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Autore: robrua     09/12/2010    6 recensioni
Questa storia, che viene pubblicata con questo account e che è scritta da me, che ne sono proprietaria e da sasita, che qui già conoscete benissimo, è un crossover tra The Mentalist e Twilight... vi prego di non partire prevenuti e di leggere e di recensire, perché ne varrà la pena! spero di vedere tante recensioni, R&S
Genere: Fantasy, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio, Patrick Jane, Teresa Lisbon
Note: AU, Cross-over, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Doctor Rubri Inimici Fati





Inutile dirlo, immagino, tanto ormai tutto il mondo conosce la modalità di assassinio di John il rosso. Tre colpi alle spalle e taglio alla gola.
Il tutto con la bella ciliegina sulla torta dello smile di sangue della vittima messo in bella vista.
“John è egocentrico, prima vedi lo smile e sai cosa ti aspetta, poi abbassi lo sguardo e c’è il corpo” così aveva detto Jane.
Pur avendo visto la scena già parecchie volte non posso mai dire di riuscire a sopportare la vista delle vittime. Quelle povere donne, la cui vita viene spezzata da un mostro mitomane per il semplice gusto di infondere dolore.
Lui cura la cecità, aveva affermato Rebecca prima di morire, dopo aver ucciso Sam...
Lei lo credeva, e lei stessa era cieca, accecata dalla capacità di persuasione della persona che si fa chiamare John.
I volti delle ragazze, ancora con quello sguardo terrorizzato e i muscoli in tensione, bloccate per sempre in quel momento di morte, mi fanno sempre raggelare il sangue nelle vene e tutto ciò che conosco come stabile nella mia vita crolla inevitabilmente, dondola, sotto il peso di tanta malvagità.
E il mio cuore perde un battito, o anche di più, se solo penso che al posto loro potrei esserci io.
Cosa che, avvicinandomi a Jane, rischia sempre di più di trasformarsi in fatale realtà.
Io odio la morte, fin da quando ero bambina l’ho sempre odiata profondamente e ho sempre sperato di poter esprimere un desiderio, l’unico e solo, poter vivere per sempre con le persone che amo. Bé, ma ero una bambina e quale bambina, che si vede morire la madre, non vorrebbe poterla rivedere e riabbracciare, per sempre?
Sì, insomma, la religione ci insegna che dopo la morte inizia la vita eterna, la vita fatta di essenza e purezza., di anime al fianco di Dio e tutti insieme con le persone amate.
Sì, ma religione significa fede e fede fiducia. Io credo, voglio credere che un giorno che queste povere donne possano avere un riscatto. Come può una persona essere sicura? Io voglio esserlo, e lo sono, a volte, perché così mi è stato insegnato.
Da bambini si crede a moltissime cose...
Alle fate, ai folletti, ai topini dei denti, ai lupi mannari, a Dracula, a Babbo Natale, alla Befana e a tutte quelle cose che i bambini credono fermamente siano vere.
E da grandi, anche se non lo si ammette continuiamo a sognare e a credere in qualcosa che renda la realtà un po’ meno prevedibile.
 
