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Autore: Shinalia    10/12/2010    3 recensioni
L'abitudine.
[estratto capitolo] Delle volte mi piacerebbe comprendere il perché molte cose accadono. Per alcuni ogni avvenimento ha un suo fine, una sua motivazione intrinseca, che forse non ci appare nella sua reale consistenza, almeno non subito, ma che comunque nonostante tutto esiste.
Per me il destino è solo un gran bastardo, si prende gioco di noi, sue marionette, ponendoci dinanzi agli eventi che non siamo in grado di affrontare e che porteranno con loro solo scompiglio.
Il mio incontro con Gabriele mi fece spesso pensare a tutto ciò. Mi chiesi se fosse incappato sulla mia strada come una qualche punizione, una tortura per una mia malefatta, una prova… qualcosa, un segno.
Talvolta penso fu solo sfortuna, o fortuna. Non saprei dirlo con precisione, forse perché nonostante tutto portò con sé quella ventata d’aria fresca di cui necessitavo, probabilmente se non fosse stato lui ci sarebbe stato un altro, più avanti, e le cose avrebbero preso comunque quella piega.
Forse…
Non tutti i mali vengono per nuocere.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Salveee! Eccomi con il secondo capitolo di questa storia XD Ne sono venute fuori 10 pagine ahahhah più lungo di quanto pensavo. *O* ahahahah questa storia non so neanche dove voglia andare a parare, ad essere sincera! Come ogni mia storiellina soprattutto originale non ha uno schema o una scaletta da seguire, semplicemente apro word e scrivo quello che mi passa per la testa! O.o Qui stanno venendo fuori personaggi uno esauriti a dire il vero ahahaha

Comunque ci tengo a ringraziarvi per i vostri bei commenti, a cui ho risposto con il nuovo sistema di risposta per le recensioni di EFP hihihi utilissimo! ♥ Vorrei anche lasciare il link al mio gruppo su fb, dove inserisco spoiler e cose simili e ci sono anche le foto dei personaggi di questa storiella. Se vi interessa, link: Storie di Shinalia

Kissssssssss

Delle volte mi piacerebbe comprendere il perché molte cose accadono. Per alcuni ogni avvenimento ha un suo fine, una sua motivazione intrinseca, che forse non ci appare nella sua reale consistenza, almeno non subito, ma che comunque nonostante tutto esiste.

Per me il destino è solo un gran bastardo, si prende gioco di noi, sue marionette, ponendoci dinanzi agli eventi che non siamo in grado di affrontare e che porteranno con loro solo scompiglio.

Il mio incontro con Gabriele mi fece spesso pensare a tutto ciò. Mi chiesi se fosse incappato sulla mia strada come una qualche punizione, una tortura per una mia malefatta, una prova… qualcosa, un segno.

Talvolta penso fu solo sfortuna, o fortuna. Non saprei dirlo con precisione, forse perché nonostante tutto portò con sé quella ventata d’aria fresca di cui necessitavo, probabilmente se non fosse stato lui ci sarebbe stato un altro, più avanti, e le cose avrebbero preso comunque quella piega.

Forse…

Non tutti i mali vengono per nuocere.

La prima volta che lo vidi ne fui folgorata. Non solo dalla sua bellezza, a dire il vero, quella la notai soprattutto in un secondo momento.

Ironico direi… perché il suo aspetto difficilmente passava inosservato ed in realtà fu ciò che mi spinse verso di lui, quando ebbi modo di porre da parte la mia iniziale titubanza.

Un’affermazione superficiale?

Si, ma non è forse vero che prima di risvegliarsi un interesse intenso necessita di alcune basi? Non ci si innamora con uno sguardo. Il colpo di fulmine non è che un’infatuazione momentanea che ha la durata di uno schiocco di labbra e si spegne in breve, come una debole fiammella sotto la pioggia.

Talvolta però da quel primo barlume nasce altro. Non saprei dire, in realtà, se quello fu o meno il mio caso. Probabilmente in lui, inizialmente, cercai una via di fuga.

