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Autore: PiccolaWriter    11/12/2010    4 recensioni
One-Shot terza classificata al contest di Natale di "Twilight Fanfic Contests".
’’ - Non mi hai fatto il regalo giusto – aveva sussurrato lei, mentre le sue guance chiare si imporporavano un po’ per l’imbarazzo.
- Pensavo che il braccialetto con il lupo fatto a mano ti piacesse. Insomma, l’hai detto tu quando l’hai scartato: il più bel regalo di Natale che avresti mai potuto ricevere.
- Sì, infatti mi piace – aveva mormorato, impacciata come non l’aveva mai vista prima, gli occhi sfuggenti e le guance ancora più rosse di prima – Ma… non era solo questo, che volevo.’’
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Jacob/Renesmee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
- Questa storia fa parte della serie 'Melodie di Parole'
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Di Neve e d’Amore



" E da una striscia argentea di cielo,
che fra i neri edifici alta serpeggia,
neve e neve giù giù fiocca e volteggia
muta al tuo muto soffio, aria e gelo."


Giovanni Marradi




Jacob affondò i piedi nudi nella neve, chiara ed umida della pioggia fredda ch’era scesa dal cielo quella sera, frenando all’improvviso la sua folle corsa. I suoi occhi di brace brillarono nel buio della foresta imbiancata, guizzando al di là di felci imponenti, fronde basse e cumuli di neve che ricoprivano il tutto come una grande, immensa coperta soffice e candida, e si focalizzarono s’un punto lontano ma ben preciso.
Subito mosse le gambe, scattando con una rapidità degna di un’atleta olimpionico, ma segnata da molta più violenza, e saettò dritto lungo una specie di sentiero, scavalcando tronchi abbattuti e semicoperti dalla neve e le pietre scabre che tentavano vanamente di bloccare il suo passaggio. Il respiro era veloce, incalzante quasi come la sua corsa sfrenata ed i suoi passi agitati, le vene sulla sua fronte e sul suo collo pulsavano violentemente, il cuore somigliava ad una fenice rinchiusa in gabbia, in agonia, prossima alla morte nella pira dei suoi stessi resti che l’attendeva.
Le narici del ragazzo fremettero. Un odore familiare, già sentito, catalogato, impresso come un marchio a fuoco nella sua memoria con una forza inequivocabile, incancellabile, perché era quello che apparteneva alla pelle di lei.
Quasi senza vedere contro cosa si lanciasse, foglie o rami spogli e irti che fossero, non interruppe il suo avanzare, procedendo ad enormi falcate – decisamente troppo lunghe per le sue gambe umane – finché non giunse nel luogo in cui aveva scorto quel riverbero, nel luogo dove quell’odore si addensava maggiormente, intossicandolo quasi tant’era sparso nell’aria intorno a lui.
Jacob piantò saldamente i piedi nudi nella neve che si scioglieva a contatto con la sua epidermide bollente, cercando con tutte le sue forze di calmarsi, di darsi un contegno, di far cessare il movimento ansante del petto e quello ribelle del muscolo che palpitava – forse morente – al centro di quest’ultimo.
Alzò lo sguardo nero ed incontrò i suoi occhi spaventati.
Rannicchiata s’un ramo poderoso d’un abete imbiancato di neve, nascosta per metà nell’ombra della notte e per metà illuminata dalla luce pallida della luna, Renesmee trattenne il respiro e si strinse più forte le braccia intorno al corpo.
L’abito di lana scura che indossava era sgualcito, le calze grigie per metà sfilate, i capelli gettati sulle spalle, boccoli fitti e fulvi scompigliati dal vento, le labbra arrossate e ben ferme nell’affondo nervoso dei denti chiari. Le sue sopracciglia sottili s’aggrottarono sulla fronte liscia, del dispiacere si diffuse rapidamente sui suoi tratti ibridi e perfetti.
Jacob, dal basso, continuava a guardarla, nuovamente ansante e senza fiato, questa volta non a causa della corsa sfrenata.
- Vieni giù – le bisbigliò, l’espressione seria sul volto abbronzato.
- No – rispose lei in un sospiro, distogliendo gli occhi dalla sua figura e ricominciando a torturarsi il labbro con i denti.
