L’Avana, Cuba, 1977
Agosto
L’alba arrivò troppo presto.
Isabella si svegliò ancora stretta nell’abbraccio di Ricardo. Erano ancora soli
nel loro angolo di spiaggia. Ricardo le scostò una ciocca di capelli dagli
occhi, poi le posò un bacio sulla fronte. “Buenas
dias, americana” sussurrò.
“Buongiorno” sussurrò lei in
risposta, mettendosi a sedere e spazzandosi via un po’ di sabbia dal vestito. Il
sorriso le si cancellò dal volto non appena il suo sguardo incontrò il mare.
“Che succede?” le domandò
preoccupato il ragazzo, mettendosi a sedere a sua volta.
“Mia madre mi ucciderà.”
Katie si fermò e lesse l’insegna,
per assicurarsi di essere nel posto giusto. Sì, era l’officina di Javier. Katie
sospirò, fece un passo avanti, poi dietrofront. Si voltò di nuovo verso l’officina,
sospirò ancora e si avvicinò. Mancavano circa cinque metri all’ingresso. Poteva
ancora girare i tacchi e andarsene senza farsi problemi: in fondo, secondo
Lucy, Isabella sarebbe tornata in hotel al massimo entro quel pomeriggio. Ma il
suo istinto di madre fu più forte.
Il brusco passaggio dalla luce del
sole alla penombra dell’interno le creò qualche problema, ma dopo qualche
istante i suoi occhi iniziarono ad abituarsi alla luce. Javier era sdraiato
sotto una grossa auto. Katie si schiarì appena la voce. Javier si affrettò a
rialzarsi. “Buenas dias, que…”
iniziò, per interrompersi alla vista di Katie. “Ciao” concluse, strofinandosi
le mani con uno straccio.
“Ciao, Javier.”
“Non pensavo di vederti da queste
parti.”
“Beh, non era… non era previsto, ma…”
“Posso fare qualcosa per te?” la
interruppe, senza toglierle gli occhi di dosso.
Katie cercò di fissare lo sguardo su
qualcos’altro. “Beh, ecco… Isabella, mia figlia… ieri sera è uscita di
nascosto. Non è tornata, e ho pensato che potesse… beh, che forse poteva essere…”
“…con Ricardo?”
Katie annuì, la gola asciutta.
“Ricardo non è rientrato. Non so
dove sia.”
“Non sai dove sia tuo nipote?”
“Ha ventidue anni” ribatté Javier. “Non
è necessario che gli stia con il fiato sul collo in ogni momento. Sono ragazzi,
bisogna lasciarli crescere” proseguì, rimettendo le mani nel motore di una
vecchia Ford. “Comunque non devi preoccuparti per tua figlia, sempre che sia
con Ricardo. È un bravo ragazzo.”
“Sì, certo” borbottò Katie.
“Dico sul serio” ribadì lui,
fissandola. “Gli ho insegnato ad avere rispetto per le donne. Mi pare di
essermi sempre comportato bene.”
“Sì, questo è vero.”
Ci fu una lunga pausa, durante la
quale Javier continuò a lavorare. Nonostante il nodo che avvertiva alla gola,
Katie sapeva di dover parlare. Pregando che non fosse troppo tardi. No, non
poteva essere tardi. Isabella era una ragazza per bene e Ricardo… sì, voleva
fidarsi anche di lui. “Javier…” cominciò, titubante.
Lui alzò la testa. “Sì?”
Erano a due metri di distanza. Quando si erano avvicinati? “Javier,
la ragione per cui non voglio che Isabella passi il suo tempo con Ricardo è che
lui è tuo nipote.”
“E allora?” Sì, in effetti non aveva senso.
“Ricardo è tuo nipote, e Isabella… Isabella è tua figlia.”
Silenzio. Ti prego,
Javier, dì qualcosa. Dì qualcosa, per favore.
Javier scoppiò in una risata fragorosa. Katie lo osservò per
qualche istante, senza capire.
“Javier, che cosa…”
“Tranquilla, non sono cugini.”
“Come?”
“Non sono cugini” ripeté Javier, asciugandosi una lacrima. “Ricardo
non è figlio di Carlos.”