Tanto diverso da Michele da essere la sua perfetta nemesi, mi attirò a sé come una calamita. Un bel ragazzo, sveglio, allegro, desideroso di godere a pieno la sua giovinezza e la sua vita. Una persona impulsiva, ma non per questo stolta o poco accorta. Certo, neanche i suoi difetti passavano inosservati, ma nel complesso apparivano mitigati dalla sua capacità di valorizzare le virtù che possedeva.

Mi piacque, mi piacque vedermi rivolte attenzioni, mi piacque scoprire una percezione di un rapporto tanto diversa da quella che stavo vivendo con Michele.

Mi piacque la novità… ma anche la novità alla fine svanisce.

 

«Cristina!»

La porta si aprì con uno scatto secco, rivelandomi la figura di Luana ancora in pigiama, con i capelli arruffati sulla fronte e la sciarpa stretta alla gola.

Eravamo ad ottobre, un caldo ottobre a dire il vero. Il sole era ancora forte e personalmente io vestivo ancora con abiti leggeri, ma non Luana. Lei era freddolosa per natura.

«Ma che male ho fatto per trovarti sulla mia strada?» brontolai stretta al mio cuscino, per nulla incline ad abbandonare il letto confortevole ed il suo tepore rassicurante.

«Tanto lo so che mi adori.»

«L’importante è crederci.»

Sorrise melliflua, incrociando le braccia al petto, con palese soddisfazione. «Oggi è il tuo turno di fare la spesa.»

« Rettifico: ti detesto.»

Si avvicinò al mio armadio, spalancando le ante, tirando fuori alcuni abiti a casaccio, neanche minimamente turbata dalle mie parole, anzi appariva quasi divertita.

Adorava indispettirmi, soprattutto a quell’ora del mattino, quando mi svegliava nonostante l’assenza di lezioni.

Bastarda.

«Vado più tardi.» brontolai assonnata, nascondendo il volto al di sotto delle lenzuola azzurre ed il copriletto con i pinguini. Il mio preferito.

«Svegliati. Ci sono novità. – sentenziò gettando i vestiti sul letto, prima di accomodarsi accanto a me. - Nuovo coinquilino!»

Ovvero un’altra persona che gironzola per casa, occupa l’unico bagno, si lamenta della spesa e…

Assunsi un’espressione corrucciata, rinunciando completamente al mio intento di rimettermi a dormire. «Aspetta, hai detto nuovo? Un maschio?»

Scrollò le spalle con indifferenza. «Si, perché? Ti crea qualche problema?»

«Considerando la mia abitudine di girare in accappatoio per casa direi di si. – bofonchiai, stropicciandomi stancamente gli occhi. – Oltretutto ti rammento che questa è una casa per studentesse?»

«Quell’aguzzino del proprietario non deve essere riuscito a trovare nessuna ragazza disposta a vivere in questo tugurio e avrà deciso di ripiegare su qualche maschietto.»

Sbuffai riluttante. Sempre la solita solfa, quell’uomo era il più avido bastardo rompipalle si fosse mai visto in giro. Eravamo state costrette a trascorrere tre mesi, quell’inverno, senza termosifoni. Si era rifiutato di far revisionare l’impianto, nonostante spettasse a lui.

Non avrebbe dovuto sorprendermi quella novità.

«Marta?» proposi alzando lo sguardo sul volto tondo della mia amica, implorandola di proporre a lei l’ultima camera della casa. Era la più spaziosa, ma tra le tre aveva la vista peggiore, affacciando sul cortile di un groviglio di palazzine deturpate, il che la rendeva abbastanza buia.

Ma in fin dei conti era carina e, con qualche lampada, si sopperiva al problema.

Ovviamente una smorfia di disappunto piegò le sue labbra. «E rinunciare totalmente alla mia libertà? Neanche morta, se così è ossessiva non oso immaginare se dividessimo anche casa. »

Trattenni una risata divertita. Marta era la ragazza di Luana.

Era una tipetta carina che frequentava il terzo anno di lettere, avevo con lei qualche corso in comune, ma non avevamo mai legato particolarmente. I motivi potevano essere vari, ma avevo la sensazione che fosse un po’ gelosa del mio rapporto con Luana, nonostante fosse palese il mio interesse per gli uomini. Il povero Michele era costretto a sopportare non poche voci su di me e, sebbene non paresse interessato a dare conto a ciò che si diceva in giro, temevo la cosa potesse infastidirlo.

