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Autore: Tonna    09/12/2010    2 recensioni
L’unico lavoretto che era riuscita a rimediare era un programma radiofonico, chiamato “Sportello telefonico di Sana-chan”, che inizialmente non aveva avuto successo, ma a lungo andare l’aveva tenuta occupata per un po’ di tempo. La paga non era altissima, ma le lettere che riceveva erano veramente tante, così aveva chiesto alla sua più cara amica, Fuka, di aiutarla. Lo “Sportello telefonico di Sana-chan” era diventato così lo “Sportello telefonico di Sana e Fuka”.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Altro Personaggio, Sana Kurata/Rossana Smith, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Before you read:

Beh, che dire XD Salve a tutti innanzitutto!
Non ho molte cose da dire, se non che ultimamente mi è ripresa un po’ la fissa per Kodocha e allora mi sono messa davanti al foglio di word per buttare giù qualcosa… sperando che ne sia uscito qualcosa di decente XD
Allora, la storia è ambientata più o meno dopo il manga, anche se questo primo capitolo ripercorre un po’ l’ultimo volumetto - opportunamente modificato da me, più in là capirete il perché -
Per il restooooo vediamo. Niente, i caratteri sono gli stessi, non stiamo parlando di personaggi OOC.
E’ la prima storia su Kodocha che scrivo, quindi spero sarete clementi ma anche spietate ò.ò w le critiche costruttive ò.ò
Bene, buona lettura *W* E se vi capita lasciate qualche commentino eh ù_ù Giusto per farmi sapere che ne pensate!
Bai bai :)
Tonna

 

 

 

Leave Out All The Rest

 

 

 

 