Mi alzai dal cadavere e feci segno al dottore di ricoprire il cadavere.
Jane l’aveva già visto e adesso si muoveva per la stanza con una mano su un fianco e l’altra a massaggiarsi il mento, picchiettando con un dito sulle labbra.
Gli posai una mano sulla spalla, passandogli accanto.
-Andiamo, prendiamo un thè.- gli dissi
-Sì, forse è meglio.- mi rispose, vacuo, schiarendosi la gola.
Lo guardai, mi faceva pietà. In momenti come quello mi sentivo così piccola in confronto all’amore che doveva aver provato nei confronti della moglie e della sua piccola e innocente figlia che mi sarei messa a piangere. Ma non per me, per lui, che aveva perso le due persone a cui forse teneva di più al mondo, e se ne dava la colpa.
Mi sentivo in colpa per come non potessi essergli accanto quanto avrei voluto, non potevo consolarlo o dirgli chissà cosa. Perché in primo luogo lui si sarebbe chiuso maggiormente e io non sapevo proprio come fare.
In quei momenti era un involucro vuoto, non potevi fare niente per riempirlo. Un involucro vuoto e bucato, ferito. Un uomo divorato dalle fiamme.
Logorato dall’interno da una colpa che non è sua, che non lo è più; un uomo che si regge in piedi con il solo desiderio di vendetta, un ombra. Polvere.
Poche volte posso dire di averlo visto in questo stato. Effettivamente la vittima era molto simile a sua moglie, io vidi una foto di Angela nel fascicolo di Jane, quando mi venne affidato da Minelli come consulente. Capelli biondi sbarazzini, tendenti all’ambra, fisicamente scultorea.
La vittima era anche piuttosto giovane. Era come se John avesse voluto ricreare un mix tra la moglie di Patrick e la figlia. La ragazza uccisa avrà avuto sì e no 17 anni... dieci più di Charlotte, dieci meno di Angela.
Quell’uomo era un pazzo sadico.
Secondo Jane la scelta era ricaduta su quella ragazza perché il padre era un trafficante di medicinali di contrabbando, che si arricchiva senza sosta sfruttando la malattia altrui. Ciò che non confessava, però, era di aver perfettamente colto l’allusione alla sua famiglia.
Lavorando per anni con un uomo che legge nel pensiero inizi a interpretare i segni, e il suo modo di porsi, così stanco e vuoto, dava chiaro sfogo a ciò che portava dentro. Un grosso macigno insormontabile.
Sapevo che se ci fossero stati i ragazzi lui non sarebbe stato così giù, o non lo sarebbe stato così vistosamente.
Avevo bisogno di parlare con qualcuno. Negli ultimi tempi avevo istaurato un rapporto ancora più maturo con la mia squadra, adesso eravamo amici, non solo colleghi.
Ero sicura che Kim mi avrebbe ascoltata, senza commentare o sfruttare la chiamata per cazzatine varie come avrebbe fatto Wayne.
O pettegolezzi come avrebbe fatto Grace. Kim ascoltava, ed era un dato certo. Era la seconda persona con cui Jane era più sincero, dopo di me.
Un uomo mite e sincero, Un uomo piuttosto equilibrato. Kim conosceva/aveva intuito la simpatia spinta che provavo nei confronti del biondo dannato ma non diceva mai niente che potesse imbarazzarmi o potesse farmi male in qualche modo.
Certo, i suoi discorsi erano sempre molto criptici, ma decisamente veritieri e reali.
Ed era sempre pronto ad immolarsi per me o Jane.
“Capo credo sia meglio se va a casa, è stanca. Resto io in ufficio”
E io, come sempre, rispondevo “grazie Kim, ma smettila di chiamarmi capo!”
E lui “Va bene, Teresa”
Ma, sistematicamente, il giorno successivo ero di nuovo “capo”. Aveva un profondo senso di rispetto e educazione, ma era quel che si suol dire “un uomo con gli attributi”
Pensai seriamente di chiamarlo, più tardi, per chiedere informazioni su come andasse in città e raccontare qualche svolgimento. Probabilmente sarebbe stato in grado di dirmi qualche semifrase del tipo “Sono cose passeggere, capo. Tutto passa. Solo alcuni momenti restano.”
Profonde, basilari.
Ma mi bastava alzare lo sguardo sull’uomo dai capelli biondi e scompigliati di fronte a me, per perdere ogni attrattiva verso le possibilità future. E il mio morale si disfaceva come il suo.
La differenza era che tra me e Jane quella ad “avere le palle” ero io. In senso prettamente metaforico.
Sono certa che Jane fosse un uomo meraviglioso prima che la sua famiglia venisse sterminata.
-Non ero la bella persona che credi io fossi.-
Alzai gli occhi al cielo, era incredibile. Ma non ribattei, non era il momento.