O forse quella sua apparente noncuranza infastidiva me… non avrei saputo dirlo con precisione.

Molte donne sostengono che avere accanto una persona tranquilla, dolce, che non crea mai problemi sia la fortuna più grande che si possa mai avere. In realtà siamo tutte tendenzialmente incontentabili… cerchiamo qualcosa che non esiste. Un connubio di qualità che in una stessa persona non potrebbero mai convivere, tranne che non si tratti di uno schizzo-frenico che soffre di personalità multiple, e anche in quel caso avremo di certo da ridire.

In quel periodo, quando Gabriele entrò nella mia vita, avvertivo lo spasmodico bisogno di dare al mio rapporto con Michele uno scossone, in grado di frantumare quell’abitudinaria relazione che iniziava a stancarmi.

Avrei voluto una qualche reazione, un segno di un interesse che non fosse superficiale, un accenno di passionalità che non si limitasse semplicemente al sesso.

Desideravo un cambiamento.

Bhe, fui accontentata, anche se non come desideravo.

 

In seguito alle lamentele di Luana, sebbene riluttante, mi preparai per recarmi al supermercato, munita di una lista della spesa che sembrava scritta da un bambino di una decina d’anni. Gran parte degli alimenti erano grasso, unto e potenzialmente nocivo.

Se mia madre avesse saputo cosa mangiavo per sopravvivere mi avrebbe diseredata. Lei era una di quelle persone con l’ossessione per la salute e di conseguenza per il cibo sano, molto sano. Quando ancora vivevo con lei la mia alimentazione era esclusivamente a base di prodotti erboristici e controllati; possibilmente coltivati sul cucuzzolo di qualche montagna sperduta o allevati in zone montane dai nomi improbabili.

In sintesi… uno schifo.

La zucca non aveva sapore di zucca, il tofù sembrava gomma ma il caffè decaffeinato era il mio incubo peggiore.

Il corpo è un tempio e come tale va trattato.

Bhe, il mio corpo era impossibilitato ad assumere cibo vero se non fuori di casa mia, quando ospite da una delle mie amiche o in giro per ristoranti e pub mi concedevo di nutrirmi come qualsiasi persona perfettamente consapevole che anche sulle montagne non mancavano problemi e che molte di quelle mucche o pecore o bestie di dubbia natura brucavano erba in terreni probabilmente inquinati da scorie o immondizie gettate lì abusivamente.

Dettagli che ormai, dopo anni, non mi davo pena di ribadire.

Cercando comunque di non tenere completamente fede alla lista di Luana, terminai la spesa velocemente, aggiungendo al cibo spazzatura anche alimenti realmente nutritivi. Fortunatamente per me il supermercato era a meno di dieci metri dal palazzo dove vivevamo e questo mi concedeva di non sopperire sotto il peso delle buste.

Probabilmente dovevamo smettere di fare la spesa una volta a settimana, iniziando a ridistribuire il carico.

Probabilmente…

Fu proprio sulla soglie del portone che lo vidi.

Gabriele.

Era imbardato con una kefia, avvolta al collo che lo ricopriva fino il mento, e degli occhiali da sole che celavano due occhi azzurro-verde a dir poco spettacolari, che in quel momento non potei ammirare. Aveva con sé solo un borsone ed indossava abiti stropicciati a causa della notte trascorsa in treno.

Nonostante tutto, compresa la stanchezza che appesantiva i lineamenti del suo volto, il suo profilo perfetto mi lasciò basita per qualche istante, ma furono le sue labbra ad attirare il mio sguardo.

Cavolo! Fu il mio primo pensiero.

Voltai il capo imbarazzata quando appurai di averlo osservato con sin troppo interesse e stanca dei pesi alle braccia, poggiai le buste della spesa in terra, dirigendomi verso le cassette della posta.

Meglio distrarsi.

In quei giorni attendevo una lettera di Nana, una delle mie più vecchie amiche.

In realtà il suo nome di battesimo non era certo Nana, ma Carmela e lo detestava a tal punto da averlo rinnegato sin da bambina, attribuendosi i nomignoli più strani. Nonostante la comoda invenzione delle e-mail noi eravamo amanti della vecchia corrispondenza, poco affidabile e più dispendiosa, ma certamente meno impersonale.