Capitolo 1 – Il ritorno di Hayama

Alzò le mani di scatto, facendo volare la pastella in aria, verso il soffitto. La fissò per un paio di secondi mentre quella roteava a mezz’aria, e poi, in un secondo, se la ritrovò sulla testa.
Sbuffò mentre si toglieva l’impasto dai capelli, appallottolandolo e gettandolo nel secchio della cucina.
Da quando aveva smesso di fare l’attrice, Sana Kurata aveva tanto di quel tempo libero da sentirsi male.
Non era mai stata una persona che amava starsene con le mani in mano, aveva passato tutta la vita a darsi da fare e adesso quest’indolenza forzata le faceva quasi male.
Proprio per questo, nell’ultimo periodo, le aveva provate tutte per ammazzare più tempo possibile.
Dai lavori a maglia – ci aveva già provato una volta, con scarsi risultati, rendendosi conto che “i maglioni era meglio comprarli nei negozi” -, alla pittura – per la quale, doveva ammetterlo, era veramente negata -, alla ginnastica – ma quella l’aveva praticata per anni, non era una novità così elettrizzante da tenerla occupata – e infine alla cucina. Ed era proprio per questo suo ultimo tentativo di trovarsi un hobby decente, che la sua testa era diventata completamente bianca a causa della farina.
Insomma, sapeva che la pizza non era una cosa facile da preparare, ma in televisione aveva visto sempre quei cuochi bravissimi che prima impastavano gli ingredienti, e poi, dopo aver fatto lievitare l’impasto, lo modellavano a loro piacimento, appiattendolo e poi facendolo roteare in aria.
Era sempre stata affascinata da quei movimenti, e così di punto in bianco aveva deciso di farlo anche lei. Com’era ovvio aveva fallito su tutta la linea.
Prese il canovaccio e se lo passò sulla fronte – anche quella praticamente bianca – e sospirò, prendendo l’ultimo impasto che le era rimasto. Magari l’avrebbe appiattito con il matterello e basta, senza troppi salti o giri. Magari ne sarebbe venuto fuori qualcosa di decente.
Afferrò l’arnese di legno e stese la pastella sul tavolo.
Con la lingua tra le labbra e le sopracciglia inarcate per la concentrazione, cercò di ricordare quando era stata l’ultima volta che aveva provato a cucinare qualcosa.
Non lo ricordava esattamente, ma era abbastanza sicura che fosse stato per la sua prima uscita ufficiale con Hayama, il giorno di Natale di due anni prima. Le guance si scaldarono quasi subito, al pensiero che quella sera si erano scambiato il primo vero bacio voluto da entrambi.
Beh, non che questo fosse proprio vero.
Oltre ad essere piena di vitalità e parecchio ottimista, Sana era il tipo di persona che difficilmente si faceva mettere i piedi in testa da qualcuno. Quindi se solo avesse voluto, avrebbe potuto evitare – o per lo meno interrompere – i baci che Akito le aveva rubato in sesta elementare, uno sulla torre di Tokyo durante una gita, e uno durante il primo Natale trascorso insieme ai loro amici.
Lo ricordava come se fosse ieri.
Tutti erano andati via e lei, la signora Shimura, Rei e la signora Misako avevano iniziato a rassettare prima di andare a dormire, quando la sua mammina aveva visto una persona fuori in cortile, china sulla neve.
Aveva azzardato che fosse Hayama, e a quel nome Sana si era subito affacciata dalla grande vetrata e l’aveva visto, di schiena.
Aveva posato l’aspirapolvere e aveva indossato il giacchetto, poi era corsa fuori.
Era rimasta senza parole quando, avvicinatasi, aveva notato un piccolo cumulo di neve sopra la testa di Hayama. A quanto pare, si era detta, era così intento nel fare il suo “qualcosa” che non si era neanche accorto che aveva ripreso a nevicare.
“Hayama” aveva mosso un passo in avanti, e il ragazzo aveva girato la testa di scatto. Sana non aveva notato il suo imbarazzo, troppo interessata a sbirciare dietro di lui. “Che stai facendo? Ti beccherai un raffreddore”
Akito si era alzato e aveva tolto la neve dai capelli, ed era in quel momento Sana che aveva visto una cosa davvero preziosa – non allora, cerco, ma poi lo sarebbe diventata – e si era subito avvicinata.
“Che cos’è?” aveva chiesto, ridente. Davanti a sé c’era un piccolo pupazzo di neve molto semplice: una palletta per il corpo, una per la testa, sassolini per naso, occhi, bottoni e guance arrossate – sì, dopotutto Hayama pareva essersi dato da fare parecchio -, foglie a posto dei capelli e delle sopracciglia, e due rametti come braccia.
“È per te” aveva risposto Akito senza guardarla, e la sua bocca si era aperta in un enorme sorriso.
“Per me? Ah! Questo sarebbe il mio regalo? Grazie!”
La ricordava bene, quella conversazione. Ricordava anche di avergli chiesto se si fosse divertito, e di aver espresso il desiderio di festeggiare di nuovo tutti insieme l’anno successivo – anche se le cose poi, erano andate diversamente.
La cosa che ricordava meglio, però, era la faccia di Hayama mentre, titubante e in guerra con se stesso, lottava contro il suo carattere per dirle qualcosa.
Tutt’ora non sapeva cosa lui avesse voluto dirle, ma un piccolo sospetto ce l’aveva.
