Salveee! Eccomi con il secondo capitolo di questa storia XD Ne sono venute fuori 10 pagine ahahhah più lungo di quanto pensavo. *O* ahahahah questa storia non so neanche dove voglia andare a parare, ad essere sincera! Come ogni mia storiellina soprattutto originale non ha uno schema o una scaletta da seguire, semplicemente apro word e scrivo quello che mi passa per la testa! O.o Qui stanno venendo fuori personaggi uno esauriti a dire il vero ahahaha
Comunque ci tengo a ringraziarvi per i vostri bei commenti, a cui ho risposto con il nuovo sistema di risposta per le recensioni di EFP hihihi utilissimo! ♥ Vorrei anche lasciare il link al mio gruppo su fb, dove inserisco spoiler e cose simili e ci sono anche le foto dei personaggi di questa storiella. Se vi interessa, link: Storie di Shinalia
Kissssssssss
Delle volte mi
piacerebbe comprendere il perché molte cose accadono. Per
alcuni ogni
avvenimento ha un suo fine, una sua motivazione intrinseca, che forse
non ci
appare nella sua reale consistenza, almeno non subito, ma che comunque
nonostante tutto esiste.
Per me il
destino è solo un gran bastardo, si prende gioco di noi, sue
marionette,
ponendoci dinanzi agli eventi che non siamo in grado di affrontare e
che
porteranno con loro solo scompiglio.
Il mio incontro
con Gabriele mi fece spesso pensare a tutto ciò. Mi chiesi
se fosse incappato sulla
mia strada come una qualche punizione, una tortura per una mia
malefatta, una
prova… qualcosa, un segno.
Talvolta penso
fu solo sfortuna, o fortuna. Non saprei dirlo con precisione, forse
perché
nonostante tutto portò con sé quella ventata
d’aria fresca di cui necessitavo,
probabilmente se non fosse stato lui ci sarebbe stato un altro,
più avanti, e
le cose avrebbero preso comunque quella piega.
Forse…
Non tutti i mali
vengono per nuocere.
La prima volta
che lo vidi ne fui folgorata. Non solo dalla sua bellezza, a dire il
vero,
quella la notai soprattutto in un secondo momento.
Ironico
direi…
perché il suo aspetto difficilmente passava inosservato ed
in realtà fu ciò che
mi spinse verso di lui, quando ebbi modo di porre da parte la mia
iniziale
titubanza.
Un’affermazione
superficiale?
Si, ma non
è
forse vero che prima di risvegliarsi un interesse intenso necessita di
alcune
basi? Non ci si innamora con uno sguardo. Il colpo di fulmine non
è che
un’infatuazione momentanea che ha la durata di uno schiocco
di labbra e si spegne
in breve, come una debole fiammella sotto la pioggia.
Talvolta
però da
quel primo barlume nasce altro. Non saprei dire, in realtà,
se quello fu o meno
il mio caso. Probabilmente in lui, inizialmente, cercai una via di fuga.
Tanto diverso da
Michele da essere la sua perfetta nemesi, mi attirò a
sé come una calamita. Un
bel ragazzo, sveglio, allegro, desideroso di godere a pieno la sua
giovinezza e
la sua vita. Una persona impulsiva, ma non per questo stolta o poco
accorta. Certo,
neanche i suoi difetti passavano inosservati, ma nel complesso
apparivano
mitigati dalla sua capacità di valorizzare le
virtù che possedeva.
Mi piacque, mi
piacque vedermi rivolte attenzioni, mi piacque scoprire una percezione
di un
rapporto tanto diversa da quella che stavo vivendo con Michele.
Mi piacque la
novità… ma anche la
novità alla fine
svanisce.
«Cristina!»
La porta si
aprì
con uno scatto secco, rivelandomi la figura di Luana ancora in pigiama,
con i
capelli arruffati sulla fronte e la sciarpa stretta alla gola.
Eravamo ad
ottobre, un caldo ottobre a dire il vero. Il sole era ancora forte e
personalmente io vestivo ancora con abiti leggeri, ma non Luana. Lei
era
freddolosa per natura.
«Ma che
male ho
fatto per trovarti sulla mia strada?» brontolai stretta al
mio cuscino, per
nulla incline ad abbandonare il letto confortevole ed il suo tepore
rassicurante.