Ci scambiavamo una lettera una volta al mese, raccontandoci quello che sfuggiva alle nostre rare chiacchierate al telefono o alle frettolose chat che ci concedevamo di tanto in tanto, la sera.

Purtroppo per quanto possa essere profonda un’amicizia la lontananza incide, e con essa gli impegni della giornata che si accumulano e si accumulano, fino a quando non si crolla sul libro di turno.

Solo bollette e volantini pubblicitari.

Con un sospiro sommesso richiusi la cassetta della posta, dopo aver appurato l’ennesimo ritardo delle poste. Sai che novità!?

Udii il suono dell’ascensore che si fermava al piano e mi voltai per recuperare le buste della spesa prima di salire, avviandomi verso di esso. Purtroppo lo sconosciuto con il fondoschiena da paura non parve prestare attenzione alla mia presenza.

«Un attimo.» borbottai affrettando il passo, ma invano. La porta dell’ascensore si chiuse dinanzi al mio naso con uno scatto secco, lasciandomi impalata.

Quell’idiota con le cuffie nelle orecchie mi aveva appena chiuso la porta in faccia? Imbecille!

«Ma che cazz…» imprecai, mordendomi la lingua per non iniziare ad inveire nel palazzo, attirando gli inquilini del piano terra, due tranquilli vecchietti che sarebbero inorriditi dinanzi alle esclamazioni colorite che premevano per venir fuori dalla mia bocca.

Inspira, espira, inspira espira…

Pensai spesso al nostro primo incontro, in seguito. Quella porta sbattuta in faccia poteva sintetizzare perfettamente quello che fui costretta a subire a causa sua. O almeno quello che mi convinsi a sopportare, ammaliata da quella persona così particolare e apparentemente interessante. Non che non lo fosse.

Era carismatico, molto carino, sagace e con la battuta pronta in ogni occasione, ma a queste buone qualità si sommavano una serie di pessime caratteristiche come la superficialità intrinseca in ogni suo atto o pensiero, l’ostinazione e l’egocentrismo maniacale che mi impediva di restare nella stessa stanza con lui senza ribattere acidamente. Soprattutto agli esordi della nostra conoscenza.

Il nostro non poteva dirsi un rapporto idilliaco, per nulla.

Quel giorno, con le buste della spesa ai miei piedi e le braccia incrociate al petto, attesi che l’ascensore si decidesse a scendere, mormorando imprecazioni di ogni genere su quello sconosciuto, ipotizzando potesse essere un amico di quella sgallettata al quarto piano, con il seno palesemente rifatto.

Era decisamente il suo tipo.

Quando finalmente raggiunsi la porta della mia abitazione trafficai con le chiavi senza però avere il tempo di usarle. Dalla velocità con la quale si spalancò supposi che Luana era appostata al di là dello stipite.

« Cristina, finalmente sei a casa, dannazione! » esclamò, venendomi incontro con il suo incedere barcollante.

Quella mattina era caduta dalla scala mentre litigava con la cassa del suo impianto stereo. Il tonfo si era avvertito forte e chiaro anche nella mia camera, accanto alla sua.

« Sono andata a fare la spesa.» borbottai portando le buste nella nostra piccola cucina e poggiandole sul tavolo per svuotarne il contenuto. Con il caldo di quella giornata temevo seriamente per le condizioni degli yogurt. «Mi serviva un po’ di tempo per cercare di porre rimedio alla tua lista della spesa oltremodo inutile.»

«Il nuovo inquilino è arrivato.»  mi comunicò con uno sbuffo, ben attenta a non rispondere alle mie provocazioni, ponendo la macchinetta del caffè sul fuoco. Santa donna… mi aveva aspettato prima di prepararlo ben consapevole della mia inclinazione a bere caffè bollente anche il quindici agosto, con quaranta gradi all’ombra.

Ecco spiegato perché era tanto  nervosa, non aveva bevuto la sua dose mattutina.« E che ha detto? » mormorai, gettando un fugace sguardo alla porta.