- Nessie, ti ho detto di scendere giù – riprese lui, la voce tremante ma imperiosa.
Lei continuava a tacere, ferma, accucciata al sicuro sull’albero. - Perché devi avere la testa così dura? – bofonchiò il ragazzo, stringendo i pugni con forza e chiudendo gli occhi, le spalle che fremevano di una rabbia lenta e calda.
Renesmee non lo guardava, sembrava concentrata nello studiare un cumulo di neve s’una fronda vicina e nell’ascoltare il suono ovattato dei fiocchi di neve che cominciavano lievemente a scendere dal cielo blu inchiostro, puntellato di stelle e occupato in gran parte dalla luna ovale.
- Sei proprio impossibile – continuò Jacob, ad occhi chiusi – Forse ti diverte tutto questo? Credi che sia solo un gioco? Pensavo che la tua mente si sviluppasse più velocemente del tuo corpo, non viceversa.
Nella sua voce cavernosa riecheggiava una nota amara, quasi di sofferenza, di incomprensione e frustrazione. La sua mascella s’irrigidì, come le spalle possenti.
Renesmee d’un tratto puntò i suoi occhi scuri sulla sua figura.
Nel suo viso, l’incarnato simile a perla, si dipinse l’espressione di chi sa di aver commesso un grave errore e di non poterci fare più nulla per rimediare. Era così che lei si sentiva: sconfitta dal presente, angosciata dal futuro. Rimpianse profondamente la sua breve infanzia, fuggita via troppo velocemente, rimpianse il tempo in cui tutto era semplice, in cui donare gioia con un solo sorriso era semplice come respirare.
- Non sei più una bambina. Non puoi pensare di fare qualcosa senza poi affrontarne le conseguenze, non puoi credere di non avere alcuna responsabilità, e non puoi nemmeno tentare di giustificarti in alcun modo, perché non ci sono giustificazioni per ciò… per ciò che stasera stavi per fare.
Jacob aprì gli occhi, trafiggendola con uno sguardo carico di furia.
- Lo so – mormorò lei, la voce limpida ma bassissima, quasi inudibile.
- Lo sai, ma non vuoi rendertene conto. Perché fuggi dalla realtà che ti circonda? Perché ti ostini a non voler vedere le cose come le vedono tutti?
- E come le vedrebbero tutti? – ribatté lei, improvvisamente, sciogliendo le braccia dalla morsa in cui le aveva costrette e conficcando le unghia nella corteccia ruvida dell’abete innevato.
La rabbia stava velocemente prendendo il sopravvento sui suoi tratti.
- In maniera più… giusta – farfugliò lui, espirando frustrato.
- Non è quello che vedo io – riprese Renesmee decisa, assottigliando gli occhi color cioccolata, sfrangiati dalle lunghe ciglia nere, brucianti d’ira – non è quello che vedi tu.
Jacob cominciò a sentirsi mancare il suolo sotto i piedi. Aveva cercato in ogni modo di far capire a Renesmee – ed anche a sé stesso, senza riuscirci – che quello che c’era tra di loro, quel legame di profondo affetto, quel legame quasi fraterno, sarebbe dovuto rimanere tale, anche per il resto dell’eternità, poiché era diventato necessario.
Grazie a loro si era stabilito un equilibrio tra i Cullen, la tribù dei Quileute e gli odiati Volturi, un equilibrio assolutamente perfetto, mai sognato prima. Niente avrebbe dovuto corromperlo, niente, tantomeno quello che ci sarebbe potuto essere tra loro, qualcosa che non rientrava nell’affetto fraterno che sembrava andar bene a tutti, tranne che a loro due.
Tutti erano restii ai cambiamenti, vampiri e licantropi che fossero, ed anche lui, l’alfa del branco, avrebbe desiderato più d’ogni altra cosa non dover essere la causa di altri scompigli, di altri problemi; eppure, per quanto tentassero di ignorare, di nascondere o più semplicemente di non pensare a quello che entrambi sentivano divampare dentro di loro con forza sempre maggiore ogni giorno di più, erano pienamente consapevoli che quel legame quasi fraterno, quel legame che sarebbe dovuto rimanere tale, purtroppo, non sarebbe mai potuto rimanere tale, perché, probabilmente, non lo era mai stato.