E poi quello che era successo dopo era stato più eloquente di mille parole.
Hayama l’aveva paralizzata con il suo sguardo penetrante, l’aveva afferrata per le braccia e l’aveva baciata senza troppi complimenti.
Era durato tutto pochissimo, neanche una decina di secondi.
Poi lui si era allontanato e senza dire nulla era scappato via, lasciando solo il sapore delle sue labbra fredde e un piccolo pupazzo di neve in sua compagnia.
Quella sera, Sana aveva riposto il piccolo regalo nel congelatore e lì era rimasto fino a che non si era sciolto durante un blackout improvviso.
Sospirò sentendo le guance scaldarsi ancora, e iniziò quasi a sentire caldo.
Prese una teglia rotonda e vi adagiò la sua quasi pizza, non prima di aver oleato il fondo con le dita.
Sperava di star facendo bene, almeno stavolta era riuscita ad arrivare a mettere la sua quasi-pizza nella teglia. Era già un grande passo avanti.
Decise di accendere il forno per farlo scaldare, e nel frattempo avrebbe condito la sua pizza con pomodoro e patatine fritte. Amava quel mix, era micidiale per lei. E la cosa più bella era poterne mangiare a quintali senza ingrassare di un grammo.
Si guardò intorno mentre regolava il forno a 200°. La cucina sembrava un campo di battaglia. Se la signora Shimura l’avesse vista, di certo l’avrebbe uccisa con le sue mani.
Si rallegrò pensando che quello era il suo giorno libero e che avrebbe avuto tutto il tempo che voleva per sistemare, dato che non avrebbe avuto nessuno fra i piedi. Mammina era impegnata con un programma televisivo, e Rei aveva deciso di passare la giornata con la sua fidanzata Asako. Ormai anche Sagami aveva tanto tempo libero – forse troppo – e questo a Sana dispiaceva veramente tanto.
Aveva visto Rei dare anima e corpo per lei, come agente, e ora vederlo così senza un lavoro tra le mani la faceva stare male.
Era stata tutta colpa sua, comunque, anche se in parte tutto questo era accaduto indipendentemente dalla sua  volontà.
Prima c’era stato l’incidente di Hayama, e lei aveva fatto la scelta di restargli accanto insieme agli altri durante l’operazione che avrebbe segnato la sua vita (o la sua morte), e quindi di rinunciare ad un importante programma in diretta in cui sarebbe stata la presentatrice principale. Fortunatamente Naozumi era corso in suo aiuto, e Sana doveva ammettere di essergli veramente tanto grata per quello che aveva fatto, considerando anche che in quel periodo loro due erano parecchio in rotta.
Comunque,  non erano bastati i “mi dispiace”, né i “non succederà più”, non erano bastate le spiegazioni né tutti gli sforzi che aveva fatto dopo:  la sua carriera aveva iniziato una discesa inesorabile, e tutto aveva iniziato ad andare a rotoli giorno dopo giorno.
Tutti avevano pensato di non poter più fare affidamento su di lei, né come persona né come attrice. Dopotutto un vip che non presenzia a un programma per motivi personali una volta, avrebbe potuto farlo anche svariate altre volte.
Sana sapeva che ciò poteva non essere vero – e nel suo caso non lo era assolutamente -,  ma l’opinione pubblica aveva voluto così, e lei era stata tagliata fuori.
Oltre a quello, poi, c’era stato anche il problema della malattia della bambola, la patologia che l’aveva colpita quando aveva saputo che Hayama avrebbe dovuto trasferirsi a L.A.
Proprio lei, forte e coraggiosa, aveva visto il suo mondo sgretolarsi quando il ragazzo dagli occhi color ambra le aveva confessato di dover partire per due anni.
Beh, non aveva retto. Era crollata e anche quello aveva avuto le sue implicazioni. Ricordava di aver dovuto annullare tutti gli impegni lavorativi e di come era deperita in fretta, delle continue visite del dottore e dello psicologo, dell’insolita gentilezza di Hayama e della propria insopportabile apatia…
Era stato un brutto spettacolo, uno spettacolo al quale lei aveva assistito in prima persona.
Fortunatamente anche quello era passato, e una volta guarita aveva anche provato a rimettersi in carreggiata.
Dopotutto Akito sarebbe stato via due anni per tornare ad usare la mano destra, e lei non poteva passare tutto il suo tempo a fare nulla.
L’unico lavoretto che era riuscita a rimediare era un programma radiofonico, chiamato “Sportello telefonico di Sana-chan”, che inizialmente non aveva avuto successo, ma a lungo andare l’aveva tenuta occupata per un po’ di tempo. La paga non era altissima, ma le lettere che riceveva erano veramente tante, così aveva chiesto alla sua più cara amica, Fuka, di aiutarla. Lo “Sportello telefonico di Sana-chan” era diventato così lo “Sportello telefonico di Sana e Fuka”.
Ora, a distanza di due anni, il programma era stato interrotto – provvisoriamente, per dare spazio ad altri programmi – e lei si era ritrovata con un pugno di mosche tra le dita.
Aveva quindici anni, un ragazzo che viveva a dieci ore di distanza di aereo, un lavoro praticamente ormai inesistente, ma dei buoni amici che sapevano come consolarla.