«Tanto lo
so che
mi adori.»
«L’importante
è
crederci.»
Sorrise
melliflua, incrociando le braccia al petto, con palese soddisfazione.
«Oggi è
il tuo turno di fare la spesa.»
«
Rettifico: ti
detesto.»
Si
avvicinò al
mio armadio, spalancando le ante, tirando fuori alcuni abiti a
casaccio,
neanche minimamente turbata dalle mie parole, anzi appariva quasi
divertita.
Adorava
indispettirmi,
soprattutto a quell’ora del mattino, quando mi svegliava
nonostante l’assenza
di lezioni.
Bastarda.
«Vado
più
tardi.» brontolai assonnata, nascondendo il volto al di sotto
delle lenzuola
azzurre ed il copriletto con i pinguini. Il mio preferito.
«Svegliati.
Ci
sono novità. – sentenziò gettando i
vestiti sul letto, prima di accomodarsi
accanto a me. - Nuovo coinquilino!»
Ovvero
un’altra persona che gironzola per
casa, occupa l’unico bagno, si lamenta della spesa
e…
Assunsi
un’espressione corrucciata, rinunciando completamente al mio
intento di
rimettermi a dormire. «Aspetta, hai detto nuovo? Un
maschio?»
Scrollò
le
spalle con indifferenza. «Si, perché? Ti crea
qualche problema?»
«Considerando
la
mia abitudine di girare in accappatoio per casa direi di si.
– bofonchiai, stropicciandomi
stancamente gli occhi. – Oltretutto ti rammento che questa
è una casa per
studentesse?»
«Quell’aguzzino
del proprietario non deve essere riuscito a trovare nessuna ragazza
disposta a
vivere in questo tugurio e avrà deciso di ripiegare su
qualche maschietto.»
Sbuffai riluttante.
Sempre la solita solfa, quell’uomo era il più
avido bastardo rompipalle si
fosse mai visto in giro. Eravamo state costrette a trascorrere tre
mesi,
quell’inverno, senza termosifoni. Si era rifiutato di far
revisionare
l’impianto, nonostante spettasse a lui.
Non avrebbe
dovuto sorprendermi quella novità.
«Marta?»
proposi
alzando lo sguardo sul volto tondo della mia amica, implorandola di
proporre a
lei l’ultima camera della casa. Era la più
spaziosa, ma tra le tre aveva la
vista peggiore, affacciando sul cortile di un groviglio di palazzine
deturpate,
il che la rendeva abbastanza buia.
Ma in fin dei
conti era carina e, con qualche lampada, si sopperiva al problema.
Ovviamente una
smorfia di disappunto piegò le sue labbra. «E
rinunciare totalmente alla mia
libertà? Neanche morta, se così è
ossessiva non oso immaginare se dividessimo
anche casa. »
Trattenni una
risata divertita. Marta era la ragazza di Luana.
Era una tipetta
carina che frequentava il terzo anno di lettere, avevo con lei qualche
corso in
comune, ma non avevamo mai legato particolarmente. I motivi potevano
essere vari,
ma avevo la sensazione che fosse un po’ gelosa del mio
rapporto con Luana,
nonostante fosse palese il mio interesse per gli uomini. Il povero
Michele era
costretto a sopportare non poche voci su di me e, sebbene non paresse
interessato a dare conto a ciò che si diceva in giro, temevo
la cosa potesse
infastidirlo.
O forse quella
sua apparente noncuranza infastidiva me… non avrei saputo
dirlo con precisione.
Molte donne
sostengono che avere accanto una persona tranquilla, dolce, che non
crea mai
problemi sia la fortuna più grande che si possa mai avere.
In realtà siamo
tutte tendenzialmente incontentabili… cerchiamo qualcosa che
non esiste. Un
connubio di qualità che in una stessa persona non potrebbero
mai convivere,
tranne che non si tratti di uno schizzo-frenico che soffre di
personalità
multiple, e anche in quel caso avremo di certo da ridire.
In quel periodo,
quando Gabriele entrò nella mia vita, avvertivo lo
spasmodico bisogno di dare
al mio rapporto con Michele uno scossone, in grado di frantumare
quell’abitudinaria relazione che iniziava a stancarmi.