Jacob, ancora immobile, combattuto tra quello che era giusto e quello che sembrava più sbagliato, la osservò mentre si distaccava lentamente dal ramo dell’abete – alto il doppio di lui – e, flettendo le gambe snelle, saltava elegantemente giù, leggera, atterrando come una gatta accanto a lui, con la solita ed inconsapevole grazia che contraddistingueva ogni suo movimento e gesto, anche il più insignificante.
Adesso che era a pochi passi da lui, l’odore della pelle di Renesmee era più forte di prima. Jacob percepì la familiare essenza di lavanda, di cioccolata fondente, di biancospino, borotalco e vaniglia. S’insinuò dalle sue narici, invadendogli la mente, il petto, l’intero corpo, rendendogli improvvisamente difficilissimo anche l’elementare gesto di respirare, battere gli occhi, muovere le gambe.
- Dimmi che ho ragione, Jacob – insistette, stringendo le piccole mani a pugno e rivolgendogli uno sguardo battagliero, lo sguardo che lui conosceva fin troppo bene. Lo sguardo di chi non si arrende, mai.
- Non ho niente da dirti – scandì lui, incapace di utilizzare un tono di voce più alto del normale.
Si sentì infinitamente ridicolo e debole, non sapeva proprio mentirle.
- Perché sei venuto a cercarmi? – chiese lei, increspando la fronte.
- La foresta è pericolosa. Ed anche se è la notte di Natale, non tutti sono più buoni. Avresti potuto imbatterti in un malintenzionato, non è sicuro andarsene da sola in giro… - biascicò lui, abbassando il volto.
Avvertì i passi soffici di Renesmee sulla neve.
- Guardami, Jacob – mormorò lei, supplichevole – guardami e dimmi che quello che stava per succedere stasera era qualcosa di sbagliato…
Jacob strinse gli occhi, una fitta di dolore e rimpianto che gli fece vibrare le viscere a quel ricordo che la sua mente stava già evocando in tutta la sua chiarezza.

Loro due, da soli, su quel vecchio dondolo di legno chiaro che cigolava un po’, la neve che fioccava dal cielo scuro, la luna come unica fonte di luce; lei, bella, angelo bagnato d’argento lunare, il viso ridente e sereno e la bocca sporca di zucchero a velo e briciole, le fette di panettone farcito sulle gambe. Le loro risate, un morso al dolce, i loro discorsi sciocchi.
Poi quell’improvviso rombo di motori seguito da un intenso silenzio. Dentro casa nessuno respirava, nessun cuore batteva più: tutti, vampiri e lupi, erano andati via, a far visita a Charlie, e loro due erano rimasti completamente soli in quella casa, nel giardino ricoperto di neve, su quel dondolo cigolante, le dita ancora sporche di zucchero e le labbra improvvisamente vuote di parole. Gli occhi pieni di qualcos’altro.
- Non mi hai fatto il regalo giusto – aveva sussurrato lei, mentre le sue guance chiare si imporporavano un po’ per l’imbarazzo.
- Pensavo che il braccialetto con il lupo fatto a mano ti piacesse. Insomma, l’hai detto tu quando l’hai scartato: il più bel regalo di Natale che avresti mai potuto ricevere.
- Sì, infatti mi piace – aveva mormorato, impacciata come non l’aveva mai vista prima, gli occhi sfuggenti e le guance ancora più rosse di prima – Ma… non era solo questo, che volevo.
La mano pallida e calda si era posata sulla sua, scura e ardente.
Di fronte ai suoi occhi accesi d’emozione, le sue labbra umide, il suo respiro stentato ed il suo cuore che implorava pietà da dentro il petto, quasi ridotto in poltiglia tanto batteva veloce, il tempo sembrava essersi inchinato, abbandonandoli e lasciandoli sospesi in una dimensione parallela, al centro di nulla e di tutto, in cui l’unica cosa che contava era il bisogno, la necessità, il desiderio straziante di unirsi, di abbracciarsi, di incastrarsi l’un l’altro in una maniera o nell’altra, forse per non sentirsi soli, forse per non sentire freddo, forse per riempire il vuoto che percepivano nelle loro braccia abbandonate e nelle loro gambe rigide o nei loro petti.