« Piacere. »

« E poi? »

Scrollò le spalle. « E poi basta. »

«Tipo loquace.»

«Meglio, non avrei sopportato un rompipalle chiacchierone.» commentò tirando fuori dalle buste una scatola di biscotti al cioccolato, con ripieno di cioccolato e glassa di cioccolato. A quel punto tanto valeva attaccarsi alla zuccheriera e buttare tutto il contenuto giù per la gola.

« Vabbè dal chiacchierone al mutismo ce ne passa. » ghignai mentre riponevo la pasta nella dispensa, scuotendo il capo divertita. Luana di per sé non era una persona che amava ciarlare e scambiarsi convenevoli con sconosciuti, quindi in fin dei conti la cosa non mi sorprese. Mi domandai se avesse abbandonato anche lui sulla porta.

« Che tipo è?»

« Bello, simpatico, intelligente, ma potresti scoprirlo da sola semplicemente voltandoti.» la voce sconosciuta alle mie spalle, mi sbeffeggiò facendomi trasalire.

Oh porca miseria…

Chiusi gli occhi imprecando mentalmente per l’ottimo esordio di questa conoscenza, ovviamente fui costretta a ricredermi quando voltandomi lo vidi.

Lo riconobbi subito ed il mio volto espresse eloquentemente il mio repentino cambio d’umore.

Irritazione allo stato puro.

Senza quegli occhiali avvolgenti e l’ampio cappotto era ancora più bello. Alto, più di un metro e ottanta, fisico asciutto, labbra carnose ed occhi di una tonalità straordinaria, tra il verde e l’azzurro. Il viso era ricoperto da una barba appena accennata, che ricopriva la mascella squadrata. Aveva dei bei lineamenti, difficili da definire, abbastanza marcati, ma non troppo.

Bhe, era decisamente uno dei ragazzi più carini avessi mai avuto modo di incontrare.

Certo, quel sorrisetto serafico che piegava le sue labbra lasciava presupporre la piena consapevolezza di questo dettaglio.

« Tu sei quello dell’ascensore. » commentai caustica.

« Non so di cosa tu stia parlando. – ribattè placidamente avvicinandosi alla credenza alla ricerca di uno spazio vuoto. – Dove posso riporre le mie cose? Non intendo conservarle nella mia camera rischiando un’invasione di formiche.»

«Tu sei quell’idiota che mi ha sbattuto la porta dell’ascensore sul naso.»

Si voltò scrutandomi con una certa perplessità. « Non ti ho notata.»

Repressi un grugnito esasperato, non è di certo il genere di frase che una ragazza adora sentirsi di rivolgere. «Uno scusa sarebbe gradito.»

«Certo scusa…» mi liquidò, come se fossi una pazza isterica a cui era opportuno dare ragione solo per farla tacere, con sguardo di sufficienza che mi fece fremere dall’ira.

Io questo lo strangolo…

Mi morsi la lingua lasciando la cucina con quel minimo di dignità che mi restava, cercando di mitigare la mia irritazione. Dannazione avrei dovuto dividere la casa con quel tizio, una prospettiva che in quell’istante mi parve tutt’altro che lieta.

 

Dieci minuti dopo Luana si intrufolò nella mia stanza, ovviamente senza bussare, rivolgendomi quel sorrisetto di scherno che avevo imparato a detestare perché celava qualche commento sarcastico che probabilmente non avrei gradito.

« Spara!» esclamai con voce colma di esasperazione. « Aspetto la stronzata della giornata.»

« È sexy.» commento avvicinandosi al letto e porgendomi la tazza di caffè ancora caldo.

«A te piacciono le donne.»

«A te piacciono gli uomini.»

«Grazie per avermelo rammentato, iniziavo ad avere dubbi sulle mie inclinazioni sessuali, miss ovvio.»

Si lasciò scappare una risatina divertita. « Semplicemente sottolineavo il fatto che è un bel ragazzo, anche se sembra un imbecille totale.»

«Sarà una tragedia vivere con lui.»

«Temi di saltargli addosso?» mi stuzzicò sempre più divertita.

Sbuffai scuotendo il capo.