Avrei voluto una
qualche reazione, un segno di un interesse che non fosse superficiale,
un
accenno di passionalità che non si limitasse semplicemente
al sesso.
Desideravo un
cambiamento.
Bhe, fui
accontentata, anche se non come desideravo.
In seguito alle
lamentele di Luana, sebbene riluttante, mi preparai per recarmi al
supermercato,
munita di una lista della spesa che sembrava scritta da un bambino di
una
decina d’anni. Gran parte degli alimenti erano grasso, unto e
potenzialmente
nocivo.
Se mia madre
avesse saputo cosa mangiavo per sopravvivere mi avrebbe diseredata. Lei
era una
di quelle persone con l’ossessione per la salute e di
conseguenza per il cibo
sano, molto sano. Quando ancora vivevo con lei la mia alimentazione era
esclusivamente a base di prodotti erboristici e controllati;
possibilmente coltivati
sul cucuzzolo di qualche montagna sperduta o allevati in zone montane
dai nomi
improbabili.
In
sintesi… uno
schifo.
La zucca non
aveva sapore di zucca, il tofù sembrava gomma ma il
caffè decaffeinato era il
mio incubo peggiore.
Il corpo
è un tempio e come tale va
trattato.
Bhe, il mio
corpo era impossibilitato ad assumere cibo vero se non fuori di casa
mia,
quando ospite da una delle mie amiche o in giro per ristoranti e pub mi
concedevo di nutrirmi come qualsiasi persona perfettamente consapevole
che
anche sulle montagne non mancavano problemi e che molte di quelle
mucche o
pecore o bestie di dubbia natura brucavano erba in terreni
probabilmente
inquinati da scorie o immondizie gettate lì abusivamente.
Dettagli che
ormai, dopo anni, non mi davo pena di ribadire.
Cercando comunque
di non tenere completamente fede alla lista di Luana, terminai la spesa
velocemente, aggiungendo al cibo spazzatura anche alimenti realmente
nutritivi.
Fortunatamente per me il supermercato era a meno di dieci metri dal
palazzo
dove vivevamo e questo mi concedeva di non sopperire sotto il peso
delle buste.
Probabilmente
dovevamo
smettere di fare la spesa una volta a settimana, iniziando a
ridistribuire il
carico.
Probabilmente…
Fu proprio sulla
soglie del portone che lo vidi.
Gabriele.
Era imbardato
con una kefia, avvolta al collo che lo ricopriva fino il mento, e degli
occhiali da sole che celavano due occhi azzurro-verde a dir poco
spettacolari,
che in quel momento non potei ammirare. Aveva con sé solo un
borsone ed
indossava abiti stropicciati a causa della notte trascorsa in treno.
Nonostante tutto,
compresa la stanchezza che appesantiva i lineamenti del suo volto, il
suo
profilo perfetto mi lasciò basita per qualche istante, ma
furono le sue labbra
ad attirare il mio sguardo.
Cavolo! Fu il mio primo
pensiero.
Voltai il capo
imbarazzata quando appurai di averlo osservato con sin troppo interesse
e
stanca dei pesi alle braccia, poggiai le buste della spesa in terra,
dirigendomi verso le cassette della posta.
Meglio distrarsi.
In quei giorni
attendevo una lettera di Nana, una delle mie più vecchie
amiche.
In realtà
il suo
nome di battesimo non era certo Nana, ma Carmela e lo detestava a tal
punto da averlo
rinnegato sin da bambina, attribuendosi i nomignoli più
strani. Nonostante la
comoda invenzione delle e-mail noi eravamo amanti della vecchia
corrispondenza,
poco affidabile e più dispendiosa, ma certamente meno
impersonale.
Ci scambiavamo
una lettera una volta al mese, raccontandoci quello che sfuggiva alle
nostre
rare chiacchierate al telefono o alle frettolose chat che ci
concedevamo di
tanto in tanto, la sera.
Purtroppo per
quanto possa essere profonda un’amicizia la lontananza
incide, e con essa gli
impegni della giornata che si accumulano e si accumulano, fino a quando
non si
crolla sul libro di turno.
Solo bollette e
volantini pubblicitari.
Con un sospiro
sommesso richiusi la cassetta della posta, dopo aver appurato
l’ennesimo
ritardo delle poste. Sai che
novità!?