E quel qualcosa che poi s’era incrinato come vetro rotto, cadendo al suolo e graffiando loro le dita e le mani, quando la paura aveva preso il sopravvento sul coraggio, quando la razionalità si era gettata a capofitto sul cuore soffocando i suoi palpiti… quando Jacob si era ritratto dal tocco leggero delle labbra calde di Renesmee che tentavano di sfiorare appena le sue, il richiamo della sirena che gli aveva perforato non solamente i timpani, ma l’intero corpo.
Non avrebbe mai dimenticato lo sguardo ferito di lei, dopo che si era alzato solamente per guardarla sconvolto, sbigottito, preso in contropiede.
Terrorizzato.
Riverberi d’argento anche nelle pupille di Renesmee, poi sotto i suoi occhi, righe sottili e luminose come la luna stessa che scorrevano lungo le guance, sulla pelle chiara, che s’annidavano per pochi istanti agli angoli della sua bocca, sul suo piccolo mento, per poi infine consegnarsi al vuoto.
I suoi passi veloci, la sua natura ibrida che si rivelava all’improvviso.
Lui aveva alzato gli occhi sul dondolo.
Cigolava nel vuoto, lei non c’era già più.


Jacob si obbligò a riemergere da quel vortice di pensieri, ricordi e sensazioni che tentava di strattonarlo giù, forse le viscere del mondo, forse l’inferno, verso un luogo a lui sconosciuto ma che avrebbe desiderato conoscere con tutto sé stesso. Un posto raggiungibile solo attraverso un sentiero ripido e scosceso, fatto di sofferenze e difficoltà, la via errata che l’avrebbe costretto ad errare, costantemente, portandolo inevitabilmente all’errore.
Renesmee, quando riaprì gli occhi, era lì, ma i suoi ricordi recenti non le rendevano alcuna giustizia: si stava avvicinando, piccoli passi aggraziati alla volta, le spalle dritte, i capelli sfuggenti sul collo morbido, le labbra ancora più rosse. I fiocchi di neve le volteggiavano intorno, il suo respiro le sfuggiva dalla bocca addensandosi per pochi istanti in una nuvoletta di calore che poi si disperdeva nel vento freddo.
- Dimmelo, Jacob – si ostinò Renesmee, torturandolo con la sola forza dei suoi occhi scuri, caldi baratri in cui il ragazzo ci si sarebbe gettato con tutta l’anima – Dimmi che non volevi che lo facessi. Dimmi che non lo volevi anche tu.
Le mani di Jacob ricominciarono a tremare vistosamente.
Sul volto perlaceo di Renesmee affiorò lentamente un sorriso complice, e ch’era paradiso, purgatorio ed inferno insieme, ch’era angelica purezza e demoniaca perdizione, di una bellezza singolarmente sconcertante.
- No, non lo volevo – borbottò lui, la voce roca – non sarebbe dovuto accadere niente di tutto questo. Perché è sbagliato, lo sai, è sbagliato – sospirò pesantemente – ma…
- Ma cosa?
Renesmee si bloccò, occhi sgranati, scintillanti, velati di uno strano stupore, una vana speranza, ed il cuore sempre più svelto. Jacob si morse le labbra con forza e si mandò autonomamente al diavolo per le pazzie che le avrebbe rivelato di lì a poco: sì, perché non poteva più tenersi dentro tutto quello che provava, che lo infettava internamente come una malattia altamente contagiosa, prima il cuore, lo stomaco, poi il cervello, i polmoni e così via. Sapeva che prima o poi ci sarebbe morto di quella malattia – si poteva chiamare mal d’amore, oppure mal d’amare? – ma sapeva bene che anche Nessie ne soffriva, forse era stato proprio lui a contagiarla, e sapeva che entrambi sarebbero inevitabilmente andati incontro allo stesso destino. Quindi prese un respiro, si fece coraggio e si gettò mentalmente nella fossa dei leoni.
- Ma… Ma sapessi quante volte ho desiderato che non fosse così – sussurrò - quante volte avrei voluto poterti stringere di più. Non come un fratello, come un caro amico, come un semplice famigliare: di più. E sapessi quante volte ho voluto sentire il tuo sapore nella bocca, sulla lingua, nella gola, e per quanto ho annegato nel tuo respiro e nel tuo odore senza poterti dire quanto mi piacesse.