-Ero spesso freddo, distaccato. Non ero una persona sentimentale, cosa che sono diventato, ero decisamente troppo sicuro di me stesso. Adesso sono molto più insicuro. Ero pieno di difetti, né più ne meno di quanti ne abbia adesso. Sono solo divesi.-
Ero ancora di qualche passo dietro di lui, quindi lo vidi quando iniziò a sbandare da una parte all’altra della strada. Gli corsi incontro prima che finisse sotto una macchina e lo spostai con uno strattone.
-Ma ti sei rincretinito tutto insieme?!-
Alzai lo sguardo verso i suoi occhi, oltre ad essere offuscati dalle lacrime avevano un qualcosa che non mi convinceva affatto, la pelle del viso aveva un pallore insano e i capelli avevano un aspetto spento. Avevo imparato a osservarlo bene e quello non era un comportamento da Jane.
-Tu non stai bene.- affermai, sorreggendolo
-È solo un po’ di mal di testa, sto benissimo, Teresa.-  ma nel dire l’ultima parola si portò di scatto una mano alla tempia e se la massaggiò, mentre tratteneva un “ahi”
-No, non stai assolutamente benissimo. Non mi svenire, Patrick, per favore, ok? Lo vuoi un tè?-
-Sì, un tè, ok.- lo trascinai fino alla macchina e iniziai a guidare verso l’albergo
Ad un certo punto gli si chiusero gli occhi  e gli cadde la testa sullo sportello.
-Merda!- ansimai
Mi fermai in mezzo alla strada e abbassai il finestrino e mi sporsi verso una donna che passava con un bimbo per mano e le chiesi dove potessi trovare un ospedale vicino.
-La clinica più vicina è a un isolato da qui, accanto alla scuola superiore. Segua questa parallela e giri a destra dopo due semafori, troverà le indicazioni.-
Ringraziai frettolosamente e corsi all’impazzata seguendo le indicazioni della donna, intanto Jane non riprendeva conoscenza.
-Stupida femminuccia, guarda tu che mi combina! Cazzo, Jane, riprenditi, per favore. Apri quei begli occhi cerulei, dai.-
Niente, arrivai davanti alla piccola clinica e parcheggiai con una derapata sull’asfalto bagnato.
Uscii dal mio sportello richiudendolo con uno scatto e girai intorno alla macchina, aprendo lo sportello del passeggero, ma per poco Jane non mi cadde tra le braccia. Pioveva a dirotto. Provai a schiaffeggiarlo, mentre con un braccio tenevo l’ombrello. Niente. Mi venne in mente l’acqua, così chiusi  l’ombrello e glielo aprii di scatto davanti alla faccia. Le goccioline, che gli arrivarono in faccia fredde e con la velocità di un missile lo fecero riprendere un po’.
-Muovi il culo siamo all’ospedale!- gli dissi
-Sì, buona idea. Sai, tutto sommato non sto troppo bene.- rispose e posò una mano sulla mia spalla, per reggersi.
Lo portai dentro l’ospedale e chiesi all’infermiera di farlo sdraiare su un lettino.
La mia richiesta fu esaudita e presto Jane fu portato in una stanza con altre poche persone fondamentalmente sane, prendeva e perdeva conoscenza e io gli tenevo la mano. Tentando di mantenerlo sveglio.
Quando l’infermiera mi disse che si era addormentato e che per il momento non presentava anomalie mi calmai, ma le intimai di farmi avere al più presto il miglior dottore della struttura per Patrick e un aspirina per me, dato che nel frattempo mi era venuta una forte emicrania.
Quando presi la pasticca e fui informata che tra poco più di due ore avrebbe iniziato il suo turno il primario della clinica tirai un sospiro di sollievo e mi concessi un piccolo sonnellino, stringendo e accarezzando la mano a Jane.
Non so quanto dormii, ma fui svegliata da un tocco fresco sulla spalla, leggero.
Sbattei piano le palpebre e aprii gli occhi. Ero sdraiata con la faccia sul braccio di Patrick e mezza cadente dalla sedia.
-Mi scusi se la disturbo, ma mi intralcia il paziente.- dalla voce sembrava che stesse sorridendo
Mi alzai velocemente –Mi scusi.- dissi
Alzai lo sguardo verso il dottore e rimasi sbalordita di riconoscere l’uomo alla guida della macchina nera metallizzata di quando eravamo arrivati a Forks.
Da vicino era davvero spettacolare, affascinante ed estraneo.
I capelli di un biondo quasi inconsistente incorniciavano un viso che sembrava di un'altra epoca, lontano ed fuori dall’ordinario, ma aveva un’aria talmente buona e umanitaria che non potei fare a meno di sorridere. E quegli occhi, color topazio, erano davvero strani.
Sorrisi e gli porsi la mano, per stringergliela.
-Sono Teresa Lisbon, il capo della squadra che indaga sulla donna uccisa qui in città.-
L’uomo mi rese la mano me la strinse, aveva la mano fresca, anche se portava dei guanti da medico.