Udii il suono
dell’ascensore che si fermava al piano e mi voltai per
recuperare le buste
della spesa prima di salire, avviandomi verso di esso. Purtroppo lo
sconosciuto
con il fondoschiena da paura non
parve prestare attenzione alla mia presenza.
«Un
attimo.»
borbottai affrettando il passo, ma invano. La porta
dell’ascensore si chiuse
dinanzi al mio naso con uno scatto secco, lasciandomi impalata.
Quell’idiota
con
le cuffie nelle orecchie mi aveva appena chiuso la porta in faccia?
Imbecille!
«Ma che
cazz…»
imprecai, mordendomi la lingua per non iniziare ad inveire nel palazzo,
attirando gli inquilini del piano terra, due tranquilli vecchietti che
sarebbero inorriditi dinanzi alle esclamazioni colorite che premevano
per venir
fuori dalla mia bocca.
Inspira, espira,
inspira espira…
Pensai spesso al
nostro primo incontro, in seguito. Quella porta sbattuta in faccia
poteva sintetizzare
perfettamente quello che fui costretta a subire a causa sua. O almeno
quello
che mi convinsi a sopportare, ammaliata da quella persona
così particolare e
apparentemente interessante. Non che non lo fosse.
Era carismatico,
molto carino, sagace e con la battuta pronta in ogni occasione, ma a
queste
buone qualità si sommavano una serie di pessime
caratteristiche come la
superficialità intrinseca in ogni suo atto o pensiero,
l’ostinazione e
l’egocentrismo maniacale che mi impediva di restare nella
stessa stanza con lui
senza ribattere acidamente. Soprattutto agli esordi della nostra
conoscenza.
Il nostro non
poteva dirsi un rapporto idilliaco, per nulla.
Quel giorno, con
le buste della spesa ai miei piedi e le braccia incrociate al petto,
attesi che
l’ascensore si decidesse a scendere, mormorando imprecazioni
di ogni genere su
quello sconosciuto, ipotizzando potesse essere un amico di quella
sgallettata
al quarto piano, con il seno palesemente rifatto.
Era decisamente
il suo tipo.
Quando
finalmente raggiunsi la porta della mia abitazione trafficai con le
chiavi
senza però avere il tempo di usarle. Dalla
velocità con la quale si spalancò
supposi che Luana era appostata al di là dello stipite.
«
Cristina,
finalmente sei a casa, dannazione! » esclamò,
venendomi incontro con il suo
incedere barcollante.
Quella mattina
era caduta dalla scala mentre litigava con la cassa del suo impianto
stereo. Il
tonfo si era avvertito forte e chiaro anche nella mia camera, accanto
alla sua.
« Sono
andata a
fare la spesa.» borbottai portando le buste nella nostra
piccola cucina e
poggiandole sul tavolo per svuotarne il contenuto. Con il caldo di
quella
giornata temevo seriamente per le condizioni degli yogurt.
«Mi serviva un po’ di
tempo per cercare di porre rimedio alla tua lista della spesa oltremodo
inutile.»
«Il nuovo
inquilino è arrivato.»
mi comunicò con
uno sbuffo, ben attenta a non rispondere alle mie provocazioni, ponendo
la
macchinetta del caffè sul fuoco. Santa
donna… mi aveva aspettato prima di prepararlo ben
consapevole della mia
inclinazione a bere caffè bollente anche il quindici agosto,
con quaranta gradi
all’ombra.
Ecco spiegato
perché era tanto nervosa,
non aveva
bevuto la sua dose mattutina.« E che ha detto? »
mormorai, gettando un fugace
sguardo alla porta.
« Piacere.
»
« E poi?
»
Scrollò
le
spalle. « E poi basta. »
«Tipo
loquace.»
«Meglio,
non
avrei sopportato un rompipalle chiacchierone.»
commentò tirando fuori dalle
buste una scatola di biscotti al cioccolato, con ripieno di cioccolato
e glassa
di cioccolato. A quel punto tanto valeva attaccarsi alla zuccheriera e
buttare
tutto il contenuto giù per la gola.