I suoi occhi erano completamente neri, tenebra fitta.
- Sapessi quante volte avrei voluto dormirti accanto, solo per ascoltare il tuo cuore ed i tuoi sogni. Sapessi quante volte ti avrei ripetuto che ti volevo, come ti voglio anche adesso, come ti ho voluto ieri e come ti vorrò domani, sempre di più, all’infinito, fino a quando questo mio corpo non si consumerà e finché il tempo avrà qualche importanza insieme allo spazio.
Mentre parlava mangiandosi le lettere - parole e frasi più rapide e violente di un fiume in piena – si era avvicinato inconsapevolmente a lei, al suo corpo, ed anche lei aveva fatto qualche passo verso di lui, senza distogliere gli occhi bruni dai suoi, senza nemmeno respirare.
Renesmee non sapeva che fare, non riuscì a trovare le parole che avrebbe voluto dire, ma non le importò, e non riuscì a recuperare nemmeno più il filo dei suoi stessi pensieri, probabilmente perché Jacob le era così vicino – all’improvviso ogni cosa nel suo cervello che non riguardasse lui sembrò improvvisamente inutile, frivola, senza significato.
Avvertì sollievo quando i palmi delle sue mani aperte si poggiarono sul suo petto caldo, sulla pelle nuda e bruciante. Lui avvicinò lento una mano al suo volto, carezzandola con dolcezza, e cogliendo con la punta d’un dito una goccia d’argento che scivolava via dai suoi occhi. Sulle sue ciglia si erano posati alcuni piccolissimi fiocchi di neve candida. - Perché piangi? – bisbigliò, soffiandole brividi sulla pelle.
- Perché ho paura. Ho paura di quello che ci sarà domani… – balbettò Renesmee, facendosi più vicina, circondandogli il collo con le braccia, il viso contro il suo collo scottante.
- Se lo vuoi, ci sarò io – sussurrò - non curarti del resto. Jacob si chinò, asciugandole altre lacrime con la punta delle dita calde. La sua mano aperta si fermò sotto il suo mento levato verso il suo volto, gli occhi ancora lucidi.
Lentamente, quasi come il volteggiare della neve e la danza dei fiocchi dettata dal vento, le labbra di Jacob lambirono quelle di lei, appena dischiuse come rose sbocciate d’improvviso, all’inizio secche di freddo e poi umide e calde d’amore. Le loro bocche s’avvinsero, una lotta in cui non ci sarebbe mai stato un vinto né il vincitore, ed i loro respiri affannati s’impigliarono.
Le ginocchia di Renesmee cedettero, e Jacob, trattenendola contro di sé con le braccia e l’intero corpo, la fece adagiare lentamente a terra, sulla superficie candida, fresca e soffice della neve. Le sue labbra si scostarono solo per permetterle di prendere fiato, poi ritornarono di nuovo lì, labbra su labbra: era quello il loro posto, il motivo per cui sembrarono esser state create. Solamente per unirsi, combaciare alla perfezione.
Si lasciarono travolgere da quella sfrenata sensazione di libertà, di vita, cominciarono a cercarsi con le mani, pelle contro pelle, si trovarono con un bacio e ritornarono a rincorrersi dietro i palpiti folli dei loro cuori, dita tra i capelli, occhi dentro occhi. Renesmee piegò la testa di lato. Jacob percorse la linea morbida del suo collo, affondando il viso sulla sua gola, poi sulla clavicola, sorridendo voluttuosamente.
- Mi hai sempre voluta – bisbigliò lei, come se gli stesse confessando un segreto all’orecchio – mi hai sempre voluta ed io ho sempre temuto il contrario.
Jacob alzò il volto ambrato verso di lei. La luce calda che balenava nei suoi occhi neri fece vibrare lo stomaco di Renesmee di una sensazione strana ma bella, mai provata prima, che la lasciò interdetta e affascinata: era un lamento delle budella, un gorgoglio interno, una specie di fame, ma, seppur non avesse molta dimestichezza con questo genere di cose, lei fu subito sicura che non fosse fame di sangue quella che stava provando.