All’epoca i suoi commenti non erano che un tentativo di distrarmi, con la speranza di farmi dimenticare la piccola schermaglia avuta in cucina. Con il tempo avrebbe avuto modo di pentirsi di quel suo sbeffeggiarmi, soprattutto perché si sentì in dovere di rimproverarmi piuttosto di frequente, a causa di Gabriele.

Fortunatamente per me in quel momento qualcuno bussò alla porta, un tocco esitante che ben conoscevo.

«Entra! » esclamai con un sospiro sommesso, sperando finalmente di avere un po’ di supporto in quella gabbia di matti.

Michele fece il suo ingresso nella mia camera da letto, facendo scorrere lo sguardo stralunato dal mio volto a quello di Luana. « Chi è il tizio che mi ha aperto la porta?» domandò indicando al di là della mia stanza, con un’espressione perplessa.

« Il nostro nuovo coinquilino.» spiegai, increspando le labbra in una smorfia.

Ah… si limitò a rispondere leggermente accigliato. « Simpatico?»

Non un commento salace, non sottolineò il per nulla futile dettaglio che era un uomo e che io non lo avevo avvisato. Non mostrò alcun segno di turbamento se non una certa perplessità.

Avrei diviso la casa con un uomo e a lui non interessava.

« La tua piccola Cristina ci ha appena litigato. – ghignò Luana, con un sorriso divertito decisamente fuori luogo. – E poi dicono che tra noi due sono io quella polemica.»

«Nessuno ti dà della polemica, tutti dicono semplicemente che non possiedi alcun filtro tra cervello e bocca e che dici tutto quello che ti passa per la mente.» ribeccai acida.

« Sono pro sincerità estrema.»

Mi morsi la lingua per evitare di protrarre quel battibecco inutile. « Fuori di qui Lu, prima che decida di prenderti a calci.»

La mia amica uscì dalla stanza portando con sé la tazzina di caffè ormai vuota, richiudendosi la porta alle spalle. Con un sospiro sommesso accolsi la sua scomparsa, battendo energicamente la mano sul letto, invitando Michele a sedersi accanto a me.

Mi assecondò, accomodandosi. «Sei nervosa.»

Alzai gli occhi al cielo, sulla soglia dell’esasperazione. «Oggi è la giornata del “facciamo commenti ovvi”

«Sei buffa quando ti arrabbi. – sorrise sporgendosi verso di me per stamparmi un veloce bacio sulle labbra. – Mi spieghi cosa ti irrita? Il fatto che è un uomo?»

«No, semplicemente che è uno stronzo.» bofonchiai piccata, tirando il lenzuolo fin sopra la testa.  Avevo una gran voglia di recuperare il sonno perduto di quella mattina, di rilassarmi con doccia bollente e di una tazza di cioccolato caldo alla cannella. Non di un nuovo coinquilino, uomo e borioso, che avrebbe occupato il bagno, che si sarebbe preso gioco di me e di cui avremmo dovuto tener conto costantemente.

«Ha fatto qualcosa…»

Mi scoprii il volto, notando il suo tono esitante e la sua espressione preoccupata, comprendendo che stavo decisamente esagerando. Ero maledettamente permalosa, in ogni occasione, e mal digerivo situazioni come quelle, ma in fin dei conti non era accaduto nulla di talmente rilevante da giustificare quella tragedia che stavo inscenando.

Grattandomi il naso imbarazzata cercai di abbozzare un sorriso. « Solo un piccolo battibecco da nulla. – mormorai, facendo scorrere una mano tra i suoi ricci ribelli. I capelli ormai erano abbastanza lunghi, lui diceva di doverli assolutamente tagliare, ma a me quell’aspetto da scienziato pazzo piaceva. Gli conferiva un aspetto dolce. – A te com’è andata la giornata? »

Chiuse gli occhi assaporando le mie carezze, prima di distendersi accanto a me, avvolgendo il braccio attorno alla mia vita per stringere il mio corpo al suo. «Ho studiato, come al solito. »

«La tua vita è noiosa.»

« Avrò il tempo di godermi la vita quando sarò laureato e avrò una posizione.»