«
Vabbè dal
chiacchierone al mutismo ce ne passa. » ghignai mentre
riponevo la pasta nella
dispensa, scuotendo il capo divertita. Luana di per sé non
era una persona che
amava ciarlare e scambiarsi convenevoli con sconosciuti, quindi in fin
dei
conti la cosa non mi sorprese. Mi domandai se avesse abbandonato anche
lui
sulla porta.
« Che tipo
è?»
« Bello,
simpatico, intelligente, ma potresti scoprirlo da sola semplicemente
voltandoti.» la voce sconosciuta alle mie spalle, mi
sbeffeggiò facendomi
trasalire.
Oh porca
miseria…
Chiusi gli occhi
imprecando mentalmente per l’ottimo esordio di questa
conoscenza, ovviamente
fui costretta a ricredermi quando voltandomi lo vidi.
Lo riconobbi
subito ed il mio volto espresse eloquentemente il mio repentino cambio
d’umore.
Irritazione allo
stato puro.
Senza quegli
occhiali avvolgenti e l’ampio cappotto era ancora
più bello. Alto, più di un
metro e ottanta, fisico asciutto, labbra carnose ed occhi di una
tonalità
straordinaria, tra il verde e l’azzurro. Il viso era
ricoperto da una barba
appena accennata, che ricopriva la mascella squadrata. Aveva dei bei
lineamenti, difficili da definire, abbastanza marcati, ma non troppo.
Bhe, era
decisamente uno dei ragazzi più carini avessi mai avuto modo
di incontrare.
Certo, quel
sorrisetto serafico che piegava le sue labbra lasciava presupporre la
piena
consapevolezza di questo dettaglio.
« Tu sei
quello
dell’ascensore. » commentai caustica.
« Non so
di cosa
tu stia parlando. – ribattè placidamente
avvicinandosi alla credenza alla
ricerca di uno spazio vuoto. – Dove posso riporre le mie
cose? Non intendo conservarle
nella mia camera rischiando un’invasione di
formiche.»
«Tu sei
quell’idiota che mi ha sbattuto la porta
dell’ascensore sul naso.»
Si voltò
scrutandomi con una certa perplessità. « Non ti ho
notata.»
Repressi un grugnito
esasperato, non è di certo il genere di frase che una
ragazza adora sentirsi di
rivolgere. «Uno scusa sarebbe gradito.»
«Certo
scusa…»
mi liquidò, come se fossi una pazza isterica a cui era
opportuno dare ragione
solo per farla tacere, con sguardo di sufficienza che mi fece fremere
dall’ira.
Io questo lo
strangolo…
Mi morsi la
lingua lasciando la cucina con quel minimo di dignità che mi
restava, cercando
di mitigare la mia irritazione. Dannazione avrei dovuto dividere la
casa con
quel tizio, una prospettiva che in quell’istante mi parve
tutt’altro che lieta.
Dieci minuti
dopo Luana si intrufolò nella mia stanza, ovviamente senza
bussare,
rivolgendomi quel sorrisetto di scherno che avevo imparato a detestare
perché
celava qualche commento sarcastico che probabilmente non avrei gradito.
«
Spara!»
esclamai con voce colma di esasperazione. « Aspetto la
stronzata della
giornata.»
«
È sexy.»
commento avvicinandosi al letto e porgendomi la tazza di
caffè ancora caldo.
«A te
piacciono
le donne.»
«A te
piacciono
gli uomini.»
«Grazie
per
avermelo rammentato, iniziavo ad avere dubbi sulle mie inclinazioni
sessuali,
miss ovvio.»
Si lasciò
scappare una risatina divertita. « Semplicemente sottolineavo
il fatto che è un
bel ragazzo, anche se sembra un imbecille totale.»
«Sarà
una
tragedia vivere con lui.»
«Temi di
saltargli addosso?» mi stuzzicò sempre
più divertita.
Sbuffai scuotendo
il capo.
All’epoca
i suoi
commenti non erano che un tentativo di distrarmi, con la speranza di
farmi
dimenticare la piccola schermaglia avuta in cucina. Con il tempo
avrebbe avuto
modo di pentirsi di quel suo sbeffeggiarmi, soprattutto
perché si sentì in
dovere di rimproverarmi piuttosto di frequente, a causa di Gabriele.
Fortunatamente per
me in quel momento qualcuno bussò alla porta, un tocco
esitante che ben
conoscevo.
