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Autore: hotaru    10/12/2010    3 recensioni
“Forse il mondo non viene creato. Forse niente viene creato. Semplicemente c'è, c'è stato, ci sarà sempre... Un orologio senza orologiaio.”
Germania, 1923. Che cosa accadde dopo la fine de “Il Conquistatore di Shamballa”?
Dedicata a Shatzy, perché il Roy/Ai esiste anche al di là del portale
[Accenni Roy/Ai, Ed/Win]
Prima classificata al contest "Quotes from Watchmen" di DarkRose86 e vincitrice del premio Miglior Fanfiction
Genere: Introspettivo, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Winry Rockbell
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Al di là del Portale'
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4- Di sartoria e orologeria Di sartoria e orologeria


Invece quella notte la neve fece una pausa, per ricominciare a cadere abbondante la mattina dopo.
Vista l'infreddatura presa il giorno prima, Ed e Al trovarono più saggio stare a casa, anche perché una polmonite non avrebbe certo giovato alla loro missione.
Quella mattina, entrando in cucina, sentirono la signora Eliza dire qualcosa al marito con tono paziente, come quello che si usa con i bambini testardi.
- Rod, lascia perdere. Farai tardi al lavoro, ci penso io -.
- No, è un lavoro da uomini. Dovrò pur rendermi utile in qualche modo, no? -.
- Non portavi già il pane a casa? -.
L'uomo, accucciato davanti alla cucina economica, si voltò verso la moglie.
- Ah, ah -.
La signora Eliza appoggiò una mano sulla fronte e scosse piano la testa, mentre il marito infilava un altro ceppo nello sportello aperto. Ned se ne stava in un angolo, ben lontano da loro.
- Senti, tu non vuoi avere sulla coscienza anche questi due ragazzi, non è vero? Quindi lascia fare a me -.
Win, che stava apparecchiando per la colazione, spiegò allegramente:
- L'ultima volta che lo zio Rod ha cercato di accendere la stufa, ha quasi dato fuoco alla casa -.
- Ancora con questa storia? - sbottò lui in tono offeso, per poi rivolgersi a Ed e Al – È stato solo un incidente. È che col fuoco non vado molto d'accordo -.
Rimase a guardare per un momento le facce dei due, che chissà perché stavano facendo delle smorfie alquanto strane, per poi riconcentrarsi sulla stufa.
- Perché non ti accendi? - la apostrofò, quasi risentito.
Win, opportunamente voltata dall'altra parte e intenta a controllare che i cucchiaini fossero ben puliti, rischiò veramente di scoppiare a ridere, mentre la signora Eliza si morse le labbra quasi a sangue.
- Guarda che ti ho visto, Liza – borbottò il signor Rod, per poi alzarsi con l'orgoglio del guerriero ferito in battaglia – E va bene, lascerò fare a questi due ragazzi. Sono già in ritardo per il lavoro -.
Detto questo prese un pezzo di pane e uscì.
- Oh, gli passerà – fece la signora Eliza, dedicandosi alla stufa e accendendola in men che non si dica, manco avesse avuto i guanti di Mustang – Questa scena si ripete un giorno sì e uno no, fa parte della routine quotidiana -.
Dopo colazione, quando la donna fece per sparecchiare, Al la fermò.
- Aspetti, facciamo noi – proteggendosi le mani con uno straccio, prese la pentola piena d'acqua calda posizionata sulla cucina economica e la versò nel lavandino, riempiendolo a sufficienza.
- Come sarebbe? - chiese Win – Volete lavare i piatti? -.
- Sì, certo – rispose Ed – Poi rigoverneremo la cucina -.
- Oh – anche la signora Eliza sembrava piuttosto sorpresa – Quindi voi due... sapete occuparvi dei lavori di casa? -.  (¹)
- Sì, perché? - fece Al, mettendo a mollo i piatti sporchi e cominciando a lavarli.
- Questa poi! Ma siete sicuri di venire solo da Monaco? - esclamò Win.
- Scusa, ma senti da che pulpito viene la predica. Tu non ripari orologi? - ribatté Ed.
Win ci pensò su.
- In effetti... -.
- Va bene, allora – disse la signora Eliza, dirigendosi verso la porta – Quando avrete finito, riempite di nuovo la pentola d'acqua e rimettetela sul fuoco, per favore. E controllate che la stufa non si spenga -.
- Certo! - rispose Al.
- Ho un sacco di lavoro da sbrigare: prima comincio, meglio è. Grazie mille per l'aiuto – detto questo, si diresse verso la propria stanza da lavoro.
Anche Win sembrava essersi convinta.
- D'accordo, allora vado anch'io – guardò prima Al, poi Ed – Certo che siete strani -.
E uscì anche lei, tallonata da Ned.


