando tra i ricordi.

“Abbiamo fatto il possibile, tipo, se ci deprimessimo anche i nostri abitanti perderebbero tipo troppo la speranza!”

Un'altra voce, reale quanto la prima, ma innegabilmente solo frutto dei miei ricordi.

“Hai ragione.” rispondo, appoggiando la fronte al vetro gelido e chiudendo gli occhi. “Scusami.”

Sì, un tempo riuscivo ad essere felice nonostante tutto. Allora avevo un fratello, un vero fratello. E una sorellina da accudire, che era cresciuta diventando una splendida donna, una meravigliosa nazione dalle sembianze di bambola.

Una bambola irrimediabilmente rotta da quella giornata di ottobre in cui cadeva una neve innaturale, nel momento in cui quel fratello era andato in frantumi, nel momento in cui la neve era stata tinta di rosso.

Non l'ho protetta come avevo promesso. La sua mente l'ha dovuto fare al mio posto, facendo tabula rasa di sentimenti e sensazioni, di ricordi felici, di battaglie sanguinose. Natalia si è svuotata. Io, chiuso nel mio dolore, non sono riuscito ad impedirlo. Mi sento inutile e stupido davanti alla mia impotenza.

“La neve era rossa, cento anni fa. Rossa. Rossa.”

La voce di Natalia è accanto a me, ma non l'ho sentita arrivare. Non la sento mai arrivare. Soprattutto quando intende essere letale. Ma sembra solo addolorata, triste.

Nonostante tutto, non apro gli occhi, non rispondo. A cosa servirebbe? Tra poco scivolerà di nuovo nella follia, tornerà a lucidare i propri coltelli o seguire Russia o provare ad uccidermi. Comprendo il suo odio per me. Lo condivido.

Non ha senso tentare di spiegarle che non avevamo speranze, che il tempo della Repubblica delle Due Nazioni, quella bizzarra pagina storica in cui così tante nazioni condividevano gli stessi ideali di libertà e uguaglianza e coraggio, era finito, la sua sorte decisa da qualcuno che avevamo aiutato e da una Nazione contro cui avevamo sempre combattuto.

Non ha senso spiegarle che non è colpa nostra, se Feliks è morto.

Il mio respiro si blocca, la mia gola fa un rumore strano, come se qualcuno mi stesse soffocando, quando non riesco più a censurare il pensiero e questo esplode nella mia testa.

“Cento anni fa.”

La voce di Natalia si fa più bassa e debole, più acuta, mentre la sento singhiozzare accanto a me. Un tempo l'avrei presa tra le braccia e consolata, ma anche quei tempi sono andati, insieme alla raccolta del grano, le stelle cadenti dopo una lunga giornata nei campi, stesi mano nella mano, noi tre, felici.

Un tempo non tremavo davanti a nessuno. Non avevo paura di nulla.

Un tempo lei non sarebbe rimasta dall'altro lato della finestra, rannicchiata come la vedo ora, divisa tra il desiderio di sfogare il dolore e la consapevolezza di fare un favore a Russia, esponendosi in quel modo.

Un tempo era Feliks il primo a tirarle su il morale, a dire qualche stupidaggine a cui lei rispondeva con un qualche epiteto rivolto a lui e un finto sdegno.

Non voglio muovermi, ma d'istinto lo faccio e mi inginocchio accanto a lei, cingendola con le braccia. E' calda. Lei lo è sempre, candida come neve, ma trasmette una sensazione di calore, nonostante tutto. E' il mio passato, una tessera importante che compone quei momenti felici.

“Tornerà. Lui torna sempre.”

Non riesco a crederci neppure un istante, però lo vorrei sperare, con tutto il cuore. Ma sono trascorsi cento anni, da quel 24 ottobre. Cento anni lenti, interminabili, dolorosi.

E lui, semplicemente, non torna.

   
 
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