Sospirai sommessamente per nulla incline a credere nelle sue parole. Conoscendolo si sarebbe trasformato in uno di quegli stacanovisti che lavorano anche di notte e si portano fascicoli e fascicoli a casa, visionandoli anche nel letto. Quando si è tanto inclini al perfezionismo difficilmente si cambia quando si trova un lavoro, al contrario spesso si può solo peggiorare.

Restammo stesi uno accanto all’altro in silenzio. Non ribattei, consapevole quanto fosse inutile. Avevamo discusso spesso su questo punto, quando cercavo di farlo ragionare, mostrandogli come la sua giovinezza stesse sparendo negli anni, schiacciata dal peso dei libri e delle responsabilità che si auto affliggeva.

Delle volte quando lo osservavo mi  balenava in mente un’immagine mentale piuttosto bizzarra, con il suo Super Io a forma di omino della Michelen, bianco e ciccioso, che tentava di soffocare con un cuscino il suo Es.

Un pensiero che mi permetteva di avere un biglietto di sola entrata in una clinica psichiatrica.

«Stasera sei di turno al locale? » domandai voltandomi verso di lui, cercando di scacciare quella assurda rappresentazione che, per quanto eloquente, avrei fatto bene a tenere per me.

Il silenzio fu tutto ciò che udii.

Non ebbi risposta, Michele si era addormentato.

______________________________

 

Trascorsi il pomeriggio sottolineando uno dei libri dell’esame di sociologia generale, distesa prona sul mio letto, mentre Michele dormiva al mio fianco. Doveva aver trascorso la notte sui libri, quella non era certo una novità.

Tutta quella situazione non era una novità.

Sfiancato dalla sua vita, quando ci vedevamo, non era raro crollasse addormentato come un  bambino e, se la cosa all’inizio della nostra storia mi era parsa quasi dolce, nell’ultimo periodo mi appariva esasperante.

La noia della sua vita incideva inesorabilmente sulla mia.

Non eravamo soliti uscire in gruppo, entrambi eravamo abbastanza solitari, poco inclini alle amicizie. Detestavamo discoteche e ambienti sovraffollati, quindi raramente partecipavamo a feste, come quelle organizzate all’università. Trascorrevamo spesso le nostre serate in casa, guardando qualche film o di rado qualche passeggiata sul lungo mare, per un caffè o un gelato.

La nostra vita era definibile con un unico termine… noiosa.

Intricata in una routine logorante e senza via di uscita.

Con un sospiro abbandonai il libro, richiudendolo con uno scatto secco. Ero brava a rimuginare, ma non altrettanto ad agire.

Avrei potuto pretendere da Michele maggiori attenzioni ma ero ben consapevole delle sue aspirazioni ed ero certa che renderlo partecipe delle mie aspettative deluse non avrebbe portato a nulla.

Lo osservai placidamente addormentato, come un bambino. Era un ragazzo favoloso e per certi versi il migliore a cui si potesse aspirare. Sempre dolce, cortese, disponibile in caso di bisogno.

Ma, per ottenere qualcosa da lui, era necessario chiedergliela.

Ogni gesto derivava da una richiesta di attenzione che io stessa gli esponevo, nulla partiva direttamente da lui.

La sua mente era costantemente proiettata al futuro, alla costruzione del suo futuro. Io ero la sua ragazza, quella alla quale si rivolgeva per sfogarsi, quella con ci trascorreva del tempo, con cui faceva l’amore. Ero uno dei suoi punti fermi.

Ma… potevo accontentarmi di questo?

… non credevo.

Erano trascorse tre ore.

L’ora di pranzo era passata da un pezzo ed io avevo decisamente bisogno di sgranocchiare qualcosa. Il languore allo stomaco ed il suo gorgoglio ne erano palesi dimostrazioni.

Con un sospiro sommesso mi sporsi verso di lui, baciandogli la guancia, la linea della mascella, le labbra morbide, tentando di svegliarlo con la maggiore dolcezza possibile e vidi un sorriso dipingersi sulle sue labbra dopo un po’. Uno di quelli caldi e dolci che mi rivolgeva tanto spesso.

Lui mi amava, di questo ne ero certa. Proprio come ero consapevole del fatto che non si rendesse conto di quanto la nostra storia fosse monotona e abitudinaria.

Lui mi amava davvero, ero io a non esserne più tanto sicura.

   
 
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