Quando ebbero finito, Al diede un'occhiata fuori dalla finestra.
- Che facciamo? Non possiamo uscire con questo tempo, la neve non accenna a fermarsi -.
- Mah... non lo so – fece Ed, uscendo in corridoio.
Dirigendosi verso le scale, d'un tratto sentì la mano del fratello su una spalla e si fermò. Ad un cenno di Al, notò che la porta davanti alla quale era appena passato era socchiusa. Si avvicinò e sbirciò dentro, sorridendo d'istinto non appena riconobbe la signora Eliza.
Il miglior cecchino dell'esercito con un paio di occhiali dalla montatura dorata, chino su una macchina da cucire. Adesso che le aveva viste tutte.
- Dici che le serva una mano? - bisbigliò Al.
- Mmm... non so... prova a chiederglielo – rispose Ed, che non aveva poi molta voglia di darsi al cucito.
- E tu? -.
- Farò un salto in camera a sistemare i fogli con le informazioni di cui disponiamo -.
Al annuì, mentre Ed si allontanava lungo il corridoio, e bussò alla porta.
- È permesso? - chiese, entrando.
- Salve – disse la signora Eliza, fermandosi un momento – Com'è che tuo fratello se l'è svignata? -.
- Oh, lui... - non le sfuggiva niente, eh? - Non è molto appassionato di ago e filo... -.
- Capisco -.
- Posso aiutarla? -.
La donna si guardò intorno, pensierosa.
- In realtà non c'è molto da fare. Sto finendo di rifinire questa camicia, poi inizierò un nuovo lavoro -.
Al si avvicinò al tavolo su cui erano sistemate delle grandi porzioni di stoffa, sopra alle quali erano stati fissati con degli spilli dei pezzi di carta di forme diverse.
- È per tagliare le forme dei modelli? - chiese.
- Sì, quei pezzi di carta mi servono come base per la segnata a gesso. È solo dopo che si taglia definitivamente -.
Al si guardò attorno, e vide lì accanto un oggetto piatto e bianco. Lo toccò. Gesso. Che strano sentire di nuovo quella consistenza sulle dita, anche se si trattava di un gesso per sartoria.
- Vuole che lo faccia io? - domandò, voltandosi verso la donna.
- Che cosa? La segnata? -.
Al annuì, e la signora Eliza per un momento non seppe cosa rispondere. Di solito si occupava personalmente di tutto, e non poteva permettersi di sprecare il minimo pezzo di stoffa. Inoltre non era affatto convinta che un ragazzo fosse capace di segnare il tessuto col gesso. Però... però, anche se stavano da loro solo da un paio di giorni, aveva già capito che era lui il più tranquillo dei due fratelli. Il meno spavaldo, molto più mite dell'altro. Non pensava affatto che fosse tipo da dire di saper fare una cosa, quando ciò non era vero.
Certo, lo conosceva da troppo poco tempo per poter esserne sicura. Ma non si era mai sbagliata nel giudicare le persone: altrimenti non avrebbe mai sposato quello che ora era suo marito.
- Va bene – disse, alzandosi – Prova con questo -.
Gli mise davanti un pezzo di stoffa verde scuro che sarebbe servito per una giacca, con il modello di carta già fissato.
- Devi lasciare un orlo di un centimetro per la cucitura, ma mi raccomando che sia uniforme -.
- Ho capito -.
Al iniziò a segnare il contorno del modello, facendo attenzione a ciò che la signora Eliza gli aveva detto. Ed era bello tenere di nuovo un gesso tra le dita, farlo scorrere su una superficie anche solo per tracciare una linea dritta.
Dal canto suo, la signora Eliza si stupì profondamente nel vedere l'abilità con cui quel ragazzo maneggiava il gesso: sembrava non avesse fatto altro per tutta la vita. Non fosse stata troppo orgogliosa per ammetterlo, l'avrebbe forse definito anche più bravo di lei.
Comunque fu contenta di non essersi sbagliata.
- Visto che te la cavi così bene, puoi fare la segnata anche degli altri mentre io finisco qui – disse, tornando alla macchina da cucire – Grazie per l'aiuto -.
- Si figuri, è il minimo – rispose Al, finendo quel modello e passando al successivo.
Alla fine, tutti i cerchi alchemici che aveva tracciato si stavano rivelando utili anche in quel mondo.         