- Sì – rispose Jacob.
Non aggiunse altro, bastò l’occhiata che le lasciò scivolare lenta sul volto per riempire quel vuoto fatto di densi sottointesi e parole non dette, nascoste. Renesmee si riconobbe in quell’occhiata. Perché era affamata.
Lei lo fece rotolare di lato, salendogli addosso. Petto contro petto, respiro su respiro.
- Anch’io ti ho sempre voluto – confessò, abbassando le palpebre color lavanda sugli occhi improvvisamente più scuri, adombrati – e non ho mai avuto il coraggio di dirtelo apertamente.
Sul volto scuro di Jacob si delineò un sorrisetto beffardo.
- Non ce ne sarebbe stato bisogno ugualmente – scherzò, carezzandole una guancia e affondando dolcemente le dita tra i suoi capelli ribelli – provoco dipendenza, sono talmente irresistibile, peggio della droga, che dovrebbero dichiararmi illegale.
Entrambi si persero nelle loro stesse risate divertite e poi di nuovo, volti vicini, labbra strette, annaspando alla ricerca dell’incastro esatto.
D’un tratto Jacob si rese conto che tutti i suoi timori per il futuro, per quello che si sarebbe potuto scatenare da quel momento in poi, non erano stati davvero niente, un emerito nulla in confronto alla profonda gioia che lo stava interamente pervadendo.
Mentre stringeva Renesmee tra le braccia e ascoltava il suo cuore incespicante, i suoi respiri affannati di voglia di baci e passione, mentre poteva intrecciare le dita ai suoi capelli sciolti e liberi – dove s’impigliavano piccoli frammenti di neve che fioccava ancora lentamente dal cielo - si sentì totalmente completo.
Renesmee si allontanò da lui, quel tanto che bastava per poterlo guardare in faccia.
- Dimenticavo. Devo dirti ancora una cosa.
Lui arcuò un sopracciglio folto, un mezzo sorriso sulla bocca. Lei, senza dir nulla, chiuse gli occhi concentrandosi, e dopo aver poggiato le mani aperte ai lati del viso di Jacob, riversò nella sua testa tutti i suoi ricordi più intimi: dalla prima volta in cui aveva percepito nascere quel nuovo sentimento verso di lui – non solo affetto fraterno – al primo momento in cui aveva capito di desiderarlo davvero, con tutta sé stessa, corpo e anima, e sino a quella stessa sera, la notte di Natale, in cui aveva finalmente deciso di fare quel breve passo, forse troppo azzardato, forse no, ma inevitabile, necessario per comprendere se quello che stava provando sarebbe mai stato ricambiato o meno.
E si soffermò su quel momento, quello in cui ancora ridevano spensierati con la bocca sporca di zucchero a velo e briciole, e poi nell’attimo in cui, tentando imbranata di fare la seducente, gli aveva mormorato che non aveva esattamente ricevuto il regalo desiderato.
Ecco, proprio mentre Renesmee stava illustrando i suoi pensieri a Jacob, attentamente particolareggiati, lui emise una specie di ruggito esasperato: gli saliva dal centro del petto, gli faceva tremare la gola e faceva tremare anche Renesmee.
Si avventò su di lei come un vero lupo a caccia, ed entrambi si ritrovarono a rotolare come bambini tra la neve candida, tra altre risate e guance chiazzate di rosso imbarazzo.
- Era questo che volevi? – la provocò, prendendola tra le braccia e atterrandola.
Lei, dimenandosi, i polsi stretti nella morsa d’acciaio di Jacob e le gambe in aria, cercò di sfuggire. Si scostò più volte dal suo volto caldo che premeva contro il suo con una malizia quasi disperata, assolutamente mal celata dal battito cardiaco che inciampava ripetutamente quando, per sbaglio, le labbra di lui si soffermavano sulle sue.
Jacob, l’espressione maleficamente divertita e felice sul volto, bloccò la dolce tortura che le stava infliggendo per ammirarla, arresa, i capelli tra la neve, gli occhi spalancati.
- Sì, maledizione! – ansimò Renesmee, fermandosi stanca e sorridendogli apertamente - Eri te, il più bel regalo di Natale che avrei voluto avere, solo te!
   
 
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