«Entra!
»
esclamai con un sospiro sommesso, sperando finalmente di avere un
po’ di
supporto in quella gabbia di matti.
Michele fece il
suo ingresso nella mia camera da letto, facendo scorrere lo sguardo
stralunato
dal mio volto a quello di Luana. « Chi è il tizio
che mi ha aperto la porta?»
domandò indicando al di là della mia stanza, con
un’espressione perplessa.
« Il
nostro
nuovo coinquilino.» spiegai, increspando le labbra in una
smorfia.
Ah… si
limitò a rispondere leggermente accigliato. «
Simpatico?»
Non un commento
salace, non sottolineò il per nulla futile dettaglio che era
un uomo e che io non
lo avevo avvisato. Non mostrò alcun segno di turbamento se
non una certa
perplessità.
Avrei diviso la
casa con un uomo e a lui non interessava.
« La tua
piccola
Cristina ci ha appena litigato. – ghignò Luana,
con un sorriso divertito
decisamente fuori luogo. – E poi dicono che tra noi due sono
io quella
polemica.»
«Nessuno
ti dà
della polemica, tutti dicono semplicemente che non possiedi alcun
filtro tra
cervello e bocca e che dici tutto quello che ti passa per la
mente.» ribeccai
acida.
« Sono pro
sincerità estrema.»
Mi morsi la
lingua per evitare di protrarre quel battibecco inutile. «
Fuori di qui Lu,
prima che decida di prenderti a calci.»
La mia amica
uscì dalla stanza portando con sé la tazzina di
caffè ormai vuota,
richiudendosi la porta alle spalle. Con un sospiro sommesso accolsi la
sua
scomparsa, battendo energicamente la mano sul letto, invitando Michele
a
sedersi accanto a me.
Mi
assecondò,
accomodandosi. «Sei nervosa.»
Alzai gli occhi
al cielo, sulla soglia dell’esasperazione. «Oggi
è la giornata del “facciamo
commenti ovvi”.»
«Sei buffa
quando ti arrabbi. – sorrise sporgendosi verso di me per
stamparmi un veloce bacio
sulle labbra. – Mi spieghi cosa ti irrita? Il fatto che
è un uomo?»
«No,
semplicemente che è uno stronzo.» bofonchiai
piccata, tirando il lenzuolo fin
sopra la testa. Avevo
una gran voglia di
recuperare il sonno perduto di quella mattina, di rilassarmi con doccia
bollente e di una tazza di cioccolato caldo alla cannella. Non di un
nuovo
coinquilino, uomo e borioso, che avrebbe occupato il bagno, che si
sarebbe
preso gioco di me e di cui avremmo dovuto tener conto costantemente.
«Ha fatto
qualcosa…»
Mi scoprii il
volto, notando il suo tono esitante e la sua espressione preoccupata,
comprendendo che stavo decisamente esagerando. Ero maledettamente
permalosa, in
ogni occasione, e mal digerivo situazioni come quelle, ma in fin dei
conti non
era accaduto nulla di talmente rilevante da giustificare quella
tragedia che
stavo inscenando.
Grattandomi il
naso imbarazzata cercai di abbozzare un sorriso. « Solo un
piccolo battibecco
da nulla. – mormorai, facendo scorrere una mano tra i suoi
ricci ribelli. I
capelli ormai erano abbastanza lunghi, lui diceva di doverli
assolutamente
tagliare, ma a me quell’aspetto da scienziato pazzo piaceva.
Gli conferiva un
aspetto dolce. – A te com’è andata la
giornata? »
Chiuse gli occhi
assaporando le mie carezze, prima di distendersi accanto a me,
avvolgendo il
braccio attorno alla mia vita per stringere il mio corpo al suo.
«Ho studiato,
come al solito. »
«La tua
vita è
noiosa.»
«
Avrò il tempo
di godermi la vita quando sarò laureato e avrò
una posizione.»
Sospirai
sommessamente per nulla incline a credere nelle sue parole.
Conoscendolo si sarebbe
trasformato in uno di quegli stacanovisti che lavorano anche di notte e
si
portano fascicoli e fascicoli a casa, visionandoli anche nel letto.