Una cosa che l’aveva resa veramente felice era stata la notizia che tutti avrebbero frequentato lo stesso liceo.
E dunque ormai mancava solo una persona all’appello…
Sentì il campanello trillare e con un pizzico di speranza nel cuore lasciò andare il pomodoro in scatola che aveva preso dal ripiano sopra il frigorifero, e corse ad aprire la porta.
Tutto il suo entusiasmo cadde quando vide il postino che sorridente le porgeva un mucchio di lettere.
Sorrise forzatamente e le prese, salutandolo e poi richiudendo la porta senza tanti complimenti.
Posò le lettere sul tavolo della cucina e finì di condire la pizza, il forno era caldo e non poteva perdere altro tempo. La infornò e pregò che tutto andasse per il meglio. Per ogni evenienza, comunque, sapeva il numero dei pompieri.
Si sedette sulla sedia e tamburellò con le dita sul tavolo, indecisa su cosa fare. Avrebbe potuto fare qualche compito per le vacanze. Avrebbe potuto chiamare Fuka per fare due chiacchiere. Forse poteva chiamare Akito per vedere come stava, dato che non lo sentiva da qualche giorno.
Sospirò, rendendosi conto che se non si era fatto sentire era perché probabilmente aveva molti impegni, e non voleva disturbarlo. Magari Fuka poteva tirarla un po’ su, però.
Si alzò per prendere il telefono, quando l’occhio le cadde sul mittente della prima lettera della pila che aveva riposto prima sul tavolo.
“Guarda chi si è rifatto vivo!” esclamò sorridendo e afferrando il pezzo di carta. L’aprì velocemente e vi trovò dentro una piccola cartolina bianca, tutta scritta e un po’ pasticciata.
Riuscì giusto a leggere la prima riga, quando il telefono prese a squillare all’improvviso.
Continuando a leggere, allungò la mano e lo afferrò dal ripiano accanto al lavandino.
“Pronto? Casa Kurata” disse velocemente, non prestando molta attenzione all’interlocutore.
“Sana? Ciao”
Sgranò gli occhi all’improvviso, e la cartolina le cadde dalle mani.
“HAYAMA??” esclamò euforica, afferrando il telefono con due mani e urlando direttamente nella cornetta.
Dall’altra parte si sentì solo silenzio, poi Akito risposte. “Sì. Potresti evitare di urlare per favore? Questa donna rumorosa…!”
Sana ricacciò indietro la lacrima prepotente che era guizzata fuori dal suo occhio destro, e sorrise.
“Come stai?”
“Mh. Così e così. Te?”
“Bene, sto cucinando”
La rossa poté giurare di aver sentito una risatina camuffata con un piccolo colpo di tosse, dall’altro capo del telefono.
“Da quando sei partito ridi più spesso, Hayama, non è che laggiù hai trovato la felicità e hai deciso di rimanere in America?” chiese sarcastica, sapendo che non poteva essere così.
“Ti piacerebbe liberarti di me così facilmente, vero?” domandò lui ironico, mentre in un altro continente beveva una tazza di caffè – che faceva schifo, tra l’altro, era più una brodaglia marroncina che caffè.
“Per niente…” sussurrò lei sperando che non la sentisse. “Allora, come mai hai chiamato?”
“Così” rispose lui, “Non avevo niente da fare”
Sana spalancò la bocca e gli occhi indignata. “Come sarebbe a dire? Chiami la tua ragazza solo perché non hai nulla da fare?!”
“Mpf!” si limitò a bofonchiare lui. “In realtà ti ho chiamata per informarti di una cosa. Tenterò l’esame di ammissione al liceo Jimbo”
Sana si paralizzò, gli occhi strabuzzati.
Il suo Hayama stava per tornare. E stavolta tornava per restare, non come le due volte che era venuto in Giappone per un paio di giorni giusto per vederla e salutare gli amici.
“Sìììììììììììììììììììììììììììììì!!!” esclamò saltellando per la cucina, e la sua euforia la portò in sala. Salì sul divano ed esclamò a gran voce “Per festeggiare canterò per te una delle mie canzoni preferite!”
“Per carità!” esclamò Akito. “Mi piacerebbe ma devo andare a sistemare un po’ di cose prima di partire. Sarò a Tokyo fra tre giorni”
Sana annuì freneticamente, poi smise rendendosi conto che tanto lui non poteva vederla.
“Sì! Sì, ho capito” la sua voce tremava dall’emozione. “Vengo a prenderti all’aeroporto?”
“No, ci vediamo direttamente fuori la mia vecchia casa”
“Ok” rispose lei.
Si salutarono abbastanza frettolosamente e poi Sana si stese sul divano, gli occhi che brillavano e il cuore a duemila. Da quando quel ragazzo le faceva quell’effetto? E pensare che quando l’aveva conosciuto lo aveva reputato un demonio e lo aveva anche detto durante un programma in diretta... Certo che ne erano successe di cose!
Sorrise veramente felice, ma quello stato d’animo durò poco.
Sentì un odore poco rassicurante e subito si alzò, correndo in cucina.
“…NOOOO LA PIZZA!!!” si precipitò a prendere i guanti da forno e lo aprì velocemente, tirando fuori la teglia con la sua pizza… nera.
Sospirò, aprendo il pattumiera e lanciandocela direttamente dentro. Un altro esperimento andato male.
Ma dopotutto, non era importante.
Hayama tornava, e stavolta era per sempre.
Urlò di nuovo lanciando le mani in aria e corse via.
Forse, dopotutto, le cose stavano tornando a prendere la giusta piega.

  
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