-Piacere di conoscerla, sono il dottor Carlisle Cullen. Sono felice che la polizia locale possa avere una mano da delle persone esperte.- e mi sorrise
-Bé, questo è un caso analogo, seguiamo John il Rosso da anni, suppongo ne abbia sentito parlare...-
-Sì, spesso. Siete sicuri che sia stato lui.-
-Diciamo che lui...- e indicai Jane -... ha avuto un incontro piuttosto ravvicinato con l’assassino ed ha capacità di osservazione molto utili. Penso che potrebbe aver sentito parlare anche di lui, Patrick Jane.-
Il medico parve pensarci qualche secondo poi sul suo volto passò un ombra di pietà.
-Il sensitivo che ha perso moglie e figlia?-
-Lui.-
Annuì pensoso e poi si avvicinò al lettino dove stava Patrick.
-Allora, signorina Lisbon, mi dica che è successo al suo collega.-
-Non saprei esattamente, stavamo camminando verso la macchina dopo essere stati a visitare la scena del delitto. Aveva mal di testa ed ha iniziato a sbandare, poi mi è svenuto in macchina. Credo che sia dovuto alla somiglianza della vittima con la moglie e la figlia.-
Il bel dottore mi sorrise di nuovo
-Ha mangiato qualcosa?-
Ci pensai
-Credo... sull’aeroplano, siamo arrivati qui verso le quattro, immagino che abbia pranzato, io ho dormito. Quest’uomo ha la dannata facoltà di entrare nella mia testa...-
-Entrare nella sua testa.- sembrava interessato in modo particolare che non riuscivo a concepire.
-Bé, diciamo che è bravo a leggere le persone, e a volte fa dei giochetti mentali come ipnotizzare i sospettati per farli confessare, ma, ecco, secondo me legge nel pensiero… sì, insomma, si fa per dire, non è possibile farlo, però a volte sembra che lui ci riesca davvero…- perché avevo detto tutto ciò? Probabilmente l’effetto ipnosi non se n’era del tutto andato
-Interessante soggetto.- e nel frattempo annuiva.
-Cosa crede che abbia?- chiesi, tornando al discorso principale
Mi guardò comprensivo
-Non si deve preoccupare, credo che il cibo dell’aereo non gli abbia fatto bene e che la vista del cadavere abbia incrementato la sua piccola agonia. Ma si rimetterà.- nel frattempo gli sentiva il polso. Ero stata tanto lamentosa nella domanda? Mi diedi della scema mentalmente.
Jane aprì gli occhi al suo tocco e si guardò intorno, cercando di capire dove si trovasse.
-Liz? Lisbon dove siamo?-
-In ospedale Jane. E sta zitto e fermo che il dottor Cullen  ti sta visitando. Sei un deficiente, perché non mi hai detto che non stavi bene per colpa del cibo dell’aereo?-
In tutta risposta, per conferma, appena nominai il cibo dell’aeroplano si contorse come per reprimere il rigetto.
-Tu e la tua stupida fobia dei dottori!- dissi, incrociando le braccia al petto e guardandolo storto
-No, Teresa, io sono allergico alle regole, non è il problema di dottori.- disse, con quel suo sorriso sghembo mozza fiato.
Non lo degnai di uno sguardo, anche se ero segretamente sollevata dal fatto che si sentisse meglio e che non fosse nulla. Oltre che avesse finalmente riaperto gli occhi e mi avesse fatto rivedere quei pozzi verdazzurri.
-Dottore quanto crede che dovrà rimanere in osservazione?-
-Uhm… credo che non ne abbia bisogno, semmai massimo una notte. Ma se firma la liberatoria può uscire subito.-
Vedendo Jane che già si alzava dal letto gli lanciai un occhiataccia.
-Credo che sia meglio se rimani in osservazione per un'altra oretta, poi ti faccio uscire, devi imparare a smettere di nascondermi le cose! Sei un immaturo!- dissi indicando in modo molto eloquente il letto.
Il dottor Cullen rise ma non si espresse.
Mi posò una mano sulla spalle e mi salutò cordialmente, e salutò anche Jane.
Era un uomo simpatico, molto.
Mi pareva proprio una brava persona, di quelle di cui ci si può fidare.
-Teres...-
-A cuccia! Zitto, fermo e implora perdono. Poi ti libero!-
Alzò le mani al cielo e mi sorrise. Il massiccio peso sul mio cuore si dissolse d’un tratto e mi sentii molto meglio.
La crisi depressiva era passata.
Mi ritrovai a sorridere mio malgrado e mi sedetti sulla sedia accanto a al lettino, stanca.
Avrei dormito solo un altro po’…










*Dottore di un rosso avverso destino (Dite la verità, non rende meglio in latino??)

Un po' in ritardo? No, via... 
Va bene così!
Adesso ci dobbiamo sbrigare a scrivere il prossimo, ma la scuola...
Vabbé, spero vi siate godute Il dottor Cullen! Ciao care, alla prossima!!
S&R

 

   
 
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