Quando si è
tanto inclini al perfezionismo difficilmente si cambia quando si trova
un
lavoro, al contrario spesso si può solo peggiorare.
Restammo stesi
uno accanto all’altro in silenzio. Non ribattei, consapevole
quanto fosse
inutile. Avevamo discusso spesso su questo punto, quando cercavo di
farlo
ragionare, mostrandogli come la sua giovinezza stesse sparendo negli
anni,
schiacciata dal peso dei libri e delle responsabilità che si
auto affliggeva.
Delle volte
quando lo osservavo mi balenava
in mente
un’immagine mentale piuttosto bizzarra, con il suo Super Io a forma di omino della Michelen,
bianco e ciccioso, che
tentava di soffocare con un cuscino il suo Es.
Un pensiero che
mi permetteva di avere un biglietto di sola entrata in una clinica
psichiatrica.
«Stasera
sei di
turno al locale? » domandai voltandomi verso di lui, cercando
di scacciare
quella assurda rappresentazione che, per quanto eloquente, avrei fatto
bene a
tenere per me.
Il silenzio fu
tutto ciò che udii.
Non ebbi
risposta, Michele si era addormentato.
______________________________
Trascorsi il
pomeriggio sottolineando uno dei libri dell’esame di
sociologia generale,
distesa prona sul mio letto, mentre Michele dormiva al mio fianco.
Doveva aver
trascorso la notte sui libri, quella non era certo una
novità.
Tutta quella
situazione non era una novità.
Sfiancato dalla
sua vita, quando ci vedevamo, non era raro crollasse addormentato come
un bambino e, se la
cosa all’inizio della nostra
storia mi era parsa quasi dolce, nell’ultimo periodo mi
appariva esasperante.
La noia della
sua vita incideva inesorabilmente sulla mia.
Non eravamo
soliti uscire in gruppo, entrambi eravamo abbastanza solitari, poco
inclini
alle amicizie. Detestavamo discoteche e ambienti sovraffollati, quindi
raramente partecipavamo a feste, come quelle organizzate
all’università.
Trascorrevamo spesso le nostre serate in casa, guardando qualche film o
di rado
qualche passeggiata sul lungo mare, per un caffè o un gelato.
La nostra vita
era definibile con un unico termine… noiosa.
Intricata in una
routine logorante e senza via di uscita.
Con un sospiro
abbandonai il libro, richiudendolo con uno scatto secco. Ero brava a
rimuginare, ma non altrettanto ad agire.
Avrei potuto
pretendere da Michele maggiori attenzioni ma ero ben consapevole delle
sue
aspirazioni ed ero certa che renderlo partecipe delle mie aspettative
deluse
non avrebbe portato a nulla.
Lo osservai
placidamente addormentato, come un bambino. Era un ragazzo favoloso e
per certi
versi il migliore a cui si potesse aspirare. Sempre dolce, cortese,
disponibile
in caso di bisogno.
Ma, per ottenere
qualcosa da lui, era necessario chiedergliela.
Ogni gesto
derivava da una richiesta di attenzione che io stessa gli esponevo,
nulla
partiva direttamente da lui.
La sua mente era
costantemente proiettata al futuro, alla costruzione del suo futuro. Io
ero la
sua ragazza, quella alla quale si rivolgeva per sfogarsi, quella con ci
trascorreva del tempo, con cui faceva l’amore. Ero uno dei
suoi punti fermi.
Ma…
potevo accontentarmi di questo?
… non
credevo.
Erano trascorse
tre ore.
L’ora di
pranzo
era passata da un pezzo ed io avevo decisamente bisogno di
sgranocchiare
qualcosa. Il languore allo stomaco ed il suo gorgoglio ne erano palesi
dimostrazioni.
Con un sospiro
sommesso mi sporsi verso di lui, baciandogli la guancia, la linea della
mascella, le labbra morbide, tentando di svegliarlo con la maggiore
dolcezza
possibile e vidi un sorriso dipingersi sulle sue labbra dopo un
po’. Uno di
quelli caldi e dolci che mi rivolgeva tanto spesso.
Lui mi amava, di
questo ne ero certa. Proprio come ero consapevole del fatto che non si
rendesse
conto di quanto la nostra storia fosse monotona e abitudinaria.
Lui mi amava
davvero, ero io a non esserne più tanto sicura.