Ed, dal canto suo, non era andato in camera. Era stato in procinto di salire le scale, quando aveva sentito il trillo improvviso di una sveglia. Seguendone il suono, aveva finito per entrare in quello che era il laboratorio di Win.
- Ehi, ciao! - fece lei – Era ora che mi venissi a trovare nel mio antro! -.
- Veramente ho solo seguito il suono di una sveglia... -.
- Ah, questa! - alzò un bell'orologio coperto d'argento, con una specie di timpano sulla sommità – Ho appena finito di ripararla. Ha un gran bel trillo! -.
La sistemò su uno scaffale, per poi dedicarsi a un orologio da taschino.
- Ah, quel Max! Ha solo otto anni ed è già la terza volta che sporca di marmellata l'orologio di suo nonno. Secondo me lo infila direttamente nel vasetto; come fa a finirne anche negli ingranaggi? -.
Mentre Win inveiva contro il povero Max, Ed iniziò a guardarsi intorno. Che bella, quella stanza: era accogliente quanto la cucina, si vedeva che chi stava lì dentro faceva il suo lavoro con passione.
Ned, che se ne stava tranquillo accanto alla sedia di Win, lo raggiunse per rimediare qualche carezza.
- Certo che ce ne sono di veramente belli! - commentò Ed, passando un dito sul tetto di un orologio a cucù.
- L'universo degli orologi è estremamente affascinante – convenne lei senza voltarsi, concentrata sul proprio lavoro.
- Gli orologi controllano il tempo... - fece Ed, misurando a larghi passi la stanza - … o è il tempo a controllare gli orologi? -.
- Ah, ah. Non ricominciare con le sottigliezze filosofiche, questo è il mio campo -.
Ed fece un largo sorriso, contento che non potesse vederlo. Accarezzò con lo sguardo gli orologi allineati sugli scaffali, aguzzando la vista quando ne notò uno in un angolo che sembrava ancora incompleto. Strano: Win non li riparava, gli orologi? O ne costruiva anche?
Si avvicinò, incuriosito, e lo prese per vederlo meglio. Era piuttosto grosso, e sotto l'orologio vero e proprio c'era una specie di scatola in legno ancora aperta; dentro vide una piastra girevole che si sarebbe di certo azionata allo scoccare dell'ora. In Germania ne aveva visti parecchi, di quel genere: orologi-carillon che al momento giusto azionavano una specie di giostra, con delle figurine che apparivano una dopo l'altra e a volte si muovevano. Capitava di vederne anche negli orologi della torre comunale, ed era sempre uno spettacolo. Quello di Monaco era bellissimo.
Guardò meglio e in fondo al tavolo vide effettivamente delle statuine in fila, forse pronte per essere fissate sulla piastra girevole, e due ante intagliate che dovevano di certo fungere da “porta” per la scatola.
Le guardò, e smise di respirare.
Voltò in fretta l'orologio, e il quadrante lo lasciò sconvolto.
- Oh... santo... cielo -.
Quei mozziconi di parole fecero voltare Win, che vide quale orologio stava guardando.
- Ah, quello! Ti piace? -.
- Di... di chi è? -.
- È mio. Lo sto costruendo io -.
L'occhiata a un tempo sconvolta e supplichevole di Ed la lasciò di stucco.
- Ehi, cosa c'è? Va tutto bene? -.
- Tu... cosa... come... - lanciò uno sguardo di sfuggita all'orologio, per poi tornare a guardare la ragazza – Come fai a saperlo? -.
- Calmati, che ti prende? - il turbamento nei suoi occhi gli ricordò per l'ennesima volta che quella non era Winry, e non poteva essere abituata a sentirlo sbraitare.
Respirò a fondo. Poi indicò le figurine sul tavolo: - Quelle – e l'orologio accanto a lui – e questo... -.
Stava quasi tremando. Perché? Pensava che quello fosse ormai un capitolo chiuso della sua vita, per quanto fosse stato l'intera sua vita.
- Perché li hai fatti così? - fu la domanda più sensata che riuscì a formulare.
Win si alzò, avvicinandosi a lui. Allungò una mano, prendendo una delle figurine e accarezzandola piano: rappresentava una grossa armatura con un pennacchio in testa e un panno di stoffa attorno alla vita. Tra le altre in fila c'erano un soldato con una vaporosa divisa blu e una lingua di fuoco che gli usciva da un dito; un ragazzino pallido dai capelli lunghi e sfrondati; un grosso cane col pelo più lungo sulla testa e sul dorso, pelo che somigliava a dei capelli.
Forse Win li avrebbe descritti così, ma per Ed altri non erano che Al, Mustang, Envy e Nina. O, per meglio dire, la Chimera in cui erano stati fusi Nina e il suo cane Alexander.
- Non li ho fatti io – mormorò Win, posando la figurina dell'armatura – Riparo orologi, non sono così brava ad intagliare il legno -.
Si voltò verso di lui.
- Li ha fatti Ed -.
 






 
(¹) Non dimenticate che siamo nel 1923! Un uomo che lavava i piatti doveva essere pura fantascienza (lo è anche adesso, a volte).



Rispondendo alle recensioni:
MusaTalia: in effetti era proprio ciò che la presenza della neve voleva comunicare, sono contenta che sia arrivato. ^^
In effetti credo sia molto difficile riuscire a vedere qualcuno con lo stesso aspetto di chi conosciamo come un'altra persona... è assurdo pensare che si hanno dei ricordi, con tale persona, che però l'altro non ha. Dev'essere una situazione che va al di là del surreale...
Dopo questo capitolo so che mi ucciderai, visto che non si capirà niente fino al prossimo... ma le tue domande troveranno risposta, non temere!
Avis: a me Wrath è sempre piaciuto molto, e se sono riuscita a farlo apprezzare anche a qualcuno che lo detesta... bene, molto bene! ^^
   
 
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